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Autore: La Setta Aster    28/12/2015    1 recensioni
Vi è mai capitato, scrutando il cielo, di sentire dentro di voi la sensazione che altri occhi come i vostri siano puntati al firmamento in cerca di risposte? E se vi è capitato, avete provato a parlare con le stelle? Aster, una ragazza aliena di Neo Cydonia, e James, un giovane terrestre come voi, a distanza di anni luce hanno in comune un cuore sempre in fuga dal mondo, in direzione dell'universo.
Genere: Avventura, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
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 Di nuovo sulla spiaggia, ma stavolta sotto un caldo sole che arroventava la sabbia, invece che renderla fresca e piacevole. Giovanni si lamentava con Andrea di non aver trovato una ragazza con cui passare una bella serata. Infatti, loro due erano ancora più timidi e riservati di Jim. Così, seduti su due teli, all’ombra degli ombrelloni, discutevano di come Jim abbia fatto grandi passi, dall’essere un rifiutato, uno ‘sfigato’, ad aver ‘rimorchiato’ due ragazze in due notti.

“e pare che con Zoe ci sia anche un piccolo inciucio, che dici?” constatò Andrea.

“già, beato lui” sospirò l’altro.

“beh, tu hai sempre me, no?” ridacchiò Paolo, arrivando alle sue spalle.

“su, ragazzi, alla fine nemmeno io ho rimorchiato, solo Jim e Gra” intervenne Edoardo.

“e Monica con Abigail, ma questo è naturale”

“sì, hanno fatto sesso focoso da strafatte, sulla spiaggia”

 “e Alice?”

“non so, appena esce dall’acqua interroghiamola su dove sia stata ieri sera”

Durante le loro chiacchiere da pettegoli, tenevano d’occhio Jim, che, mentre giocava come un ragazzino con gli amici, aveva ormai integrato Zoe nel gruppo. Anche lei, infatti, si divertiva, e rideva. Jim era un poco imbarazzato all’idea di baciarla e toccarla in pubblico, e a vederli parevano essere soltanto amici che sguazzavano nell’acqua insieme. La ragazza dalla pelle ambrata indossava un costume intero nero, prestatole da Abigail, che con piacere le aveva ceduto, asserendo che sarebbe stata “uno schianto, Zoe!”, e ricevendo così un affettuoso ghigno geloso da parte di Monica. Ma Zoe non si era limitata ad indossare il costume, aveva insistito per tenere al polso quel suo curioso orologio, che mai si era levata da quando l’avevano incontrata, così come il medaglione. Nessuno obiettò, comunque, chi poteva sapere in cosa consistevano? Nemmeno Jim lo immaginava. In effetti, si dimenticò quasi di avere a che fare con una ragazza aliena. Una reazione bizzarra, pensava ogni tanto, nei confronti di una creatura che viene da un altro pianeta, e che quindi sarebbe stata la scoperta più importante dai tempi di Galileo. Alla domanda “siamo soli nell’universo?” James Cervi poteva, con ferma sicurezza, rispondere “certo che no!”, come aveva sempre sognato di fare. Doveva essere a causa dell’unione psichica con Aster che a Jim tutto quello che stava accadendo appariva, emozionante certo, ma naturale.

Quando ormai i polpastrelli dei ragazzi erano ridotti a chicchi d’uva passa, uscirono tutti, un poco infreddoliti e con le labbra salate. Un uomo stava urlando a squarciagola per attirare clienti, nella speranza di vendere qualche coccio di cocco fresco che mitigasse la calura estiva. Quando fu captato dalla scatenata ciurmaglia, quest’ultima s’alzò di scatto e si mise a correre come un esercito di vichinghi verso il malcapitato, lasciando Jim e Zoe da soli. Il povero mercante, a sua volta, si volse in fuga, terrorizzato, mentre era rincorso dalla mandria dei ragazzi, che sventolavano banconote da cinque euro come fossero bandiere pirata. La scena, buffa ai limiti del ridicolo, fece ridere di gusto entrambi i ragazzi rimasti di guardia all’accampamento. Sia l’umano che la ragazza Cydonense, infatti, scuotevano la testa divertiti. Ma ora che erano rimasti soli, era arrivato, per Jim, il momento di sommergere Zoe di domande.

“Aster”

Lei capì subito, non appena udì quel nome uscire dalle labbra ancora salate di Jim, che avrebbe dovuto raccontargli tutta la sua storia. E, onestamente, non vedeva l’ora di farlo.

“se mi chiami così dev’esserci un motivo: vuoi delle risposte, vero?”

“non sarebbe folle chiederti se mi leggi nella mente” ridacchiò lui.

“no, era solo prevedibile” rispose lei, con una risata sommessa.

Ne seguì un istante di silenzio, nel quali Jim tentò di capire a quale domanda avrebbe voluto avere risposta per prima. Cosa chiedo? I misteri dell’universo? Quante specie esistono nella galassia? Qualche tipo di domanda esistenziale? Mettila sul ridere, introduci il discorso chiedendo se anche sugli altri pianeti ci sono delle squallide telenovelas che inquinano il piccolo schermo. Ma no, falle domande sulla cultura del suo pianeta, sull’arte aliena, la loro musica, la loro architettura, tutto! Sarebbe logico domandarle, invece, come sia giunta fino alla Terra, quale tecnologia abbia sfruttato, quale fonte inesauribile è stata trovata per consentire viaggi nello spazio, e così velocemente. Hanno forse scoperto come curvare lo spazio – e di conseguenza anche il tempo – in funzione di un punto A e un punto B, per fare in modo che essi finiscano per coincidere? E come ottengono da una fonte di energia un rendimento pari a uno? Come possono ottenere il massimo del lavoro senza implicare la perdita di calore residuo?

“mi dici perché sei voluta venire sulla Terra? Con tanti pianeti nella galassia proprio qui, perché? È forse l’unico abitato oltre al tuo?”

“oh, no, ce ne sono innumerevoli, ed ognuno abitato da specie diverse, con una loro storia, una loro cultura”

“e allora perché la Terra?”

Aster lasciò divagare lo sguardo nei ricordi di suo padre, che comparvero dal nulla, appena la domanda fu posta di nuovo, e che assediarono la sua mente.

“mio padre” disse semplicemente.

“tuo padre?”

Lei annuì. “sì, mio padre era un avventuriero della galassia, oggi era un corsaro, domani un cacciatore di tesori, oppure ancora un sicuro passaggio a pagamento attraverso insidiosi sistemi. Il tutto con la scusa di essere una specie di ‘ranger’” ridacchiò, poi tornò sul discorso “Ma ciò che più lo affascinava era la Terra” Jim era confuso “la Terra e gli umani”

“non capisco, cosa si può trovare di interessante sulla Terra?”

“ma come? La vostra cultura, la vostra storia, la vostra tecnologia! Più che in qualunque altro pianeta quaggiù c’è la storia stessa dell’evoluzione, ed è ancora in corso! Anche la vostra scoperta del viaggio nello spazio, in maniera rudimentale, fu immaginata da uno scrittore quando ancora l’acciaio era una novità! Avete un’evoluzione incredibilmente rapida!”

“Jules Verne” constatò Jim “Dalla Terra alla Luna

“esatto! Io l’ho letto” Zoe si pavoneggiava palesemente.

“come l’hai letto? Come hai fatto?” domandò sorpreso.

“mio padre è stato in grado di ottenere diverse informazioni sulla Terra dai suoi contatti fra gli esploratori di pianeti, anche se stranamente molto di ciò che trapela dovrebbe essere riservato, quindi immagino che ci sia dell’altro che a mio padre è stato tenuto nascosto, e io voglio scoprirlo”

“beh, sei qui, ragazza, e ci sono anch’io”

Mentre parlavano, il medaglione di Aster s’illuminò e cominciò ad emettere un suono. Subito, l’attenzione della ragazza fu catturata dall’aggeggio che portava al collo. Lo studiò con attenzione, mentre Jim la guardava con aria interrogativa.

“è un segale di soccorso, Jim, un segnale d’emergenza!”

“che significa?”

“che attivandolo si materializzerà una sfera blu che cu guiderà fino alla mia nave”

Jim fu preso dall’eccitazione. Una vera nave spaziale? Che ha viaggiato nel cosmo, che è atterrata su altri pianeti! La vedrò!

“allora andiamoci!” esortò Jim.

“no, non ora. Stanotte, lontano dagli occhi di tutti”

“è per questo che volevi uscire in barca” osservò “ma ricorda che una luce blu si nota certamente meglio di notte che di giorno”

Era un’osservazione molto acuta, per un umano, avrebbe pensato un comune Cydonense.

“le vostre barche possiedono luci”

“ma io non ho una barca”

A quel punto, Aster sorrise con la furbizia negli occhi. “di questo mi occuperò io”

“vuoi rubare una barca?”

“certo che no! Facciamo un giro per il porto e vedrai”

Così, durante il pomeriggio Jim e Zoe si distaccarono dal gruppo per far visita alle imbarcazioni ancorate alle banchine, una di fianco all’altra, come un parcheggio. Ce n’erano di piccole come scialuppe, altre un poco più grandi, a motore, altre invece erano più grosse, a vela, e alcuni erano veri e propri yacht. Jim amava passeggiare per porti, gli ricordava quando lo faceva con suo nonno. Era abitudine dell’anziano uomo passare le prime ore del pomeriggio e il tramonto al porto di Rapallo, a pescare. E quando, a dicembre, Jim e la sua famiglia passavano il Natale in quel grazioso paese marittimo, il ragazzo trascorreva molto tempo ad osservare la barche e il mare, ascoltando il padre di suo padre che raccontava storie sui pirati, di uomini che, un giorno, stanchi della vita sulla terraferma, abbandonano tutto e si tuffano in una nuova esistenza solcando le onde. Fu su uno scoglio in riva al Mar Ligure che Jim si sentì leggere, nel corso di cinque inverni, Moby Dick, racconto che, in pratica, lo accompagnò per gran parte della sua infanzia. Quando perse suo nonno, la grinta, la voglia di prendere una nave e fuggire lontano, vagare per mari, quella grinta ribelle crebbe ancora di più. Era il suo sogno: avere una nave e lasciare la terraferma, e avrebbe realizzato quel sogno, per lui e per suo nonno. Mentre Jim raccontava a Zoe la storia di suo nonno, si fermò davanti a una barca a vela, in legno, dalla poppa tozza come quella di una baleniera, ma ovviamente molto più piccola, e la prua, invece, pareva creata per sferzare il vento come una fregata, e accoglieva una polena raffigurante un serpente marino, probabilmente un Leviatano. L’albero maestro era alto, per catturare il vento con ampie vele, ma non così alto da sbilanciare la nave. Una finta coffa si ergeva sopra di esso, troppo piccola per ospitare un uomo, ma un bambino ci avrebbe con piacere giocato a fare il pirata; per il momento, era solo il nido di qualche gabbiano. Come nelle barche un poco più moderne, non esisteva castello di prua. A poppa, sotto al cassero, si apriva la balconata dell’appartamento abitativo che prendeva il posto della cabina del capitano. E ancora sotto di essa, era scritto a caratteri coloniali molto raffinati: Amerigo, il nome dell’imbarcazione.

“è questa, Zoe” disse Jim sospirando, e ne fece seguire un breve silenzio. “è questa la barca dei miei sogni, ho deciso, quella che mi porterà molto, molto lontano da qui”

“quello potrei farlo io”

Non giunse nessuna risposta, ma quel discorso finì in quel momento, quando Zoe fece emergere due piccole sfere gialle, quasi impercettibili alla luce del giorno, dal suo orologio, e le inviò sulla Amerigo. Jim la guardò sbalordito e un po’ sbigottito.

“niente domande, andiamocene” lo troncò la ragazza aliena, mentre tendeva il braccio per accogliere nuovamente le due sfere nell’orologio.

Prima di avere una risposta, Jim dovette attendere la notte, quando Zoe lo ricondusse alla spiaggia. Agli amici, il ragazzo disse che lei avrebbe desiderato fare di nuovo l’amore laddove lo fecero per la prima volta. Ma sapeva bene che la questione era molto più importante, e, per sua sfortuna, se Graziano poteva definirsi suo fratello c’era un valido motivo: oramai entrambi potevano scrutare negli occhi dell’altro e sapere cosa gli passasse per la testa. E Graziano aveva intuito, quindi, che Jim nascondeva qualcosa. A chiunque altro sarebbe parso stupido sospettare, ma quei due amici fraterni avevano un legame forte ed inscindibile.

“cosa ci facciamo qui, Aster?” chiese Jim, rivolgendosi alla ragazza con il suo vero nome.

“aspetta e guarda”

Dall’orologio si alzarono nuovamente le due piccole luci, che ora erano perfettamente visibili, grandi quando una caramella. Schizzarono verso il mare, poco più in là della riva. Si fermarono, poi cominciarono a ruotare, sempre più vorticosamente, fino a creare, al centro della circonferenza che formavano, una terza luce, molto più luminosa, che scoppiettava. Tutt’un tratto, ogni luminescenza svanì, lasciando le pupille di Jim, ormai disabituate all’ombra, totalmente cieche per qualche secondo. Quando riottenne la vista, davanti a lui, solo una decina di metri oltre il bagnasciuga, sei era materializzata la Amerigo. Non potendo crederci, si strofinò gli occhi. Era proprio lei, con la polena a forma di Leviatano. Guardò Aster, che era compiaciuta del suo operato.

“come hai fatto?” chiese, ancora incredulo.

“voi umani non utilizzate alcun marchio di protezione per la riproduzione molecolare, e così tutto ciò che non è organico su questo pianeta, io lo posso ricreare, senza che l’originale sia distrutto”

Jim non sapeva se commuoversi, avendo finalmente realizzato un suo sogno, oppure continuare ad immaginare quante altre cose avrebbe potuto fare con quell’orologio. Ma tenne a freno l’avidità, e corse ad abbracciare Aster, poi la baciò, facendola sorridere. Ma un altro paio di occhi stavano osservando quella scena.

La barca era spaziosa, ma completamente vuota: Aster non aveva ricreato anche tutto ciò che nell’originale stava all’interno. Meglio, pensò Jim  potrò arredarla a modo mio, e per cominciare, le cambierò il nome: si chiamerà Pequod!

Le vele erano essenziali e semplici da utilizzare. Quella sera la brezza consentiva una navigazione placida e rilassante. A Jim pareva di partire su un vascello pirata alla volta dell’avventura più meravigliosa. Corse al timone, mentre Aster gli indicava di seguire un fioco bagliore azzurro che spuntava a qualche chilometro di distanza.

“là sotto c’è la mia nave” asserì emozionata.

“come faremo a raggiungerla se è sul fondo del mare?”

“con il mio terminale da polso farò apparire dei caschi idroconvertitori, che catturano l’ossigeno presente nell’acqua per concentrarlo nel respiratore. In questo modo l’unico problema rimasto sarà il freddo”

“di quello non ti preoccupare, non è il primo bagno notturno che facciamo, dico bene?”

 Le stelle apparivano opache, come viste attraverso un velo, ma Jim immaginava che sopra di loro vi fosse un cielo pieno di luci e colori meravigliosi. Non stava più nella pelle: non bramava ancora il corpo di Zoe, non voleva entrare nell’astronave solo per fare sesso con lei, no, questa volta lui voleva vedere una vera nave spaziale, toccare quello scafo che aveva viaggiato attraverso gli anni luce. La luminescenza blu era sempre più vicina, e così anche il momento di scendere negli abissi, alla scoperta del mezzo con il quale Aster aveva raggiunto il pianeta Terra.

“com’è la tua nave?” chiese Jim.

“è un luogo meraviglioso in cui vivere, secondo me” rispose con orgoglio Aster “ha grandi stanze dedicate a garantire un confortevole soggiorno nello spazio, un laboratorio che per me è ancora un mistero, e tanti altri luoghi, tutti incredibilmente incastrati alla perfezione in una nave grande quanto una fregata. Ma la parte che preferisco della mia nave – o, meglio, della nave di mio padre – è la sfera di hyle”

“che cos’è?”

“una sfera posta sulla sommità del vascello, dalla quale, a gravità zero, è possibile contemplare l’infinito”

“dev’essere meraviglioso… e che mi dici di quel ‘hyle’?”

“è il materiale che sta alla base di ogni nostra costruzione. Si ricava dall’Energia Cosmica, e non è altro che quest’ultima condensata a formare un oggetto solido, duro e resistente, anche se il laser lo rende vulnerabile agli urti; ma è plasmabile a piacimento”

“come lo si lavora?”

“è necessario usare la mente, non la forza del corpo, e gli unici in grado di piegare l’Energia Cosmica al proprio volere sono i Monaci del Terzo Occhio: gruppi di persone appartenenti a tutte le etnie della galassia che decidono di condurre una vita solitaria, su un pianeta incontaminato, per allontanarsi dai dolori e dalle apprensioni della vita comune. In questo modo raggiungono una tale pace, dentro di loro, e un tale silenzio nella loro mente, da poter udire il canto degli atomi, e così l’universo gli appare come un singolo luogo, intriso di energia, un’ energia che fa sì che tutto sia come debba essere, che i corpi dei viventi siano perfetti quali sono, che ogni pianeta nasca e cresca bellissimo nella sua natura. Richiamano a loro tale energia e la modellano, intonando una nota musicale, quella degli stessi atomi e del movimento dei pianeti, una nota che sulla Terra sarebbe identificabile con un La suonato a 432hz”

Ora Jim capiva i discorsi del suo maestro. E se fosse stato anche lui un alieno? Chissà quanti altri potevano esserlo. Nella sua classe c’era un ragazzo, fragile, indifeso come un cucciolo impaurito, che era bersaglio degli scherzi più crudeli. Che ne sapevano, di quel ragazzo? Sarebbe potuto essere lui stesso un uomo caduto dalle stelle. Chiunque sarebbe potuto esserlo, per quanto ne sapevano gli altri individui, e proprio perché nessuno conosce veramente chi gli cammina accanto, tutti dovrebbero avere rispetto di tutti. Ma purtroppo non accade, e alla sofferenza che può racchiudersi in una persona vanno ad aggiungersi inutili e micidiali dolori portati da altri esseri umani.

“e come è possibile la produzione in massa di questa materia, se solo questi Monaci del Terzo Occhio sono in grado di lavorarla?”

“essi hanno ormai da molto tempo creato centri di istruzione in cui insegnano come creare oggetti di hyle, ma gli altri segreti dell’enorme potere derivato dall’Energia Cosmica rimangono esclusiva dei loro pianeti monastero. Plasmare l’energia per farla passare dallo stato etereo allo stato solido è un procedimento ritenuto di infimo livello, quindi i Monaci non si sono fatti troppi problemi ad insegnare come farlo ad alcuni studenti – che a loro volta insegnano ad altri – scelti tramite selezione piuttosto rigide: nessun reato, cittadino modello, analisi cerebrale positiva al riconoscimento di un tipo di psiche non incline all’impulsività né all’egocentrismo, o altre problematiche che potrebbero trasformare un individuo in un pazzo omicida con il potere di creare oggetti con l’hyle”

Era affascinante, per Jim, ogni singola parola che Aster diceva a proposito della galassia. Ancora non si rendeva bene conto che le scoperte che stava facendo in quei minuti erano addirittura più importanti di qualsiasi altra scoperta scientifica mai fatta. Per il momento voleva solo ascoltare il più possibile, conoscere ancora tanto di quel cielo che per tanto tempo aveva osservato con amore, ammirazione, e vertigini. Si creavano nella mente di Jim splendide immagini dell’infinito, dello spazio, della galassia per come la narrava Aster, vedeva i monaci sul loro pianeta isolato, meditare intonando un Om a 432hz, come  il suo maestro gli aveva insegnato a fare con la chitarra.

La luce blu si fermò in un punto, e allora Aster e Jim seppero che era il momento di gettare l’ancora; anche se avessero colpito lo scafo, era improbabile che, se non lo aveva danneggiato una caduta dall’orbita, lo avrebbe fatto un oggetto di ferro, seppur pesante. Il bagliore creava ipnotici giochi di luce sulle onde del buio mare serale, agitate appena dalla brezza. Quando scese al di sotto dell’acqua, la sua luminosità diminuì, donando al velo d’acqua il colore di uno zaffiro attraversato dai raggi del sole. Aster, emozionata e sorridente, consegnò a Jim una piccola maschera, triangolare, con un boccaglio, e delle lenti azzurre progettate con guarnizioni di un materiale morbido e flessibile, per farle aderire comodamente al volto. La ragazza aliena disse di indossarlo, e l’umano obbedì, nonostante non notasse alcun laccio che potesse tenere la maschera premuta contro la faccia. La avvicinò al volto, e, ad un certo punto, sentì come se lo stesso materiale di cui era composta la maschera si stesse fondendo con la sua pelle. Preso dal panico, tentò di strapparla, ma era come strappare parte della propria carne. Jim percepiva quell’oggetto come un’unghia, o un dente, o comunque un osso che fuoriusciva dalla pelle, parte del corpo ma priva di sensibilità. Aster lo fermò dal tentativo di levarsi quella maschera, dicendo che la avrebbe tolta una volta a bordo della nave; gli mostrò una specie di bobina. Per tranquillizzarlo, lasciò fuoriuscire dalla bobina un getto di vapore – o, almeno, a Jim parve vapore – che, rivolto verso il viso del ragazzo, fece staccare immediatamente la maschera. Il giovane, sorpreso, la tenne fra le mani, osservandola, e poi si portò le mani al volto, notando che, dove prima quello strano materiale si era fuso con la pelle, non era rimasto che un contorno di sudore.

“scusami, dimenticavo che voi terrestri ancora non avete queste tecnologie” disse Aster, con una punta di ironia divertita.

“se queste maschere servono per respirare sott’acqua, come mai non l’hai usata al tuo arrivo qui? Ti saresti evitata di rischiare la morte per annegamento”

“non sapevo cosa mi sarebbe successo, e mai avrei dovuto permettere ad un umano qualunque di entrare in contatto con una tecnologia aliena. Infatti sono svenuta, sulla spiaggia, chiunque avrebbe potuto vedermi indossare una maschera aliena”

In effetti aveva senso, pensò Jim.

Indossata nuovamente la maschera, e spogliati dei vestiti che non fossero adatti al bagno, Aster si caricò solo di uno zaino impermeabile preso in prestito da Jim, del suo orologio e del ciondolo che mai aveva allontanato da se; insieme al ragazzo terrestre, si tuffarono nel cupo ventre delle acque notturne. Attraverso le lenti, il mondo da oscuro di faceva illuminato, mantenendo i colori naturali di ogni cosa, con solo una leggera saturazione azzurrina. Pareva che gli occhi stessi di Jim emanassero la luce necessaria a vedere. Aster, poco più avanti di lui, nuotava con quella che lui vedeva come una grande eleganza, sebbene fosse palese che la sua abilità nel nuoto era basilare; il suo corpo seminudo apparve tanto sensuale che il ragazzo dovette cedere ai propri istinti: con un rapido movimento di braccia e di gambe, la raggiunse, scivolando lungo le sue cosce, e poi abbracciandola, accarezzandole il ventre, e ballando con lei una danza marina che li faceva somigliare a due delfini in amore. Giravano, roteavano, nuotavano, si accarezzavano. Giocando nell’acqua, i due giovani innamorati giunsero presto a destinazione, sfidando la forza che li spingeva verso la superficie. Jim per un istante si dimenticò delle sue fantasie erotiche sul corpo di Zoe, e rimase esterrefatto nel vedere il vascello spaziale, incagliato su fondale. Era grande quanto un cacciatorpediniere o una fregata. La luce blu era ferma davanti a quella che appariva a tutti gli effetti come un portellone d’entrata aperto, sul fianco dello scafo, verso la chiglia. Sempre che quella si fosse potuta chiamare ‘chiglia’. Aster fece comparire dal suo orologio una schermata tridimensionale, sospesa nell’acqua, e attraverso qualche procedimento, ordinò alla sfera blu di entrare e fare strada. L’interno dell’astronave era allagato, ma fu comunque facile, per Jim, nuotare fino ad una sorta di sala controllo, seguendo Aster. Ma entrambi iniziavano a patire il freddo. Si facevano strada attraverso corridoi dalle pareti tondeggianti, dagli angoli smussati e con rarissime linee spezzate. Ciò rendeva l’ambiente più confortevole, e pareva quasi che l’astronave ‘abbracciasse’ i suoi occupanti, dando un senso di protezione, che doveva incidere sulla psicologia dell’equipaggio, compensando il senso di perdizione ed abbandono dello spazio infinito. Dopo aver vagato per un tempo che a Jim fu utile ad immaginarsi quel vascello stellare schizzare qua e là per la galassia, la sfera blu, seguita dai due ragazzi, si fermò in un grande locale, pieno di quelli che Jim interpretò come terminali, addossati alle pareti. Essendo la nave inclinata, tutto ciò che non era ben saldo sul proprio posto era scaraventato a terra, e aveva raggiunto un angolo della sala, accatastandosi. Vi erano parecchi vetri rotti, o almeno cocci di un materiale simile al vetro. Alcuni pesci temerari già approfittavano del portello aperto sul fianco della nave per entrare ed esplorare il nuovo ambiente. Aster attivò uno dei terminali, che s’illuminò, creando uno schermo tridimensionale color indaco, simile a quello che Jim aveva visto alzarsi dall’orologio della ragazza. La luce scaturita dall’ologramma illuminò un poco di più la stanza, mostrando gli angoli bui che gli occhiali subacquei non illuminavano. Jim vide quelle che gli sembravano essere due vasche, e gli ricordarono quelle di criostasi di vari film di fantascienza. Aster attivò qualcosa, e l’acqua nella stanza iniziò a scendere, ma questo voleva dire aggrapparsi in fretta a qualcosa o finire insieme al catasto di oggetti nell’angolo della stanza. Vi era un tavolo, e pareva fissato con cura al pavimento, così Jim vi si aggrappò. Ma non ce ne fu bisogno: con qualche scossa che i ragazzi non percepirono, in quanto ancora a mollo nell’acqua, l’intera astronave si mosse, quel tanto che bastava per disincagliarsi e adagiarsi diritta sul fondale marino. Quando finalmente i due furono all’asciutto, Aster utilizzò la bobina che portava nello zaino impermeabile per levare le maschere ad entrambi.

“benvenuto sulla Ziggy Stardust, Jim” disse lei con orgoglio ed emozione.

Avrebbe potuto rispondere in un’infinità di modi, ma Jim decise di rimanere zitto, con la bocca penzoloni, guardandosi intorno con meraviglia. Aster corse ad un secondo terminale, lo attivò, e poi, tenendo premuto un bottone che pareva sospeso nell’aria, parlò: “Kib, mi ricevi?”

Starà contattando il suo pianeta?

“Kib, sei in linea? Ti prego, dimmi che ci sei…”  

Provò diverse volte, chiamando il nome ‘Kib’, ma la risposta non giungeva mai. Aster pareva rattristata, e angosciata.

Non puoi abbandonarmi ora, Kib, non voglio crederlo!

Poi, le venne un’idea, perché corse via dalla stanza. Jim si apprestò a starle dietro, e la seguì. Salite delle rampe di scale – Aster pensò che non era ancora prudente arrischiarsi a prendere un ascensore –, giunsero in una stanza più piccola, ma comunque spaziosa, che presentava un grande letto addossato alla parete di fronte, al lato del quale, sul muro, si apriva una specie di oblò, del diametro di mezzo metro almeno, che ora dava sul fondo del mare. Un’altra vetrata – che doveva essere fatta di hyle, intuì Jim, altrimenti si sarebbe frantumata in seguito all’impatto – era posta sopra al letto, come quella dalla quale il ragazzo terrestre osservava le stelle nelle notti d’estate.  Posta immediatamente di fianco vi era un’ampia scrivania, priva però di cassetti: molti schermi che furono rinvenuti per terra – scaraventati dall’urto dell’atterraggio – erano contenitori digitali, venduti già gravidi del prodotto al quale avrebbero fatto da custodie, ed incapaci di contenere altri oggetti; questi schermi avevano in memoria la composizione di un oggetto, che poi veniva letta e riprodotta in un oggetto solido. Con una simile tecnologia era inutile mantenere l’uso di ingombranti cassetti. Un tavolo circolare, anch’esso ancorato al pavimento, era posizionato al centro della stanza, piuttosto basso, ad indicare che il padre di Aster preferiva sedersi per terra, su dei cuscini, piuttosto che sulle sedie. Vi era anche una piccola dispensa a muro e un bagno, quest’ultimo era composto da uno sgabello con un buco in mezzo, una piccola conca che, pensò Jim, doveva servire per lavarsi le mani, e un locale interno sferico di modeste dimensioni: si trattava della doccia. Ma nulla di tutto quello poteva bastare per un equipaggio proporzionato, in numero, alla grandezza della nave; l’unica soluzione plausibile per Jim era che si trattasse della cabina del capitano. Lo confermarono altri terminali olografici, sparsi qua e là, addossati alle pareti come quelli trovati nella precedente sala. Come nel precedente caso, a terra vi erano svariati oggetti, fra cui schermi di ogni dimensione, con immagini e scritte, che Jim immaginò essere la versione futuristica dei libri, o dei documenti. Aster si era appostata a lavorare presso uno dei terminali più grossi sulla sinistra e, mentre il ragazzo umano osservava meravigliato la cabina, aveva inserito il ciondolo che portava al collo in uno scompartimento apposito. Fu a quel punto che tornò la luce, un’illuminazione calda e piacevole, che parve far aumentare all’istante la temperatura, ma senza alcuna sorta di trauma da escursione termica: era come se quella temperatura fosse sempre stata tale, mite, e mai Jim avesse provato freddo. Era una strana sensazione, per l’alieno, ma tutto meno che sgradevole. Tutti gli altri terminali facenti parte dello scafo si attivarono.

“Kib?” domandò ancora Aster.

Un’amichevole voce femminile, che pareva scaturire dalle pareti stesse della nave, come se risuonasse l’intero vascello di quel suono, parlò: “bentornata a bordo, piccola Aster”.


ANGOLO DEGLI AUTORI:
Innanzitutto ci scusiamo per la nostra scarsa istruzione in campo fisico, in particolare chiediamo venia per qualsivoglia errore di termodinamica XD 
Dopo una divertente introduzione che vede i nostri ragazzi passare una piacevole giornata al mare (ci teniamo a precisare che nella versione originale visitavano i ogni capitolo una meta diversa, che fossero paesini, città, si andava da Pisa a Volterra, ma diventava una normale storia di ragazzi, cadeva sul piano fantascientifico), ecco che Jim realizza ben due sogni: possiede una barca e visita un vascello spaziale. Che dire, non capita tutti i giorni! XD Kibernete si è risvegliata, ed è ora delle presentazioni, che dite? Al prossimo capitolo, e grazie a tutti coloro che ci seguono! Siete nei nostri cuori, eroi! ;-)
 
  
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