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Autore: Naki94    29/10/2015    1 recensioni
[Lovecraft]
Omaggio all'autore H. P. Lovecraft i cui scritti sono diventati i miei sogni ricorrenti. Questo è un nodoso intreccio di vari racconti e romanzi da me scelti e coraggiosamente uniti tra loro da un unico magico filo conduttore. Parlo e gioco con l'autore, dall'inizio fino alla fine, in uno scambio di idee e immagini oniriche continue.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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«Perdona il cambio improvviso d'argomento, ma devo domandarti qualcosa». Voltai allora di scatto la testa verso quello sguardo acceso di porpora. Mi ero distratto senza accorgermene nella direzione di quegli scaffali colmi di libri antichi e rari. Avevo avvertito da prima una angosciante sensazione, come di qualcuno che mi stesse osservando alle spalle. In un secondo momento fui addirittura convinto di aver avvertito un tocco leggero sulla spalla destra, come di una mano bambina. Fu allora che mi distrassi completamente voltandomi in quella direzione. «Vorrei domandarti cosa i tuoi occhi vedono tra quegli scaffali laggiù». Gli risposi un po' perplesso e frastornato «Una serie indescrivibile di orribili sensazioni, ma per scendere nel dettaglio direi che quel libro, proprio quel volume laggiù ha attirato il mio sguardo». Il mio amico Nelson allora rispose. «A dir la verità sono assai contento di tutto ciò. Significa per me che posso ancora contare sul tuo aiuto. Tu possiedi ancora quei poteri speciali di cui noi siamo a conoscenza. Tu sei ancora indagatore dell'incubo». Se prima il mio sguardo poteva sembrare disorientato, ora vacillava in un oblio confuso e incerto. Al che gli chiesi cosa volesse dire tutto questo ed gli rispose «Quel libro non esiste. Lo si vede solamente attraverso un vetro o uno specchio al lume di candela. Tuttavia anche a queste speciali condizioni non tutti gli uomini hanno gli occhi per vederlo». Non credevo affatto a ciò che mi stava raccontando, così mi alzai per andarlo a prendere. E per l'amor del cielo, era vero! Ciò che mi trovai davanti era un piccolo specchio lucidissimo che, al bagliore incerto di una minuta candela, creava un effetto bizzarro e inquietante. Sembrava riprodurre la forma tridimensionale di un antichissimo volume. Allorché gli chiesi se fosse dunque un illusione. La sua risposta non mi stupì affatto «Tu meglio di me sai. E' forse il mondo di Sogno meno reale perché assume forme illusorie? Credi veramente che quel libro sia pura magia e finzione?». Rimasi in silenzio a contemplare il libro finché non domandai dove l'avesse raccattato «non mi dirai di averlo trovato in un semplice mercatino dell'usato...» accennai con un sorriso. Nelson scosse violentemente il capo «no, no» rispose agitando ancora tra le dita quel pezzo di carta ignoto «quel volume, o meglio quello specchio contenente il volume, era in possesso di Argento, il pittore scomparso. Lo portava sempre appresso fino a quella notte quando mi condusse allo scantinato di quella sua casa in rovina. Quando fummo arrivati alla fine di quella scala tutta inzaccherata, Argento illuminò con la torcia un punto preciso dell'ambiente spazioso in cui ci trovavamo, e la luce rivelò una buia apertura posta tra il muso di mattoni e il pavimento. Solo quando mi avvicinai con cautela mi accorsi della presenza di una discesa di pietra da cui trasudava un orrido liquame sotterraneo. Da quell'apertura traspirava un puzzo caldo e orribile. Arrivato al bordo di quella discesa infernale distesi i nervi alla notizia dell'esistenza di una pesante botola di legno che separava me da quell'abisso nero. In quella stanza angusta c'era un piccolo tavolo da lavoro su cui era appoggiata una macchina fotografica. Mi spiegò che gli serviva per fotografare gli sfondi che avrebbe usato per i suoi dipinti. Oltre il tavolo, più avanti, notai delle tele incompiute. Quegli schizzi e quelle mostruosità appena abbozzate mi scrutavano in sordina da ogni lato mettendomi una certa inquietudine addosso. Ma...ma quando Argento puntò la luce della torcia su un enorme tela appoggiata in un angolo buio dello studio, non fui capace di trattenere un urlo. Questo rimbombò contro i muri tenebrosi, umidi e mefitici della cantina. Ti posso giurare che ciò che vidi era un'oscenità innominabile e gigantesca, con due occhi rossi e biechi, che stringeva tra le zampe nodose una cosa che un tempo doveva essere un uomo. Da uscire di senno in quell'istante!».

«Non mi avevi affatto accennato che il pittore era scomparso». Obbiettai.

«Ecco ciò che accadde: rimasi incupito nell'anima. Era come se una parte dell'inferno mi si fosse rivelata d'improvviso. Era così realistica quella tela! Entrambi laggiù sentimmo dei rumori provenire dai muri e dal sottosuolo. Pensai subito a dei comunissimi ratti, dunque il mio pensiero andò a finire su un oggetto, appuntato in un angolo vuoto della tela, una sorta di rotolino di carta. Forse era una fotografia, che Argento aveva messo là per ritrarre uno sfondo spaventoso adatto a quel mostro. Allungai la mano, tolsi la puntina e stirai il rotolino. Dopodiché accadde tutto così velocemente che, senza accorgermene, mi ritrovai nella più completa oscurità. Argento sparì d'improvviso alle mie spalle in seguito a un fortissimo colpo. Il rumore somigliava a mucchio di assi spezzate. Come dei tonfi. Il suono mi ricordò quello di una botte caduta su una pietra o su un mattone. Dalle tenebre profonde di quello scantinato Argento lanciò un grido strozzato. Mi voltai contro il nulla-vuoto-nero che mi si era stanziato davanti e che sembrava aver risucchiato Argento. Probabilmente la torcia si spezzò contro un trave. Rimanendo dapprima completamente paralizzato non feci altro che ascoltare i frenetici battiti del mio cuore che si accavallavano orrendamente a indescrivibili stridii di unghie, o artigli o denti contro una superficie porosa. Superata la paralisi iniziale colsi l'attimo per fuggire con tutte le mie forze verso l'uscita. Ci tornai in seguito più e più volte solamente di giorno, ma di Argento non vi trovai nemmeno l'ombra». A quel punto Nelson mi passò quel foglio di carta che aveva tenuto tra le mani fin dall'inizio del nostro colloquio. «Questa» disse mentre afferravo il pezzo di carta gelido «fu ciò che mi ritrovai in tasca subito dopo essere uscito da quella casa. Sai, quel rotolino appuntato su quell'osceno dipinto che vidi in cantina; quella che credevo una fotografia di uno scenario. Non immaginavo che mi aspettava un nuovo orrore dopo quello a cui ero appena sopravvissuto: ed esso mi si palesò quando ebbi stirato per bene la fotografia che, mettendola in tasca, avevo spiegazzato. Quell'artista aveva superato i limiti dell'arte e giurerei che non fosse nemmeno più del tutto umano a causa di quella sua malsana vita notturna in quella cantina. Tutti in città sapevano bene quale potente espressività avessero i quadri di Argento. Tutti al Circolo, anche quello che odiavano il pittore, riconoscevano in lui una abilità eccezionale nel dipingere in maniera così dettagliata e realistica. Tutti noi ci chiedevamo spesso da dove diavolo quel genio prendesse ispirazione. Ebbene quella non era affatto la fotografia di un paesaggio. Era il primo piano di quell'orrenda creatura che Argento stava dipingendo su quella tela disgustosa!» Aprii il rotolino di carta leggermente spiegazzato e sudaticcio. Il Cielo mi aiuti! La fotografia che ritraeva quell'essere innominabile era stata scatta dal vero!

 

   
 
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