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Autore: Angie Mars Halen    29/06/2016    1 recensioni
Dopo anni trascorsi senza mai vedersi, Nikki e un’amica di vecchia data, Sydney, si rincontrano durante il periodo più difficile e turbolento per i Mötley Crüe. Questa amicizia ritrovata, però, non è sconvolgente quanto la scoperta che la ragazza vive da sola con suo figlio Francis, la cui storia risveglia in Nikki ricordi tutt’altro che piacevoli. In seguito a ciò il bassista comincia ad avvertire un legame tra loro che desidera scoprire e rinforzare in nome della sua infanzia vissuta fra spostamenti e affetti instabili. Si ritrova così a riscoprire sentimenti che aveva sempre sottovalutato e che ora vorrebbe conquistare, ma la sua peggiore abitudine è sempre pronta a trascinarlo nel buio più totale e a rendere vani i suoi sforzi.
[1987]
[Pubblicazione momentaneamente sospesa]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mick Mars, Nikki Sixx, Nuovo personaggio, Tommy Lee, Vince Neil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NIKKI





Spalancai gli occhi e cercai di parlare, sebbene la notizia che avevo appena ricevuto mi avesse letteralmente lasciato senza fiato.

“Tu sei sicuro, Neil, vero?” biascicai con le mani che tremavano.

“Certo che sono sicuro,” ribatté Vince dall’altra parte del telefono. “Stamattina sono entrato per caso in quel negozio e ho visto il tuo nome su uno dei titoli della copertina. Ho letto l’intera frase per pura curiosità, ma quando ho capito che ti avevano beccato in giro con una, ho pensato che potesse essere lei, allora ho cercato la pagina e l’ho riconosciuta.”

Mi passai una mano sul volto come se avessi voluto cancellarmi dalla faccia della Terra, e con l’altra strinsi la cornetta. “D’accordo, però adesso dimmi una cosa: perché cazzo mi hai chiamato? Stai morendo d’invidia o c’è dietro un motivo più complesso che la tua mente è riuscita a elaborare?”

Stava per rispondere quando Whisky, che si trovava accucciato sul tappeto, di cui stava anche rosicchiando un angolo come se fosse stato un osso, abbandonò la sua attività e drizzò le orecchie. Come previsto, qualcuno suonò il campanello.

“Puoi smettere di blaterare,” dissi acido. “Hanno appena suonato e devo andare. Ci vediamo.”

Non gli diedi tempo di dire altro e riagganciai, lieto di non sentire più la sua voce acuta, dopodiché sollevai la cornetta del citofono. Feci appena in tempo a domandare chi fosse prima che uno strillo inquietante mi perforasse il timpano destro.

“Aprimi subito!” sbraitò Vanity, più furibonda che mai.

Nella mia breve esistenza avevo capito che una frase simile non porta mai nulla di buono, tuttavia aprii il cancello e la porta per lasciarla entrare prima che mettesse in scena una delle sue tragedie, dando spettacolo al vicinato, che sbirciava dalle finestre mentre un altro membro della famiglia digitava il numero del 911 con la speranza che venissero a prendere sia lei che me.

Vanity fece irruzione nel salotto e iniziò a colpirmi ripetutamente il petto con un giornale arrotolato, che mi piazzò a pochi centimetri dal naso quando ebbe terminato di torturarmi.

“Leggi,” ordinò con la voce resa rauca dal fumo eccessivo e gli occhi iniettati d’ira, poi lo avvicinò ancora di più al mio viso quando si rese conto che non avevo la minima intenzione di obbedire. “Ti ho detto di leggere!”

Deglutii a vuoto mentre lei sfogliava la rivista alla ricerca della pagina indicata accanto alla mia fotografia in copertina. Sotto un enorme titolo scritto in caratteri gialli c’era una fotografia che dovevano avermi scattato qualche sera prima quando ero fuori con Sydney. All’interno di una cornice dello stesso colore del titolo c’ero io con gli occhi spalancati dalla sorpresa e, avvinghiata al mio braccio e col volto coperto dalla cartellina e in parte anche dal cappello bianco da cow-boy che era solita portare, Syd cercava di nascondersi dagli obiettivi e dai flash. Fortunatamente la sua faccia non era per niente visibile e di lei si poteva appena scorgere solo il colore dei capelli.

Vanity era rossa dalla rabbia. “Dimmi chi è questa e perché sei uscito con lei.”

“Non sono affari tuoi,” ringhiai in risposta, dritto davanti a lei e già pronto a spedirla fuori.

Vanity pestò un piede e nel contraccolpo i suoi ricci ballonzolarono come un enorme budino al cioccolato. “Sì che sono affari miei! Sono io la tua fidanzata, non lei!”

“Ancora con questa storia?” mi lagnai portandomi le mani sulle tempie come se così avessi potuto impedire alle sue parole di oltrepassare la scatola cranica e raggiungermi il cervello

A quel punto Vanity, che cambiava umore in una maniera repentina e preoccupante, si gettò ai miei piedi e unì le mani in segno di preghiera. Gli occhi neri erano velati dalle lacrime e allucinati, e le labbra rosee tremavano nel tentativo di parlare e di trattenere il pianto.

“Ascoltami, ti scongiuro,” piagnucolò mentre mi teneva le mani. “Sai benissimo che sono l’unica persona al mondo in grado di amarti, perché vuoi mandare tutto all’aria?”

Ritirai la mano dalle sue, così fredde e umide. “Perché non ti sopporto più.”

Vanity cercò di rialzarsi, traballando sui tacchi a spillo, e mi fece una carezza sul viso. “Dici così perché sei agitato. Senti, tesoro, io ho qualcosa che può calmarti subito. Ti fidi di me?”

Il sangue mi raggelò nelle vene: no che non mi fidavo di lei. Cazzo. Erano quasi venti giorni che ero pulito e limitavo gli eccessi a qualche sorso di Jack e a un paio di canne al giorno, non potevo cedere proprio adesso. Se lo avessi fatto e avessi incontrato di nuovo Syd, lei avrebbe scoperto tutto. Non che fossi convinto che non sospettasse di nulla, ma presentarsi davanti a qualcuno con l’aspetto di una persona sobria anche se non lo si è, è diverso dal farlo quando si hanno delle occhiaie spaventose, si puzza da far vomitare e si dà l’impressione di essere assenti e di non essere in grado di seguire neanche il più semplice dei discorsi. Ero certo che sarei riuscito a non cedere, ma quando Vanity frugò nella sua borsetta ed estrasse la scatolina di latta delle caramelle alla menta, capii che se l’avesse aperta sarei impazzito. Lei lo sapeva e tolse il coperchio rotondo. Dentro c’era una buona quantità di cocaina e ne dispose un paio di piste sul tavolino di vetro davanti al divano.

“Una è per te,” biascicò suadente. “Hai la faccia di uno che ne ha bisogno.”

Bisogno? Cazzo, sì! Sono quasi venti giorni che non sniffo. Non ho mica i superpoteri. Non è che se stamattina mi sveglio e dico che smetto, smetto veramente e per sempre.

“Coraggio!” mi esortò prima di buttarsi a capofitto sulla sua striscia, dopodiché mi porse la banconota arrotolata che aveva utilizzato.

Sapevo perfettamente quali sarebbero state le conseguenze della mia azione, tuttavia me ne infischiai e inalai la mia dose mentre Vanity era già in preda a quelle sue risate isteriche che non sopportavo e che presero a rimbombarmi in testa come un coro di gong. Lasciai cadere la banconota da cinquanta dollari sul tappeto persiano e schizzai in piedi per correre in bagno, rigorosamente seguito da Whisky. Purtroppo la distanza da percorrere era troppa e vomitai prima in cucina, poi sulla moquette delle scale mentre mi dirigevo verso il bagno del piano superiore, dove ero certo che avrei trovato anche la soluzione a quel casino, nonché la causa di un altro guaio ben più grande. Chiusi a chiave la porta della camera, lieto di non sentire più la voce di Vanity, che probabilmente stava continuando a ridere da sola nel salotto, e mi fiondai in bagno. Finii di rimettere nella vasca da bagno, con il cane che mi guardava con le orecchie basse ed emettendo sottili uggiolii.

(Stupido. Sei proprio stupido.)

“Chi parla?” esclamai dopo aver sollevato la testa.

(Meriti di affogarci, in quel vomito.)

C’era qualcuno. Eppure Whisky non si stava agitando come era solito fare quando percepiva la presenza di un estraneo.

Scossi il capo e lasciai il bagno per stendermi sul letto, poi battei la mano sul materasso per fare cenno al cane di saltare su e lui si acciambellò contro di me. Mi girai supino mentre le chiome degli alberi del mio giardino risuonavano sospinte dal vento oppure mosse da un esercito di nani che si arrampicavano per entrare in casa; passai un braccio sotto al muso di Whisky e sospirammo all’unisono. La testa mi girava a una velocità insopportabile, le fronde delle querce e delle palme facevano sempre più rumore, e qualcuno aveva preso a saltare sul letto. Un bambino, forse. Solo i bambini saltano sul letto, non di certo gli adulti.

(Nikki! Nikki! Allora, ti muovi? Devi insegnarmi a suonare la chitarra!)

“Non saltare sul letto, Francis.”

Detto e fatto subito: Francis saltò all’indietro per scendere e scomparve nel nulla, come se si fosse tuffato nell’oceano da uno scoglio.

Fissai la finestra davanti a me e la sagoma di una mano si materializzò sul vetro: le dita piegate iniziarono a graffiarne la superficie, come se qualcuno stesse cadendo e non sapesse dove aggrapparsi.

Francis! Francis sta cadendo!

Mi alzai dal letto in un attimo e mi precipitai alla finestra, ma quando la aprii notai che sotto non c’era nessuno. C’erano piuttosto una miriade di occhi gialli sull’albero davanti alla finestra che mi scrutavano famelici, e non si trattava di civette.

Bastardi. Avete usato Francis come esca perché volevate che mi avvicinassi.

Chiusi i vetri e le persiane facendoli sbattere. Il colpo risuonò nella stanza in un’eco insopportabile e alterato da quella pista di coca che avevo appena sniffato. La testa mi faceva un male terribile e tutto intorno a me girava vorticosamente: la sagoma dell’armadio si sovrapponeva a quella della cassettiera di noce, gli angoli del soffitto sembravano infiniti e il lampadario di vetro oscillava come se ci fosse stato il terremoto.
Camminai all’indietro finché non urtai il bordo del letto, persi l’equilibrio e ci piombai sopra a peso morto, facendo sobbalzare Whisky. Chiusi gli occhi senza nemmeno preoccuparmi di trovare una posizione più comoda per dormire che non fosse quella che avevo assunto in quel momento e scalciai via la coperta appallottolata vicino ai miei piedi.

Volevo Syd. Non ne sapevo il motivo esatto, però volevo che fosse lì. Ma se anche ci fosse stata, che cosa avrebbe pensato di me? Avrebbe certamente scosso il capo e se ne sarebbe andata perché a nessuno piace la vista di un tossico che si lamenta e si contorce. Nonostante questo, ero disposto a pagare oro per vederla seduta di fianco a me, con quel sorriso che aveva sempre stampato sul visto a dispetto di tutto quello che aveva passato e stava ancora passando, lo sguardo buono e paziente che fino ad ora avevo visto solo a Nona.

Mi girai su un fianco e abbracciai il cuscino puzzolente, voltando le spalle al cane, che scese dal letto e si accucciò sulla moquette. Non capivo nemmeno io perché volessi Sydney. Forse perché era riuscita a portare un pizzico di normalità nella mia vita incasinata? Quando ero con lei qualcosa tornava al suo posto e riportava in me una parte dell’armonia che non avevo mai trovato. Era strano, quasi assurdo, ma almeno era una bella sensazione. Desideravo solo che si materializzasse al posto di quel lurido cuscino a cui non cambiavo la federa da almeno un mese e che stringevo forte a me con la speranza che accadesse veramente ciò che speravo. Un’ora dopo ero ancora abbracciato al cuscino con la testa che girava, mentre il cane russava sulla moquette, più precisamente davanti alla porta perché era l’unico modo che aveva per dormire con la certezza di rendersi conto se fossi uscito. A quel punto provai a dormicchiare quando bastava per fermare la mia testa, ignorando completamente Vanity che blaterava al piano di sotto. Chiusi gli occhi, mi tirai la coperta fin sopra il capo, e mi assopii per qualche minuto, fino a quando suonò il telefono. Non lo considerai e lasciai che smettesse di squillare, poi allungai una mano verso di esso e lo sollevai dal comodino per tirarlo verso di me, dopodiché controllai quanti messaggi mi avevano lasciato sulla segreteria. Ce n’era solo uno e al mittente fu sufficiente dire un paio di sillabe perché ne riconoscessi la voce.

“Ehm... Nikki? Sono Syd. Scusa se ti disturbo con questo messaggio, però non hai risposto e non ho molto tempo per riprovare, quindi... quindi ti lascio un messaggio. Ti ho chiamato per dirti che domani devo andare a fare delle foto. Mi domandavo se volessi venire con me. Fammi sapere qualcosa, okay? Ciao.”

Scusa per cosa? Per avermi tenuto compagnia con un messaggio telefonico di venti secondi?

Se solo avesse saputo quanta importanza aveva per me quel piccolo gesto...

Riprodussi il messaggio un’altra volta solo per sentire ancora la sua voce così buona e rassicurante prima di riporre il telefono sul comodino, con in mente solo di confermare la sua proposta non appena fossi riuscito a rimettermi in piedi.




N.D’.A.: Ciao a tutti!
Sydney è probabilmente una delle poche che non vorrebbe mai vedere la sua faccia accanto a quella di Nikki Sixx su una rivista di pettegolezzi, però il caso ha voluto che sia capitato proprio a lei. Qualcuno dovrà pur dirglielo – e qualcuno, sempre la stessa persona, ha anche qualcos’altro di importante da comunicarle.
Grazie a chi legge! ♥
Ci si rivede la prossima settimana!
Un abbraccio,

Angie Mars






   
 
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