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Autore: Sandra Prensky    23/06/2016    3 recensioni
ATTENZIONE: Non è una traduzione del libro "Black Widow: Forever Red". Avendolo letto, mi sembrava che ci fosse troppo poca attenzione su Natasha, e allora ho deciso di riscriverlo con tutta un'altra trama.
Natalia Alianovna Romanova, Natasha Romanoff, Vedova Nera. Molti sono i nomi con cui è conosciuta, molte sono le storie che girano su di lei. La verità, però, è una questione di circostanze. Solo Natasha sa cosa sia successo veramente nel suo passato ed è ciò da cui sta cercando di scappare da anni. Quando sembra finalmente essersi lasciata alle spalle tutto, ecco che scopre che la Stanza Rossa, il luogo dove l'hanno trasformata in una vera e propria macchina da guerra, esiste ancora. Solo lei, l'unica Vedova Nera traditrice rimasta in vita, può impedire che gli abomini che ha visto da bambina accadano di nuovo. Per farlo, però, dovrà immergersi nuovamente nel passato che ha tanto faticato a tenere a fondo, e sarà ancora più doloroso di una volta: tutta la vita che si è costruita allo SHIELD, tutte le persone a cui tiene sono bersagli. Natasha si ritroverà di nuovo a dover salvare il mondo, affrontando vecchi e nuovi nemici e soprattutto se stessa.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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VI.

 

She’s not the kind who needs saving,

she became her own knight

in shining armour,

she forged her own sword,

and put on her own armour,

she stepped into the flames

with no fear of burning,

she carried the weight of the world

when no one asked her to.

She became more than a saviour.

She became her own hero

-And you know heroes make the best legends

(Anonymous)

 

Russia, 1935

 

Natalia tirò fuori la forcina che aveva nascosto sotto il cuscino, rubata qualche giorno prima da una compagna con i capelli eccessivamente ribelli. Armeggiò per un po’ con la toppa delle manette che la tenevano incatenata al letto, fino a quando la sentì cedere. Sgattaiolò fino alla parte opposta della stanza, dove vi era una botola adibita a gettarvi i vestiti sporchi. Per il quindicesimo giorno di fila, la aprì e vi si infilò, ringraziando ancora una volta di essere così minuta, puntando i piedi sul metallo e lasciandosi scivolare piano. Fortunatamente di notte non lasciavano nessuno a controllo dell’uscita, e ancora più fortunatamente la palestra era di fianco alla lavanderia. Era abbastanza sicura che le guardie fossero perfettamente a conoscenza delle sue gite notturne, ma la lasciassero fare in parte per negligenza e in parte perché non vedevano niente di male nel fatto che lei si andasse ad allenare un po’ di più, purché non tentasse di scappare. Una volta arrivata, si fasciò le mani come aveva visto fare a diversi istruttori e iniziò a prendere a pugni un sacco da boxe che pendeva in un angolo. A due settimane prima dell’incontro che avrebbe deciso chi sarebbe rimasta in vita, Natalia sapeva perfettamente di non avere speranze dal punto di vista fisico. Aveva deciso di giocare sull’astuzia. Nelle precedenti settimane, aveva osservato le altre allenarsi. Aveva studiato ognuna di loro, i loro punti deboli e i loro punti di forza, i colpi vincenti e quelli fiacchi, aveva studiato come avevano la meglio sulle avversarie. Rimanendo così nascosta, non solo aveva avuto modo di conoscere lo stile di ogni ragazzina, ma era anche riuscita a fare in modo che le altre non si accorgessero e quasi si dimenticassero di lei, senza contare che nessuna sapeva come lei combattesse. Purtroppo per lei, però, non aveva grandi assi nella manica su quel lato, e allora era costretta ad allenarsi da sola ogni notte, cercando di mettere su un po’ di muscoli e accumulare un po’ di forza, ripassando le tecniche che avrebbe usato su ogni ragazzina. Le nocche già iniziavano a bruciarle quando sentì il rumore della porta che si apriva. I riflessi allenati dal tempo passato lì, si fermò immediatamente e si nascose dentro il primo armadio che trovò, stretta tra diversi attrezzi sulla quale dubbia origine non voleva indagare. Sebbene avesse il sentore che le guardie sapessero che lei si trovava lì, non ne aveva la certezza. In più, era la prima volta che qualcuno entrava in palestra durante la notte, non poteva essere niente di buono. Respirando il poco necessario per avere aria nei polmoni, sperò vivamente che fosse solo un normale controllo e che non fossero lì per lei. Aspettò di sentire altri rumori, sperando di essere l’unica a udire i battiti del cuore che minacciava di scoppiarle in petto. Seguirono diversi lunghi secondi di silenzio surreale. Natalia aveva la sensazione che ogni secondo i suoi nervi avrebbero ceduto. L’aveva fatta franca una volta, ma nessuno sfugge due volte alle punizioni della Stanza Rossa. Sentì la porta dell’armadio cigolare, sinistra, e prima che lei avesse anche solo il tempo di prepararsi a uno scatto, l’uscita era bloccata dal corpo di Ivan Petrovitch Bezukhov. La bambina alzò gli occhi su di lui, cercando di nascondere la paura nel proprio sguardo, tradita però dal tremare del suo corpo. L’uomo stava stranamente sorridendo. Le tese la mano, per aiutarla ad alzarsi e uscire, ma lei era troppo insospettita per accettarla. Si alzò da sola e aspettò che lui si facesse da parte per uscire. Non aveva più senso scappare ormai, lo sapevano entrambi. Ivan abbassò lo sguardo sulle mani fasciate della ragazzina e poi lo spostò sul sacco da boxe ancora traballante.

-Allora, vedo che a qualcuno non bastano gli allenamenti di giorno.- La sua voce era calma, come se stesse parlando del meteo. -Eppure, di giorno non tocchi attrezzo. Vi osservo, sai, anche se non potete vedermi... Vuoi spiegarmi il perché di queste gite, mentre potresti benissimo evitartele combattendo di giorno, con tutte le altre?

Natalia lo fissò in silenzio, indecisa sul da farsi.

-Guarda che non ho intenzione di ucciderti.- La incoraggiò lui dopo un po’.

-C’è troppa coda per i ring, signore.- Nel dubbio, meglio mentire. Non era saggio rivelarle dei suoi piani, non era nemmeno completamente sicura che fossero ammessi.

-Troppa coda, mh? Interessante.- Annuì, guardandosi intorno come se stesse pensando a tutt’altro.

-Sì, signore. Ci sono troppe ragazze e troppi pochi posti, le più piccole vengono lasciate per ultime e le grandi combattono per troppo tempo. E poi...- Lui la interruppe con un gesto della mano.

-D’accordo, abbiamo capito che sai mentire bene. Devi ancora lavorare su un paio di dettagli, ma quello non sarà un problema, se sopravvivi a questo mese. Ora, qual è la vera ragione della tua presenza qui di notte?

La bambina lo squadrò, diffidente. Lui sospirò.

-Natalia, fai bene a non fidarti di nessuno qua dentro. Ma puoi fidarti di me, non sono come loro. Non ti farò del male.

Qualcosa nella sua voce la convinse, le diede un po’ di speranza a cui aggrapparsi. Era una tentazione troppo forte dopo tutti quei mesi in cui quasi non aveva parlato con nessuno. Forse non era sola lì dentro, forse aveva ancora qualcuno dalla sua parte. Gli raccontò del suo piano, di come stava osservando le altre ragazze, di come conoscesse tutti i loro punti deboli. Lui la ascoltava interessato. Quando ebbe finito, sul viso di Ivan si contornò un sorriso quasi orgoglioso.

-Sapevo che avevi in mente qualcosa. Non mi sbaglio mai sulle persone. Sei sveglia, per avere solo sette anni...- si fece all’improvviso più serio. -Ma allenarti con quel sacco da boxe non ti basterà. Come ti ho detto, ho assistito agli allenamenti e credimi che molte di loro sono particolarmente forti. Anche se conosci i loro punti deboli, devi essere in grado di assestare bene i colpi, soprattutto adesso che non potete ancora usare le armi.

Detto ciò, le diede le spalle e si tolse la giacca. Si avviò verso uno dei ring, fischiettando, poi si girò accorgendosi che la bambina lo stava ancora fissando da lontano.

-Beh, intendi stare lì impalata tutta la notte? Abbiamo solo due settimane, dobbiamo darci da fare.

Riscuotendosi, la ragazzina si affrettò verso il ring. Ivan sorrise e si mise in posizione di combattimento.

-Bene, Natalia. Vediamo di fare di te una Vedova Nera.

 

Two weeks later

 

Natalia non riuscì a chiudere occhio fino a quando, al mattino, arrivarono a slegarle dai letti e a porre fine alla sua notte di ansia e di continuo girarsi sotto le coperte. Quella notte non era andata in palestra, ordini di Ivan. Se era stato per farla riposare, beh, non era servito. Uscì dal letto e seguì le altre verso i bagni, camminando rigidamente. Sentiva ogni fibra del suo corpo impregnarsi di tensione. Sperò che una volta sul ring si trasformasse in adrenalina. Più si era avvicinata quella mattina, più la verità si era fatta strada dentro di lei e le era parsa chiara: quel giorno sarebbe potuta morire, se non avesse giocato bene le sue carte. Compié tutte le azioni in maniera meccanica e senza nemmeno accorgersene si ritrovò a fare colazione. Si costrinse a ingoiare il pane, sperando che le rimanesse nello stomaco, in modo da avere quanta più energia potesse accumulare. Si alzò e seguì le altre verso la palestra. Le osservò, mentre camminavano. All’apparenza erano tutte tranquille, ma a un occhio più attento non sfuggivano i segnali del fatto che lei non era stata l’unica ad avere una notte lunga. Vedeva unghie morsicare fino a far sanguinare la pelle, occhi gonfi o cerchiati, labbra piene di morsicature. Finalmente, arrivarono alla palestra. Tutti gli attrezzi e postazioni di allenamento erano spariti, lasciando solo i ring ben visibili nella stanza, ai quali se n’era aggiunto uno più grande al centro. Le ragazze vennero disposte in fila, tutto nel silenzio più tombale. La tensione era palpabile nell’aria, i muscoli di tutte erano tesi al massimo e si udivano diversi respiri spezzati. D’altronde, erano in cinquanta. In poche ore quaranta di loro sarebbero state concime per il giardino dei medici della Stanza Rossa. Rimasero ferme senza quasi emettere un fiato per diversi minuti, sotto l’occhio degli allenatori che avevano tutta l’aria di godersi lo spettacolo, fino a quando Ivan fece il suo ingresso nella stanza e si fermò davanti a loro, con aria solenne. Le osservò, una per una, fermandosi qualche secondo in più su Natalia, e poi sorrise. Spiegò loro velocemente le regole: sarebbero state divise in cinque gruppi, uno per ring, di dieci persone l’uno, a seconda della loro statura, peso ed età. Ogni gruppo sarebbe stato a sua volta scisso in due turni da cinque persone. Per vincere si doveva uccidere l’avversaria. Chi rimaneva in vita aveva l’obbligo di rimanere ferma e aspettare l’avversaria seguente. Alla fine, ne sarebbero rimaste in vita due per gruppo, le vincitrici e coloro che sarebbero state parte del progetto Vedova Nera. Sorrise nuovamente, augurò loro buona fortuna e si mise in disparte, allegro come se al posto di aver appena spiegato come quaranta di loro sarebbero morte di lì a poco avesse spiegato le regole degli scacchi. Un allenatore arrivò per dividerle dei cinque gruppi. Natalia ovviamente era nel gruppo delle più piccole, anche se risultava esile pure tra loro. Non fece nemmeno in tempo a controllare chi fossero le sue rivali che già un altro allenatore le aveva condotte al ring e divise ancora per cinque. Presero le prime cinque e un allenatore portò Natalia e le altre in una piccola stanzetta lì vicino, in modo che non vedessero gli altri incontri e prendessero idee dalle compagne. Natalia sospirò e si lasciò scivolare contro il muro. Avrebbe dovuto concentrarsi e studiare le sue vicine, ma non riusciva a pensare normalmente e faceva fatica a respirare. Chiuse gli occhi e quando li riaprì, dopo quelli che a lei erano parsi solo pochi attimi, le stavano già portando fuori per il secondo turno. Quattro del suo gruppo erano già morte. Si maledisse per non avere studiato le sue compagne. Ora avrebbe dovuto elaborare una strategia sul momento. Per poco non si accorse dell’allenatore che la stava chiamando sul ring.

-Forza rossa, non ho tutto il giorno.

Era la prima. Aveva sperato di essere chiamata per ultima, in modo da avere più speranza di sopravvivere e non essere costretta a uccidere quattro persone. Entrò sul tappeto rosso, coperto da una sostanza viscosa che non poteva essere che sangue. Il suo odore metallico la fece tornare in sé. Doveva farcela, non poteva morire. Non voleva, non così, non il quel posto, non in quel momento. Non davanti a Ivan. Si fece forza e squadrò la sua avversaria. Era impallidita, ma sembrava determinata anche lei. Capelli biondi, occhi marroni, piccolo neo sul mento, lievemente più alta di lei. Se la ricordava. Sferrava un sacco di colpi in poco tempo, ma non era capace a gestire la difesa delle proprie gambe. Doveva colpirla lì. Sentì un fischietto suonare. La sua avversaria mosse verso di lei e fece per tirarle un pugno, che lei evitò per un pelo. L’altra non demorse e continuò a mirare la sua faccia, fino a quando riuscì a colpirla sulla mandibola. Natalia barcollò all’indietro, cercando di tenere l’equilibrio, mentre l’altra l’attaccò nuovamente e mandò a segno un altro colpo, facendola cadere. Sentì gli allenatori ridere, probabilmente si aspettavano la sua morte in breve tempo, probabilmente l’avevano mandata per prima in modo da liberarsi di lei in fretta e vedere dei “veri” combattimenti. La rossa cercò di rialzarsi, ma vide la sua avversaria mirare la sua faccia con un calcio, presumibilmente nell’intento di finirla così. I riflessi di Natalia però non la tradirono. Afferrò la scarpa dell’altra, bloccando il suo colpo, e da terra le tirò un calcio sulla gamba non in sospensione, facendola cadere prona. Le risate degli allenatori cessarono. Prima che avesse tempo di fare niente, Natalia era già seduta sulla sua schiena, usando il suo peso in modo che si dimenasse il meno possibile. Con le mani tremanti, afferrò la sua testa. È facile, ce la fanno anche i bambini come te. Devi solo dare un colpo secco. Le parole di Ivan risuonavano nella sua testa. Non puoi permetterti di avere pietà. La pietà è per i deboli e per i piccoli, e tu non sei nessuna delle due, vero? Si tratta della tua vita contro la loro. Natalia inspirò al fondo, e girò il suo collo con un movimento rapido, fino a sentire un lieve “crack”. La ragazza smise di agitarsi sotto le sue cosce e il suo corpo si afflosciò. La rossa cercò di riprendere fiato e far smettere il tremore mentre guardava con occhi sbarrati il corpo sotto di lei. A stento trattenne un conato. Non le lasciarono nemmeno il tempo di riprendersi, venne alzata a forza dal cadavere della ragazzina e un’altra venne mandata nel ring. Per quello e per i seguenti due incontri si trovò in una specie di trance. La prima, capelli castani e occhi grigi, più alta di lei di una decina buona di centimetri. Graffiava, e infatti riuscì a prenderla in più punti lasciandole dei segni rossi sulla guancia e sulle braccia, ma Natalia ricordava che non era brava a parare i colpi veloci. Assestò un paio di calci e pugni, fino a circondarle la testa con le braccia e ucciderla come aveva fatto con la precedente. La successiva, alta e di corporatura decisamente più robusta della sua, sferrava colpi molto potenti ed era brava anche nella difesa. Riuscì quasi ad avere la meglio su Natalia, provocandole diversi lividi e probabilmente anche un paio di costole rotte, lasciandola per terra con il naso sanguinante. Prima che potesse sferrare il colpo finale, tuttavia, la piccola si rialzò e iniziò a colpirla in maniera disperata da diverse angolazioni, sfruttando la propria velocità contro la goffaggine dell’avversaria. Riuscì a farla cadere e, dato che l’altra si dimenava troppo perché riuscisse a spezzarle il collo, riuscì comunque ad afferrarla alla giugulare e tenere stretto fino a quando l’altra si fece rossa in viso e il suo cuore smise di battere. Quando l’ultima salì sul ring, Natalia era esausta e dolorante. La squadrò un attimo, per farsi un’idea. Magra, rasentava quasi l’anoressia, capelli ramati e lisci. Non perse nemmeno tempo a elaborare una strategia. Si lanciò contro di lei con le poche forze che le rimanevano, colpendola alla cieca. In pochi secondi l’altra, spiazzata, non riuscì più a difendersi e cadde. Natalia si scaraventò sopra di lei, continuando a colpirla con rabbia, urlando, non fermandosi nemmeno quando avvertiva le ossa dell’altra rompersi sotto le sue mani, nemmeno quando le sue nocche iniziarono a colorarsi del sangue dell’altra. Sentiva tutta la tensione, la paura, la frustrazione della giornata liberarsi e guidare il suo intero corpo. Non si fermò nemmeno quando l’altra morì, sotto di lei. Dovettero intervenire due istruttori per prenderla e separarla dal cadavere sfigurato dell’altra. Fu allora che Natalia si lasciò finalmente andare a un pianto incontrollato. Si liberò dalla presa degli istruttori e corse verso una specie di bagno, dall’altra parte della palestra. Passò anche davanti a Ivan, ma non si fermò a guardarlo. Arrivò alla sua destinazione e si buttò sul lavandino, vomitando il poco cibo che le era rimasto sullo stomaco. Si lasciò cadere sulle piastrelle del muro dietro di lei, piangendo e singhiozzando senza ritegno, con la gola che le bruciava. Voleva addormentarsi e dimenticarsi di quella giornata, rimuovere le ultime ore, sciacquare via il sangue che aveva sulle mani e sulla maglietta, prova indelebile delle sue colpe. In quel momento, avrebbe preferito essere morta. Se quella doveva diventare la sua vita, non era più sicura di voler essere una Vedova Nera. Certo, le avevano detto che il suo scopo quel giorno era sopravvivere, ma avevano omesso il peso la vita a metà che avrebbe vissuto da quel giorno. Il prezzo le sembrava insostenibile, come potevano Ivan e gli altri dormire la notte? Come potevano delle persone essere così crudeli, condannare le ragazzine a quelle tremende fini o, ancora peggio, a quelle vite spezzate? Aveva solo sette anni, ma sapeva che non avrebbe più avuto il diritto a un’infanzia, che quel giorno era entrata definitivamente nella vita adulta. Pianse e pianse ancora, pianse fino a quando non ebbe più lacrime. Sentì i passi di qualcuno avvicinarsi, ma non le importava, non le importava più di niente. Voleva che quel dolore, fisico e mentale, finisse, voleva smettere di vedere le espressioni inerti delle compagne che aveva appena ucciso. Un allenatore aprì la porta e lei non ebbe la forza di ribattere quando la costrinse ad alzarsi e la trascinò di nuovo in palestra. Si sentiva vuota. Sperò vivamente che ora avrebbero condotto le rimanenti ai loro letti a dormire, sebbene l’idea di dormire in una camera con quaranta letti riempiti solo dai fantasmi le desse già i brividi. Invece, si sentì trascinare nuovamente verso il ring. Solo a quel punto cercò di opporre una minima resistenza,ma fallì miseramente. L’allenatore le spiegò brevemente cosa sarebbe successo: a scopo puramente di informazione, lei e le altre vincitrici si sarebbero dovute sfidare in un combattimento “amichevole” con l’altra vincitrice, quella del primo gruppo da cinque. Lei registrò a mala pena la notizia e si guardò intorno spersa, fino a quando non comparve la sua ultima sfidante. Natalia rimase a bocca aperta. Davanti a lei, l’espressione resa spavalda da un ghigno, c’era la sua vicina di branda, quella bambina magrolina ed emaciata che aveva sentito e visto piangere il primo giorno che erano arrivate lì. Doveva aver ucciso le altre. Doveva aver ucciso persino l’amica con cui l’aveva sorpresa rubare il pane e dividerselo al mattino. Natalia si era quasi dimenticata della sua esistenza e a pensarci bene non l’aveva nemmeno mai vista agli allenamenti. L’aveva sottovalutata, scartata a priori per l’aspetto innocuo e incapace di infliggere dolore. Eppure, vedendola lì davanti a sé senza nemmeno una ferita visibile e senza nessuna evidente ripercussione dei quattro omicidi da lei compiuti appena qualche minuto prima, seppe di aver compiuto un errore madornale. La bionda le fu addosso ancora prima che Natalia riuscisse ad accorgersene. Iniziò a sferrare colpi a raffica, muovendosi velocemente e individuando senza fatica le zone già ferite dai precedenti scontri della rossa. Questa cercò senza successo di colpirla, ritrovandosi solo a tirare pugni all’aria e facendosi pateticamente cogliere di sorpresa alle spalle dall’altra. In pochi attimi si ritrovò a terra, annientata e incapace di rialzarsi, e poco udì il fischio dell’allenatore sancire la fine dell’incontro. Prosciugata di ogni forza e privata ormai anche dell’ultima briciola di orgoglio, osservò la bionda sorridere compiaciuta ed andarsene, non senza averle rivolto un occhiolino arrogante. Rimase distesa sul ring con la sensazione sgradevole del sangue delle altre sotto la pelle, senza neppure l’energia di piangere. Fino a quel giorno le era sembrata dura, ma i superiori della Stanza Rossa avevano solo giocato con loro. Natalia era stata privata di ogni cosa. Tutto ciò che le rimaneva era la paura di cosa potessero ancora farle di peggio. 

   
 
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