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Autore: Phantom13    15/11/2015    5 recensioni
L'umanità ha sempre cercato di raggiungere e conquistare la Perfezione. Sempre. Ma questa volta sono più accaniti e determinati del solito... esattamente come lo è il loro "obbiettivo".
In fondo, noi abbiamo sempre cercato, scavato a fondo, analizzato e smembrato con arroganza ogni aspetto di questo mondo ... o quasi.
Ma è il cosa si cerca che fa la differenza. L'obbiettivo che si vuole raggiungere.
E questa volta, l'obbiettivo in questione è il più inviolabile dei diritti: la vita. Artificiale o autentica che sia.
In questo caso, soprattutto artificiale.
Anche se, in fin dei conti, non fa questa grande differenza. La vita è sempre la vita, indipendentemente dal "come" e dal "perchè" ... non ho forse ragione?
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"–Lui è solo un robot fatto di carne e sangue anziché di metallo. Non è una persona, è una macchina.- disse semplicemente, con una calma stomachevole e arrogante sufficienza. –È un oggetto che cammina. Null’altro.-" (cap. 5)
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AVVERTENZA: alcuni contenuti potrebbero urtare la sensibilità del lettore.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Rouge the Bat, Shadow the Hedgehog, Sonic the Hedgehog
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Sembra essere passata un'eternità dall'ultimo aggiornamento. Oh, aspetta: è passata davvero un'eternità!
Non so come scusarmi per l'increscioso, scandaloso e imperdonabile ritardo. Cosa potrò mai dirvi? Università, tesine da scrivere, paginate di appunti e tonnellate di libri di testo da leggere forse potrebbero darvi un'idea, ma credo non sia abbastanza. Un ritardo così è ingiustificabile, punto e basta. Come autrice, sono ufficialmente un disastro. Merito ufficialmente una punizione solenne. 
Non posso far altro che scusarmi profusamente e sperare in un vostro perdono.
Questo è ufficialmente il penultimo capitolo. Il prossimo aggiornamento sarà anche l'ultimo, se escludiamo l'epilogo. 
Come sempre, io ce l'ho messa tutta! (Ma errori di battitura o di distrazione credo siano inevitabili, specialmente visto il mio livello di disattenzione generale in questi ultimi ... mesi O.O)
Enjoy!

E mi sento anche in colpa a pubblicare un capitolo come questo, che parla di esplosioni e di morti, dopo ciò che è successo l'altro ieri in Francia. 
Un pensiero e una preghiera per loro e per le famiglie, e una profonda e sincera scusa per aver pubblicato un capitolo come questo subito dopo un evento così barbaro e disumano. 
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Capitolo 21
- Spezzato - 
 


Espio si schiacciò contro il muro di destra mentre un gruppetto di quattro umani terrorizzati si fiondava giù dalle scale. Urlavano, si chiamavano tra loro, ed evidentemente non vedevano l’ora di uscire all’esterno e posare i piedi sulla solida terra, quella sicuramente non sarebbe crollata loro in testa.
Espio però sapeva che là fuori non esisteva più terra, non solida almeno.
Gli occhi gialli del ninja ruotarono per seguire la fuga precipitosa del gruppetto di clienti. Il camaleonte pareva essere l’unico che faceva di tutto per risalire le scale e raggiungere il bar dell’ultimo piano, anziché fiondarsi al piano terra. Tutti gli altri correvano con la gravità.
L’ascensore non era un’opzione. La scossa causata dall’esplosione era stata violenta e per quanto la tecnologia umana sembrasse affidabile, il rettile preferì dare ascolto alla propria diffidenza. Rimanere bloccato in una scatola di metallo non era lo scenario più auspicabile, un qualche centinaio di gradini distribuiti su sette piano d’altezza rimanevano la scelta migliore sebbene la più lenta e faticosa. Aveva informazioni da riferire, una persona da incontrare e una situazione da comprendere. Al più presto.
Solcò le ultime due rampe a corsa, rischiando di scontrarsi con un’altra donna terrorizzata. Con il fiato corto, disse addio all’ultimo gradino e finalmente fece capolino all’ultimo piano.
Sarebbe stato un luogo piacevole dove passare una o due ore in compagnia di amici, a bere qualcosa o a mangiucchiare qualche pasticcino. I tavoli erano distribuiti con ordine, fra fogliose piante in vaso e lampade a forma di boccioli. Le sedie, però, tradivano la fretta con cui i consumatori erano spariti, la maggior parte era ribaltata o rigirata nelle angolature più strane. Caffè abbandonati, boccali di birra mezzi vuoti, bicchieri di cristallo mezzi pieni e fette di torta mangiate per metà contribuivano all’atmosfera fantasma che aleggiava in quel luogo. Solo dieci minuti prima, quel luogo brulicava di chiacchiere, risate e allegria. Dalle ampie finestre entravano fasci di luce filtrati dalla densa nube di polvere che vorticava all’esterno. Là, schiacciato contro il vetro, stagliato contro l’ultimo triangolo di cielo ancora azzurro, stava Tails.
Espio gli si avvicinò e guardò giù, imitando il volpino.
La vista sulla piazza sarebbe stata maestosa.
Ora non si vedeva altro che una voragine dalla quale spuntavano, come zanne spezzate, lembi di asfalto, sezioni di terra, piastre di pietra e tubature troncate. La ballerina al centro della fontana era caduta, la testa era incastrata tra due sassi, qualche metro più in là rispetto al busto. L’acqua zampillava tutto attorno come sangue da un cadavere martoriato, rigando la pelle di cemento lacerata.
La frattura non si limitava soltanto alla piazza, si allontanava seguendo una delle strade che sfociavano nello spiazzo, ora ridotta ad una fossa di detriti e polvere finchè occhio poteva vedere. L’esplosione era stata effettivamente lunga, ben più di un istante: non era stata un singolo botto, ma una concatenazione di fiammate. Gli occhi del ninja studiavano la strada affondata su sé stessa che si allontanava, dritta come una freccia ma sbiciolata come ceramica. Sì, l’esercito aveva davvero sparato un missile dentro ad una tubatura di gas, che era poi esplosa nella sua intera lunghezza. Probabilmente, il danno era lungo un qualche chilometro e le vittime, morti o feriti che fossero, rischiavano di sfiorare un numero a due zeri.
Espio ricordò solo vagamente che il piano originale prevedeva che lui salisse quelle scale per comunicare a Tails l’effettiva consegna dei materiali alla Mobius-Earth News e fornirgli il suo aiuto strategico nella fase successiva, cioè l’infiltrazione. Eppure, ad ogni passo, ad ogni gradino, i suoi pensieri si erano coagulati attorno all’idea che delle persone erano morte, altre erano seppellite vive. E che tra loro c’erano anche Sonic e Shadow. E Cream e i suoi compagni di scuola.
Il suo sangue freddo e la sua razionalità non erano bastate. Così come non bastavano in quel momento.
Con la lingua rigida come cuoio, con la gola secca, ripetè il rapporto che si era preparato mentalmente, trenta minuti prima, senza considerare troppo il fatto che in quel momento le sue informazioni erano divenute di secondaria importanza, nonché radicamente fuori luogo.
-Giungo ora dalla Mobius-Earth News. Abbiamo appena consegnato tutto il materiale che dimostrerà che i ricercatori non sono innoqui come si proclamano. Abbiamo anche pensato che sarebbe stato meglio evitare di rivelare troppo su Shadow: se i nostri due mondi scoprissero che lui è in realtà un ibrido alieno geneticamente modificato potremmo finire in guai ben più gravi. Abbiamo messo l’accento sulle ricerche biologiche illegali e sulle menzogne pubbliche riguardanti un certo riccio nero, senza entrare troppo nei dettagli tecnici sul perché o sul percome per rispetto dell’ARK e di Shadow.-
Tails rimase in silenzio, gli occhi umidi che continuavano a cercare inutilmente una figura blu spinata. Sussurrava piano, tra sé e sé, forse nemmeno conscio del fatto di non essere più solo. Probabilmente, non aveva nemmeno sentito Espio.
-La piazza … Tutta la piazza … Sonic … E Shadow … E tutti gli altri! Ma l’esercito come ha potuto sparare contro persone innocenti? Ah, ma certo, avranno colpito una tubatura, forse del gas… Sonic…- La totale assenza di tonalità o emozione alcuna fece rabbrividire Espio.
Decise di insistere, e provare ad estrapolare una risposta sensata dal suo collega e alleato. Era successo un’imprevisto tinto di tragedia, ma loro avevano comunque un piano in atto non ancora concluso con un’emergenza alle porte e un gruppo di pazzi biologi da far arrestare. Poi, forse, pensare e ragionare avrebbe aiutato Tails a liberarsi dallo shock che lo stava annebbiando.
-Ora che pensi di fare?- domandò il Chaotix. -Sospendiamo il piano di andare a recuperare le prove definitive dei loro traffici genetici e il sangue di Shadow prima che li facciano sparire per sempre? Rimandiamo il tutto per salvare la gente là sotto …e i nostri amici?- le scelte più dolorose giungevano immancabilmente nei momenti meno adatti.
Il silenzio gocciolava, assai più lentamente dell’acqua estirpata della fontana. I poveretti intrappolati là sotto avrebbero anche potuto rischiare di annegare.
-Come potremmo pensare di proseguire con il piano se Sonic e Shadow sono …?- Tails si interruppe. -Tu e io non potremo mai farcela contro le loro … creature. Solo Shadow riesce a tener loro testa senza particolari difficoltà, già per Sonic lo scontro diretto con loro può rivelarsi una scelta azzardata. Se ci infiltrassimo nell’Alpha ora … non concluderemmo niente.-
Il fatto che Tails non avesse accennato al fatto che i due ricci in questione necessitavano di urgente soccorso, insieme ad un altro centinaio di vittime, fece capire ad Espio che il cervello del volpino si era gettato a capofitto nella logica pura. Quando la paura, l’emozione e il dolore erano troppi, era opportuno tagliarli fuori definitivamente.
-Dunque, che facciamo? Secondo me, dovremo andare ad aiutarli….- suggerì Espio. Proseguire con il piano e lasciare quelle persone ferite laggiù e negare soccorso ai loro compagni era impensabile. Questo era un dato di fatto per Espio. Il cervello confuso di Tails doveva ancora fare i conti con le immagini che gli occhi gli trasmettevano e l’innegabilità dei fatti.
Espio almeno sapeva che Vector e Charmy, i suoi due compagni, erano lontani da lì. Una magra consolazione.
Tails scosse la testa, come a volersi scrollare di dosso il torpore. La sua tipica scintilla di vitalità gli si riaccese nello guardo. La sua vivacità di sempre, sebbene offuscata da un pesante strato di angoscia, fiammeggiava di nuovo. Tails era lentamente tornato presente a sé stesso. –Dobbiamo soccorrere Sonic, Shadow e tutte quelle persone innocenti. Scendiamo e vediamo quello che possiamo fare. Gli scienziati li incastreremo un’altra volta, ci inventeremo qualcosa. Le priorità esistono e questa qua sotto è una priorità bella grossa. Ci saranno un mucchio di feriti laggiù che hanno diritto di venir aiutati. Sei con me?-
-Neanche da chiedere.- il camaleonte annuì. Si domandò se tutti quei soldati avrebbero aiutato i cittadini. E se avrebbero dato la colpa a Shadow anche di quello. Strinse i denti. Sperò solo di non venir arrestato a vista, o sparato a vista.
-Grazie Espio, davvero.- la gratitudine di Tails schiuse un sorriso ad Espio. Lui si limitò ad un cenno del capo.
-Per Chaos … che disastro. Credi che siano tutti …?- le mani del volpino premettero contro il vetro freddo. Improvvisamente, Tails corrugò la fronte e, stupito, si voltò verso Espio. -E poi, “ibrido alieno geneticamente modificato”? Ti sembra il modo adatto di rivolgerti a Shadow?!-
Allora il piccoletto aveva sentito tutto anche all’inizio, concluse il camaleonte. Espio socchiuse gli occhi e fuggì lo sguardo accusatore di Tails prima di snocciolare il motivo che stava alla base della sua singolare scelta di parole. -Certo che no. Ma è così che lo potrebbero vedere le popolazioni di due pianeti, se non facciamo attenzione nelle prossime ore. O giorni, a questo punto. Sarebbe opportuno non dimenticarlo.-
Tails non provò nemmeno a nascondere la propria espressione schifata. -Hai ragione.- riconobbe con voce mesta, a malincuore. La decisione di sospendere il piano era divenuta improvvisamente pesante come dieci macigni.
Espio tornò a guardare in basso. –Non che Shadow se ne dovrà preoccupare se non riuscissimo a ripescarlo da quel disastro in tempo. In questo momento i nostri due spinati sono seppelliti vivi là sotto con decine e decine di persone, e bambini.- fece una pausa. -Intrappolati con due cyborg molto arrabbiati, per di più. Potrebbe scorrere molto sangue … ammesso ce ne sia ancora da versare.-
-Non dire così!- lo rimbeccò Tails. Talvolta, il ninja finiva per scordarsi che il genietto del gruppo non era altro che un cucciolo.
Espio piegò la testa di lato. –Meglio fare in fretta.- concluse.
Tails, pallido come un fantasma, annuì. –Chiamo gli altri.-
 
 
 
Aveva ricaricato interamente la propria riserva energetica ma l’effetto paralizzante della polvere gialla non accennava a diminuire. Era inutile scacciare, distrarre o stendere la nemica cibernetica con il potere della sua mente se lui tanto da lì non si sarebbe potuto muovere.
Tale verità non faceva altro che acuire ancor di più il drammatico senso di impotenza che imperversava nel cuore di Silver, ancora steso a terra con Iota appollaiata sulla pancia. Con un profondo sospiro, ingoiò la rabbia e gli insulti e fece un altro tentativo.
-L’hai sentita l’esplosione?-
Il rapace cibernetico ruotò appena la testa. –Sentito.- confermò.
-E non vuoi andare a vedere cos’è successo? Magari i tuoi … ehm … colleghi … compagni … sono nei guai e hanno bisogno del tuo aiuto.- quella frase sembrava patetica anche alle sue orecchie. Insegnare ad un cyborg l’amicizia? Come no, bravo Silver!
Infatti, la creatura non capì. –Non comprendo. Direttiva specifica. Catturare Silver.-
-E perché?-
-Top secret.-
-Ah, ma certo.- Silver si concesse un sospiro.
Le penne dorate del rapace gli stavano anche facendo solletico ad una gamba. E pensare che, quando aveva scelto di viaggiare indietro nel tempo, lui voleva originariamente fare solo una visitina di una giornata ai suoi vecchi amici nel passato! Invece s’era ritrovato paralizzato sul fondo di una strada, con un bozzolo di penne e metallo sullo stomaco. Che bello.
Alcune voci, distanti, echeggiarono tra il groviglio di strade e mattoni in cui il riccio e il cyborg erano atterrati. Gente che correva e parlava, dicevano di un’esplosione, di un grande crollo e di troppe persone intrappolate. Compresi l’Eroe di Mobius e il famigerato riccio nero.
La frustrazione che rodeva Silver esplose come una bomba. L’urgenza conquistò ogni neurone del riccio. Ora aveva la certezza che i suoi amici erano coinvolti.
La necessità di togliersi di dosso la polvere gialla paralizzante si rafforzò al punto da divenire quasi un dolore fisico. Ringhiò. Spremendosi le meningi, riuscì sorprendentemente a raccimolare per davvero un’idea. Una pallida, tremolante, instabile, scricciolante e improbabile idea ma che forse avrebbe potuto funzionare. Sperava solo che la schifezza gialla che gli era stata spalmata addosso non gli fosse penetrata dentro la pelle, altrimenti sarebbe stato tutto inutile.
Prese un bel sospiro e chiuse gli occhi, focalizzando la propria mente su sé stesso. Il suo pensiero si condensò nella sottilissima area tra la polvere e la superficie della propria pelle. Con precisione millimetrica, Silver si avvolse lentamente con uno scudo, il più fine e il più ravvicinato che avesse mai creato in tutta la sua vita. La propria cute stava sotto allo strato azzurro, la polvere gialla stava appena sopra. L’operazione si rivelò estremamente lunga, era necessaria grande precisione e pazienta.
Senza tradire le sue intenzioni, senza dare a Iota un motivo per sospettare, con un unico movimento Silver espanse il proprio scudo strappandosi di dosso le particelle paralizzanti. Iota, colta di sorpresa, venne lanciata in aria dalla contrazione energetica dello scudo. Fece giusto in tempo a gracchiare di rabbia che il riccio le richiuse attorno la propria barriera, incartandola come un pacco regalo insieme alla nube gialla. Il frullio d’ali aumentò di frequenza ma Silver mantenne la presa salda, sprecando diversi minuti preziosi per assicurarsi che il rapace respirasse il suo stesso veleno. Non voleva uccidere Iota, sperava solo di paralizzarla o stordirla a sufficienza per garantirsi un minimo di libertà d’azione: Silver doveva andare ad assicurarsi che Sonic e gli altri stessero bene, e avere un piccione esaltato sputa-veleno dietro il collo non era proprio un’aspettativa rosea.
Silver scattò in piedi non appena la cyborg smise di agitarsi, sgretolando la barriera. Il suo corpo già dorato ora scintillava ancor di più. Silver attese qualche secondo, con il fiato sospeso, ma nessun movimento provenne dalla cavia. Venne solo trafitto da uno sguardo rovente e rabbioso da parte del rapace paralizzato, ma nulla più. Un’ondata di soddisfazione travolse Silver.
Siccome ignorava in quanto tempo il rapace si sarebbe ripreso, si staccò da terra senza indugiare oltre e volando si diresse verso la piazza. Fece giusto in tempo a percorrere per intero la viuzza in cui era stato intrappolato che una voce familiare lo distrasse.
-Silver! Hai visto l’esplosione? Stai andando alla piazza? Cos’è successo?-
Le ali di membrana di Rouge affiancarono il volo del riccio.
-Ci vado ora. Ho avuto uno scontro con un cyborg volante e velenoso. Forse ce ne sono altri, dobbiamo fare attenzione.-
Rouge ruotò gli occhi. –Ne so qualcosa.-
Insieme sfrecciarono fino all’origine del boato di poco prima. Una visione del tutto simile a quella ammirata pochi attimi prima da Espio e Tails li accolse con tutto il suo strabiliante sfacelo.
-Sono … là sotto?- sussurrò Silver.
Rouge estrasse un piccolo apparecchio elettronico. –Io e Shadow abbiamo addosso dei micro-cip, per poterci ritrovare rapidamente in caso di necessità. Con questo posso rintracciarlo.- controllò frettolosamente lo schermo. -Sì, lui è là sotto.- confermò con voce roca.
Silver intanto stava già studiando la disposizione delle macerie. Per quanto gli dispiacesse riconoscerlo, vivere a Crysis City aveva i suoi vantaggi. Comprendere quale detrito era superfluo e quale avrebbe fatto crollare gli altri se spostato, era una questione di secondi per lui. Identificò alcune macerie che potevano venir spostate senza ripercussioni. Con cautela, avvolse quei massi con la sua aura azzurrina e li spostò dove il suolo era ancora integro. Ripetè l’operazione tre volte finchè un passaggio sufficientemente stabile venne aperto. Era una voraggine nera, con una lingua serpentina di terra frantumata e denti di cemento armato e spranghe metalliche ritorte come cavatappi. Gli occhi luminosi di Silver stavano ancora revisionando l’operato in cerca di punti instabili quando la mano di Rouge gli si posò su una spalla. –Grazie.-
Ben di rado il riccio bianco aveva avuto occasione di percepire una tale riconoscenza nella voce di qualcuno. Evidentemente, la pipistrella era molto più in ansia di quanto aveva lasciato intendere … ed era anche infinitamente più affezionata a Shadow di quanto avesse lasciato intendere. Silver incrociò il suo sguardo. –Vengo con te. Potrebbero esserci altri ostacoli lungo la via.-
Si librarono entrambi in aria e si gettarono nelle fauci della terra.
 
 
 
 
 
C’era acqua. Non avrebbe dovuto esserci acqua. Era un gocciolio regolare, tintinnante e dannatamente irritante. Fu quello a convincere Shadow ad aprire un occhio.
La situazione non cambiò di una virgola. Nero prima, nero adesso. Provò ad alzarsi ma qualcosa lo bloccava da sopra, così smise di provarci e rimase straiato su di un fianco. L’acqua continuava a picchiettare.
Si udì anche un sussurro, o forse un gemito, o forse una parola mal riuscita. Le orecchie della Forma di Vita Definitiva si drizzarono.
Ricordava con discreta chiarezza un lupo rosso intento a sgranocchiarlo e uno scorpione violaceo altrettanto determinato. Eppure la voce aveva un timbro troppo limpido per appartenere ad uno dei due.
Shadow constatò di avere freddo. Un freddo polare.
Battè le palpebre, sperando che l’oscurità gli donasse un qualche dettaglio, una qualche sagoma. Ma le ombre non gli vennero incontro in alcun modo, lasciandolo cieco come mai avevano fatto prima. In un qualche modo, Shadow si sentì tradito.
Non riusciva nemmeno a capire quanto fosse grande lo spazio in cui era rimansto rinchiuso. Avrebbe potuto avere un muro davanti al naso e non saperlo nemmeno. Eppure, l’istinto gli suggeriva che ci fosse un’area relativamente sgombra davanti a lui, e una matassa di cemento ai suoi piedi.
Il fatto che il suo corpo non gli avesse ancora comunicato nessuna informazione cominciò a preoccuparlo. Nessun mal di testa, nessun taglio, nessun bernoccolo, nessun osso incrinato. Aveva però la certezza che l’esplosione e l’atterraggio non fossero state affatto indolori. Ne era la prova il liquido caldo e vischioso su cui il suo fianco poggiava. Sicuramente non era acqua, quella sarebbe stata fredda e assai meno densa.
Faceva fatica a pensare, constatò. I suoi pensieri si muovevano al rallentatore, come immersi in un mare di melassa gommosa. Solitamente, avrebbe analizzato i danni e la situazione in pochi secondi, ora invece era cosciente da un bel po’ ma dove fosse e come stesse rimanevano misteri incolti.
Provò a respirare, la gola e il resto del suo apparato respiratorio si rivelarono più secchi e impolverati del previsto. Tossì.
Nello stesso istante, qualcosa si scostò bruscamente, come spaventato. Shadow sentì chiaramente dei piedi scalciare e ritrarsi, sentì schiene grattare contro il muro, sentì respiri trattenuti e fiati sospesi. Finalmente, il suo cervello cominciò ad ingranare la marcia. Realizzò di essere intrappolato con più di una persona, e che gli sconosciuti erano schiacciati contro una parete che al massimo distava due metri da lui, forse anche tre. Chissà come, intuì che il soffitto doveva essere assai basso.
Né Teta né Zeta erano nelle vicinanze. Almeno per il momento.
La domanda da porsi riguadava dunque l’identità degli altri sventurati cadutì là sotto insieme a lui. Ricordò di aver fatto da scudo ad una coniglietta tutta pelo e orecchie, prima che il suo mondo deflagrasse. Con sincera apprensione, si chiese che fine avesse fatto la piccola Cream.
Provò a riprendere confidenza con le braccia che fortunatamente risposero come dovuto. Le gambe invece cozzarono contro qualcosa di ruvido ed estremamente basso, con una pendenza strana, che le premeva contro il suolo. Al massimo gli erano concessi uno o due centimetri di spazio di movimento, verso l’alto. Una maceria che per poco non gli aveva frantumato le gambe?
Posò una mano a terra, per trascinarsi in avanti. Contro il muro, qualcuno non riuscì a trattenere un gemito angosciato. Avevano paura di lui, terrore cieco. Stranamente, Shadow non vedeva loro ma loro vedevano benissimo lui, cosa che lo irritò nel profondo. Probabilmente non avevano perso i sensi come lui, oppure si erano risvegliati assai prima di lui. Shadow concluse anche che potevano terrorizzarsi quanto volevano, lui sarebbe trascinato fuori da lì anche a costo di far venire un infarto a qualcuno. Scoprì mezzo secondo dopo che il suo ginocchio destro non si sarebbe mosso più in là di così. Qualcosa di ruvido e ritorto gli impediva di proseguire oltre.
Con un ringhio, Shadow concluse di essere incastrato. E tale situazione gli piacque assai poco. Tanto poco che decise di uscire da lì anche senza il consenso della massa di detriti, ignorando rabbiosamente il fatto che avrebbe potuto originare un crollo. L’idea di rimanere immobilizzato gli era semplicemente troppo indigesta.
Si rigirò, con la schiena premuta contro il terreno, e mollò un calcio dei suoi contro la lastra di cemento che lo bloccava a terra. Quella si disintegrò e la resistenza che gli bloccava la gamba si sgretolò con essa. La sua vista, per quanto poco si fosse adattata all’oscurità, fece comunque in tempo ad avvisarlo della mastodontica maceria che, privata del punto d’appoggio, gli stava per crollare addosso. Riaquistando in un solo istante il pieno controllo delle proprie facoltà e del proprio corpo, Shadow scivolò di lato. Con una capriola all’indietro si sottrasse alla traiettoria della piccola frana che, fortunatamente per lui, si schiantò a terra e non si mosse più né tanto meno rotolò o si sgretolò ulteriormente. Precipitò semplicemente in verticale e lì si impiantò saldamente.
In seguito allo sforzo fisico appena compiuto, Shadow si ritrovò a fare i conti con il proprio corpo che aveva autonomamente deciso di riaprire le comunicazioni. Il calcio e la capriola evidentemente non erano stati graditi e avevano risvegliato tutte quelle sensazioni prima assopite. Venne travolto da una valanga di segnalazioni dolorose, alcune riconducibili alla battaglia condotta poco prima, altre interamente nuove dovute all’esplosione della piazza. Rimase senza fiato, intanto la frana di massi e cemento finì di assestarsi.
Il boato del crollo impiegò diversi secondi per morire. Shadow si voltò lentamente verso i suoi coinquilini forzati, seppur senza poterli vedere. Nessuno dei poveretti osava più respirare, probabilmente avevano sfiorato davvero l’infarto. Qualcuno tossì per la polvere sollevata dallo smottamento.
Con lo scatto attuato per evitare di rimanere schiacciato, Shadow aveva dimezzato la distanza tra sé e i poveretti. Ora, se avesse allungato un braccio li avrebbe toccati. Riusciva vagamente a distinguere delle sagome, la totale e completa assenza di luce non giocava a suo favore. Un’oscurità così fitta non si incontrava spesso, né era un buon segno.
Una voce femminile ruggì. –Non ti avvicinare! Stai indietro!-
Shadow, che non aveva neanche accennato a muoversi verso la donna, mantenne semplicemente la propria posizione. Valutando se evocare o meno un Chaos Spear ed illuminare tutto quanto, domandò –Chi sei?-
Ottenne un gemito strozzato. Che la donna non si fosse aspettata un’appello diretto? Shadow si costrinse ad avere pazienza. Ai loro occhi, lui era un criminale … anzi IL criminale. Forse aveva fatto male ad agire così bruscamente, prima. Rivalutò la situazione e scelse di agire con calma. Avrebbe potuto teletrasportare tutti fuori, se quelli avessero smesso di tremare così.
Lasciò alla donna tutto il tempo di scegliere se rispondere o meno.
-Il mio nome sarebbe rilevante?- disse infine. La sua voce tremava tanto che Shadow non si sarebbe stupito se fosse scoppiata a piangere. Una classica frase da film, un inutile tentativo di difendere un’identità della quale a lui non importava nulla.
Il riccio si ritrovò a spolverare in fretta e furia i suoi rudimenti di diplomazia. –Non ho chiesto il tuo nome. Ho chiesto chi sei.- disse, sforzandosi di non sembrare minaccioso o infastidito. Gli venne il dubbio di non esserci riuscito particolarmente bene.
Doveva e voleva sapere se aveva davanti una ragazzina, una donna, una poliziotta o un’infermiera. Poliziotta probabilmente no, troppo fifona. Del nome e cognome non avrebbe potuto importargliene di meno.
La voce esitò. –Sono un’insegnate d’elementari.- rispose infine.
Stranamente, Shadow s’era aspettato di tutto tranne quello. Forse, perché per lui il concetto di “scuola” rimaneva un mistero. Le sue esperienze in merito erano nulle, solo qualche accenno da parte di Maria o di Cream. E qualche storia terrificante da parte di Sonic. Per Shadow quello dell’insegnante era un mestiere sconosciuto.
Di punto in bianco, si ritrovò a corto di parole. E ora? Invitarli alla calma? Con un guizzo d’iniziativa che lasciò Shadow con un palmo di naso, il suo cervello si aggrappò a ciò che avrebbe fatto Sonic al suo posto. Quasi schifato all’idea di doversi abbassare a cercare ispirazione presso il puntaspilli color mirtillo, Shadow si costrinse a domandare. –Qualcuno di voi è ferito?-
-Voi? Non c’è nessun “voi”. Siamo solo io e te.- la risposta era giunta troppo velocemente, specialmente vista la fonte timorosa e tentennante. Era una palese bugia, senza contare il fatto che Shadow prima aveva sentito chiaramente più movimenti venire da posti diversi e per di più ora i suoi occhi riuscivano a distinguere con relativa chiarezza le sagome. Tante, piccole sagome. Bambini. L’insegnante di elementari era finita seppellita viva con la sua combriccola di marmocchi al completo.
Prese un bel respiro. –Li ho sentiti e li vedo. Siete in … nove. Lo chiedo per l’ultima volta: siete feriti?-
L’insegnante per poco non singhiozzò. –No, noi qui stiamo bene. Ma eravamo in diciotto prima che …. Prima del …-
-Va bene.- Shadow tagliò corto.
La sua mente già lavorava alacremente per trovare un modo di proseguire quell’assurda conversazione e provare a spiegare ai suoi nuovi “protetti” che avrebbe potuto salvarli tutti all’istante se loro si fossero fidati, quando una domanda inattesa lo lasciò di stucco. –E tu? Stai bene?-
Non era la voce dell’insegnante, Shadow la sentì chiaramente irrigidirsi di disappunto, forse anche di paura, divenendo quasi della stessa consistenza del cemento che li aveva inghiottiti. Quella che aveva parlato era una vocetta più dolce, e immensamente più preoccupata.
Era Cream.
-Stavo meglio qualche ora fa.- rispose Shadow. Sentiva ancora il proprio sangue gocciolargli lungo le gambe, dire la verità non era un’opzione. Se inizialmente aveva pensato di utilizzare il Chaos Spear per fare luce, ora seppe che sarebbe stata una pessima idea. Avrebbe rischiato di terrorizzare tutti. Anzi, li avrebbe terrorizzati sicuramente.
Sentì uno scalpiccio scoordinato e il riccio nero si ritrovò una coniglietta tremante e singhiozzante tra le braccia. Le manine di Cream lo avvolsero in un abbraccio in miniatura, il suo musetto si rintanò sotto al mento di Shadow, nell’incavo della spalla. Il riccio potè solo immaginare la propria espressione esterrefatta, fu genuinamente felice di essere al buio. -Come sono contenta che stai bene!- pigolò la piccola Cream.
Shadow, rigidamente, strinse la coniglietta a sé con un braccio. Sperò di non sporcarla troppo di sangue.
-Grazie. Grazie mille, per prima.- pianse la piccoletta.
-Di nulla.- rispose il riccio. Le diede una piccola pacca sulla schiena. La bimba si ritrasse ma non andò lontano, gli si accucciò affianco, a portata di braccio in caso di emergenza.
Nel tempo necessario per due battiti cardiaci, Shadow realizzò che non sarebbe riuscito a teletrasportare tutti loro fuori da lì. Non aveva abbastanza energie e continuava a perdere sangue a velocità preoccupante. Forse, non avrebbe potuto nemmeno teletrasportare sé stesso.
Lentamente, con cautela, cambiò posizione sedendosi più comodo e sforzandosi di calmare il proprio respiro. Portare fuori tutti loro da quel buco era imperativo. Avrebbe atteso, avrebbe recuperato le forze e avrebbe lasciato che i calcoli di Robotnik facessero il loro dovere, nel suo DNA maledetto. Sapeva che si sarebbe ripreso in fretta. Questione di pazienza e minuti.
Sentì Cream scalpitare alla sua sinistra. –Tu … tu ci puoi portare fuori?- domandò la piccola.
Mentre Shadow elaborava una risposta non troppo pessimistica, l’insegnante intervenne. –Cream! Torna al tuo posto e fai la brava! Non …. Non disturbare il signore, qui.-
Shadow ingoiò a fatica un commento che avrebbe potuto anche traumatizzare a vita i bambini lì presenti. Si costrinse a prendere un profondo respiro e disse, trattenendo a stento lo sdegno –Io non ho mai mangiato nessuno. La sua ragazzina starà benissimo.- Cream, d’altro canto, non aveva neanche fatto finta di obbedire.
Shadow potè quasi udire lo scricchiolio del sorriso di circostanza dell’insegnante. –Oh, certamente.-
-Dunque … non ci puoi portare fuori?- si intromise ancora Cream.
Shadow fece per risponderle quando, in lontananza, si udì un ruggito, furioso e selvaggio. I bambini sobbalzarono, stringendosi tra loro come pinguini. La maestra li cinse con le braccia, un’inutile gesto protettivo.
Questa volta, Shadow non provò nemmeno a trattenere l’imprecazione.
 
 
 
Da quel giorno in poi, Sonic The Hedgehog imparò come ci si sente quando si viene colpiti da una frana. Aveva fatto innumerevoli battute e scherzi al riguardo, specialmente ai danni di Knuckles. Ma ora sapeva. E la cosa non gli piaceva affatto.
Digrignando i denti dallo sforzo, riuscì infine ad aprire un occhio. La fatica non venne ripagata: il panorma rimase identico. Nero. Buio. Vuoto.
E allora il riccio richiuse le palpebre, ascoltando il pulsare del proprio dolore e dei muscoli in sciopero collettivo. O … quel pulsare veniva proprio da lui o da qualcos’altro? Poteva chiaramente percepire un battito, un sottile rumore che pareva giungere da sotto.
Pur sapendo che non sarebbe servito, decise di sprecare altra energia per riaprire gli occhi per controllare. Come prevedibile, rimase tutto buio. Sonic era sdraiato sulla schiena e dunque stava fissando il soffitto, o il punto in cui avrebbe dovuto esserci il soffitto. Sentì perciò assai chiaramente il movimento provenire da sotto la sua spina dorsale. Qualcosa si contrasse e si ritrasse.
Senza nemmeno rendersene conto, il riccio scattò. Fece per tirarsi in piedi ma ci guadagnò solo una colossale testata contro una lastra di cemento che pareve stare a meno di venti centimetri dal suo naso. Mentre il dolore gli esplodeva nel cranio, il panico strangolò il riccio più veloce di sempre.
In una bara ci sarebbe stato più spazio che in quel buco! E … c’era qualcosa di vivo sotto di lui?
Si sentì mancare, l’aria sembrò terminare di colpo, l’ossigeno parve andarsene altrove e la terra parve stringersi su di lui ancor di più. L’impellente necessità di alzarsi in piedi, stendere le gambe e correre lacerò la mente di Sonic. Forse per la prima volta in vita sua, gli venne voglia di piangere.
Diede un calcio al blocco di macerie che l’aveva seppellito vivo ma nulla accadde, oltre che una dolorosa ripercussione lungo la gamba. Un pericoloso scricchiolio fece rabbrividire Sonic, una briciola di intonaco gli cadde sulla fronte. Si sarebbe riuscito a liberarsi forse solo con uno Spin Dash, ma non aveva lo spazio fisico per attuarlo e probabilmente sarebbe morto schiacciato comunque. Respirare diventava sempre più difficile, il panico sembrava avergli paralizzato anche i polmoni. Oppure l’ossigeno stava finendo per davvero?
La cosa sotto la sua schiena di mosse di nuovo, in modo più brusco e repentino questa volta. Sonic fece appena in tempo a preoccuparsi che un inquietante gorgoglio impolverato si fece sentire, spaventosamente vicino, sotto la nuca del riccio. Le mani di Sonic si ancorarono al suolo per mantenere una qual sorta di stabilità. Le sue dita toccarono una superficie dura, più liscia del cemento, metallica e … calda.
Il pavimento si inarcò sotto la schiena di Sonic. Guizzò verso l’alto, accompagnato da un altro stridio, più angosciato e allarmato rispetto all’ultimo. Il naso di Sonic si trovò nuovamente a contatto con la lastra di cemento di cui aveva già fatto conoscenza poco prima. Il pavimento non accennò a tranquillizzarsi e si inarcò ancora due volte, spiaccicando di conseguenza il riccio per altrettante volte. Possibile che il pavimento fosse colto da un attacco di claustrofobia del tutto simile a quello che aveva colpito Sonic pochi minuti prima?
La certezza ormai assoluta che suddetto pavimento fosse vivo e vegeo, indusse il riccio a parlare ad alta voce e cercare di calmare la situazione. –Fermo! Fermati! Ahio! Eddai!- mugugnò il riccio premuto nuovamente contro il soffitto. –Agitarti così non ci tirerà fuori di qui, né aiuterà in alcun modo la situazione.-
Il pavimento parve, sorprendentemente, ascoltare e capire le parole di Sonic. Tornò infatti ad essere una superficie d’appoggio orizzontale. Con un gorgoglio depresso, il pavimento smise definitivamente di agitarsi, tranne che per il lievissimo movimento regolare su e giù. Il suo respiro?
Un sospetto schiocco elettrico fece guizzare le orecchie di Sonic, il cui stato confusionale non avrebbe potuto essere più totale. Come si parla con un pavimento o con qualcuno che funge da pavimento?
Il bizzarro rumore frizzante si intensificò e un sottile lampo di luce accoltellò gli occhi di Sonic. Sbattendo le palpebre, il riccio vide otto strisce di luce risalire dal basso e ripiegarsi rigidamente una volta raggiunto il soffitto. La luce violacea ricordava il neon per consistenza e, seppur debole e frastagliata, fu sufficiente per rischiarare la situazione e permettere al roditore di identificare l’altra anima imprigionata con lui in quel minuscolo spazio che davvero non sarebbe stato più ampio di quello offerto da una bara.
Quando il riccio blu aveva preso la prima testata contro il soffitto, aveva giurato a Chaos che la sua posizione non avrebbe potuto essere peggiore. Che il suo incubo più atroce si fosse avverato. Eppure, con il rammarico più sincero che la Terra avesse mai visto, Sonic fu costretto a riformulare il proprio pensiero.
Appallottolato sul petto di Zeta, con le sue otto zampe ora luminose ripiegate contro il soffitto, la situazione dell’Eroe di Mobius era precipitata negli abissi più neri e impensabili. Mentre la coda dello scorpione raschiava con l’uncino il fondo della loro cella di detriti, Sonic si rigirò, molto lentamente, sulla corazza metallica dell’aracnide. A pancia sotto, con gli aculei che sfioravano il soffitto, si ritrovò a fissare le due chele affilate, sospese a mezz’aria, e a fissare i due occhi innaturalmente disumani dell’essere che aveva quasi rubato la vita a Tails.
Oh, per Chaos!
 
 
Espio e Tails dovettero abbandonare, o per lo meno sospendere, i loro propositi di salvataggio non appena ridiscesero le scale e raggiunsero il pianoterra devastato. In piedi, davanti alla voraggine che aveva inghiottito piazza, passanti e amici, constatarono frustrati di non poter fare assolutamente nulla di nulla.
Le macerie erano mastodontiche, impossibili da smuovere. Sonic o Shadow non giacevano in bella vista su uno spuntone di roccia. Non vi erano feriti a portata di braccio. Come i due avevano già immaginato, erano tutti sotto. E la problematica di come andare loro stessi là sotto si stava rivelando più ostica del previsto.
Non vi erano punti sufficientemente stabili su cui camminare, non vi erano passaggi attraverso cui intrufolarsi sotto al crollo, e ogni singolo movimento avrebbe potuto schiacciare a morte qualcuno, metri più in basso.
Così, volpino e camaleonte rimasero instupiditi a guardare lo sfacelo, con animi tanto brucianti quanto impotenti.
I lamenti di quelli che non erano stati seppelliti, le urla di terrore di quelli che ancora avevano aria per gridare, risuonavano sulla piazza. Oltre a quelle strida regnava un silenzio morto che avrebbe fatto venire la pelle d’oca pure ad una cute coriacea come quella di Vector.
La maggior parte dei soldati, che nel tentativo di catturare Shadow avevano sparato il missile, era sparita. Soltanto sei sagome in divisa si agitavano al margine settentrionale della piazza, palesemente sconcertati e disperati. I mezzi blindati, i mecha d’assalto e tutto il resto si era vaporizzato nel nulla. Che fossero andati a cercare aiuto?
-Guarda là.- sussurrò Espio, a bassa voce, come timoroso di incrinare quell’atmosfera surreale. Tails seguì il dito puntato del rettile e vide ciò che gli occhi del ninja avevano scorto. Sull’altro lato della piazza, oltre alle nubi di polvere in lenta discesa, davanti alle porte del museo, dove neanche troppo tempo prima un’intera classe d’elementari era stata inghiottita viva dalla terra, scintillava agli smorti raggi del sole l’uniforme di un poliziotto. Un barlume di autorità, una possibilità di rendersi utili.
Espio e Tails si guardarono. Con tutto quello che i governi avevano combinato di recente, era ancora un’idea saggia rivolgersi ad un loro rappresentante? L’espressione disgustata del volpino pareva riflettere quella del camaleonte. Avevano scelta? Rimanere a guardare, impotenti, i tentativi di soccorso oppure segnalare la loro disponibilità? Da soli, loro due avrebbero potuto fare ben poco, come avevano tristemente notato. Non avevano i mezzi per superare la berriera di detriti e raggiungere i feriti. Voltare la schiena a coloro che avevano bisogno d’aiuto nel nome di un’ingiusta persecuzione che avrebbe meritato un giustificato sdegno?
Parlare ad un povero poliziotto di servizio non avrebbe in alcun modo potuto nuocere ulteriormente alla loro situazione. O no?
-‘Ndiamo?- borbottò Espio, non particolarmente convinto né dell’idea di rimanere lì né dell’idea di andare.
Tails tirò su con il naso. –In volo arriveremo là prima, attraversando … la piazza.-
Il ronzio delle soffici code del volpino colmò in magra parte la carenza di suoni. Con occhi vitrei, Tails ed Espio poterono godere dell’impagabile spettacolo di quella distruzione vista dall’alto. Le macerie, da lassù, parevano più affilate, come protese verso di loro in un grottesco tentativo di catturarli. Tra una roccia smossa e l’altra, qualche schizzo di rosso riluceva sotto la polvere. E anche qualche altra parte più solida e consistente.
Nessun volo nella vita di Tails sembrò mai eterno come quello. Entrambi non fecero altro che contare i secondi per giungere dall’altro lato, volpe e camaleonte pregarono Chaos che le code di Tails si muovessero più rapidamente. La loro fretta non fece altro che accentuare quell’agonia. Non chiusero gli occhi, però: è il dovere dei sopravvissuti vedere e ricordare, per poi raccontare.
Quando finalmente i loro piedi toccarono terra, i due amici constatarono che il poliziotto da loro adocchiato aveva la sua buona dose di problemi. Con la radiolina all’orecchio, il buon uomo tentava in tutti i modi di condurre una conversazione di senso compiuto con un centralinista appostato chissà dove e di organizzare un’operazione di salvataggio richiamando alla piazza ogniunità disponibile, il tutto mentre una donna sulla settantina gli si aggrappava ostinatamente alla giacca, strillando con più vigore di una cantante lirica al culmine della sua performance.
-Sì, ho bisogno di tutte le unità disponibili, dei pompieri e dell’ambulanza. È necessario un …- provava a dire lui.
-L’ho visto! Mi creda, l’ho visto!- gracchiava lei. –Quel riccio nero che si è buttato proprio davanti al missile! Oh, Gesù, Giuseppe e Maria! Quei piccoli angeli saranno tutti là sotto! Mi creda! Dovete mandare qualcuno a salvarli. Subito!-
-Il prima possibile, Cristo Santo! Hanno fatto esplodere tutta la piazza e probabilmente i tre isolati successivi! Come chi? Quei cretini dei federali, ecco chi! Signora, mi lansci andare!-
-Ma lei non mi ascolta!-
-Sì, l’ascolto, signora. Ho capito quello che ha detto e sei lei invece ascoltasse me scoprirebbe che stiamo facendo del nostro meglio e che tutte le unità disponibili arriveranno al più presto e ….-
La radiolina venne sradicata dalla presa del polizziotto. La signora coprì l’apparecchio con le mani nodose e fissò negli occhi il gendarme. –No. Lei non ha capito. Io ho detto che ho visto Shadow The Hedgehog salvare una classe di piccini e prendersi in pieno petto, o quasi, un missile.- gli occhi appannati della vecchia, ondeggiando, ancorarono quelli palpitanti del giovane. –Agente, che cosa voi altri non ci avete detto?- sussurrò tra i denti la donna.
Tails ed Espio rimasero ai margini della scena, a guardare stupiti. Lentamente, gli sguardi dei due amici si cercarono e si trovarono. Entrambi sorrisero. –Finalmente!- sospirarono all’unisono.
Un fremito elettrico attraversò l’aria, uno schiocco frizzante fece drizzare le orecchie dei due mobiani e i capelli della signora. Un sorriso si fece largo sul musetto di Tails, il primo dall’inizio di quell’increscioso incidente. –Come il proverbio umano: quando si parla del diavolo … spuntano le corna.-
La breve corrente elettrica si ripetè, e questa volta tutti riuscirono chiaramente a vederla oltre che a sentirla. La signora e il poliziotto balzarono indietro, occhi sgranati.
Il filamento elettrico rimase a galleggiare a mezz’aria, consolidandosi sempre di più ad ogni secondo. Si inspessì e si allargò, fino a divenire il bagliore accecante che Tails ed Espio conoscevano fin troppo bene. Dal portale, aperto tra le pieghe dello spazio e le correnti del tempo, rotolarono fuori cinque bambini e un riccio. Finirono tutti quanti faccia a terra, tranne il mobiano che atterrò in ginocchio.
Volpe e camaleonte capirono subito che qualcosa non andava per il verso giusto, quando videro Shadow accasciarsi a quel modo a terra.  Accorsero preoccupati dal compagno ignorando apertamente gli sguardi esterrefatti dei due umani dietro di loro. Ai margini della scena, altre persone cominciavano a voltare la testa verso la fonte del misterioso bagliore ormai morto.
Quando poi Tails si accorse dello stato in cui era ridotto Shadow, non riuscì più a trattenersi. –Per Chaos! Sei ferito! Cosa ti è successo?!-
Il riccio nero, che annaspava per respirare dopo lo sforzo di teletrasportare da solo cinque persone, alzò lo sguardo verso il volpino. Non vi era altro che rabbia nel suo sguardo. –Oh, non mi è successo nulla. Mi hanno solo sparato un missile addosso e mi hanno fatto crollare un’intera piazza sulla testa. E io che pensavo fossi tu quello intelligente del gruppo.- ringhiò tra i denti.
Uno dei cinque bambini si alzò da terra e corse ad abbracciare Tails e poi Espio. Era Cream, sporca, impolverata e macchiata di sangue. Mentre a parole confuse la piccola provava a spiegare loro cosa fosse successo là sotto, Shadow si rialzò cautamente in piedi. Sul suo corpo scuro, il sangue si vedeva a fatica: solo strisce più lucide del resto della pelle. Il volpino intuì da dove venissero le tracce rosse sulla coniglietta, che non aveva nessuna ferita, al contrario del riccio.
-Dove pensi di andare?- sbottò Espio.
Shadow aveva gli occhi puntati sul devasto della piazza, e aveva quell’espressione che assumeva sempre quando valutava e rimuginava qualcosa che a breve si sarebbe tradotto in azione. –A prendere gli altri.- sibilò infatti.
-Tu non puoi …- cominciò il ninja ma il riccio era già sparito in uno sbuffo di luce elettrica. Espio schioccò la lingue. –Dove la trova tutta quell’energia?-
Tails non ebbe cuore di rispondere, alle sue spalle la signora persecutrice di poliziotti innocentu esultò. –Visto, agente? Io l’avevo detto! L’avevo detto!-
I tre mobiani fissavano ora la piazza, ora l’aria attorno a loro, contando i secondi. Perché Shadow ci impiegava così tanto?
Finalmente, dopo quella che parve un’eternità, il Chaos Control squarciò nuovamente lo spazio e scaricò senza nessuna finezza il suo carico di ragazzini, ricci e insegnanti.
Questa volta, la Forma di Vita Perfetta atterrò di schiena, pesantemente, e non si rialzò. Rimase lì, ad ansimare, ad occhi chiusi.
Mentre il volpino rassicurava i bimbi spaventati, alcuni colpiti anche da nausea post teletrasporto, Espio si avvicinò a Shadow. –Sei un cretino e lo sai.-
Un gemito gutturale fu la risposta che ottenne.
Qualche attimo di quiete passò, tra i bambini trasandati e un’insegnante sull’orlo di una crisi di nervi che ricontava il suo gregge per la settima volta consecutiva. –C’è tanta gente là sotto, Espio.- sussurrò Shadow. –L’ho percepito con il Chaos Control.-
-Ma presumo che non puoi andarli a prendere. Non riesci neanche a stare in piedi.- constatò il ninja.
Shadow lo ignorò. –E … ho visto anche un’altra cosa, laggiù.- Espio attese che riprendesse fiato. –Il nostro piano non ci servirà più. L’Alpha è decisamente più estesa di quanto avessimo immaginato.-
 
 
Una volta constatato che non c’era spazio a sufficienza per attaccare, per difendesi o combattere in alcun modo, la situazione si era molto calmata, fin quasi diventando noiosa. Anche se il fatto di essere seppelliti vivi con un cyborg sicuramente era un fatto insolito che nessuno avrebbe mai descritto come “noioso”.
Sonic non aveva impiegato molto per notare le cicatrici. Tagli profondi, guariti in modo imperfetto e inaccurato, si intersecavano sul corpo di Zeta, sia sui pochi lembi di pelle visibili sotto la corazza, sia sulle placche dell’esoscheletro stesso. Le scaglie metalliche che ricoprivano per intero il corpo dell’esperimento da laboratorio erano state, un tempo, frantumate e spezzate in più punti e sembravano essere state aggiustate con … una saldatura. Sonic non se ne intendeva di metalli e di meccanica, ma, grazie alle opere di Tails, aveva imparato che segni simili venivano lasciati soltanto da una fiamma ossidrica.
Il riccio non aveva dubbi sul perché la corazza di Zeta era così malridotta: visti tutti i loro scontri precedenti, non c’era da stupirsi che lo scorpione geneticamente modificato ne fosse uscito con una buona dose di ammaccature. Quello che Sonic non riusciva a concepire era il fatto che tali ammaccature fossero state cauterizzate con una fiamma ossidrica! Zeta, per quanto crudele e sadico, era pur sempre un’essere vivente! Come si poteva pensare di cauterizzare un essere senziente con una fiamma ossidrica?! Quelle placce ossee erano attaccate al suo corpo, appena sotto di esse vi era pelle e carne … e il calore non si era certamente limitato alle placche semi-metalliche della corazza.
A migliorare la situazione, sui dieci arti dello scorpione vi era tutta una serie di segni e striature che sembravano percorrere la naturale disposizione delle vene e delle arterie … come se qualcuno avesse iniettato qualcosa che ne aveva mutato il colore. E questo era avvenuto diverse volte, visto il numero di intrecci e di segni.
Un fascio di fili e cavi sbucava dalla corazza sul dorso di Zeta per poi tuffarsi nel collo del cyborg, forando senza alcun tipo di finezza la pelle appena visibile tra una placca ossea e l’altra. Un filo di sangue fuoriusciva dal punto in cui il metallo lasciava il posto alla cute, prova inconfutabile che quei cavi non avrebbero dovuto essere lì e che la loro presenza non era sicuramente gradita.
Sonic aveva perso ogni cognizione del tempo, e, giusto per fare qualcosa, aveva cominciato a studiare meglio il suo “compagno di stanza”. Con un certo sollievo, entrambi avevano constatato che il livello d’ossigeno non era diminuito da quando si trovavano lì, il che significava che vi era un flusso di aria, da qualche parte. Eppure, quel magro sollievo era morto subito non appena gli occhi smeraldini del riccio si erano posati sul corpo dello scorpione assassino: la sua immaginazione aveva lavorato anche fin troppo bene. Era quello l’aspetto di una bioarma? Era quello il corpo di una creatura fatta in laboratorio e nata per combattere? Perché Shadow non aveva cavi elettrici che gli uscivano dal collo? Dove stava la differenza? Faker era stato trattato così sull’ARK? Scosse elettriche, operazioni chirurgiche da macellaio e nessun tipo di riguardo o di rispetto? La pelle della Forma di Vita Definitiva non aveva conservato traccia di quelle eventuali ferite, così come non aveva fatto con tutte le altre, ottenute nelle numerose battaglie. Per la primissima volta, Sonic osò pensare che, forse, era un bene che Shadow non ricordasse. Ma, sicuramente, lui non era stato trattato così. O no?
Pensare a Shadow sotto quella nuova luce su cui Sonic non si era mai soffermato a pensare, gli fece venire la nausea. -Ma cosa ti hanno fatto, eh?- domandò tenuamente allo scorpione, per riempire quel silenzio troppo opprimente.
Gli occhi spettrali di Zeta ruotarono appena. Sibilò, provò ad articolare un suono ma Sonic non udì altro che un confuso gorgoglio.
Il rabbioso disgusto per quello che Zeta aveva fatto al piccolo Tails si mischiava alla rovente indignazione per ciò che era stato fatto allo stesso aracnide. Il cuore di Sonic non aveva ancora perdonato, ma la sua mente cominciava a capire.
-Non sei stato solo tu, vero?- sussurrò, più a sé stesso che al cyborg.
Un guizzo di confusione scintillò nello sguardo dello scorpione, che, sorprendentemente, stava ascoltando con molta attenzione le parole del riccio. E pareva anche capirle, solamente aveva problemi a seguire il discorso frammentato che nemmeno Sonic stesso riusciva a completamente comprendere.
Una lucina rossa si accese sulla tempia sinistra dello scorpione. Zeta tremò da capo a piedi, come se avesse ricevuto una scossa elettrica. Contrasse tutti i muscoli, sobbalzando. Scalciato Sonic in un angolino, con enorme fatica Zeta si ribaltò in quello spazio angusto, posizionandosi a pancia sotto. Le due chele taglienti come bisturi affettarono un paio di volte l’aria prima di scagliarsi contro il terreno.
-Ma cosa stai fac…- cominciò il riccio, confuso e preoccupato. Cosa stava succedendo?
Con una facilità che aveva dell’incredibile, Zeta sgretolò la roccia su cui erano stati sdraiati fino a quel momento. La dolce solidità del pavimento venne a mancare e Sonic cadde nel vuoto. Trattenendo il fiato e con tutti i sensi sull’attenti, Sonic si preparò ad un impatto che sarebbe potuto avvenire tra un secondo come tra dieci. Il salto durò assai poco, in meno di due secondi le scarpe di Sonic atterrarono saldamente su una superficie di piastrelle bianche. Fece appena in tempo a riprendere fiato dalla sorpresa dell’improvvisa azione di Zeta e dell’inaspettato salto, non riuscì nemmeno a chiedersi perché Zeta non avesse agito prima se era in grado di fuggire fin da subito e, soprattutto, cosa ci facessero delle piastrelle là sotto. Qualcosa di liscio ma spigoloso lo afferrò per la vita, gli fece un giro completo attorno ai fianchi e Sonic venne trascinato nuovamente giù, mentre Zeta disintegrava un altro pavimento. La coda uncinata arrotolata attorno al riccio mantenne salda la presa: Sonic venne trascinato in una seconda voragine a fondo indefinito.
 
 
Tails ed Espio rimasero a guardare instupiditi il punto in cui fino ad un attimo prima sedeva Shadow. Dopo il bagliore del Chaos Control, lì non rimaneva altro che macerie polverose macchiate di rosso. –Non è davvero andato laggiù senza di noi, vero?- chiese Tails.
-Ovviamente che è andato da solo!- ringhiò Espio, palesemente arrabbiato. –Ha perso litri di sangue, ha lividi e tagli ovunque, non riesce neanche a stare in piedi e logicamente giunge alla conclusione di poter andare a … esplorare, combattere o qualunque altra cosa abbia intenzione di fare, completamente da solo e senza due paia di braccia in più! Ma sì, più che sensato!-
L’espressione di Tails era a metà tra il rassegnato, l’esasperato e il preoccupato. –Questo suo atteggiamento lo metterà in guai seri, prima o poi.-
-È un miracolo che non sia già accaduto!- brontolò Espio.
-È accaduto. Solo che lui ne è sempre uscito tutto intero.- lo corresse Tails.
-Intendi dire a parte quelle due volte in cui ci ha effettivamente lasciato la pelle?- sbuffò Espio. –Sì, hai ragione: si è già messo in guai seri per via del suo atteggiamente. Ma hai torto sul fatto che ne sia sempre uscito tutto intero.-
I due mobiani rimasero in silenzio qualche istante prima di voltarsi verso la piccola mandria di bambini dietro di loro. L’insegnante, con le guance impolverate e striate di lacrime, provava inutilmente a tranquillizzare e placare il piagnisteo generale. L’unica non soggetta alla disperazione era la piccola Cream. Con le ditate insanguinate di Shadow ancora ben visibili sul vestitino, la coniglietta guardava con occhi vuoti la marea di detriti.
Due puntolini colorati si mossero in quella vastità di marrone e grigio. Cream schizzò in piedi, volpe e camaleonte notarono la variopinta novità soltanto grazie all’occhio di falco della coniglietta. –Cosa c’è?- domandò seccamente Espio, ancor prima di voltarsi.
Tails si illuminò come un sole. Da quando tutto quel disastro era cominciato, si sentì genuinamente felice. Niente valeva più di due facce amiche in quelle ore di terribile bisogno.
Non c’era un sorriso né sul volto di Amy né su quello di Knuckles, ma entrambi si rasserenarono non appena scorsero il volpino e il ninja.
-Grazie a Chaos state bene!- esclamò Amy.
-Eravamo nella nostra postazione, pochi isolati da qui. Ma la scossa di terremoto di poco fa ha causato alcuni feriti e ci siamo trattenuti per aiutarli. Per questo ci abbiamo impiegato così tanto a venire qui.- spiegò Knuckles.
Gli occhi di Amy continuavano a cercare, invano. –E … gli altri? Dov’è Sonic? E Shadow?-
Mentre Tails ed Espio si scambiavano una tetra occhiata, cercando di stabilire chi avrebbe dovuto spiegare tutto quanto, qualche decina di metri sopra le nubi di polvere un nibbio metallizzato volava silenziosamente. Iota non tardò molto a comprendere che il suo bersaglio argenteo non era in superficie, anche se il suo radar indicava chiaramente che Silver era proprio lì, in zona. Sotto a quei sassi. Le sostanze chimiche che il riccio aveva in corpo, grazie al loro ultimo scontro, erano chiaramente percepibili da Iota, come se fossero una sorta di scia odorosa: avrebbe potuto rintracciarle ovunque.
Il rapace bionico battè le ali un’ultima volta, prima di gettarsi in picchiata.
Un’echidna rosso alzò la testa e lanciò l’allarme.
 
 
-Wind! Wind! Ti prego, rispondi!- le dita di Shell cercarono e trovarono a tentoni il braccio dell’aquila. Era il buio più assoluto, la gabbianella non riusciva nemmeno a vedere il proprio becco. –Wind!- chiamò di nuovo, senza ottenere risposta.
Le sue dita toccarono qualcosa di bagnato e di caldo. La mente di Shell parve spezzarsi a metà. –Oh, Chaos! Wind! Rispondi, parlami!- Non riuscì quasi a terminare la frase, singhiozzi e lacrime la soffocarono interamente. Non … non poteva essere davvero ….?
Erano sulla piazza, un attimo prima, stavano tutti e due bene. In una frazione di secondo, il loro mondo era sprofondato.
Un’improvvisa e inspiegabile luce albeggiò da dietro uno spigolo, azzurrina e tenue. La disperazione di Shell le impedì di domandarsi da dove venisse, i suoi occhi cercarono freneticamente quelli del compagno, corsero sul suo corpo alla ricerca di ferite, avidamente analizzarono ogni dettaglio che potesse rivelare che fosse ancora vivo.
Una lunga ferita, dalla spalla al petto. Una gamba ritorta in un’angolatura innaturale. Occhi chiusi. Polmoni che ancora respiravano.
Tutto questo, durò forse una frazione di secondo. La luce era aumentata d’intensità, la fonte si era notevolmente avvicinata e tra poco avrebbe svoltato l’angolo. Shell scattò, si rigirò verso la luce e, muovendosi, constatò di trovarsi in una specie di contorto corridoio formatosi tra i massi caduti. Bene, almeno aveva una via di fuga nel qual caso la fonte della luce non fosse stata amichevole. Erano forse i soccorsi? Oppure un … nemico?
Con occhi sbarrati, aspettava solo che chiunque fosse, svoltasse l’angolo. L’unico risultato che ottenne fu quello di venire completamente accecata, senza aver visto nulla di utile. Con gli occhi anche più lacrimanti di prima, Shell fu costretta a schermarsi il volto con le mani. –Chi sei?- ruggì, pronta a fare anche l’impossibile per proteggere il suo amatissimo Wind da qualunque cosa si stesse avvicinando. Era cosciente della propria vulnerabilità, cosa che fece aumentare ancor di più la sua già gravosa e opprimente ansia. Riuscire ad alzare il corpo di Wind e scappare?!
-Abbassa quella luce, Silver! Stai accecando questa poverina!-
Il bagliore azzurro calò di intensità. Il dolore agli occhi svanì, Shell aprì le palpebre. La luminosità era sì bassa ma ancora sufficientemente vivida per permetterle di distinguere sagome e princìpi di colori. E anche i volti dei due nuovi venuti. Un riccio bianco, argenteo, con le mani rilucenti di quella strana aura scintillante che prima l’aveva abbagliata. E una pipistrella dai vestiti decisamente rivelanti che …. Shell strabuzzò gli occhi. Era … la compagna di Shadow! Dopo tutte le sue ricerce, Shell aveva imparato a conoscerla molto bene, senza mai averla però vista di persona. Era un’abile ladra, fedele alleata del misterioso e famigerato riccio nero. Cosa ci faceva mai lei laggiù? E perché era accompagnata da un riccio bianco anziché da quello nero?
-Oh, siete feriti!- esclamò Rouge, il volto visibilmente preoccupato. –Fortuna che vi abbiamo trovati, eh?-
Feriti? Si domandò Shell. Io non sono ferita …
Fece per abbassare lo sguardo per darsi un’occhiata e controllare, quando vide l’espressione del riccio bianco mutare spaventosamente. Da sollevato, Silver divenne il ritratto dell’orrore. Il suo corpo scattò prima ancora che Shell capisse cosa stesse succedendo: il riccio si mise in posizione d’attacco, sollevò le mani e dai palmi scaturirono due fasci azzurri che sfrecciarono verso Shell, la superarono e si schiantarono appena dietro di lei. L’aria vibrò quando l’aura si condensò in una solida e rigida barriera, alle spalle dei due pennuti.
Il cuore di Shell non osava nemmeno più battere. Paralizzata come mai era stata in vita sua, non riuscì a muoversi da lì. Vide solo le espressioni terrorizzare del riccio e della pipistrella, alterate dalla più fosca paura. Cosa c’era esattamente dietro di lei?!
Rouge si scrollò di dosso lo spavento e gridò. –Via di lì!- afferrò Shell per un braccio, la trascinò di peso, affiancandola a Silver. La gabbianella si ritrovò in piedi senza capire nemmeno come, mentre Rouge si gettava a recuperare Wind e ad allontanarlo dalla barriera, dimostrando per altro una forza muscolare notevole.
Shell finlamente si voltò a guardare. I dieci artigli di metallo perforarono la barriera, che si incrinò. Oltre la placca azzurra, in mezzo ai dieci artigli ricurvi, simili a lame di coltello, la gabbianella riuscì ad intravvedere appena un paio di occhi rossi lampeggianti, innaturali, e un paio di orecchie pelose da lupo. Un ghigno scintillò nelle ombre, una fila di zanne venne snudata ad un’altezza inquietante. Quanto era grande quel….?
Le mani di quello che a Shell sembrava un lupo mannaro si mossero bruscamente, gli artigli tranciarono e la barriera si sbriciolò interamente. Una massa di pelo color ruggine e metallo scattò in avanti senza sprecare nemmeno un secondo, dimostrando una velocità impressionante. Con un ruggito bavoso in gola, il lupo ululò. 




 
  
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