Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: Ecila2000    23/04/2016    2 recensioni
-Allora è vero- esclamò lei continuando a osservare il giovane uomo.
Era alto, slanciato e il suo aspetto era assolutamente affascinante.
Completamente in nero e con un paio di guanti bianchi, Sebastian Michaelis guardava col cipiglio alzato la giovane donna che se ne stava tranquilla a sette metri da terra sul ramo di un albero.
-Non capisco Milady, di cosa parlate?- chiese il mero maggiordomo, senza muoversi di un millimetro e mantenendo un sorriso cordiale.
-Che Ciel Phantomhive ha stretto un patto con lei, signor Michaelis, un demone-corvo- disse malignamente la bionda.
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Quanti di voi hanno visto finire la seconda stagione e hanno sentito l'amaro in bocca per la triste fine che fa Sebastian? Fregato dalla propria preda, che misera fine per un demone-corvo.
Ebbene, questa fanfiction da un po' di svolte in più alla storia che molti amano.
Se vi ho incuriositi, buona lettura!
Genere: Azione, Sovrannaturale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciel Phantomhive, Nuovo personaggio, Sebastian Michaelis, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Undertaker





«Miss Diana? Siamo arrivati» disse all'orecchio della ragazza il mero maggiordomo, scuotendola leggermente.
La ragazza aprì lentamente entrambe le palpebre, sentendo ancora la debole morsa di Morfeo che cercava di tenerla tra le sue spire inutilmente.
Si accorse distrattamente di avere entrambe le mani in grembo al demone e quando le tolse, sfiorò per puro caso il cavallo di Sebastian.
Molto dotato, il demone… pensò lei con una nota maliziosa, ma subito si soprese ancora una volta dei suoi stessi pensieri verso quella bestia demoniaca.
Il maggiordomo sembrò non accorgersene e le lasciò qualche minuto per riprendersi dal sonno, ma poi si allungò nuovamente verso il suo volto e appoggiando la propria guancia contro quella di lei sussurrò:
«Spero avremo tempo per approfondire Miss, credo lo troverebbe piuttosto… Passionale» e scese dalla carrozza lasciandola basita.
«Le lascio il compito di svegliare il padroncino e di accompagnarlo a cercare le informazioni sui bambini.
Io cercherò da un'altra parte» e scomparve.
Diana guardò per qualche minuto il punto in cui il demone era sparito, paralizzata dallo sconvolgimento e con Chaplin che, sulle sue gambe, si contorceva, preda di un sogno piuttosto movimentato.
Il demone… Si era augurato… Di… Avere… Rapporti sessuali… Con… Lei?
Si diede innumerevoli schiaffetti sulle guance dandosi della stupida e della patetica.
Ricordava e sapeva di avere un'indole piuttosto spinta che le permetteva di essere sciolta in ogni genere di discorso con gli uomini e non era la prima volta che lei sfiorava l'argomento con Michaelis, ma sentirgli dire così apertamente che l'avrebbe volentieri fatto con lei, le aveva attaccato addosso un retrogusto di ansia e… Desiderio.
L'aveva fatta sentire come una ragazzina che veniva corteggiata per la prima volta da un bell'uomo… Un'altra cascata di schiaffetti calò sulle sue guance e quando iniziarono a bruciarle per davvero una voce la distrasse dal suo supplizio volontario.
«Madre...» chiamava la voce di Ciel da dietro le sue spalle con sofferenza e mancanza.
«Padre...» disse ancora con tristezza cominciando a contorcersi su se stesso in preda ad un incubo.
«Madre! NOO!» urlò il bambino e calde lacrime fuoriuscirono dall'occhio scoperto, mentre le altre venivano raccolte dalla benda sull'altro occhio e solo allora Diana si riscosse e, rischiando di uccidere Chaplin, si alzò dalla sua postazione e andò a scuotere il suo padrone.
«Ciel! Ciel! Svegliati!» e lui aprì il suo occhione blu come il mare e come lo zaffiro e in quell'iride lei vide la disperazione e la paura che stavano lentamente consumando l'anima del giovane conte.
E ne ebbe compassione.
Ma Ciel Phantomhive non aveva bisogno della compassione di nessuno e si scansò dalla presa della ragazza sistemandosi sul capo la tuba abbandonata vicino a lui.
«Ti ricordo, Miss Diana, che ora io sono il tuo signore, perciò mi devi portare rispetto» disse con tono gelido.
Lei rimase congelata da tanta freddezza e quando si riscosse fece un inchino imbarazzato e a testa china esalò: « Yes, My Lord» per poi scendere dalla carrozza.
Aspettò appoggiata con la schiena contro un lato della carrozza, il viso rivolto al nuvoloso cielo inglese.
Faceva freddo, lo capiva dalle nuvolette di vapore che uscivano dalle sue labbra, ma grazie alla giacca di velluto che Mey-Rin le aveva regalato non ne risentiva.
Chaplin si era di nuovo addormentato tra le sue braccia, dopo aver manifestato il suo malcontento per il trattamento di poco prima mordendole un dito.
I capelli di Diana erano legati in un elegante treccia laterale che le pesava sulla spalla e le ricadeva sul seno sinistro e il nuovo abito di velluto verde le teneva caldo insieme alla giacca.
Quando il ragazzino scese finalmente dalla carrozza, la guardò e le chiese dove fosse finito Sebastian.
«Ha detto di avere un compito da svolgere e mi ha incaricato di svegliarla e di accompagnarla a cercare informazione sui bambini scomparsi» rispose lei staccandosi dalla carrozza e infilando il gattino ormai sveglio dentro il cappuccio.
«Stupido demone, avrebbe dovuto aspettare i miei ordini! Sarà andato da Scotland Yard a cercare informazioni sul caso… Mfp, muoviamoci, dobbiamo andare da Undertaker» dichiarò infine Ciel e, dopo aver fatto un cenno al cocchiere, risalirono entrambi.
Il tragitto fu silenzioso e fece crescere in Diana un odio così immenso da farle venire voglia di bruciare tutte le carrozze presenti sulla faccia della Terra.
Quando arrivarono a Londra quasi non ci credeva e, scendendo da quel mezzo infernale, ebbe quasi la tentazione di baciare il terreno.
L'ultima volta che era stata da Undertaker era ferita e bisognosa di cure.
Ora ci tornava vestita elegantemente e al servizio di un conte.
La situazione si era leggermente bilanciata a suo favore, solo leggermente.
Aprirono la porta e entrarono nell'ambiente oscuro, prima che qualcuno notasse il conte Phantomhive entrare nel negozio di un becchino.
Non videro subito il proprietario della bottega, ma sentirono la sua risatina spandersi per l'ambiente.
Ciel non reagì affatto allo scherno dell'individuo ancora invisibile, Diana si guardò intorno confusa e Chaplin soffiò timidamente per poi nascondersi ancora più a fondo nel cappuccio.
Sentirono un bussare cupo, poi un battito improvviso che li fece sobbalzare.
Diana arrivò a sentire le unghiette del gattino tirare il velluto per lo spavento.
Una bara poggiata in un angolo si era aperta, il coperchio in legno scuro era a terra, la nube di polvere andava spandendo, per poi diradarsi poco dopo e dalla bara videro uscire un uomo completamente vestito di nero che, sorridendo, disse:
«Oh, conte! Che piacere rivederla! È venuto a scegliere la sua bara?»
«Sono felice di deluderti, Undertaker, ma non sono qui né per scegliere né per provare una bara» rispose il ragazzino al curioso proprietario del negozio.
Erano passati pochi giorni da quando lui e Diana avevano conversato e lui era sempre lo stesso: i lunghi capelli d'argento che gli coprivano il volto erano luminosi e di un candore quasi surreale in un posto del genere e il volto, piagato dalla lunga cicatrice, mostrava un ghigno beffardo e cupo.
La lunga tunica nera e il cappello nero erano sempre al loro posto, sporchi di terra e malandati, e le sue unghie nere e lunghe sembravano pronte a incidere qualsiasi superficie che avessero accarezzato.
«Ah! Miss! Che piacere rivederla ancora viva! È lei che è interessata a comprare una bara? Il legno è ottimo e le assicuro che non le asporterò nessun organo… Biscotto?» e le porse una scatola con dentro dei biscotti a forma di ossa.
La bionda rifiutò gentilmente entrambe le offerte e accettò invece una tazza di thè, che però si guardò bene dal sorseggiare, notando la polvere non bene identificata che galleggiava sulla superficie della bevanda.
Diana si sedette su una bara e, tenendo il barattolo che fungeva da tazza in grembo, si guardò intorno.
L'ambiente che la circondava era piuttosto buio, illuminato solamente da alcune candele che proiettavano lunghe ombre contro le pareti umide e chiazzate dallo sporco.
Il giovane conte, con un'agilità sviluppata con l'abitudine, salì su una delle bare e appoggiò affianco a sé il suo bastone da passeggio.
«A cosa devo questa visita se non è riguardante le mie bare?» domandò con un sorrisino il becchino, sgranocchiando poi allegramente uno dei suoi strani biscotti.
«Informazioni… Informazioni sul caso dei bambini scomparsi» rispose il conte mentre picchiettava nervosamente un dito sul legno.
«Sapete bene qual è il prezzo per tale servizio» e a Ciel venne la pelle d'oca.
Oh, eccome se lo sapeva, era da quando erano partiti per ranggiungere quel negozio che non faceva altro che pensarci.
Sospirando, si fece si coraggio e rispose: «Si, lo so bene. Non posso lasciare questo ingrato compito a una signora: sono prima un gentiluomo e poi un conte.
Miss Diana, aspettami fuori» e, dopo essersi tolto il cappotto, iniziò ad alzarsi le maniche della camicia.
«Bocchan non è il caso, posso farlo comunque io...» iniziò la ragazza, ma il giovane alzò una mano ancora guantata e, guardando il negoziante che era già sul punto di scoppiare a ridere, disse con voce gelida: «È un ordine!» e la ragazza dovette sottostare al comando.
Uscita dalla bottega, fece uscire Chaplin dal cappuccio e lo lasciò inseguire qualche topolino che si aggirava per quelle strade secondarie.
Un altra sigaretta fu accesa e mentre sbuffava fumo grigio come il cielo, i suoi pensieri si concentrarono sull'unica persona che avrebbe dovuto rifuggire come la peste nera.
Ma perché i suoi pensieri tornavano sempre sul demone?
Perché? Perché i suoi occhi cremisi la mettevano in soggezione?!
Era un demone! Perché si sentiva attratta da lui?
Forse perché era dannatamente attraente?
Forse perché la sua eleganza lo rendeva una preda appetibile e un terribile predatore?
Forse perché la sua misteriosità la incuriosiva oltre ogni dove?
Quanto avrebbe voluto poter cancellare dalla propria testa tutti i pensieri spinti che si era fatta su di lui.
Mentre rifletteva aveva seguito senza pensarci il gattino che, attirato da qualcosa, si era infilato in un vicolo.
Mentre allontanava la sigaretta dalle labbra un paio di mani la agguantarono, tappandole la bocca e stringendole i fianchi.
«Hey bambolina, adesso noi tre ci divertiamo» disse un altro omone uscendo dall'ombra e avvicinandosi ai due appiattiti contro un muro.
Con il mozzicone ancora acceso bruciò una mano al tipo che la teneva il quale, preso in contro piede, la lasciò e lei potè vederlo in volto.
Si guardarono per pochi secondi, in cui la mente di lei si sforzò in tutti i modi di capire chi diavolo era la persona che aveva davanti.
Le sembrava di conoscerlo, ma non capiva dove potesse averlo già visto.
Poi però un'immagine: lei in un bosco mentre passeggiava, qualcuno che l'aggrediva, un combattimento uno contro quattro, un coltello e sangue e lei ricordò dove l'avesse visto.
Rabbia, paura e angoscia le annebbiarono la mente e non riuscì più a muoversi, diventando infine un fantoccio tra le mani dei due uomini.
Il suo cervello era andato in blackout totale e stava cercando di andare incontro alle emozioni che lo stavano travolgendo.
I due uomini colsero il momento di debolezza e allungarono le mani sulla ragazza.
Chaplin era corso dai due e aveva iniziato a graffiare le caviglie a entrambi, per poi venir scaraventato contro un muro dal calcio di uno di loro.
Il cappotto di velluto finì per terra e i primi bottoni del vestito vennero strappati.
E per la seconda volta quest'uomo si prende il diritto di sfruttare il mio corpo pensò lei senza rendersene conto.
Quando infine accettò che fosse arrivata la fine chiuse gli occhi, non volendo vedere lo scempio che avrebbero fatto del suo corpo.
Uno spostamento piuttosto veloce dell'aria e il suono della carne che veniva lacerata le fece spalancare gli occhi.
Un coltello da lancio di acciaio lucidissimo si era piantato nella spalla dell'uomo che la teneva e un altro trapassò il collo di quello davanti a lei.
Schizzi di sangue le arrivarono in faccia e lo sgomento le si dipinse sul volto.
Dall'alto di un edificio un ragazzo vestito di nero e di bianco con un gesto simultaneo lanciò un altro coltello e centrò in pieno anche l'altro uomo che cadde a terra lasciando la ragazza.
«Stai bene?» urlò il ragazzo non scendendo.
Diana annuì ancora sconvolta e sentì le gambe cederle, dopo tutta l'adrenalina che l'aveva tenuta cosciente.
Scivolò contro il muro e si sedette accanto ai cadaveri, vedendo il sangue macchiarle l'abito e Chaplin che le gattonava velocemente in braccio, incurante del liquido cremisi.
La bionda alzò ancora una volta lo sguardo non trovando più il ragazzo a guardarla, ma voltato e pronto ad andarsene.
«Grazie!» gridò lei e il giovane, voltandosi, le sorrise, per poi saltare giù dal palazzo e scomparire.







Angolino (non meritato) autrice

GOMEN NASAI!!!!!!!
Lo so che vi ho fatto aspettare tanto e mi dispiace tantissimoooooooooo!!! :'(
Solo che mi sono impallata con dei cantanti metal e non facevo altro che pensare a loro o a Another (lo si può notare dal coltello nel collo XD).
Comunque che ne pensate? Vi piace? E l'entrata scenica di Dagger? Fatemi sapere subito se avete già pensato a qualche ship o se ne avevate già qualcuna che amavate particolarmente in un commentino piccolo piccolo ;).
Vi aspetto in tanti!
Al prossimo capitolo ! (Si spera presto)
Bacioni,
Alice <3

  
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