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Autore: evelyn80    06/10/2015    5 recensioni
Dopo aver espresso il desiderio di poter salvare Boromir dalla sua triste fine, Marian si ritrova catapultata nella Terra di Mezzo grazie ad un gioiello magico che la sua famiglia si tramanda di generazione in generazione. Si unirà così alla Compagnia dell'Anello per poter portare a termine la sua missione. Scoprirà presto, però, che salvare Boromir non è l'unica prova che la attende.
Ispirata in parte al libro ed in parte al film, la mia prima fan fiction sul Signore Degli Anelli.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boromir, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La mia Terra di Mezzo'
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L’ultima missione


Avrei tanto voluto avere più tempo da passare in compagnia del Gondoriano ma, purtroppo, altre incombenze urgevano. I caduti dovevano essere sepolti e Frodo e Sam recuperati dall’inferno di lava che la Terra di Mordor era diventata. 
Gandalf chiese aiuto alle aquile e Gwaihir, con suo fratello Landroval, acconsentì ad accompagnarlo alla ricerca degli Hobbit. Non appena tornarono, e mi fui accertata delle reali condizioni dei due Mezzuomini, cominciai i preparativi per la mia ultima missione.
Lasciai Hoskiart alla custodia di Pipino. I nemici erano stati completamente sbaragliati e la spada sarebbe stata solo un peso inutile da trasportare, durante la mia marcia a piedi verso il Monte Fato. L’Hobbit la prese con mani tremanti, poi continuò a seguirmi come un’ombra, sommergendomi con i suoi consueti fiumi di parole nel tentativo, forse, di dissuadermi dal partire. Mentre parlava, tutto accalorato, faceva oscillare la mia spada da una parte all’altra, maneggiandola come se fosse stata un qualunque bastone. 
Non ascoltai neanche la metà di quello che disse. La mia mente era divisa in due: da un lato concentrata su ciò che mi attendeva; dall’altro costantemente rivolta a Boromir che, da quel bacio scambiato che eravamo ancora a cavallo, non avevo più visto. Percorsi l’accampamento in lungo ed in largo, in cerca del Sovrintendente. Dovevo partire, ma non avevo assolutamente intenzione di farlo senza prima averlo salutato a dovere. Stavo già per farmi prendere dal panico quando, alla fine, lo vidi fare capolino dalla tenda di Gandalf.
"Finalmente ti ho trovato!" esclamai, entrando senza neanche farmi annunciare. "Io sono pronta…"
"Anch’io" mi interruppe, con un sorriso.
"Per che cosa?! Sai benissimo che devo andare da sola" mormorai, guardandolo incerta.
"Certo che lo so. Infatti, non mi stavo riferendo alla tua missione, ma ad un’altra cosa" e, mentre pronunciava quelle parole, lanciò un’occhiata in tralice allo Stregone che rispose con una strizzatina d’occhio.
Guardai prima l’uno e poi l’altro, con sguardo interrogativo.
"Cosa state tramando, voi due?” li apostrofai. “Guardate che se avete intenzione di impedirmi di fare quello che devo fare…" ripresi con tono minaccioso, puntando l’indice verso entrambi.
"Stai tranquilla mia cara" mi rispose Gandalf, avvicinandosi e posandomi una mano sulla spalla. "Non abbiamo intenzione di proibirti nulla. Boromir mi ha semplicemente chiesto di rendere ufficiale la promessa che vi siete fatti nella notte prima di partire per il Morannon."
Il Gondoriano si avvicinò, prendendomi entrambe le mani e portandomi davanti a lui.
"Ricordi ciò che ti dissi? Che, non appena tutto fosse stato finito, avrei annunciato pubblicamente le nostre nozze?" mi chiese, ed io annuii.
"È ciò che ho intenzione di fare adesso" spiegò, appoggiando la sua fronte alla mia.
In quel momento, fecero il loro ingresso nella tenda Aragorn, Legolas e Gimli, accompagnati da Éomer e Imrahil. Quest’ultimo si mise alla sinistra del nipote, mentre il futuro Re si piazzò alla mia destra. Mi voltai a guardarlo, confusa, e lui mi sorrise.
Gandalf si schiarì rumorosamente la voce. Stava giusto per cominciare il rito, quando il lembo della tenda si sollevò per un’ultima volta, lasciando entrare un trafelato Pipino.
"Ehi, ehi! Aspettatemi, non potete cominciare senza di me!" esclamò, affannato. 
Mi voltai a guardarlo, in un misto di incredulità e disappunto.
"Mi stai dicendo che tu lo sapevi?!" gli chiesi, con un pizzico di rabbia. "E non mi hai detto niente?!"
"Non potevo mica dirtelo, era un segreto!" mi rispose, serio, raddrizzandosi e mettendosi sull’attenti. 
Scossi la testa, sospirando rassegnata, per poi tornare subito a sorridere mentre con gli occhi cercavo quelli di Boromir.
Lo Stregone si schiarì nuovamente la voce.
"Bene! Davanti a questi testimoni qui riuniti, celebriamo il rituale di fidanzamento tra Boromir e Marian! Ripetete dopo di me" disse, guidandoci passo passo nella cerimonia.
"Secondo l'antica tradizione degli Eldar, chiediamo a voi, nostri cari e nostra gioia, di essere testimoni della nostra promessa" recitammo insieme, continuando a fissarci. Poi, Boromir prese la parola.
"Ecco colei che ho scelto ed a cui ho legato il mio cuore" disse, rivolto a suo zio che gli faceva da padrino. "A te mi affido come figlio dell'anima. Accoglila dunque come un padre accoglie una figlia e rallegrati della nostra gioia."
"Come una figlia l'accolgo nella mia anima e nel mio cuore" rispose il Principe di Dol Amroth e, dopo essersi avvicinato, mi posò le mani sulle spalle, invitandomi a fare altrettanto. Mi dette un leggero bacio sulla fronte per poi tornare al fianco del nipote, che riprese la parola.
"Il mio cuore è legato al tuo. Porta dunque questo anello, che ora ti dono, come pegno della mia fedeltà e segno del nostro legame."
Per un istante cadde il silenzio, rotto soltanto dai singhiozzi di Pipino che si stava asciugando gli occhi con la manica della casacca, tirando su rumorosamente con il naso. Non appena si accorse che tutti lo stavano osservando si interruppe bruscamente.
"Scusate…” balbettò, “ma mi commuovo facilmente…"
Gandalf non riuscì a trattenere un grugnito. Poi, porse un anello d’argento a Boromir che, subito, infilò all’indice della mia mano sinistra.
"Con gioia lo accetto in dono, con gioia lo porterò” dissi, continuando a seguire la formula di rito, per poi rivolgermi ad Aragorn.
"Ecco colui che ho scelto ed a cui ho legato il mio cuore. A te mi affido come figlia dell'anima. Accoglilo dunque come un padre accoglie un figlio e rallegrati della nostra gioia."
"Come un figlio l’accolgo nella mia anima e nel mio cuore" rispose il Dùnedain, poggiando le mani sulle spalle di Boromir e baciandolo in fronte.
"Il mio cuore è legato al tuo” ripresi. “Porta dunque questo anello, che ora ti dono, come pegno della mia fedeltà e segno del nostro legame" e, sorridendo, misi al dito del Sovrintendente l’anello che Gandalf mi porgeva.
"Con gioia lo accetto in dono, con gioia lo porterò" rispose il Gondoriano, sorridendo a sua volta, unendo nuovamente le nostre fronti.
Infine, lo Stregone ci fece rivolgere ai presenti.
"I Valar siano testimoni accanto a voi di quanto oggi è avvenuto!" pronunciammo insieme, concludendo così il rituale di fidanzamento.
"Bene, ora siete ufficialmente promessi!” esclamò Gandalf sfregandosi le mani, soddisfatto. “Oggi avete assunto un impegno importante! Non dimenticatelo mai, qualunque cosa accada!" e, con quelle ultime parole, mi lanciò un’occhiata eloquente prima di lasciare la tenda, seguito dagli altri, con Pipino che piangeva a dirotto per la commozione sulla spalla di Gimli.
Una volta rimasti soli, Boromir prese nuovamente le mie mani tra le sue.
"So che devi partire per la tua missione, ma vuoi concederti almeno una notte di riposo?” mi chiese, con tono quasi implorante e così poco adatto al suo carattere forte. “Oramai è pomeriggio inoltrato. Rimani con me, stanotte, e parti domani mattina. Lasciami trascorrere almeno una notte con la mia promessa sposa."
Il suo appello accorato mi riempì il cuore di tenerezza. Quella sera, nella sua tenda, abbandonati sul suo giaciglio tra le pelli di lupo, scoprii un nuovo Boromir, che fino ad allora non avevo mai conosciuto: un Uomo dolce, romantico e focoso al tempo stesso. Quella fu la notte più bella che avessi mai trascorso con lui da quando ero arrivata nella Terra di Mezzo.
All’alba della mattina successiva fu veramente difficile staccarmi da lui. Scivolai lentamente fuori delle pelli, stando attenta a non svegliarlo, contemplando in silenzio il suo viso rilassato nella quiete del sonno. Mi vestii di fretta e lasciai la tenda, senza mai guardarmi indietro, diretta verso ciò che rimaneva del Nero Cancello.
Stavo già per lasciare il campo, indisturbata, quando udii un nitrito ed uno scalpitio di zoccoli alle mie spalle. Freccia d’Argento mi aveva scorto mentre mi allontanavo, ed ora mi stava trottando dietro.
Mi fermai ad attenderla.
"Ti sei accorta che me ne stavo andando, non è vero?” le sussurrai, carezzandole il collo. “Mi dispiace molto, amica mia, ma anche questa volta devo andare da sola."
Per tutta risposta la giumenta scosse la testa, facendo ondeggiare la lunga criniera argentea. Mi poggiò il muso sulla spalla, come a dirmi che non mi avrebbe lasciata partire senza di lei.
"Freccia, lo so che saresti disposta ad andare anche all’inferno, con me, ma cerca di capire…” mormorai ancora, allontanandomi da lei. “Questa volta non puoi proprio accompagnarmi."
Lei sbuffò e mi mostrò i denti.
"Amica mia, per favore, non fare così” sospirai, poggiando la fronte contro il suo muso, carezzandola ancora. “Ti affido Boromir e Pipino. Veglia su di loro, in mia assenza. E, quando sentirai… e so che sarà così, non è vero?…” continuai, allontanandomi un poco per guardarla negli occhi, “quando sentirai che ho compiuto la mia missione, allora potrai venire a riprendermi."
Parve riflettere per un attimo, prima di annuire con uno sbuffo che fece fremere le sue morbide froge.
"Grazie, Freccia!" le dissi, cingendole il collo. Poi, con un ultimo sospiro, mi rassettai gli abiti e mi incamminai verso la Terra di Mordor.
La strada da percorrere apparve, fin da subito, molto difficoltosa. Le prime scosse di terremoto avevano squarciato la superficie in molti punti, ed ora la via lastricata che portava ai resti della torre di Barad-Dûr era interrotta, per lunghi tratti, da voragini sul cui fondo scorreva la lava dell’Orodruin. Ogni volta ero costretta a fare lunghe deviazioni, prima di poter trovare un punto in cui fosse possibile saltarle od aggirarle. Di tanto in tanto, il vulcano in lontananza vomitava un’alta colonna di ceneri e lapilli, accompagnata da schizzi di magma incandescente. Ogni volta che accadeva, la terra tremava ancora e nuove fessure si aprivano mentre le vecchie si ampliavano.
Era ormai arrivato il momento di prendere in mano la “Stella di Fëanor” e di farmi largo in mezzo a tutto quel disastro. La levai in alto, sopra la mia testa e, non appena lo feci, la mia bocca si aprì di sua spontanea volontà, pronunciando parole in elfico di cui non conoscevo il significato.
"Aiya Eärendil elenion ancalima, vanimle sila tiri! Tollen i lû nîn si boe bedin, an vinya aa’ menealle nauva calen ar’ malta!" * 
Come per magia, il terreno intorno a me cominciò a riempirsi di erba tenera di un verde brillante. Le spaccature si richiudevano e nelle orme che lasciavo alle mie spalle sbocciavano piccoli fiori bianchi. La “Stella” brillava fulgida nella mia mano, bruciando come se fosse stata incandescente mentre assorbiva le mie energie, lasciandomi ben presto con il fiato corto nonostante camminassi molto lentamente.
Procedetti con calma verso il Monte Fato, il cuore della distruzione di quella landa desolata e, sempre più stanca, arrancai verso le sue falde che erano ancora sconvolte, a tratti, da scosse di terremoto. Di tanto in tanto qualche bomba lavica mi cadeva intorno, ma mai nessuna mi colpì, nemmeno di striscio; forse deviate, nella loro corsa, dal magico gioiello. Il braccio mi doleva al punto da non sentirlo quasi più, ma una forza irresistibile mi costringeva a tenerlo alzato.
A volte ero costretta a fermarmi per tirare un po’ il fiato. In quelle occasioni mi voltavo indietro, a guardare la strada che avevo percorso. Una striscia di un verde straordinario, punteggiata di corolle bianche, serpeggiava fin quasi ai resti del Morannon. 
Il buio mi colse a metà strada dalla mia meta, ma mai pensai alla possibilità di fermarmi per riposare. Sembrava che i miei piedi e le mie gambe andassero avanti per conto loro, spinti da una forza senza uguali. La luce emanata dal gioiello mi guidò durante il cammino notturno, illuminando come un faro la strada da percorrere.
Il sole stava sorgendo di nuovo quando, finalmente, giunsi ai piedi del vulcano. L’eruzione era ormai terminata quasi del tutto; solo qualche sbuffo di fumo nero, ogni tanto, saliva verso il cielo. Pareva che anche il Monte Fato fosse in attesa, come se percepisse che stava per succedere qualcosa di eccezionale.
I raggi solari illuminarono la mia scalata verso la Voragine del Fato, colpendo per la prima volta, da tempo immemore, quelle lande desolate. Infine, giunsi a ciò che rimaneva del Sammath Naur,* completamente devastato dall’eruzione. Da lassù, mi fermai a contemplare l’astro diurno, schermandomi gli occhi con la mano a proteggermi dal riverbero.
Per la prima volta, da quando avevo varcato il Morannon, riabbassai il braccio destro riallacciando la “Stella di Fëanor” al collo. Volsi lo sguardo all’intorno, contemplando la vastità della Terra di Mordor poi, dopo aver tratto un grosso respiro gridai, guidata da un potere incontenibile.
"Io sono Tingilindë, la Portatrice della Stella! Che i Valar ascoltino le mie parole! Che la Terra di Mordor torni all’origine, che le tracce di Sauron svaniscano per sempre! Aiya Eärendil elenion ancalima!"
Il gioiello divenne incandescente, e cominciò a brillare in maniera tanto intensa che fui costretta a chiudere gli occhi, gettando indietro la testa. Udii nelle orecchie un canto, fatto di parole in una lingua a me sconosciuta, che si accrebbe al punto da diventare potente come il rombo di un tuono. Poi ci fu un’esplosione di luce, di una violenza tale da sbalzarmi via. Andai a sbattere con la testa contro qualcosa di duro, perdendo i sensi.

 
* * *

 

L’esercito della Terra di Mezzo stava lentamente marciando verso Minas Tirith quando, nella fila di testa, Freccia d’Argento, il cavallo di Dama Marian Tingilindë, cominciò a nitrire e ad impennarsi, facendo voltare verso di lei tutti gli uomini che erano nei pressi.
Boromir, che gli cavalcava accanto, con Pipino seduto sulla sella davanti a lui, la fissò preoccupato.
"Credo che il momento sia giunto…" mormorò, volgendo lo sguardo alla sua sinistra, verso le Montagne dell’Ombra.
Gli altri Capitani dell’Ovest lo imitarono ma, non appena alzarono il capo, furono costretti a mettere le mani davanti agli occhi per proteggersi da un forte riverbero. Una luce, perfino più brillante di quella del sole, si stava riversando come una cascata d’oro lungo i fianchi delle montagne. Le pendici rinverdivano a vista d’occhio al suo passaggio, l’erba spuntava e gli alberi germogliavano, mentre una marea di fiori sbocciava qua e là.
Quando il bagliore giunse a loro, li sfiorò come una calda carezza odorosa di primavera, per poi svanire subito dopo.
“Marian…” sussurrò Pipino, concitato, chiudendo gli occhi e giungendo forte le mani.
Con un ultimo nitrito, Freccia d’Argento si lanciò al galoppo verso la Terra di Mordor, lasciando gli altri a fissare la sua lunga coda che svolazzava nel vento.
"Eh sì!" confermò Gandalf, "l’ultima missione è compiuta. Non temere Boromir, la rivedrai" concluse, rivolgendosi al Sovrintendente di Gondor che, con una mano stretta sul cuore, mormorava un’antica preghiera insegnatagli da sua madre quando era piccolo.

 
* * *


Seduti al sole nei giardini delle Case di Guarigione, Faramir ed Éowyn stavano chiacchierando amabilmente tra loro.
All’improvviso, furono interrotti da un grido di Merry che stava passeggiando, con le mani dietro la schiena, qualche decina di metri più in là.
"Guardate! Cos’è quella luce?"
I due si voltarono nella direzione indicata dall’Hobbit, verso i confini della Terra di Mordor ed, entrambi, rimasero affascinati a guardare a bocca aperta. Pareva quasi fosse nato un secondo sole che ora brillava sopra al regno di Sauron.
Mentre la fissavano, la palla di luce esplose lanciando un’onda luminosa in tutte le direzioni. La videro oltrepassare la cima delle Montagne dell’Ombra che, come per magia, si trasformarono al suo passaggio. Niente più erba avvizzita, niente più alberi morti, ma vegetazione folta e rigogliosa.
"Ennòna!" esclamò Éowyn giungendo le mani all’altezza del petto.
"Sì… ha compiuto la sua ultima missione" confermò Faramir, passando un braccio attorno alle spalle della fanciulla.
"Oh, Marian… Speriamo non le sia accaduto nulla!" sospirò Merry, lasciandosi cadere sulla panchina al fianco dei due innamorati.

 
* * * 

 

Qualcosa di caldo mi sfiorò una spalla, poi mi scosse dolcemente.
"Ancora cinque minuti, mamma…" mormorai, senza aprire gli occhi. 
Un debole nitrito mi arrivò alle orecchie e qualcosa di peloso cominciò a farmi solletico su una guancia. Cercai debolmente di scacciarlo, ma senza risultato. Fui costretta ad aprire gli occhi ed a voltarmi a pancia in su.
Il muso della giumenta a pochi centimetri di distanza dal mio volto mi fece ricordare, all’improvviso, di dov’ero e di cosa era successo.
"Freccia, sei venuta a prendermi…" mormorai ancora, la voce lievemente rauca.
Lei annuì con un nitrito allegro e, con una spinta del muso sul fianco, mi invitò ad alzarmi.
Mi misi a sedere stiracchiandomi le membra intorpidite, poi mi guardai intorno. Mi trovavo su un ripiano erboso illuminato dal sole del mattino, a diverse centinaia di metri di altezza sopra al fondo della valle. Il silenzio era rotto soltanto dal ronzio degli insetti e dal cinguettio di qualche uccello solitario. Alle mie spalle si ergeva il cono del Monte Fato, ormai spento e ricoperto di vegetazione.
Il cielo era terso e l’aria limpida. Mossi qualche passo per sgranchirmi le gambe, feci un paio di piegamenti sulle ginocchia per far riprendere la circolazione e sbadigliai sonoramente. Mi tastai il collo, alla ricerca della “Stella di Fëanor”. Il gioiello era ancora al suo posto ma, da incandescente, era divenuta fredda come il ghiaccio. Rimasi quindi per un attimo in attesa, valutando le mie condizioni di salute. Non avvertivo nessun dolore particolare e nemmeno stanchezza. Non ero mai stata meglio di così.
"Fantastico!" esclamai, rivolta alla cavalla. "Gandalf aveva ragione! Ho fatto quello che dovevo fare e sto benissimo! Non vedo l’ora di tornare da Boromir! Ma, prima, ho bisogno di darmi una rinfrescata!" conclusi, annusandomi sotto le ascelle ed avvertendo un odore fin troppo penetrante, un misto di fango e carne marcia.
"BLEAH!" esclamai ancora, chiudendo gli occhi e turandomi il naso. Senza perdere comunque il mio buonumore, presi a scendere verso valle, in cerca di un ruscello per lavarmi, seguita a ruota da Freccia d’Argento che, ogni tanto, si fermava a brucare un ciuffo d’erba tenera.
A metà discesa trovai un piccolo rivo che gorgogliava argentino nel suo letto di pietre. Mi tolsi la casacca senza nemmeno fermarmi e mi buttai in ginocchio, pronta per darmi una bella lavata. Stavo proprio per spruzzarmi addosso la prima manciata d’acqua fredda quando mi bloccai, in preda al terrore.
"Oh Cristo Santo…" mormorai, fissando la mia immagine riflessa. 
Abbassai gli occhi sulle mie mani – che, fino ad allora, non avevo neanche pensato di osservarmi – e rimasi inorridita. Le dita sottili ed affusolate da Elfo avevano lasciato il posto a delle specie di artigli color del fango ammuffito, con unghie lunghe ed appuntite come quelle di una belva feroce. Tornai a fissarmi nel mio specchio improvvisato. Solo gli occhi erano rimasti gli stessi, di un intenso marrone scuro. Tutto il resto si era completamente trasformato. La pelle aveva la stessa sfumatura bruno-verdastra delle mani; le orecchie erano ancora appuntite, ma non più dritte ed eleganti: ora erano leggermente flosce e la loro punta era rivolta all’indietro. Il naso era diventato camuso. Sollevai le labbra fino a che non scoprii una manciata di zanne giallognole che sembravano quasi messe a caso sulle gengive e, per l’orrore, mi tappai la bocca con entrambe le mani. I miei capelli lunghi erano diventati radi e stopposi; il mio corpo si era inflaccidito, assumendo dei connotati quasi grotteschi. Alzai gli occhi a guardare Freccia d’Argento che, per tutto quel tempo, era rimasta ferma ad osservarmi.
"Freccia! Sono diventata un’orchessa!" esclamai, buttando le braccia al cielo per la disperazione.
La cavalla parve non dar peso alle mie parole. Per tutta risposta mi strofinò il muso contro il fianco, come a farmi capire che, per lei, non era cambiato assolutamente niente. Ma per me era cambiato tutto, eccome se era cambiato!
"Ed ora come faccio a tornare a Minas Tirith?! Le guardie mi uccideranno non appena arriverò a tiro dei loro archi!” urlai, gli occhi rivolti al cielo. “E Boromir?" aggiunsi, abbassando lo sguardo sull’anellino d’argento che portavo ancora all’indice della mano sinistra. "Come farò a sposarlo? È andato tutto bene un corno! La Terra di Mordor sarà anche tornata ad essere un giardino, ma io sono diventata un mostro! Non posso nemmeno tornarmene a casa mia, cosi conciata! Sono destinata a vagare da sola per il resto dei miei giorni!" conclusi gridando, mettendomi le mani nei capelli. 
All’improvviso ebbi un ripensamento.
"Forse… forse con l’aiuto della “Stella” Gandalf, o magari Galadriel, potranno farmi tornare normale!"
La sfilai in fretta dal collo e la osservai attentamente, piena di una speranza che ben presto si infranse. Il gioiello era completamente opaco e spento, non conteneva nemmeno più un briciolo di magia, oramai. Evidentemente, era stata tutta consumata per compiere l’ultima missione.
"Al diavolo! Sono destinata a rimanere così per sempre!" urlai ancora, scagliando via la collana in un accesso di rabbia. Mi misi a sedere su una pietra piatta e scoppiai a piangere per la frustrazione.
Freccia d’Argento non si scompose. Andò a raccogliere la “Stella” – che era atterrata qualche metro più in là, in un ciuffo di trifoglio – e me la riportò, posandola ai miei piedi. Poi cominciò a pungolarmi con il muso, invitandomi a rialzarmi.
"No, Freccia. Non posso tornare a Gondor. Non in queste condizioni" mormorai, ma lei insisté, cominciando a mordermi le spalle.
"Non riesco proprio a capire l’utilità del tornare a Minas Tirith. Lasciami in pace!" sospirai, amareggiata, prendendomi il viso tra le mani.
Per tutta risposta, mi dette un calcetto con la zampa posteriore, facendomi finire a faccia in giù nel ruscello. L’acqua gelata mi ritemprò, schiarendomi le idee.
"Va bene, ti darò retta!” esclamai, esasperata. “Forse Gandalf troverà una soluzione, anche se la “Stella” mi pare inservibile…"
Mi sfregai energicamente il viso ed il resto del corpo, asciugandomi poi un poco al sole. Infine, indossai di nuovo la casacca, riallacciai la collana e salii in groppa a Freccia d’Argento che partì subito al galoppo, diretta verso la città.
Era il primo di aprile, e fu così che la mia vita cambiò per la terza volta.


* Salute Eärendil, più brillante tra tutte le stelle, la tua bellezza risplende intensamente! E’ giunto il mio momento devo andare adesso, perché possa il tuo cammino essere verde e dorato!
* Nome in Quenya della Voragine del Fato



Spazio Autrice: Salve a tutti! Allora, che dite? Ho fatto proprio un bel pesce d’aprile alla nostra Marian, facendola diventare un’orchessa, non vi pare? Spero vi sia piaciuta la svolta inaspettata! In realtà non ho idea se siano mai esistiti orchi femmina. Non credo che Tolkien ne parli mai. Ma, anche se, all’inizio, i primi orchi sono stati creati dalle torture inflitte da Melkor agli elfi suoi schiavi, presumo che poi abbiano trovato un modo per riprodursi. E quindi forse c’erano anche creature di sesso femminile tra di loro, anche se magari le loro caratteristiche fisiche non permettevano di distinguerle dai maschi. 
Bene, ed ora interrompo la musica di Quark e passo a darvi altre informazioni: innanzi tutto la formula del rito del fidanzamento non è, ahimè, farina del mio sacco, ma l'ho trovata già bella e pronta su internet. Marian avrebbe dovuto avere una madrina, in realtà, ma ho preferito farla affiancare da Aragorn. Lo stesso vale per quell’accozzaglia mista di frasi in elfico che Marian pronuncia a Mordor: le ho trovate già belle e composte. Purtroppo l'elfico non è proprio il mio forte, e spero che non sia venuta fuori una scemata.
Come sempre grazie, grazie e ancora grazie a voi tutti!
Bacioni!
Evelyn
  
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