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Autore: Mary P_Stark    11/09/2015    2 recensioni
Krilash mac Lir è secondo in linea di successione al trono di Mag Mell, oltre a essere grande stratega militare dell'esercito fomoriano. Suo è il rarissimo dono della trasmutazione degli elementi, che lo rendono soldato temibile in battaglia e ottimo guerriero. Questo dono, però, porta con sé anche immense responsabilità... e incubi. Incubi che Krilash tenta di cancellare con una condotta di vita il più spensierata possibile. Nel suo infinito tentativo di concedersi qualche attimo di tregua dai suoi ricordi orribili, incontra l'umana Rachel O'Rourke e sua figlia Faelan, che risvegliano in lui improvvise quanto impreviste sensazioni. Sentimenti che pensava di non poter provare lo portano a compiere azioni per lui inusitate... e lo avvicinano a un segreto che riguarda direttamente le donne O'Rourke. Un segreto che, forse, potrebbe cambiare per sempre la loro vita e quella di Krilash. 3° RACCONTO DELLA SERIE "SAGA DEI FOMORIANI"-Riferimenti alla storia nei capitoli precedenti.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga dei Fomoriani'
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11.
 
 
 
 
 
Nel corso dell’estate, Sheridan si fece più irritabile e stanca ma, anche grazie all'aiuto di Rachel, riuscì a raggiungere il nono mese di gravidanza senza crisi di panico.

Foglie gialle, e venti freddi provenienti dall’artico, furono quindi accolti con soddisfazione e aspettativa.

Ormai il tempo era giunto, per lei.

Nel frattempo, io, Rohnyn e alcuni licantropi del clan locale, introducemmo Fay al mondo della guerra e della lotta armata.

Naturalmente, con il previo benestare di Felicity, Fenrir del branco di Dublino.

La donna, venuta a conoscenza dell’illustre avo di Rachel e Fay, ci offrì subito i suoi guerrieri migliori e il suo appoggio incondizionato.

Di fronte a una simile generosità, non potemmo che chiederle lumi, e fu così che scoprimmo una parte della storia a noi sconosciuta.

Oisín non era divenuto famoso solo per i poemi a lui dedicati, o per i racconti scritti da noi fomoriani.

Anche la cultura mannara narrava le sue gesta, e per un unico motivo.

L’uomo che - stando al mito - il guerriero aiutò scendendo da cavallo e perdendo, di fatto, il dono della longevità concessogli da Niamh, era un mannaro.1

Quel gesto non fu mai dimenticato, e il lupo mannaro che Oisín salvò, volle tributargli gli onori dovuti, una volta scoperta la sua tragica fine.

Quando Oscar, figlio di Oisín, giunse sulla terraferma in cerca del padre, furono i lupi a metterlo al corrente della sua scomparsa, così come del suo incrollabile altruismo.

Scoperta la prematura morte del padre, Oscar informò sia la madre che la sorella della triste notizia, dopodiché decise di onorare il padre portando avanti il suo sogno.

Tornare nelle amate terre natie per poter vivere come un mortale.

Niamh lo lasciò fare, come noi fomoriani sapevamo, e Plon – la sorella –  decise di seguirlo, lasciando così per sempre i mari profondi e Mag Mell.

La tribù, allora, accolse sia Oscar che Plon e promise loro, e alla loro discendenza, imperituro appoggio, così da ripagare degnamente il sacrificio del padre.

Con loro, i mannari strinsero una salda alleanza e, fino alla loro morte, Oscar  e Plon protessero il segreto dei licantropi, divenendo i primi Guardiani della storia mannara.

I fratelli concessero un luogo sicuro agli amici mannari, istituendo così il primo Santuario in cui, ognuno di loro, avrebbe potuto trovare riparo.

La stirpe dei mac Cumhaill, da quel momento, fu sempre onorata con rispetto dai clan di ogni luogo.

Tutto perché una fomoriana si era innamorata di un mortale, portandolo con sé nel suo regno per amore.

Il destino aveva presto chiamato a sé Oisín ma non prima, però, di permettergli un ultimo gesto di nobile altruismo.

Questo, aveva così legato due stirpi apparentemente lontanissime e, con l’avvento di Rachel e Fay, l’antico pegno poteva essere infine ripagato.

 
***

Il primo incontro con i licantropi fu, per Fay e Rachel, fonte di immensa sorpresa.

Sulle prime, risero di me e del mio dire ma, dopo aver testato con mano la forza di Eithe, dovettero ricredersi lestamente.

Persino Díomán decise di partecipare a quel training improvvisato e, invero, si  dimostrò essere l'insegnante più capace, e il preferito da Fay.

Nel frattempo, io mi occupai di Rachel, approfondendo con lei la sua conoscenza sul mondo fomoriano e sull'arte della spada.

Il sangue di Niamh e Oisín si dimostrò subito forte, in loro, così come profondo il legame con la loro terra d'origine.

Se, sulle prime, nessuna delle due mostrò molta dimestichezza con le armi, con il passare delle settimane, le loro rispettive abilità sorsero spontanee.

Anche Stheta, Ciara e Lithar vollero partecipare e, assieme a loro, le osservai sbocciare, crescere e abbracciare con sempre maggiore forza il loro retaggio.

Felicity, di fronte all’impegno genuino di Fay e Rachel, non poté che dichiararsi orgogliosa di simili allieve, ed estese anche a loro la protezione del branco.

Questo non poté che rendermi felice anche se, in parte, fece sorgere in me il tarlo della gelosia.

Avrei sempre pensato io alla loro protezione, ma mi fece piacere sapere che, almeno finché fossero rimaste sulla terraferma, non sarebbero mai state sole.

Fino a quel momento, ci eravamo affidati solo agli amici di Eithe e Diómán, per controllare Fay e Rachel, ma avere il branco era tutt’altra cosa.

Fu in uno splendido giorno di sole, e una conseguente notte fresca e limpida, che giunse infine la festività di Halloween.

Come tutti i ragazzi del posto, anche Fay decise di partecipare alla consueta caccia ai dolcetti casa per casa.

Non che vi trovassi nulla di strano, ma fui restio ad accettare che Fay uscisse  la sera, e senza di me.

Il fatto che il gruppo di amici di Fay fosse composto da licantropi, mi aiutò a non rovinarle la serata, però.

Sapendola al sicuro, anche Rachel non poté che lasciarla uscire e, nel guardarla correre lungo la via assieme ai suoi nuovi amici, la sentii sospirare.

Io mi trattenni solo a stento, ma la compresi benissimo.

Il rimescolio che provai nello stomaco, mi fece venire voglia di correre fuori per abbracciarla, ma sapevo bene che le avrei solo fatto fare una figura pessima.

Quel lato di essere quasi come un padre, per lei, mi faceva star male.

Sarebbe sempre stato così? Un dolore continuo, sordo e sedimentato nelle viscere del mio animo, tenuto a bada solo dai suoi sorrisi e dal suo amore?

Avevo idea di sì, e la cosa mi terrorizzò a morte.

Le braccia mollemente strette attorno alla vita di Rachel, che teneva la schiena poggiata contro il mio torace, baciai i suoi capelli cercando di cancellare quelle paure dal mio cuore.

Roco, le dissi: «Non la stai perdendo. Ha solo acquisito nuova sicurezza.»

«E' bello vederla ridere e scherzare coi suoi nuovi amici, e sapere che non la feriranno, o derideranno, per quello che potrebbe dire. Ma mi fa anche capire quanto, in questi anni, debba aver sofferto.»

«Questo l'ha resa forte, sia mentalmente che fisicamente. Le sarà d'aiuto, credimi» mormorai, allontanandomi con lei dalla finestra per raggiungere la cucina.

Lì, Rachel aveva imbandito un'autentica cena in stile 'notte delle streghe' e, di quello che lei aveva servito a me e Fay, era rimasto ben poco.

Le versai comunque del vino bianco e, offrendoglielo, aggiunsi: «Saremo insieme a lei. Io sarò al fianco di entrambe, non dimenticarlo. Non affronterete il cambiamento da sole. Avrete un nuovo mondo in cui vivere, un mondo che vi riconoscerà per quello che siete, senza finzioni.»

«Non avranno nulla da ridire?» mi domandò, sorseggiano nervosa il vino.

Scossi il capo, convinto.

«I figli sono importanti, per noi, anche se potrebbe sembrare diversamente, avendoti parlato delle senturion. Voi siete figlie di Mag Mell, e il vostro ritorno sarà visto come una benedizione.»

«Tranne che da tuo padre» ironizzò lei, ammiccando.

Risi di quell'appunto, rammentando cosa le avevo detto a proposito del tesoro reale, e feci spallucce.

«La faccenda del vostro patrimonio personale passerà in secondo piano in un attimo. Si adatterà con facilità, non temere. E poi, quando vi avrà conosciute, si innamorerà di voi come è successo a me. »

Lo dissi con sincerità e, come ogni volta, Rachel arrossì.

Non era la prima volta che le confessavo il mio amore.

Anche se ormai vivevo più spesso da lei che a Mag Mell, non se l'era mai sentita di replicare alle mie parole.

Mi era sempre stato bene, perché non era mai stato mio desiderio forzarla in nessun modo a dire alcunché.

La prima volta che avevamo fatto l'amore era stato splendido, e la parvhein si era manifestata in tutto il suo splendore, sorprendendo non poco Rachel.

Da quella volta, altre ne erano seguite e, ogni volta, mi ero ritrovato a stringerla tra le braccia, desiderando di avere momenti simili per il resto della vita.

Ma non le avrei mai chiesto nulla di tutto ciò, se lei per prima non lo avesse chiesto.

Rachel, a quel punto, poggiò il bicchiere sul tavolo, si avvicinò a me e, posate le mani sulla mia camicia, all'altezza del cuore, mormorò: «Quanto ancora andrai avanti con questa farsa, Krilash?»

La fissai confuso, replicando: «Quale farsa, scusa?»

Lei abbozzò un sorrisino e, sollevandosi in punta di piedi, mi baciò.

«Questo tuo delizioso gesto cavalleresco di non chiedermi in moglie, intendo.»

Storsi il naso, borbottando: «Ti ho già detto che non è corretto curiosare.»

Rachel rise, avvolse le braccia attorno al mio collo e mi tirò giù, in modo che lei potesse poggiare pienamente i piedi a terra.

Io sbuffai, ma la lasciai fare. A volte, le piaceva comportarsi come una bambina.

«Hai paura che potrei dire di sì perché sei irresistibile?» ironizzò, guardandomi occhi negli occhi da quella distanza ravvicinata.

Ghignai, annuendo. «In effetti, è un rischio effettivo, ammettilo.»

Rise e, nel lasciarmi andare, mise mano ai bottoni della mia camicia.

Ancora, la lasciai fare.

«Sì, in effetti, offri una mercanzia di tutto rispetto» mormorò, accarezzando la mia pelle con dita lievi, poggiando poi le labbra sopra un capezzolo, che si inturgidì all'istante.

Sospirai, reclinando all'indietro il capo.

«Lo sostengono in molte» mormorai roco, ricevendo per diretta conseguenza uno schiaffetto sul fianco. «Ahia.»

«Non ricordarmi con quante donne sei stato, grazie» ringhiò, possessiva.

Adoravo quando lo faceva.

In quei mesi, avevo scoperto molti lati nascosti di Rachel, tra cui un'indubbia gelosia, che si era estesa a me – oltre che alla figlia – non appena avevo iniziato a bazzicare piuttosto spesso a casa sua.

Più di una volta, l'avevo aiutata in negozio – con mia somma gioia – e, in quelle occasioni, mi ero reso conto di quanto Rachel tenesse d'occhio le donne che mi guardavano.

L'avevo trovato in un certo qual modo divertente.

Una volta, però, ero stato costretto a trattenerla dal prendere per i capelli una ragazza particolarmente diretta. E interessata.

Quella sera, avevamo fatto l'amore con particolare foga, e lei mi aveva reso partecipe di un altro suo segreto molto intimo.

Avevo scoperto quanto le piacesse prendere l'iniziativa.

L'avevo lasciata fare allora, come molte altre volte in seguito.

E così feci in quel momento.

Lei scese con la bocca, lasciando deboli scie di baci sul mio torace, l'addome e l'ombelico.

Quando raggiunse il bordo dei pantaloni a vita bassa, slacciò i bottoni e abbassò l'indumento, mormorando: «Adoro vederti sempre pronto per me.»

«Ne dubitavi?» ansai, afferrando le sue mani per portarle sopra la sua testa.

Senza darle possibilità di sfuggirmi, la feci poggiare contro la porta della cucina e lei, ridendo maliziosa, mormorò: «Non vorrai farlo qui, spero. Il legno è deplorevolmente duro.»

«Anche qualcos'altro» ghignai, affondando il viso nell'incavo del suo collo, lasciando sulla sua pelle bollente una scia di baci.

«L'avevo notato» ansò lei, scivolando via dalla mia stretta per abbassare ulteriormente l'orlo dei miei jeans.

Imprecai, quando la sua mano affondò le unghie in una natica e, mordendole leggermente il collo, ringhiai: «Sei particolarmente rude, stasera. Come mai?»

«Chiedimi di sposarti» mi ordinò, accentuano la sua stretta sulla carne.

«No» replicai, ridendo.

Con un gesto improvviso, la sollevai tra le braccia per portarla in camera sua e Rachel, mettendo il broncio, borbottò: «Perché non dovresti farlo, scusa?»

«Lo sai bene» ribattei, aprendo il battente con un colpo di spalla.

Non appena la misi a terra, lei mi strattonò a un braccio e mi fece cadere sul letto, mettendosi poi a cavalcioni su di me.

Risi nel vederla così determinata, ma lei non si diede per vinta.

Finì di spogliarmi – e spogliarsi – e, ricominciando la sua lenta tortura, fatta di baci, carezze e leggeri graffi sulla pelle, sussurrò ancora: «Chiedimelo.»

«No.»

Lei sorrise ancora di più, avvicinò le mani sul centro della mia virilità e, senza darmi il minimo preavviso, lo strinse.

Ansai, reclinando indietro la testa, ma riuscii ugualmente a dire: «No... anche se mi costerà la vita. Vuoi farmi morire, stanotte?»

Non mi ascoltò, massaggiandolo, lasciando che il suo corpo lo avvolgesse delicatamente e, nel piegarsi verso la mia bocca, mormorò: «Ti prego, chiedimelo.»

Scossi il capo e Rachel, allora, muovendosi lenta su di me, mi portò a seguirne le movenze sinuose.

Non potevo resisterle, e lei lo sapeva.

Ma, finché non mi avesse detto quello che volevo, non avrei mai ceduto a quella richiesta.

Il nostro ritmo accelerò, così come le carezze di lei sul mio corpo accaldato.

Le strinsi le natiche per accordarmi meglio al suo movimento ritmico e, quando finalmente raggiungemmo l'acme, gridai il suo nome.

E lei mi confessò il suo amore.

Mi bloccai, guardandola stranito e lei, sorridendomi tenera e sì, imbarazzata, scivolò via da me, si accucciò al mio fianco e, ripetendo quelle dolci parole, mi baciò.

«Ti amo.»

Lo mormorò ancora un paio di volte e, a sorpresa, pianse.

La strinsi a me, non sapendo bene come interpretare quel pianto, ma la sua mente mi parve tranquilla, perciò non mi preoccupai troppo.

Rachel mi avvolse con tutto il corpo, cercando quasi di fondersi con me, ma non per ridestare la passione, solo per avermi più vicino, accanto al suo cuore.

«Parlami, Rachel... ti prego...»

«Non … non sapevo di poterlo dire di nuovo. Scusami» ansò, tergendosi il viso con dita nervose. «Ogni volta che ti sentivo dirlo, mi sembrava che il cuore si spezzasse in due. Sapevo del tuo desiderio, ma non riuscivo. L'ultima volta che lo dissi, fu un disastro, così...»

«Ti capisco, tranquilla» mormorai, baciandole la fronte.

Mi volsi completamente verso di lei, avvolgendola nel mio caldo abbraccio e, insieme, ci addormentammo.

Le avrei chiesto di sposarmi più tardi, quando si fosse calmata un po'.

Quello che volevo, in fondo, lo avevo ottenuto.

 
***

Il ghiaccio, onde di marea tramutatesi in ghiaccio, in stalattiti possenti, completamente dilavate da fiumi di sangue, di carne, ossa, organi e…

Gridai, levandomi all’improvviso nel letto, ansante e con le mani premute sullo stomaco, all’altezza del tessuto cicatriziale che portavo su di me da quel giorno.

Dún Aonghasa. Ancora quel luogo.

Quando mai avrei smesso di ricordarlo?

Rachel, al mio fianco, mi stava osservando preoccupata e, poggiando una mano sulle mie, che ancora ricoprivano la ferita, mormorò: «Me ne vuoi parlare, ora

La fissai spaventato, i residui dell’incubo che si confondevano con i tratti nobili del suo viso.

Potevo affrontarlo assieme a lei? Potevo davvero?

La sua mano strinse le mie, mentre il suo sorriso tornava a illuminarle il viso.

«Sfiori spesso quella cicatrice, e i tuoi occhi si fanno cupi, ombreggiati dal rimorso, quando succede. Perché?»

Sospirai tremulo, lasciandomi andare contro i cuscini del letto e, nell’osservare il suo viso pensieroso, mormorai: «Avvenne tutto tremila anni addietro, nei pressi delle Isole Aran. Fui mandato in avanscoperta con un contingente di uomini. Avevamo il compito di scoprire dove si trovasse un traditore del regno, ma finimmo in una trappola. Qualcuno parlò

Rachel annuì, seria in viso, e a me non restò altro che proseguire nel racconto.

«Fui ferito in un agguato a sorpresa. La lama affondò  profonda, evitando lo stomaco di un nonnulla. Il dolore, però, non mi piegò… fece sì che il mio dono si scatenasse.»

Sfiorai di nuovo la ferita, e Rachel intercettò le mie dita, intrecciandole alle sue.

«Circa duemila Tuatha ci attendevano al varco, contro poco più di duecento dei nostri. Niente avrebbe potuto salvarci, tranne… tranne questo.»

Levai la mano libera e sfiorai la bottiglietta d’acqua che si trovava sul vicino comodino, ghiacciandola all’istante.

Rachel la osservò muta.

«Bloccai i miei nemici nel ghiaccio, e colpii quelli sulla terraferma con lance create con acqua surraffreddata. Fu una strage. La pressione del ghiaccio li…»

Deglutii a fatica e Rachel, baciandomi la fronte, asserì: «Immagino cosa possa essere successo. Per questo non hai mai voluto dormire qui, la notte? Ti succede sempre, vero?»

Annuii, mormorando roco: «Gli incubi non sono mai cessati, da quel giorno. Non mi importò nulla di essere visto come un eroe, dalle famiglie di coloro che salvai. Né mi importò di sapere quanto, mio padre, fosse orgoglioso dello scempio che avevo fatto. Li avevo uccisi tutti, in modo barbaro, e solo perché avevo usato il mio dono.»

«Un dono che è nato con te, Krilash» mi sorrise Rachel, tornando a baciarmi. «Lo hai usato spinto dal desiderio di vivere, di tornare dai tuoi cari, di riportare i tuoi uomini a casa. Non hai mai agito per il desiderio di uccidere, questo lo so. Ormai ti conosco.»

La fissai a occhi sgranati, turbato da ciò che sentivo dentro e da ciò che stava cercando di dirmi.

Il suo sorriso si accentuò e, nel poggiare il capo sul mio torace, mi strinse a sé e mormorò: «Non penserò mai, neppure tra diecimila anni, che tu sia una persona cattiva, Krilash. Vedi di convincertene anche tu.»

«Ma ho…»

Mi azzittì con un bacio. «Ti sei difeso. Punto. E ora riposa. Baderò io al tuo sonno, così come ai tuoi sogni.»

Le sorrisi e, lasciando che la stanchezza mi riportasse nel mondo dei sogni, mi assopii nel calore del suo amore.

Per una volta in vita mia, non sognai.

 
***

Il trambusto in camera mi svegliò di soprassalto, portandomi ad afferrare il coltello che tenevo sotto il letto.

Nessun fomoriano dorme disarmato.

Accesi la luce un secondo dopo, già pronto a dar battaglia, ma il viso di Fay balenò nel mio campo visivo, chetandomi subito.

Il suo strillo,  però, e il relativo balzo all’indietro - corredato di copertura del viso con le mani - mi lasciò un po’ perplesso.

Per un istante.

L’attimo dopo, mi accorsi della mia totale nudità e, in fretta, coprii me stesso e Rachel, esalando: «Scusa, tesoro… tutto bene?»

«Siete presentabili, ora?» mi domandò per diretta conseguenza, sbirciandomi da sopra una spalla, attraverso le dita di una mano.

Annuii, e lei si volse con un sorrisino divertito e malizioso.

«Ora, so di poter buttare via il poster di David Gandy dalla camera» ironizzò Fay, strizzando l’occhio nella mia direzione, mentre io avvampavo d’imbarazzo.

Rachel, nel frattempo, nel dormiveglia, guardò confusa la figlia prima di biascicare: «Ma che succede?»

Tornando alla sua missione, Fay si fece seria e, messasi sull’attenti, disse: «Notizie da Ronan. Sheridan è entrata in travaglio e, circa dodici minuti fa, l’ha portata in ospedale.»

Quella notizia svegliò entrambi e, senza neanche starci a pensare, gettai via le coltri, scatenando le risate di Fay e la sua conseguente fuga dalla stanza.

In piedi e in tenuta adamitica, guardai perciò Rachel, che mi stava scrutando con desiderio misto a esasperazione.

Scrollando le spalle, chiosai: «Si è fatta una cultura, che vuoi che sia?»

«Ha già una cultura anatomica, tesoro, e non ha bisogno di guardare il suo futuro papà, credimi.»

La sola parola mi rallegrò, facendomi sorgere un sorrisone tronfio in viso. Rachel, scendendo a sua volta, mi lanciò pantaloni e camicia, esalando: «Ma sei davvero un caso senza speranza! Guarda come ti pavoneggi!»

«Potrò pure esaltarmi all’idea di diventare suo padre, no?» mi lagnai, vestendomi in fretta. Non volevo attendere un minuto di più, a casa.

Lei sorrise, mi raggiunse con ancora il maglione tra le mani e, dandomi un bacio sulle labbra, mormorò: «Sono io a essere felice che tu sia contento di diventare il suo papà. Oltre che mio marito.»

«Non ti ho ancora detto sì» sottolineai, ironico.

«Se prendi lei, prendi anche me, caro. Non scenderò mai a patti, su questo» replicò con affettazione, infilandosi le scarpe.

«Vedrò di farmela andare bene, allora» sospirai, scuotendo il capo con rassegnazione.

Un attimo dopo, Rachel mi abbracciò con forza e io, nel darle un bacio pieno di desiderio sulle labbra, asserii: «Sbrighiamoci. Non vorrei arrivare tardi.»

«Se è fortunata, avrà un travaglio breve. Ma è così magra che dubito sarà semplice.»

Rabbrividii, al pensiero di Sheridan sconvolta dai dolori del travaglio ma, quando salii in auto con Rachel e Fay, mi sentii un po’ meno spaventato.

Rachel era sopravvissuta, e sua figlia era un’autentica bellezza, perciò tutto sarebbe andato per il meglio anche per Sheridan.

Non impiegammo molto a raggiungere l’ospedale, vista l’ora tarda – erano le due del mattino – e, quando fummo nel reparto maternità, chiedemmo lumi.

Ci dissero che Sheridan e Ronan erano in sala parto e, nel pregarci di attendere in sala d’aspetto, l’infermiera con cui avevamo parlato se ne andò.

Io mi lasciai crollare su una delle poltroncine color confetto e, battendo ritmicamente il piede a terra, cominciai a tormentarmi le unghie.

Fay, accanto a me, fu lesta ad afferrarmi una mano, mentre Rachel fece lo stesso con l’altra.

«Non arriverai a domani, se continui così. Respira, Krilash» mormorò Fay, sorridendomi incoraggiante.

«Cercate di capire, ragazze. Da noi,  le cose non funzionano così. Nessun padre entra in sala parto. E la famiglia se ne va non appena il bambino nasce. Solo i genitori possono stare col bambino, il primo giorno. Non so letteralmente come comportarmi» esalai, nel panico più totale.

«Ci siamo noi, qui con te. Ti aiuteremo» mi promise Rachel, allungandosi per darmi un bacio sulla guancia.

I passi frettolosi di diverse persone si avvicinarono alla sala d'aspetto e, volgendo lo sguardo verso il corridoio, illuminato da tenui luci color crema, sorrisi.

Stheta, Lithar, Konag, Ciara e Megan giunsero per darci man forte e, sospettai, ben presto sarebbero giunti anche Eithe e Díomán.

Abbracciai tutti velocemente, prima di ragguagliarli sulle ultime novità.

In breve, occupammo quasi tutte le poltroncine disponibili e Fay, accomodata accanto a Ciara, cominciò a parlare fitto fitto con lei, le teste vicine e gli occhi complici.

Sorridendo a Rachel, mormorai: «Pare abbia già trovato una nuova amica.»

«Fay la venera. Penso che Ciara sia diventata la sua eroina» ironizzò, stringendomi la mano con calore. «Non l'ho mai vista così a suo agio, in tutta la sua breve vita. Ora che ha voi e il branco di licantropi, penso si senta completa, non più... isolata.»

«E tu?»

Lei annuì, sollevò la mia mano per baciarne il dorso, e mormorò: «Anch'io non mi sento più sola.»

Feci per parlare, per rassicurarla, ma l'arrivo di Eithe e Díomán mi bloccò.

Fu una nottata lunga, che si protrasse per più di quattro ore ma, quando infine un'infermiera uscì per rassicurarci, potemmo tutti tirare un sospiro di sollievo.

Rohnyn uscì alcuni minuti dopo, il viso stanco ma sereno.

Nel vederci tutti lì ad attendere trepidanti, scoppiò in una risata sommessa e lasciò che le lacrime scivolassero sul suo viso.

Stheta fu il primo ad abbracciarlo, a cercare di consolarlo in quella crisi temporanea, in quel crollo nervoso più che comprensibile.

Io e Lithar ci guardammo per un attimo, prima di seguire l'esempio del nostro fratello maggiore e, vagamente goffi, ci unimmo all'abbraccio.

Uno dopo l'altro, tutti i presenti si congratularono con lui, chi dando baci, chi dispensando abbracci.

Fay, dal canto suo, si strinse con forza a Ronan e, sollevando il viso per sorridergli, disse: «Scommetto che è un bambino bellissimo.»

«Non saprei dirti, Fay. Era piuttosto grinzoso, quando l'ho visto» ironizzò, pur lasciando trasparire il suo orgoglio.

«Ha già la rhiall?» gli domandò, tornando a sedersi accanto a Ciara, mentre Rohnyn prendeva posto vicino a me.

«E' color pesca, sulla spalla. Non la attiverò finché non sarà lui a volerlo, se mai lo vorrà» le spiegò, sorridendole.

Fay allora si aprì in un sorriso gaio e, sfregando le mani tra loro, commentò: «Il mio primo cugino. Non vedo l'ora di vederlo.»

Quella frase apparentemente innocua portò con sé, però, occhiate curiose e maliziose, cui io non diedi alcun peso.

Quello non era il mio momento, ma quello di Rohnyn e Sheridan.

Avrei spiegato tutto alla mia famiglia più tardi, quando ci fossimo sincerati della buona salute di bebè e mamma.

 
***

I neri capelli sparsi sul cuscino, Sheridan appariva stanca e provata, ma maledettamente orgogliosa.

Teneva il pargolo stretto al petto, mentre suggeva il latte con bramosia.

Rohnyn, poggiato contro il muro, li osservava con amore e ansia assieme.

Il ricordo di Mairie, in quei momenti, doveva essere tremendo, dentro di lui, ma ero convinto che Sheridan non avrebbe avuto problemi.

Neppure una tempesta avrebbe potuto abbatterla.

«Ronan mi ha detto che il vento pare essere cambiato, eh?» mormorò Sheridan, carezzando distrattamente la testolina scura del figlio.

«Dipende da cosa intendeva. Fuori c'è un vento infernale, un freddo pari solo al Polo Nord e sembra che, per domani... no, per oggi, in effetti, sia previsto un temporale» ironizzai, scrollando le spalle.

Lei mi guardò con una smorfia dipinta in faccia e, burbera, replicò: «Non fare lo gnorri con me, Krilash mac Lir, perché posso stenderti con un pugno anche da questo letto.»

Risi sommessamente, annuendo. Non ne avevo il minimo dubbio, e il suo commento mi rassicurò sulla sua salute.

Sheridan stava bene, e non avrebbe avuto complicazioni di alcun genere.

«Ebbene?» insisté, sbuffando.

«Io e Rachel ci sposiamo... a Mag Mell e qui. Niente di sfarzoso, perché voglio prima di tutto farla conoscere ai nostri genitori.»

«Sei quindi deciso a portarle entrambe in fondo al mare» asserì pensierosa, rimuginando sulle mie parole.

«La cerimonia che faremo sulla terraferma servirà solo a sistemare le cose a livello burocratico, nel caso in cui decidessimo, ogni tanto, di ricomparire qui» le spiegai, pragmatico. «Ma Rachel e Fay diventeranno fomoriane, e il primo atto pubblico a cui parteciperanno sarà proprio il matrimonio.»

«Un vero e proprio battesimo del fuoco.»

Lo disse con ironia, ma lessi nei suoi occhi il timore.

«Sanno a cosa vanno incontro, non temere. Specialmente Fay. E, in tutta onestà, credo che diversi fomoriani troveranno difficile stare al passo con lei. Non solo ha imparato la nostra lingua in pochi mesi, e riesce a destreggiarsi bene con i vari tempi verbali, ma ha una capacità innata nel maneggiare la spada e la lancia.»

Percepii senza sforzo l'orgoglio nella mia voce, e Rohnyn mi sorrise complice.

Era difficile vedermi nelle vesti di padre, eppure io mi ci trovavo già benissimo.

Perché, checché ne dicesse la genetica, Fay era mia figlia nel cuore.

«Rachel è pronta a perdere la figlia per almeno vent'anni?» mi domandò ancora Sheridan, stringendo impercettibilmente il figlioletto.

Era chiaro quanto, quell'argomento in particolare, la angustiasse.

Era diventata buona amica di Rachel, e l'idea che potesse soffrire la metteva in agitazione.

«Ci spalleggeremo a vicenda, perché so già che mancherà tremendamente anche a me, ma Fay è sicura di sé, e Rachel si fida di lei. Io mi fido di lei.»

Sheridan parve soddisfatta dalle mie risposte, perché sospirò più serena e lasciò che il capo tornasse a posarsi sul cuscino.

«Lascio entrare gli altri, ora. Vogliono tutti vedere Kevin Michael O’Sea.»

Mi allontanai per raggiungere la porta ma, una volta poggiata la mano sulla maniglia, Sheridan mi bloccò, chiamandomi per nome.

Mi volsi a mezzo, scrutandola, e lei disse: «Non lasciare che tuo padre e tua madre mettano loro i piedi in testa.»

«Non succederà. Te lo prometto.»








1: Giusto per rinfrescarvi la memoria, Oisin chiede a Niamh di poter rivedere le sue terre tanto amate, così lei glielo permette, ma lo mette in guardia. Se scenderà dal destriero che gli ha dato - che è intriso della sua magia - morirà sul colpo. Questo perché, mentre a Mag Mell sono passati solo pochi anni dal suo arrivo, in Irlanda sono passati 300 anni, e lui morirebbe subito, se toccasse il suolo, perché perderebbe la magia che lo lega a Niamh.
Oisin, però, cede all'altruismo quando vede un viandante bisognoso di soccorso e, dimentico degli ammonimenti dell'amata, scende dal cavallo, morendo per diretta conseguenza poco dopo, perché i 300 anni trascorsi sulla terraferma si riversano su di lui in un colpo solo.

Note: E' infine arrivato il figlioletto di Ronan e Sherry, il piccolo Kevin, che avevate intravisto nell'epilogo della prima storia, The Dream of the Dolphin. Finalmente Krilash può parlare a cuore aperto a Rachel di ciò che successe sulle isole Aran, e di quanto quell'evento lo abbia sconvolto. Ho tralasciato scene cruente, lasciando che intuiste da sole ciò che è effettivamente successo ai Tuatha, perché non mi sembrava necessario sottolineare l'ovvio.
Grazie per essere giunte fin qui con me. Resta ancora altro da vedere e da scoprire, ma siamo a buon punto. A presto!
  
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