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Autore: Sandra Prensky    03/07/2016    1 recensioni
ATTENZIONE: Non è una traduzione del libro "Black Widow: Forever Red". Avendolo letto, mi sembrava che ci fosse troppo poca attenzione su Natasha, e allora ho deciso di riscriverlo con tutta un'altra trama.
Natalia Alianovna Romanova, Natasha Romanoff, Vedova Nera. Molti sono i nomi con cui è conosciuta, molte sono le storie che girano su di lei. La verità, però, è una questione di circostanze. Solo Natasha sa cosa sia successo veramente nel suo passato ed è ciò da cui sta cercando di scappare da anni. Quando sembra finalmente essersi lasciata alle spalle tutto, ecco che scopre che la Stanza Rossa, il luogo dove l'hanno trasformata in una vera e propria macchina da guerra, esiste ancora. Solo lei, l'unica Vedova Nera traditrice rimasta in vita, può impedire che gli abomini che ha visto da bambina accadano di nuovo. Per farlo, però, dovrà immergersi nuovamente nel passato che ha tanto faticato a tenere a fondo, e sarà ancora più doloroso di una volta: tutta la vita che si è costruita allo SHIELD, tutte le persone a cui tiene sono bersagli. Natasha si ritroverà di nuovo a dover salvare il mondo, affrontando vecchi e nuovi nemici e soprattutto se stessa.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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It's so cold, baby

it's dark outside
Winter comes creeping

in through the night
And it's hard when I just want

to hold you tight
Breaks my heart but nothing

can break this ice

(Birdy – Winter)

 

Russia, 1954

 

La prima volta che vide il Soldato d’Inverno fu nel tardo autunno del 1954. L’URSS era nel pieno della Guerra Fredda, e il KGB con la Stanza Rossa lavorava febbrilmente per addestrare e diffondere le proprie spie. Tuttavia, dato che le Vedove Nere spedite in guerra anni prima avevano creato diversi problemi ed erano al momento tutte morte, Natalia e le altre erano ancora tenute sotto controllo nella sede. Solo Oksana, la più anziana ancora in vita e ritenuta la migliore e più fedele spia del primo prototipo del progetto Vedova Nera, era stata mandata sotto copertura in America, sotto la falsa identità di una semplice e innocente ballerina dell’Iowa. Lei e Natalia si erano scambiate un addio veloce. Per quanto la loro relazione fosse stata basata sull’odio in tutti quegli anni, Natalia e Oksana non potevano fare a meno di provare un rispetto reciproco. Erano sempre state le migliori del corso, perennemente in competizione tra loro. “Non avrai più nessuno che ti ricordi qual è il tuo posto, Natashen’ka”, aveva detto la bionda il giorno della propria partenza, indossando dei vestiti da civile e parlando in inglese, come allenamento in previsione del suo soggiorno. “E tu non avrai più nessuno che ti faccia chiudere quella bocca, Oksanochka. O dovrei chiamarti Dottie?” aveva ribattuto la rossa. L’altra aveva sorriso al sentire il nome che sarebbe stato il suo per gli anni successivi, insieme a tutta l’identità di Dottie Underwood. “Non farti uccidere. Qualche anno fa ho giurato che lo avrei fatto io, mi arrabbierei molto se qualcuno arrivasse prima di me.” Natalia aveva dovuto abbassare lo sguardo per nascondere un ghigno alle parole dell’altra. Oksana non sarebbe mai cambiata. “Buffo, mi sono promessa la stessa cosa.”. La bionda aveva scosso la testa, divertita, afferrando la valigia che le avevano preparato, contenente tutto l’occorrente per il viaggio e dei vestiti di ricambio alla moda americana. Aveva dato le spalle a Natalia, che era rimasta seduta sul letto ad osservare quello di più vicino che avesse ad un’amica dirigersi verso la porta senza aggiungere un’altra parola. Non si erano mai più sentite notizie su di lei, né Natalia ne aveva mai chieste. Confidava sul fatto che Oksana fosse troppo furba per morire, soprattutto se si trovava circondata da americani.

Natalia aveva ormai ventisette anni, anche se ne dimostrava molti di meno per un motivo che non aveva mai capito, ed era sola al mondo. Tutto ciò su cui poteva fare affidamento per non uscire completamente di senno era la rigidissima tabella di marcia che le veniva imposta. Come quando era bambina, c’erano la sveglia, la doccia, la colazione, le lezioni del mattino, il pranzo leggero, le lezioni pomeridiane e il coprifuoco. Si stava lentamente trasformando in una spia modello. Ormai padroneggiava un discreto numero di arti marziali, sapeva parlare fluentemente cinque lingue, il russo, l’inglese, il francese, l’italiano e il latino, anche se si stava ancora impegnando a togliere gli ultimi accenni di accento russo che le rimanevano, e ormai era in grado di mentire abbastanza abilmente da battere diverse macchine della verità. Per la Stanza Rossa, però, non era abbastanza. Per Madame B, la sua addestratrice, non era abbastanza. Il corso di Madame B era riservato solo a poche elette, solo le Vedove più brave. Era estremamente duro e terminava in una pratica chiamata Cerimonia di laurea. Nessuna di loro sapeva di cosa si trattasse, ma sapevano che non poteva essere niente di buono. Madame B diceva che era necessaria per “prendere posto nel mondo”... Peccato che loro non ne avessero uno.

Dopo la guerra, tutto era cambiato. I superiori erano diventati ancora più rigidi, gli allenatori erano stati sostituiti con altri, ex spie se possibile più dure degli istruttori precedenti. Ivan e gli altri capi del progetto erano stati spediti altrove circa dieci anni prima, a reclutare altre bambine orfane. Natalia non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma lui gli mancava. Nonostante tutto, era stata l’unica persona ad aver sempre creduto in lei. Adesso era inesorabilmente sola e si sentiva sempre di più come un animale in trappola. Non aveva nessuno di cui fidarsi e non era libera di fare nulla. Ogni minima trasgressione alle regole era punita nel più terribile dei modi: quasi ogni giorno almeno una ragazzina veniva uccisa per insubordinazione, e a premere il grilletto era una delle altre ragazze. Erano costrette a farlo, a meno che non volessero fare la stessa fine. Ormai era diventata una questione di uccidere o essere uccise. Le diverse generazioni di Vedove venivano generalmente tenute separate. Quelle del primo esperimento, ovvero quelle che erano arrivate con Natalia, le poche ancora vive, non entravano quasi mai in contatto con le nuove. Eppure ogni tanto capitava di vedere qualche bambina da lontano, costretta a uccidere le proprie compagne, costretta a diventare qualcosa che non aveva mai chiesto di essere. Costretta a diventare un mostro. Circa una volta all’anno si vedevano arrivare le nuove reclute. Natalia riusciva sempre a sgusciare verso la porta di ingresso quando quell’evento accadeva, nella speranza di vedere Ivan, eppure lui non c’era mai. Al suo posto, incrociava le solite decine di bambine dall’aria spaventata, delle bambine che avevano appena perso tutto. Mentre le vedeva camminare in fila, tutte in preda alla paura più cieca, non poteva fare a meno di pensare che nel giro di nemmeno un anno tre quarti di loro sarebbero morte, e quelle erano le più fortunate. Le altre sarebbero state condannate alla sua stessa vita e non l’avrebbe consigliato nemmeno al suo peggior nemico.

Quel giorno scese in mensa per la colazione come ogni mattina. In quanto tra le maggiori, il suo turno era tra le cinque e le cinque e un quarto. L’unico privilegio di essere Vedove Nere adulte era potersi muovere da sole all’interno della struttura. Erano ormai perfettamente consce del fatto che se avessero fatto ritardo o si fossero recate nei posti sbagliati avrebbero ricevuto una punizione. Fortunatamente le più brave, come lei, non erano sacrificabili come le piccole bambine. Per loro erano riservate altre punizioni, certamente dure, ma raramente la morte. Era l’unica garanzia di cui potevano dire di godere. Si sedette con le altre del corso di Madame B. Come ogni mattina consumarono in silenzio la loro leggera colazione. Erano tutte lì da abbastanza tempo da sapere che era meglio non affezionarsi a nessuno lì dentro. Un legame sarebbe solo stata un’altra aggiunta sulla lista di ciò che potevano perdere, pertanto non parlavano mai tra di loro se non per estrema necessità. La Stanza aveva sottratto loro anche il diritto ad avere delle relazioni. Una volta terminato si recarono verso la stanza di Madame. Come sempre, aspettarono il suo arrivo, e come sempre lei arrivò puntuale come un orologio svizzero. Era una donna di un’età indecifrata tra i quaranta e i sessanta, l’aria rigida, i capelli biondi perennemente raccolti in uno chignon. Era minuta, ma incuteva comunque timore in chiunque la guardasse. Era gelida, inflessibile e sapeva essere crudele, pur senza sporcarsi mai le mani. Quella mattina indossava un abito grigio fasciante, che le dava un’aria ancora più severa. Le squadrò tutte dall’alto in basso, come era sua consuetudine fare ogni mattina, e poi comunicò a ognuna la stanza in cui recarsi. Per fare in modo che tutte si allenassero, infatti, il corso di Madame si suddivideva in più postazioni, ognuna in una camera diversa. In ciascuna vi era un allenatore, scelto tra i migliori e i più inflessibili. Madame girava tra le stanze per supervisionare e si fermava a osservare attentamente le ragazze. Alla fine della mattinata, le richiamava nella sua stanza e riferiva loro cosa dovevano migliorare. Se non era soddisfatta del lavoro di anche solo una delle ragazze, impediva loro di andare a pranzo e le teneva nelle rispettive postazioni fino a quando poteva ritenersi soddisfatta. Gli allenatori avevano chiare istruzioni di non avere pietà per le ragazze e siccome erano tutti uomini grandi il doppio di loro e forti tre volte tanto, non era raro che andassero a dormire piene di lividi e con tutti i muscoli doloranti, e guai a chi l’avesse usata come scusa per non dare il massimo nell’allenamento del giorno dopo. Una ragazza un giorno era messa talmente male che ci aveva provato, sostenendo di non riuscire quasi a muovere gli arti, e il giorno dopo oltre a non farle saltare nemmeno un minuto di lezione non l’avevano nemmeno mandata a dormire per farle passare la notte ad allenarsi. L’unica nota positiva era che la sola limitazione degli istruttori era che non avevano l’autorizzazione di rompere loro le ossa. Madame comunicò la destinazione a tutte le ragazze, tranne Natalia. Aspettò che le altre fossero uscite e poi si girò verso di lei, fissandola con i suoi imperturbabili occhi di ghiaccio. La rossa rimase in silenzio, aveva imparato a sue spese che era meglio non fare troppe domande alla donna.

-Tu, seguimi.- Ordinò freddamente Madame. Lei obbedì e la seguì fino a una stanza al lato del corridoio, una in cui lei non era mai stata. Entrò, rendendosi conto all’istante che era vuota.

-Anton è in ritardo?- Si azzardò a chiedere la rossa, stranita che non ci fosse l’allenatore che le era solitamente assegnato.

-No,- Rispose semplicemente l’altra, la voce quasi divertita. -Da oggi avrai un altro istruttore.

Prima che Natalia potesse dire niente, si ritrovò per terra, schiacciata dal peso di un corpo che le stava puntando le ginocchia nella schiena e le aveva bloccato le braccia con una presa ferrea. Per qualche secondo rimase a terra a tossire e boccheggiare in cerca d’aria, totalmente presa alla sprovvista da quell’attacco alle spalle.

-Mai abbassare la guardia, Natalia. Saresti già morta a quest’ora.- Proferì Madame B. Anche se la vista le si stava lentamente appannando, la rossa riuscì ugualmente a cogliere l’ombra di un ghigno soddisfatto sulle labbra della donna. A un gesto della mano della donna, la persona sopra di lei si alzò, rendendola finalmente libera di respirare. Tossì nuovamente, sentendo tutto il corpo dolorante per quel breve periodo di mancanza di circolazione di ossigeno.

-In piedi.- Intimò la voce impassibile di Madame. Lei si alzò con difficoltà, faticando a far rispondere le gambe ai propri comandi. Non ebbe nemmeno il tempo di alzare il capo per esaminare il suo assalitore e capire almeno davanti a chi si trovasse che sentì un calcio colpirla con tutta potenza nello stomaco, lasciandola nuovamente senza fiato. Natalia indietreggiò, annaspando. Non riusciva a pensare lucidamente, l’avversario, o avversaria per quanto ne sapeva, non era riuscita nemmeno a scorgere il corpo del suo nuovo istruttore, non le dava tempo di elaborare una strategia. Si ritrovò a parare alla meglio i colpi che arrivavano a raffica verso ogni angolo del suo viso. Fortunatamente era sempre stata veloce e aveva dei buoni riflessi, altrimenti sarebbe stata colpita subito. I colpi arrivavano così velocemente e così vicini l’uno all’altro che quasi le venne da chiedersi se l’allenatore avesse più di due braccia. Intravide un pugno in direzione del proprio naso, e lo parò, bloccando la mano dell’opponente. Le ci vollero un paio di secondi per realizzare che non stava stringendo una mano normale, ma che era fatta di qualche materiale duro. Presa dallo stupore, alzò lo sguardo sul resto dell’arto. Era argentato e lucido: il suo opponente aveva un braccio di metallo. Intravide una stella rossa disegnata poco sotto la spalla. A bocca aperta, fece appena in tempo ad alzare lo sguardo sul viso dell’altro e notare che era un uomo, probabilmente più vecchio di lei di qualche anno. Aveva i capelli castani e mossi abbastanza lunghi da arrivargli alla spalla e gli occhi azzurri. I loro sguardi si incrociarono per un breve istante, poi le arrivò un altro pugno nello sterno, che la mandò a terra, a sbattere la testa contro il muro. Si afflosciò sul pavimento, incapace di evitarlo. A fatica si mise seduta, ma non dovette aspettare molto prima che il braccio di metallo si chiudesse con presa ferrea attorno al suo bicipite e la alzasse di peso. L’uomo fece un paio di passi indietro, per aspettare che Natalia finalmente attaccasse. Lei, con uno sforzo sovrumano, corse verso di lui e riuscì a saltargli addosso e a issarsi sulle sue spalle, chiudendogli le gambe intorno al collo. Senza apparente sforzo, però, lui riuscì ad afferrarla e a farla cadere a terra, supina. Prima che lei se ne potesse rendere conto, lui era disteso sopra di lei, a pochissima distanza dal suo corpo per impedire che lei si muovesse e si liberasse. Per quanto cercasse di divincolarsi, lui sembrava prevedere tutte le sue mosse. Con un sospiro di frustrazione, si accasciò a terra, sempre sotto di lui. Si maledisse nella propria mente. Fino a quel momento aveva imparato un sacco ed era ormai brava nei combattimenti, era riuscita a battere persino gli allenatori, le altre ragazze non avevano mai dovuto saltare il pasto per colpa sua. E invece bastava il più piccolo cambiamento di programma, una nuova variabile e tutto ciò che sapeva fare diventava di colpo inutile. Sentiva la sconfitta bruciarle nel petto, ma non voleva dare l’impressione di una che si arrendesse facilmente. Non voleva apparirgli più debole di quanto lui già pensava che fosse e non voleva dare quella soddisfazione a Madame B. Osservò l’uomo negli occhi con aria di sfida. Era talmente vicino che lei poteva sentire il contatto con la sua pelle fredda come l’inverno e non poté fare a meno di notare che emanava un piacevole odore di muschio e legna bruciata. Scrutando bene nei suoi occhi all’apparenza freddi, eppure, riuscì a vedere un’ombra di tristezza e di smarrimento, la stessa che vedeva nel proprio riflesso quando si specchiava. Solo allora capì: un braccio di metallo, una forza considerevole, l’aria di smarrimento e la tecnica pressoché perfetta di combattimento. Era un esperimento tanto quanto lei, un’altra cavia del KGB, un’altra spia, un burattino nelle mani della Stanza Rossa. Battè una mano a terra per due volte, in segno di resa. L’altro esitò e guardò Madame B, come a chiedere conferma. Lei annuì e lui si alzò, liberandola. Madame lanciò a Natalia un’occhiata eloquente.

-Natalia, ti presento il tuo nuovo allenatore, il Soldato d’Inverno. Divertiti con lui... Ora ti lascio nelle sue mani, così posso andare a comunicare alle altre di non scomodarsi a scendere a pranzo. Sembra proprio che questa si prospetti una lunga giornata, per te... Buon proseguimento- Aggiunse, con tono derisorio. Si girò e uscì dalla stanza, chiudendo la porta dietro di sé.

-In piedi.- Pronunciò freddo il Soldato d’Inverno, parlandole per la prima volta con la sua voce roca e profonda. Natalia si alzò a fatica in piedi.

-Un’altra volta.- Ordinò lui e lei riprese ad attaccarlo con tutte le forze che poteva.

Madame aveva ragione, aveva una lunga giornata davanti a sé.

 

   
 
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