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Autore: Veronica_Rosazza    20/10/2015    0 recensioni
«Ma che fai? Sei stata tu?» chiese il ragazzo dolcemente. «Non sai parlare, eh? Va bene, vediamo cosa fare con te. Magari troviamo il tuo padrone» disse, mentre apriva il borsellino a tracolla. Fece scattare il lucchetto di una scatola e la spinse dentro, con delicatezza.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ikuto Tsukiyomi, Nuovo personaggio, Shugo Chara, Utau Hoshina
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Appostati dietro un ramo, guardavano in silenzio la scena. Un ragazzo alto, sui diciotto anni, capelli scuri e occhi del colore della notte se ne stava seduto con la schiena poggiata ad un albero; fissava il cielo cercando di schermare il sole con le palpebre socchiuse; ma di Tukio nessuna traccia.
Eppure doveva essere lì, lo sapevano e sentivano tutti.
«Deve trovarsi dentro la borsa di quel ragazzo, ne sono sicura» disse una di loro: portava gli occhiali e i capelli raccolti in due piccoli odango ai lati della testa.
«Cavolo, sei molto perspicace, Kiagi…» fu il commento non velatamente ironico di Sora.
Nel frattempo Yoru, nascosto lì con loro, non aveva idea di cosa fare. Il suo Ikuto era lì, davanti a lui, ma raggiungerlo avrebbe voluto dire far capire agli altri che conosceva chi stavano cercando. ‘Che potrebbero mai fare? In fondo sono innocui, certamente…’
Stava per allontanarsi il più veloce possibile da lì per tornare dal suo portatore, quando venne interrotto dal compagno che gli stava affianco. Camicia aderente scura e lucida, pantaloni anch’essi scuri, cappellino e vistosissimi occhiali da sole: «E questo chi è?»
«Chi sei tu~nya?!»
«Fate silenzio o ci scoprirà!» disse la piccoletta con gli occhiali. «Sono sicura che può vederci: non può averla presa per errore»
«Non dire così, Kiagi…» intervenne quella vestita di rosa; «Sono certa si tratti di un malinteso, non mi sembra un ragazzo cattivo»
La faccia disgustata di presa in giro di Sora fece capire a Yoru che quegli shugo chara non andavano molto d’accordo, e subito si ricordò di Kiseki. «Pssss… Che fate qui?»
Uno strano shugo chara dall’aria bizzarra fece capolino dall’alto, come se fosse caduto. Assomigliava decisamente a un clown, con il volto dipinto e un paio di croci al posto degli occhi, un completino rosso ed un cappellino a bombetta da cui spuntava un fiore arancione come i suoi capelli.
«Taci» disse Sora.
«Fai silenzio, per cortesia, Pop. Non possiamo essere scoperti» fece sapere quella in rosa, portando il minuscolo indice sulle labbra.
«Dov’è Monica?» chiese quello con gli occhiali.
«Arriva… credo! L’ho lasciata indietro: correre deve essere faticoso!». Fece giusto in tempo a finire la frase che un piccolo ma vigoroso pugno gli piombò proprio sulla punta del cappello, facendoglielo cadere a terra. «Certo che è faticoso! Avresti dovuto aspettarci!»
Eta era arrivata, portandosi appresso, poco più indietro, una ragazza che dimostrava diciassette anni al massimo, con i capelli scuri e gli occhi chiari, vestita di una semplicissima camicia e un banale paio di jeans. Quando li raggiunse era senza fiato, ma non poteva certo sperare di non essere vista come gli altri: cinque centimetri, anche se per sette shugo chara, passano molto più inosservati di una sola persona, alta un metro e sessanta.
«È qui? Ce l’ha lui?» disse con la voce rotta. Mentre tutti insieme i presenti facevano di sì con le testoline; il ragazzo seduto a terra si voltò verso di lei.
«RIDAMMELA!» urlò con tutto il fiato che ancora le restava.
Lui la guardava con occhi indifferenti, come se si fosse aspettato di vederla spuntare fuori da un momento all’altro, da qualche parte; come se la stesse aspettando. «Non so di cosa stai parlando» disse poi, tirandosi in piedi. Risposta che spiazzò visibilmente la ragazza: si girò di poco, giusto per incrociare lo sguardo determinato di Eta, che non lasciava spazio a dubbi.
«Lo sai» fece allora. «Ridammela e basta!». Tutti gli shugo chara protetti dal ramo dell’albero si rivelarono; anche Yoru, che guardava Ikuto con aria del tutto persa.
«Rivuoi il tuo shugo chara? Perché dovrei ridartelo?»
«Ma che diavolo stai dicendo?! Non è tuo! Non te ne fai niente!» imprecò Sora, seguita da un esorbitante squittio acuto nato dalle voci concitate di tutti i presenti.
«Beh, potete urlare quanto volete: non ve la ridò»
Aveva appena terminato la frase che la ragazza gli saltò addosso. ‘È nella borsa’, le aveva detto Eta. Ed era alla borsa che puntava. Ikuto però non aveva intenzione di farsi atterrare e, opponendo resistenza, entrambi ottennero il risultato opposto rispetto quanto desiderato.
Ci fu una grande botta e quando la ragazza riaprì gli occhi si ritrovò a fissare da vicino quelli del ragazzo, che le era finito addosso nella caduta.
«Perché me l’hai presa?» urlò quasi tra le lacrime. «A cosa ti serve? Ridammela! E togliti!»
«A me non serve a nulla ma se tu la volessi così tanto io non l’avrei mai presa! E poi… non è colpa mia se siamo finiti così: sei tu che mi sei venuta addosso». E si spostò.
Messasi seduta, la ragazza continuò a fissare Ikuto in piedi, mentre tentava di ripulire i pantaloni dalle macchie d’erba sulle ginocchia. «Non te la ridò», disse. «E poi anche tu hai qualcosa che mi appartiene. Siamo pari»
La sua aria di totale indifferenza lasciò la ragazza senza fiato. Non voleva immaginare di restare senza Tukio, la piccola silenziosa parte di sé che da anni le viaggiava a fianco. La sentiva anche lei, ora; chiusa in quella minuscola prigione, emanava una sconvolgente quantità d’energia, che la raggiungeva e le trafiggeva il cuore, riempiendolo di quella tristezza e malinconia con cui aveva imparato a convinvere.
Gli shugo chara che stavano intorno a loro non parlavano: Yoru cercava di non dare nell’occhio, mentre gli altri erano solo preoccupati per Monica.
«No!». Eta aveva interrotto il pesante silenzio con un urlo che aveva riportato tutti al presente. «Monica devi combattere! Lei ci sta chiamando, la senti anche tu, vero? Combatti!»
‘È proprio da lei’, pensò; ‘Cercare di migliorarmi, di spronarmi. Ma non posso farcela…’
L’energia di Tukio si faceva sempre più forte, tanto che perfino Ikuto avvertiva una gelida sensazione premere sulla gamba.
«Monica, per favore»
«Fallo per noi!»
Le voci di sempre più shugo chara si unirono a quella di Eta, fino a che tutti quanti non impiegarono le loro forze e le loro energie in esaurimento per aiutare. Tutto inutile. Tukio era troppo forte, nel suo grido disperato. L’impotenza, la tristezza, l’angoscia. E quel ragazzo dallo sguardo impietoso. Quello sguardo che non si era distaccato un attimo da lei; si distrasse solo quando una piccola meteora finì al suolo, a fianco del cappello rimasto incolto di Pop.
«Yoru!»
Quel gattino blu sembrava svenuto e sfinito, come se avesse lottato fino allo strenuo delle forze, e quando Ikuto lo raccolse un senso di smisurata paura si impadronì anche di lui.
Le vocine degli altri shugo chara avevano lasciato il posto ai rumori del bosco e del parco vicino; solo allora, Monica rispose.
«È Tukio. È colpa sua. Lasciamela». Sembrava una richiesta d’aiuto, un lamento carezzevole di pietà.
Guardandosi attorno, Ikuto vide i volti pietrificati dei presenti e quello infinitamente triste della ragazza ancora a terra, rigato di lacrime chiare. Quello non era uno shugo chara normale.
«Perché la rivuoi?» chiese freddo. «Sta scomparendo»
Queste due semplici parole ridestarono tutti, ma soprattutto spinsero Monica a reagire con forza. «Non può essere vero!» urlò. «Come puoi dirlo?»
Rabbia e angoscia si stavano mescolando e il suo lacrimare si trasformò in pianto e grida. I pugni stretti, le ginocchia piegate, gli occhi a due fessure e la consapevolezza di una forza nuova, di un’energia particolare e bella, un’energia luminosa, un senso di calore che spazzò via il gelo che proveniva dalla borsa del ragazzo.
Fu un attimo. Pochi confusi secondi pervasi di gioia e amore. L’aria, la brezza, il vento la supportavano, la spingevano in alto. E un pezzetto di cuore che torna al suo posto.
Da sotto, tutto apparve ancora meno nitido, più sfuocato; la luce abbagliava i presenti e Yoru si ridestò all’istante.
   
 
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