Capitolo
6
Poter lavorare insieme
«Brett, vorrei parlarti per quanto
riguarda il tuo rendimento», aveva detto l’uomo seduto di fronte a lui.
«Siediti pure», lo invitò poi, indicando una delle due sedie girevoli poste
davanti alla scrivania.
«Come vuole, direttore», obbedì lui,
un po’ sorpreso da tanto mistero. Kirkpatrik era così autoritario, in certi
casi, da metterlo in soggezione. Che ha che non va il mio rendimento?,
si chiedeva il giovane.
«Naturalmente, essendo tu uno dei
migliori studenti dell’istituto, siamo fieri di avere un allievo che raggiunge
simili risultati, ma vedi… E’ proprio per questo che sono tenuto, ahimè, ad
informarti di una nuova proposta proveniente da un’altra scuola», concluse lui.
Brett, se prima era sorpreso, ora era
confuso. Cosa sta cercando di dirmi?, si domandò, pur
avendo un sospetto. Quell’ “ahimè” non era granché rassicurante.
«Un’altra scuola?», chiese il
biondino.
«Esattamente. La Moon Academy, che ha
recentemente aperto, appunto, sulla Luna, offre un insegnamento di livello
superiore al nostro. E’ molto prestigiosa, anche se è operativa solo da pochi
anni. Quest’anno ha richiesto agli istituti come il nostro la collaborazione
degli studenti migliori, in questo caso tu, Brett. Il programma consiste
nell’integrazione di nuovi studenti, giovani e promettenti, ai loro corsi di
studio».
Brett era come imbambolato, le parole
sembravano essergli entrate da un orecchio e uscite dall’altro tanto era
rimasto incredulo.
«È un po’ come il programma di
orientamento che abbiamo adottato noi. La Moon Academy, in sostanza, ha chiesto
che tu, terminato questo anno in questa scuola, ti iscriva alla loro il
prossimo anno», concluse il direttore, notando che Brett era a dir poco sbalordito,
senza parole.
«Dovrei andarmene?», domandò, con lo
sguardo perso, come se d’un tratto gli fosse mancata la terra sotto i piedi.
Aveva un’opportunità unica, ma significava perdere i suoi amici.
«Se accetterai frequenterai la Moon
Academy, dovrai trasferirti sulla Luna insieme agli altri suoi studenti. Non ti nascondo che la possibilità di perdere un
allievo valido come te mi rammarica, ma si tratta di un’occasione unica per il
tuo futuro», spiegò. «Mi dispiace, Brett, te l’ho comunicato appena l’ho
saputo, ma hai fino alla fine dell’anno scolastico per decidere se accettare o
meno. Comprendo che il tempo non sia a tuo favore, ma ti prego di pensarci con
attenzione», concluse.
Mi
dimenticheranno. Li perderò tutti.
Brett si
svegliò di soprassalto, mettendosi a sedere e scoprendosi dalle lenzuola. Gocce
di sudore scendevano dalle tempie, rigandogli il viso, e un fastidioso senso di
soffocamento lo aveva portato ad ansimare, senza fiato. Aveva rivisto nei suoi
sogni la conversazione avuta con Kirkpatrik qualche giorno prima e non aveva
retto. L’agitazione era troppa. Era una decisione che sentiva di non poter
prendere, avrebbe voluto che qualcuno lo facesse per lui, imponendoglielo. Sarebbe
stato molto più facile.
Si portò una
mano alla fronte, nel tentativo di calmarsi.
«Brett, va
tutto bene?», gli domandò una voce rauca per il sonno, che poi il biondino
scoprì essere quella di Josh, disteso sul suo letto e nascosto dalle coperte.
Si sentì in
imbarazzo per essersi fatto vedere in quello stato dall’amico.
«S-Sì, credo
di aver sognato un’invasione aliena», azzardò, sperando di essere credibile.
«Beh, se hai
bisogno di qualcosa, chiama», gli rispose il moro, intuendo che probabilmente
qualcosa preoccupasse anche l’amico.
Brett annuì
e si rimise sotto le coperte, sperando di poter dormire almeno per un po’ senza
che la preoccupazione prendesse il sopravvento su di lui.
Quella
decisione gli avrebbe cambiato la vita.
ཉ
Josh era
appena riuscito a prendere un po’ di sonno, quando la sveglia del suo compagno
di stanza trillò insistentemente e fastidiosamente.
“Che due scatole…”,
pensò sbuffando, rigirandosi nelle coperte nel tentativo di scacciare quello
stridio, ben consapevole che però niente lo avrebbe fatto riaddormentare.
«Brett,
svegliati!», gli gridò poi, protestando e lanciandogli addosso il suo cuscino.
Almeno poteva degnarsi di spegnere la sveglia, no? Soprattutto in un traumatico
lunedì mattina, con l’unica consolazione positiva di aver finalmente tolto la
fasciatura alla mano.
«Ehi, che
modi sono?», gli chiese il biondo, arrabbiato, premendo finalmente il pulsante
che avrebbe fatto tacere quell’arnese infernale. Gli rilanciò il cuscino,
sbuffando. «Possibile che non ci sia un minimo di civiltà in te?», si lamentò,
alzandosi e dirigendosi verso il bagno. «Vado a fare la doccia», lo informò.
«Come ti
pare», rispose il moro, sbadigliando sonoramente, lieto tuttavia di potersi
godere un po’ di calma e tranquillità ancora avvolto dalle coperte. Si stupì di
riuscire quasi a dormire, quando un rumore lo svegliò nuovamente.
Qualcuno
doveva aver bussato alla porta. Si chiese chi potesse mai essere, visto
l’orario, ma non si lasciò pregare. Svogliatamente, per via della stanchezza,
si tirò su dal letto e si diresse verso la porta, scavalcando il piccolo
Fluffy, che ancora dormiva su un tappeto ai piedi del letto.
«Chi è?», bofonchiò,
con una mano davanti alla bocca per coprire uno sbadiglio eccessivamente
accentuato, poco prima di aprire, senza aspettare alcuna risposta.
Il suo cuore
perse un battito. Rimase notevolmente sorpreso nel vedere di fronte a sé, con
un braccio semialzato pronto a bussare nuovamente, la ragazza più bella che
avesse mai visto. Quel viso perfetto, quei buffi codini arancioni, quel velo di
trucco che le risaltava le labbra, quegli occhi belli da mozzare il fiato. Sembrava
già così raggiante e solare, ma forse solo lui riusciva a notare una certa
stanchezza in lei, per via dell’orario.
«Yoko, che…
Ci fai qui?», domandò, un po’ titubante. Indubbiamente non si aspettava di
trovarla lì, davanti alla porta di camera sua. Per un attimo gli sembrò quasi
di essere tornato alla normalità, quando lei li andava a cercare per qualcosa,
quando Josh poteva semplicemente stare con lei. Effettivamente, non ricordava
nemmeno l’ultima volta che l’aveva vista. Brian era arrivato ormai da una
settimana e lui non aveva più avuto occasione di restare con Yoko come accadeva
prima. Dopo il giorno di riposo per via del programma di orientamento e del
test che avevano sostenuto, le lezioni erano riprese regolarmente e purtroppo
Josh aveva dovuto sopportare la presenza di quel Brian Smith sempre accanto a
Yoko. Che fosse una lezione di chimica, di guida spaziale o di autodifesa, lui
le stava appiccicato. Il moro sopportava a malapena di restare con loro a
pranzo, obbligato più che altro dagli orari delle lezioni pomeridiane, ma quando
veniva sera, scappava dalla sua moto. Allo stesso modo si era comportato la
domenica, solitamente libera dalle lezioni e dalle missioni, salvo che queste
ultime fossero dei casi di emergenza. Poiché gli ultimi due esami teorici erano
stati anticipati a quella settimana, piuttosto che essere ben distribuiti su
entrambe le settimane che separavano gli studenti dalle vacanze, Josh aveva provato
insieme a Brett a studiacchiare qualcosa, ma ogni volta che ripensava alla
lezione, gli veniva in mente Brian seduto vicino a Yoko. Per gli esami pratici,
invece, i professori avevano deciso di raccogliere i dati rilevanti durante le
missioni e di esaminare soltanto quando l’esito era incerto. Almeno in quel
campo, Josh non aveva avuto problemi, a differenza di Brett, che sembrava
essere sempre più in ansia.
«I-Io…»,
cominciò lei, quando qualcosa la bloccò, impedendole di continuare a parlare. Attonita,
le sembrava impossibile ritrovare le parole, si sentiva come se non fosse in
grado di pensare.
«Yoko, ti
senti bene?», le domandò allora il moro, preoccupato.
«S-Sì, ma…»,
tentò di dire lei, indicando l’amico.
«Che…?», si
chiese, preoccupato di aver fatto una magra figura presentandosi ad aprirle la
porta ridotto chissà come. «Che c’è che non va?», le chiese allora, constatando
che era tutto a posto.
Non poteva
certo immaginare che quella vista avrebbe messo la giovane in difficoltà. Il
gran caldo che preannunciava l’arrivo dell’estate aveva costretto il moro a dover
fare a meno della maglietta.
«S-Sei a
petto nudo…», gli fece notare allora la ragazza, lievemente imbarazzata, con un
tono di voce che sembrava contrariato. Non che le dispiacesse, tutto sommato,
visto che l’amico era in ottima forma e che i pantaloncini chiari che indossava
mettevano in risalto la sua carnagione olivastra, ma la cosa la metteva
leggermente a disagio.
«Oh, giusto»,
rispose il giovane, voltandosi per cercare una maglietta. «Entra, intanto. Come
mai sei passata qui?», le domandò nel frattempo, con tutta la naturalezza del
mondo, come se fosse del tutto normale aprire la porta mezzi nudi.
“A cosa devo
questa visita inaspettata, soprattutto senza quell’inglesino che ti sta sempre
intorno?”, si domandò mentalmente il moro.
«Ehm… Si
tratta di tuo padre. Ci ha chiamati nel suo ufficio per una missione», lo informò
lei, sedendosi sul bordo del letto e accarezzando il piccolo Fluffy, mentre
Josh ancora cercava una maglietta, invano.
Improvvisamente
il giovane si diresse verso la finestra, situata sulla parete opposta a quella
dove si trovava la porta. La aprì, facendo finalmente entrare un po’ di luce
nella stanza, cosa che avrebbe facilitato la sua ricerca.
«Josh!», lo
chiamò allora lei, notando un particolare che le era sfuggito, forse per il
buio, nonostante sulla soglia non fosse riuscita a staccargli gli occhi di
dosso. «Sono giorni che la sera non ti presenti in mensa, quando sei con noi a
pranzo mangi poco e niente. Hai per caso deciso di smettere di mangiare!?»,
indagò, arrabbiata, già intuendo che l’amico stesse saltando i pasti.
«Che dici? Io
mangio eccome…», mentì lui, trovando finalmente una maglietta e infilandosela
il più in fretta possibile. Non poteva certo dirle che ogni volta che la vedeva
con Brian o che osava pensare a loro due insieme, gli si chiudeva lo stomaco.
«Non
mentirmi!», ordinò, scattando in piedi verso l’amico.
«Davvero…»,
disse, distogliendo lo sguardo dal suo. Non poteva mentirle guardandola negli
occhi.
«Josh,
davvero, se qualcosa non va o ti senti male, puoi dircelo…», lo rassicurò lei,
sinceramente preoccupata. Era abituata a vederlo mangiare porzioni enormi e a
non mettere su nemmeno un etto. Non che fosse diventato pelle e ossa, ma ora
che poteva farci caso lo vedeva un po’ più asciutto, e non vedendolo mai in
mensa non poteva non trarre le sue conclusioni.
«Non ho
nulla», insisté lui. Non voleva farla preoccupare inutilmente, del resto. Finse
di sistemare qualcosa nel consueto disordine che era tornato a crearsi
nonostante la pulizia di Fluffy di pochi giorni prima, per sembrarle naturale. «Comunque,
ti ha per caso detto di che missione si tratta?», chiese poi, cambiando
discorso.
«Ricerca e
raccolta di campioni di roccia spaziale, credo…», ci rifletté lei. «Beh, sai
com’è, per cominciare con i nuovi arrivati ci vogliono missioni semplici»,
concluse.
Certo, i
nuovi arrivati. Per un attimo Josh si era illuso che la missione fosse normale,
come tutte le altre, ma ora si rendeva conto che sarebbe stata la peggiore di
tutta la sua vita. Un leggero tocco lo sorprese, facendolo sobbalzare e
riportando la sua mente alla realtà. Yoko gli aveva preso la mano destra tra le
sue, esaminandola delicatamente, sfiorando con il pollice le nocche ancora
lievemente gonfie. Un dolce sorriso le illuminò il volto, era raro vederla
così. «Sembra essersi sistemato tutto», notò, contenta.
Quel lieve
contatto fece scorrere un brivido lungo la schiena di Josh, la dolcezza e la
naturalezza di quel piccolo gesto lo avevano stupito. Per qualche attimo non
riuscì a proferire parola, perdendosi semplicemente a guardare quanto la
ragazza fosse bella ed a chiedersi se quella premura significasse qualcosa.
«A-Ah… Sì,
tutto a posto», balbettò lui, incerto e con un certo distacco, ancora assorto.
Calò un silenzio imbarazzante, lungo attimi che parvero eterni. Lo sguardo di
Yoko incrociò quello di Josh e la sicurezza con la quale gli aveva preso la
mano sembrò vacillare. Arrossì appena, sentendosi come colta in flagrante.
«Devo andare
a chiamare Brian. Ci troviamo nell’ufficio di Kirkpatrik tra un quarto d’ora», si
affrettò a dire, lasciandogli la mano un po’ troppo bruscamente e deglutendo a
fatica. Fece un’ultima carezza a Fluffy prima di dirigersi verso la porta. «E
vedi di mettere qualcosa sotto i denti!», lo rimproverò poi, prima di chiudersela
alle spalle.
“Certo,
qualcosa sotto i denti. Come se fosse facile stare con quell’impiccione…”,
pensò Josh, buttandosi stancamente sul letto. Guardò per un breve istante la
propria mano destra, gli sembrava di sentire ancora il leggero calore delle
dita di Yoko sulla sua pelle.
Fluffy, ormai
svegliato dalle carezze di Yoko, si avvicinò al giovane, in cerca di altre
coccole, ma, notando l’espressione atterrita di Josh, emise uno dei suoi versi
cibernetici, con tono interrogativo e dispiaciuto.
Il moro posò
lo sguardo sul cucciolo e un sorriso, benché triste, gli si dipinse sul volto
nel notare che qualcuno, lì, si era accorto che qualcosa non andava e si
preoccupava per lui.
«Dobbiamo
riconquistare Yoko, piccolo Fluffy», gli confidò a bassa voce, per non essere
eventualmente udito da Brett, mentre gli dava un buffetto affettuoso sulla
testa.
ཉ
Non era
servito il rumore insistente della sveglia, erano bastati gli innumerevoli
pensieri che disturbavano la sua quiete per destarlo dai proprio sogni. Si era
rassegnato, prendendosi il volto tra le mani e rimuginando su quanto successo
negli ultimi giorni.
C’era un
motivo se lui e Josh erano partiti con il piede sbagliato, e lui se n’era
accorto fin dal primo momento in cui l’aveva visto. No, in effetti non ci
voleva un genio per capirlo, ma lui aveva immediatamente notato quanto Josh
fosse attaccato a Yoko. E dopo il loro scontro, il giorno successivo, ne aveva
praticamente avuto la conferma. Il fatto che il giovane Kirkpatrik avesse i
nervi così a fior di pelle non poteva che suggerirgli di non essere una
presenza gradita, per lui, e Yoko non poteva che esserne la ragione. Gliela
stava soffiando da sotto il naso, e Josh non sembrava il tipo da mettersi in
mezzo, visto che spariva ogni volta che ne aveva l’occasione. Che codardo,
pensò. Ma, in effetti, gli faceva comodo un tipo così. Sarebbe stato molto più
semplice allontanare Yoko da lui. In fondo, Josh aveva avuto tutto il tempo che
voleva per dichiararsi a Yoko, ma non l’aveva fatto. Aveva perso il treno,
mentre lui non avrebbe perso quell’occasione. Non avrebbe mollato la presa su
Yoko tanto facilmente, non ora che quella ragazza gli sembrava sempre più
adatta a lui. Quando l’aveva accompagnata al provino aveva temuto che tra i due
ci fosse qualcosa, o che ci fosse stato in passato, ma quando glielo aveva
domandato, Yoko aveva immediatamente smentito, il che non poteva che dargli
sicurezza. Il fatto che avesse deciso di farsi accompagnare da lui e non dai
suoi compagni di team gli suggeriva che qualcosa stava minacciando il loro
equilibrio.
Sussultò
quando qualcuno bussò improvvisamente alla porta di quella piccola camera mezza
spoglia.
«Brian, sono
io. Il direttore ci vuole nel suo ufficio».
Il giovane
riconobbe immediatamente la voce di Yoko ed il cuore perse un battito.
ཉ
Un quarto
d’ora esatto. Brett si stupì della puntualità di Josh, mentre della sua invece
non c’era proprio nulla di cui stupirsi. Piuttosto, era il ritardo dell’amica a
lasciarlo perplesso.
«Come mai
Yoko ci mette tanto?», si chiese il biondino ad alta voce.
«Andava a
chiamare Brian», lo informò Josh, per nulla contento a quell’idea, sforzandosi
di non lasciar incrinare la voce al pronunciare quel nome.
Stavano
entrambi con la schiena appoggiata alla parete, aspettando di poter finalmente
bussare alla porta del direttore. Aspettando l’arrivo di Yoko.
Poi una
sonora risata li riscosse dai loro pensieri. Quando alzarono lo sguardo videro
i due compagni dirigersi verso di loro, ancora a metà corridoio. La ragazza
stava ridendo di gusto, accompagnata da Brian.
«No, non ci
credo», diceva lei.
«Te lo
giuro!», continuava ad insistere lui, ridacchiando.
«Non è
possibile!», rise ancora la giovane, dandogli una leggera spinta sul braccio,
continuando a ridere come una matta.
Probabilmente
Brian le aveva raccontato un qualche divertente aneddoto, tanto divertente da
far quasi impazzire la ragazza dalle risate. Josh non l’aveva mai vista ridere
così, gli fu inevitabile pensarlo. Erano sempre in missione, sempre insieme, e
si divertivano. Eppure gli sembrò come se fosse la prima volta che le sentiva
una risata così spontanea. Gli faceva male pensare che non fosse lui a farla
divertire a quel modo, ma Brian. Sembrava una cosa così stupida, eppure era più
forte di lui.
«Finalmente
siete arrivati!», esclamò Brett, con un sorriso a trentadue denti, contento di
poter entrare nell’ufficio del direttore senza dover tardare oltre.
«Scusateci,
ma non mi aspettavo una sveglia così presto. Yoko mi ha dovuto aspettare»,
ammise, con una mano dietro la nuca e un sorriso un po’ imbarazzato.
Sembrava
così sincero, quel ragazzo, che quasi Josh si sentì in colpa per aver pensato
tutte quelle cose su di lui. Poi, però,
lo sguardo che gli rivolse lo fece tornare sui suoi passi. Sembrava quasi
volesse dirgli “non vedi come sta bene con me?”, ma poi la voce di Kirkpatrik
che li invitava ad entrare lo riscosse da quei pensieri.
«Bene,
ragazzi», annunciò. «Sono felice di potervi assegnare la vostra prima missione
insieme».
«Non vedo
l’ora», si lasciò sfuggire il piccolo Brett, ringraziando di potersi distrarre
in qualche modo, mentre gli altri, a quella reazione, avrebbero semplicemente
pensato che il giovane secchione fosse in astinenza da missioni.
«Come diamine
fai a esserne così contento?», commentò Josh a bassa voce, ma venne preso in
considerazione soltanto dal biondino che, in risposta, gli fece la linguaccia.
«Andrete sul
pianeta Mehrin 8, dove raccoglierete qualche campione di roccia spaziale. È una
missione semplice, ma sapete ormai perfettamente che non vanno prese alla
leggera», spiegò il direttore rivolto ai ragazzi, mentre accendeva di fronte a
sé un apparecchio che riproduceva un ologramma tridimensionale del pianeta sul
quale si sarebbero dovuti dirigere. «Ecco le documentazioni», continuò,
porgendo loro una busta marrone contenente le descrizioni delle varie rocce da
raccogliere e catalogare.
«Beh, ma
dimmi, Brian, come ti trovi?», gli chiese poi, rivolgendogli un grosso sorriso.
«Oh,
benissimo, direttore», rispose il giovane, ricambiando il sorriso e spostandosi
appena verso Yoko, quel tanto che bastava per sfiorarla appena con il braccio e
per provocarle un tenue rossore sulle guance.
Angolo dell’autrice
Dio
mio, un ritardo imperdonabile!!! Scusatemi davvero, ammesso che sia rimasto
qualcuno a seguire, ma l’università mi sta rubando l’anima! Tornando a noi, so
che probabilmente dopo la mia assenza vi sareste aspettati di meglio, ma non
potevo davvero promettere di più. Termina un po’ così, ma almeno con l’inizio
del capitolo abbiamo capito cosa davvero sia accaduto a Brett. Sceglierà la
Moon Academy (completamente inventata, scusate la scarsa fantasia) o rimarrà al
Galaxy? Che dire poi degli altri? Brian sembra intenzionato più che mai ad
allontanare Yoko da Josh, mentre quest’ultimo sta sulle sue. E Yoko? Ancora non
ha chiara la situazione… Tempo permettendo, spero di aggiornare presto la fic,
ci sono ancora davvero troppe cose da far succedere.
Un
enorme grazie a tutti coloro che leggono e/o hanno letto, a piccola_boss e Rimiesse per aver recensito (scusatemi, spero ci siate ancora) e a
tutti quelli che leggeranno in futuro!
Alla
prossima, un bacione a tutti!!
WolfEyes