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Autore: Adeia Di Elferas    25/08/2015    10 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ “E ci sono notizie dei figli della povera Elisabetta?” chiese Lucrezia, senza staccare gli occhi dal suo ricamo, ma aggrottando la fronte in segno di profonda preoccupazione.
 “Non molte... Poveri bambini... Lei era così giovane...” sussurrò Bona, lasciando per un attimo strada libera alla commozione, che le fece salire le lacrime agli occhi.
 “C'era da aspettarsela, una fine del genere...” constatò Lucrezia, più lucida nel suo giudizio, seppur altrettanto sconfortata dalla notizia arrivata da Monferrato: “Con un marito del genere, alla sua tenera età, in fondo non poteva che finire nel peggiore dei modi.”
 Bona ormai piangeva sommessamente, sopraffatta dalla pena provata per quella ragazzina gettata in pasto a un bruto, nobile solo di nome.
 Lucrezia cercò di consolarla, con un debole: “Ormai non c'è più nulla che possiamo fare per lei. Ha trovato finalmente la pace eterna e che Dio l'abbia in gloria.”
 Entrambe le donne si chiusero in un profondo silenzio, mentre Caterina, che aveva solo fatto finta di non ascoltarle, continuava ad agitare in aria la spada borbottando, man mano che faceva qualche movimento: “Guardia alta... Guardia bassa... Affondo frontale...”
 Le sembrava strano che nessuna delle sue madri si arrabbiasse con lei per il suo comportamento.
 Quel giorno era infatti scappata dall'ennesimo tentativo che avevano fatto le due donne per insegnarle qualcosa sul ricamo. Era corsa nella sala delle armi, aveva recuperato la spada con cui faceva esercizio dall'età di cinque anni e si era messa a ripassare le basi davanti ai loro occhi, forse nel tentativo infantile – e inutile – di distogliere il loro pensiero dalla luttuosa nuova arrivata da quel del Monferrato.
 Sua zia Elisabetta, di soli sette anni più vecchia di lei, era morta nella casa del marito, in circostanze nebulose e non del tutto chiare alla famiglia Sforza.
 Era stato Galeazzo Maria a volere a tutti i costi quel matrimonio, tre anni addietro, benché sua madre Bianca Maria, in passato, si fosse sempre opposta a un'idea del genere, ben conoscendo le tendenze violente e irascibili del Marchese di Monferrato.
 Tuttavia, non appena Galeazzo Maria era riuscito ad allontanare la madre, morta poco dopo, il matrimonio era stato combinato e celebrato in un lampo.
 All'inizio Caterina non voleva credere che fosse stato suo padre a mandare Elisabetta a Monferrato, così come non aveva voluto credere – nemmeno a distanza di anni – che fosse stato lui ad allontanare sua nonna, non permettendole più di vederla.
 Poi aveva capito che il matrimonio era stato combinato per necessità e in fondo non le era nemmeno dispiaciuta molto, l'idea che Elisabetta finisse in mano a un uomo di mezzo secolo, burbero e facile ad alzare le mani tra le mura domestiche.
 Questo perché tra le due non era mai corso buon sangue. Quanto Elisabetta era ligia al dovere ed esperta di etichetta, tanto Caterina era ribelle e incurante della moda e dell'eleganza. Se Elisabetta amava cucire e dedicarsi al proprio aspetto, Caterina preferiva passare le sue giornate coi suoi giovanissimi zii a imparare a usare spade, colubrine e artiglieria di vario genere. Così come una odiava la sprezzante dimostrazione di indipendenza e tracotanza della nipote, così l'altra disprezzava la remissività e il conformismo della zia.
 Le due continuavano a beccarsi, a farsi dispetti e spesso era Elisabetta a cominciare la guerra silenziosa che portava entrambe, immutabilmente, a subire l'aperto biasimo di Bona e Lucrezia, che si lamentavano della loro immaturità e mancanza di educazione.
 Solo quando aveva saputo della morte di sua zia, Caterina aveva avuto un piccolo rimorso, per essersi sempre scontrata così ferocemente con lei. Forse avrebbero potuto essere grandi amiche, se solo avessero accettato le differenze che le dividevano.
 Elisabetta, a conti fatti, non faceva altro che quello che era richiesto a una giovane della sua età e del suo rango. Per quanto si comportasse con Caterina in modo arrogante e antipatico, non dimenticando mai di ricordare come la nipote fosse nata da una relazione extraconiugale, Elisabetta non era altro che una persona ferita.
 “Guardia bassa... Affondo laterale...” stava ancora bisbigliando Caterina, muovendosi rapida e sinuosa nella grande stanza in cui le sue madri a volte si mettevano a cucire, come quel giorno.
 “Galeazzo come ha preso questa notizia?” chiese a voce molto bassa Lucrezia, credendo, forse, che così Caterina non avrebbe sentito le sue parole.
 “Credo si sentisse in colpa.” affermò Bona, che aveva appena smesso di piangere. I suoi occhi arrossati le conferivano un'espressione talmente sofferente che Caterina avrebbe voluto correrle al collo per consolarla. Non lo fece, però, per non dare a vedere quanto le importasse il loro discorso.
 “Lo spero.” annuì Lucrezia, abbandonando definitivamente il ricamo e alzando gli occhi verso la figlia: “Caterina, hai finito di agitare per aria quell'arnese?”
 Caterina abbassò la spada, i capelli incollati alla fronte dal sudore e il fiato corto.
 Benché nel palazzo facesse freddo quasi quanto ne facesse fuori, quella bambina pareva in grado di accaldarsi con un nonnulla, proprio come suo padre quando giocava al gioco della palla nella sala che aveva appositamente tenuto da parte per quello svago.
 Mentre Bona e Lucrezia osservavano la bambina, era proprio a questo che entrambe pensavano.
 Poi Bona, tra le due sempre la più dolce e la più incline alle coccole, le chiese: “Caterina, tesoro... Vieni a dare un bacio alle tue madri?”
 Caterina si avvicinò e diede un bacio sulla guancia a entrambe.
 Lucrezia le sorrise in modo strano, con un qualcosa negli occhi che Caterina non riusciva a cogliere. La donna stava pensando a quando ci sarebbe stato un pretendente vero per Caterina e a come sarebbe stato lasciarla andare. Pregò in silenzio che non si trattasse di qualcuno come il Marchese di Monferrato. No, sarebbe stato di certo un uomo di valore e di sani principi. Galeazzo Maria amava troppo quella sua ardita figlia, per darla in dono a un uomo che non ne fosse degno.
 “Perché non vai a metterti qualcosa di più...” cominciò Lucrezia, passandosi tra le dita la stoffa un po' ruvida del giustacuore che indossava Caterina.
 Conveniva con il fatto che per le attività che svolgeva la piccola i vestiti maschili fossero più comodi e adatti, tuttavia le sarebbe piaciuto così tanto vederla con indosso qualche bell'abito da signorina...
 “Lasciamole fare quello che preferisce.” cedette Bona, ancora prima che Caterina cominciasse la ribellione: “Lei è così bella anche vestita a questo modo...”
 Caterina sorrise a entrambe, quando capì di aver avuto, per così dire, la meglio e di essersi evitata la solita paternale su quanto i suoi vestiti non fossero adatti alla figlia del Duca di Milano.
 “Bona ha ragione. Sii una bambina, finché ti è concesso.” concluse con una certa malinconia Lucrezia, accarezzandole lentamente il viso.
 In quelle parole si sentiva vivido e presente lo spettro di Elisabetta, morta a soli sedici anni, già madre di due figli, moglie di un mostro, tradita e abbandonata dal suo stesso fratello e da tutta la sua famiglia in nome di quella che chiamavano 'ragion di Stato'.
 Lì per lì questa affermazione fece correre un filo di gelo giù per la schiena di Caterina, che, però, si scrollò subito di dosso questa brutta sensazione e annunciò: “Vado nel laboratorio!”
 “Prima metti via la tua spada, disordinata che non sei altro!” la riprese Lucrezia, intuendo come la figlia stesse per abbandonare in un angolo l'arma.
 Caterina non fece tante storie, già felice di aver avuto il bene placito di andare dall'alchimista.
 Anche se era di indole, come dicevano tutti, irrequieta e ribelle come suo padre, in realtà a lei piaceva avere il consenso e l'appoggio delle persone che amava, solo che se voleva a tutti i costi fare o non fare una cosa, l'avrebbe fatta o non fatta anche a costo di vedersi negato il piacere del loro consenso.
 Mentre Caterina usciva di volata per andare dall'alchimista, di certo a farsi insegnare ancora qualche trucco per raggiungere la bellezza eterna, visto che era uno degli argomenti che pareva interessarla di più, Bona e Lucrezia si guardarono scoraggiate.
 Quella figlia che pure amavano entrambe più di tutti gli altri bambini – benché fosse brutto ammettere una così schiacciante preferenza, era questa la verità – a loro in realtà piaceva così com'era e non l'avrebbero cambiata per nulla al mondo.
   
 
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