Buongiorno
a tutti!
Dopo
praticamente un mese di assenza ho finalmente pronto il settimo
capitolo.
Sarò
sincera: non ho scritto nulla per tutto questo tempo, l'ispirazione
mi è venuta solo in questi ultimi giorni in cui sono
riuscita a
creare il nuovo capitolo, anche se la parte centrale del testo l'ho
riscritta più di una volta perché non mi piaceva
– e non che ora
mi convinca tanto, ma ho trattato un “argomento”
che non sono
solita trattare quindi non so ancora bene come dispiegare la cosa
(sì
sono vaga, ma lo faccio apposta per non spoilerare nulla). Data
questa indecisione da parte mia mi piacerebbe che qualcuno esprimesse
il proprio parere su questo capitolo, perché non so
esattamente dove
devo migliorare anche se so che ce n'è bisogno! Ringrazio
anticipatamente chiunque venga incontro alla mia richiesta!
Comunque
in questa storia si entra un po' più nel vivo della storia
Un
abbraccio,
~Sapphire_
~Dirty Blood
Capitolo sette
Quel
tè faceva schifo.
Ophelia
storse la bocca assaggiandolo, per poi poggiare la tazza sul tavolo e
allontanarla di poco da sé; allungò una mano sui
biscotti
dall'aspetto invitante e ne assaggiò uno. Anche quello
faceva
schifo.
A
onor del vero, né il tè né i biscotti
erano disgustosi,
semplicemente Ophelia aveva una nausea tale che ogni cosa che
mangiava le risultava indigesta, costringendola a mangiare a forza
perlomeno per non morire di fame.
Guardò
il suo triste pranzo – mangiare qualcosa di più
pesante non le
sembrava il caso, dato che continuava a vomitare – e
sospirò nel
silenzio della cucina dei Sangster.
Era
stata lasciata sola quel giorno, non sapeva cosa i tre fratelli
avessero da fare di così importante ma qualsiasi cosa fosse
li aveva
costretti a mollarla lì da sola, cosa rara dato che c'era
sempre
qualcuno assieme a lei; non sapeva se fosse per evitare che fuggisse
o altro, comunque sia la controllavano sempre.
In
ogni caso, lei non sarebbe fuggita: dove sarebbe andata? A chi
avrebbe chiesto aiuto? Chi le avrebbe creduto?
Non
c'era risposta a quelle domande, la sua unica possibilità
era di
stare lì; inoltre era talmente dolorante e stanca che non
credeva
che fosse stata in grado di andare lontano. Gli altri la trattavano
bene, non aveva molti motivi per voler fuggire, anche se la
situazione continuava a essere assurda all'inverosimile.
Sentì
un crampo alla pancia e fece una smorfia: le sembrava di stare meglio
quel giorno, ma ogni momento era buono per una fitta improvvisa che
le faceva storcere la bocca.
Si
stropicciò chi occhi e si strinse di più nella
felpa che le era
stata prestata – una morbida, calda e blu elettrico, che a
quanto
pare apparteneva a Claire anche se la stupiva che la ragazza
possedesse un indumento del genere – poi si costrinse a
prendere
qualche sorso di tè e sbocconcellare il biscotto.
Il
silenzio era assoluto in casa, d'altronde c'era solo lei,
perciò il
boato che arrivò all'improvviso la fece quasi urlare.
Si
alzò di scatto, sentendo ulteriore fracasso e dei passi nel
corridoio; si guardò intorno spaventata, non sapendo che
fare.
Oddio.
Oddio. Cazzo. Che sta succedendo?,
pensò in preda alla paura.
I
passi continuavano insieme a porte che si aprivano bruscamente e
parole urlate che però non riuscì a capire. Fece
appena in tempo a
lanciarsi dietro una poltrona che dava le spalle alla finestra prima
che la porta si aprì con uno schiocco secco facendola
sussultare. Si
portò una mano alla bocca, costringendosi a non fare un
fiato.
Le
parve che il cuore le stesse per uscire fuori dal petto e si
rannicchiò pregando di non essere vista.
«È
qui»
Gli
occhi le si appannarono di lacrime sentendo quella voce maschile
invadere la stanza. Era terrorizzata.
Non
poté fare nulla però: rimase semplicemente
immobile e in silenzio,
ma subito dopo la poltrona venne scaraventata lontano lasciandola
scoperta.
Di
fronte a lei un uomo e una donna la guardavano con soddisfazione; in
quei pochi secondi riuscì a stamparsi in testa il loro
aspetto:
l'uomo era alto all'inverosimile, raggiungeva di sicuro i due metri,
e i lineamenti duri erano incorniciati da folti capelli castani e
occhi altrettanto scuri. La donna invece era sottile come un giunco,
con lunghi capelli ramati e occhi scuri.
«Sembra
terrorizzata» disse con un sorriso la donna. L'altro non le
rispose,
continuando a fissare Ophelia.
La
bionda tentò di allontanarsi, inutilmente in quella
situazione, ma
una fitta al petto la bloccò sul posto; un gemito strozzato
le uscì
dalla bocca mentre il dolore si diffondeva fino ad arrivare alla
testa, lasciandola senza fiato.
Chiuse
gli occhi dalla sofferenza ma come li riaprì tutto
sembrò diverso e
riguardando i due tizi lanciò un urlo.
Le
figure di poco prima non c'erano più: al loro posto vi era
un essere
ugualmente grande e grosso ma con la pelle a striature marroni, i
capelli che parevano dei rovi e un paio di occhi grigio pietra, privi
di pupilla; affianco a lui, una donna dalla pelle venata di nero, i
capelli in fiamme e gli occhi altrettanto infuocati.
«Oddio...»
riuscì a mormorare Ophelia, sentendo il suo corpo, la sua
mente,
tutto in lei crollare.
Le
due figure sorrisero inquietanti, e così facendo la donna
mise in
mostra dei denti aguzzi.
«Pare
che ci veda» disse sempre la donna, spostandosi i capelli con
una
mano e provocando scintille.
Ophelia
non seppe neanche come fece, neanche da dove trovò la forza:
si alzò
e cercò di aggirarli per scappare.
Ovviamente
la cosa non poteva funzionare, poiché fu subito presa dalla
donna
per il braccio e ciò la costrinse a fermarsi bruscamente,
facendola
cadere. Lì dove era stata afferrata sentì la
pelle bruciare come su
dei carboni ardenti e un disgustoso odore di carne bruciata si
diffuse nell'aria.
Ophelia
urlò.
«Andiamo,
non voglio fare tardi» disse poi l'uomo, avvicinandosi alla
bionda e
strappandola via alla donna. Non che fosse molto meglio, ma almeno il
suo braccio smise di venir bruciato.
Ormai
Ophelia non capiva più nulla: venne presa in braccio dal
tizio e non
tentò neanche di divincolarsi, l'adrenalina del momento
prima già
scomparsa del tutto e solo la confusione, il dolore e la stanchezza
la accompagnavano.
Non
protestò, non si mosse tra le braccia di quell'uomo che la
sollevava
senza sforzo alcuno, trasportandola per il corridoio mentre l'altra
li seguiva.
Con
la testa ciondolante, Ophelia riusciva a vedere la donna dietro di
lei che le faceva le smorfie come una bambina. Mentre sbatteva le
palpebre, l'aspetto normale che aveva visto all'inizio si
sovrapponeva alla nuova figura, come se fosse stata sotto l'effetto
di qualche droga.
Si
rese conto di essere fuori a causa dell'aria fredda che le punse il
viso come mille aghi, dandole sollievo al braccio a cui era stata
afferrata.
La
sua mente si stava ormai spegnendo, Ophelia sapeva che non poteva
fare nulla in quella situazione e se si fosse ribellata ulteriormente
sarebbe probabilmente morta. Ma, anche volendo, non aveva
più forze.
Credeva
di stare andando incontro a morte certa e nella sua testa annebbiata
c'era solo un vago interrogativo: perché
io?
La
domanda però era molto probabilmente destinata a rimanere
priva di
risposta, anche perché Ophelia percepì un
improvviso cambiamento
della situazione.
L'uomo
– o l'essere, o quello che era – si
fermò di scatto, iniziando a
stringerla con maggiore fermezza mentre si voltava verso la donna.
«Attenta!»
sibilò l'uomo.
«Lo
so» sentì la donna rispondere.
Un
secondo dopo la bionda venne scaraventata a terra, sul cemento duro,
e la spalla su cui cadde dovette sopportare tutto il peso del corpo.
Ophelia
gridò ancora.
Tentò
poi di sollevarsi, cercando di capire cosa stesse succedendo: l'uomo
che la reggeva si trovava a un paio di metri di distanza da lei, un
braccio squarciato da cui usciva un vischioso liquido grigio. Tentava
di alzarsi con la gamba che zoppicava, mentre più avanti la
donna
era circondata dalle fiamme.
Poco
più in là e con le mani da cui spuntavano fili
luminosi stava un
ragazzo.
La
cosa assurda che Ophelia notò era che, in tutto quel casino,
la
gente in strada non notava nulla e continuava a camminare
indisturbata.
Si
rannicchiò spaventata, non sapendo che fare e sentendo le
lacrime
bagnarle le guance.
«Non
mi sembra gentile da parte vostra portare via in quel modo una
ragazza, non credete?» disse il ragazzo che, Ophelia
notò solo in
quel momento, aveva gli occhi bianchi.
La
donna non rispose: semplicemente alzò un braccio in
direzione del
ragazzo e le fiamme si spostarono con lei, diramandosi come in un
incendio.
Il
fuoco esplose in quel breve spazio, avvolgendo non solo lo
sconosciuto ma anche lo sguardo di Ophelia che si ritrovò a
guardare
ipnotizzata le fiamme scarlatte da cui scaturivano scintille. La
bionda però non notò, a differenza della donna, i
fili luminosi che
si innalzavano sull'incendio di fronte alla casa, leggeri come l'aria
mentre si allungavano come tentacoli sull'essere.
Ophelia
riuscì a spostare finalmente gli occhi dal fuoco notando
come la
donna si fosse allontanata di scatto ma, subito dopo, vide il suo
braccio piegarsi in un movimento innaturale e uno schiocco secco
risuonò.
La
donna ringhiò di dolore e sollevò l'altro braccio
per aumentare le
fiamme: cosa inutile dato che anche l'altro si spezzò con un
altro
secco rumore, mentre i tentacoli luminosi le controllavano il corpo
come una marionetta.
Quegli
stessi fili accorsero da lei, legandosi alle sue gambe, al suo petto,
alle sue braccia, e la fecero alzare; Ophelia si sentì come
se
qualcuno la stesse tirando per gli arti, costringendola a camminare:
non poteva divincolarsi, perciò si ritrovò vicino
allo sconosciuto
che con l'altra mano cercava di tenere a bada le fiamme.
«Stai
dietro di me» le disse secco, poi spostò lo
sguardo verso i due
tizi che non sembravano voler gettare la spugna e scappare –
forse
forti della loro maggioranza numerica.
In
ogni caso la bionda non se lo fece ripetere due volte: dati gli occhi
era abbastanza sicura che quel tizio fosse un amico di Claire e dei
gemelli, inoltre l'aveva allontanata dalle grinfie di quei mostri ed
era già un punto a suo favore. Se le avesse fatto cessare
quel
dolore insopportabile al braccio l'avrebbe sposato in quell'esatto
momento, per com'era in quella situazione.
Da
quella postazione riusciva a vedere poco e niente: notava solo il
ragazzo muovere le dita come un marionettista e i fili luminosi con
lui. Le fiamme, anche se diminuite, ostruivano comunque in parte la
vista – almeno per Ophelia – e alla ragazza
sembrava che il
ragazzo si muovesse alla cieca.
All'improvviso
notò una cosa.
«Le
fiamme ci stanno circondando!» strillò spaventata.
Il
ragazzo le lanciò uno sguardo.
«Lo
so» disse solo con una smorfia.
Un
vago gesto del ragazzo e i fili scomparvero dalle sue dita mentre in
qualche modo cercava di domare le fiamme: queste però non
scomparivano mai del tutto, si allontanavano e si riavvicinavano
continuamente, in una continua lotta tra lo sconosciuto e la donna
che Ophelia intravedeva tra le fiamme.
Una
violenta fiammata si avvicinò alla bionda e il ragazzo
riuscì ad
afferrarla per miracolo prima che il fuoco potesse raggiungerla.
«Merda»
biascicò lo sconosciuto, mentre Ophelia, incapace di fare o
dire
altro, si stringeva a lui terrorizzata.
«Cosa
facciamo?» domandò poi con la voce rotta dai
singhiozzi che si
facevano strada in lei.
«La
domanda di riserva?» replicò sarcastico lui.
Ophelia
spostò lo sguardo dalle fiamme che li circondavano per
guardare il
ragazzo: i capelli castano scuro, illuminati dalle fiamme, rilucevano
di riflessi rossastri e la pelle scura era bollente al tatto sempre a
causa del fuoco.
«Non
hai idee?» insistette, non sapendo cos'altro dire.
Il
ragazzo non le rispose poiché una sfera spuntò
dalle fiamme
tentando di colpirli: riuscì appena ad alzare una mano per
bloccarla
anche se Ophelia non sapeva esattamente come; semplicemente, la sfera
sembrò incontrare un muro invisibile per poi venire
rispedita
indietro tra il fuoco.
«Non
so quanto riuscirò a resistere con questi due»
disse
improvvisamente il giovane, mantenendo comunque gli occhi puntati
alla situazione attorno a lui e muovendo le mani in un vano tentativo
di domare il fuoco, cosa che risultava sempre più difficile
ad ogni
secondo che passava.
Ophelia
tremò.
«E
quindi?» balbettò.
Il
ragazzo fece un profondo respiro.
«Quindi
scappiamo. Spero che tu sia forte di stomaco» rispose
lanciandole un
vago sorriso.
Ophelia
sbiancò.
E
ora che vuole fare?,
pensò spaventata.
Non
ci fu altro tempo per ulteriori riflessioni: il ragazzo
l'afferrò a
sé, stringendola tra le braccia, la bionda si
ritrovò con il viso
affondato tra il giubbotto nero dello sconosciuto.
Lo
sentì bisbigliare qualcosa mentre le fiamme, ormai
abbandonate al
loro destino, erano libere di avvicinarsi a loro e di divorarli vivi.
Non
ci fu però il tempo: appena prima che il fuoco potesse
avvolgerli
del tutto Ophelia si sentì tirare via violentemente per le
gambe, e
poi tutto divenne nero.
Un
botto assordante e Sargas si alzò di scatto dalla scrivania,
gli
occhi che in un secondo diventavano bianchi.
Nel
suo ufficio – o meglio, quello del padre – nella
sede della
Fazione Bianca caddero in mezzo al pavimento due figure
aggrovigliate, provocando un sonoro tonfo e dei gemiti doloranti.
«Ma
che diavolo...» borbottò tra sé, prima
di capire a chi
appartenessero le due figure.
«Beal,
che cazzo sta succedendo?» tuonò irritato,
lasciando perdere i
fogli che fino a poco prima si apprestava a leggere e avvicinandosi
al giovane e a Ophelia, che rimaneva sdraiata sul pavimento con gli
occhi semiaperti e l'aria sconvolta; con un'occhiata più
attenta
notò il braccio destro, nel quale la felpa era stata
praticamente
sciolta, dove spiccava nella pelle chiara l'impronta di una mano
formata dalla carne bruciata.
«Due
bastardi Deviati la stavano rapendo» biascicò
Beal, mettendosi
seduto e tenendosi la testa tra le mani. Sembrava fosse in procinto
di vomitare.
«Ti
sei strappato?»
domandò, anche se sapeva già la risposta: dalla
sua faccia
disgustata e l'aria devastata di Ophelia – anche se di sicuro
non
solo per quello – sembrava proprio che si fossero appena strappati.
«A
te che sembra?» disse sarcastico il ragazzo.
Sargas
fece una smorfia.
Ci
mancava solo questa,
pensò guardando la bionda e ignorando bellamente il suo
sottoposto.
«Ce
la fai ad alzarti?» domandò a Beal, facendo
tornare i proprio occhi
normali dopo essersi reso conto che non c'era alcun pericolo.
L'altro
gli lanciò un'occhiata scettica, poi si alzò e si
tolse il
giubbotto nero bruciacchiato in più punti.
Sargas
nel frattempo sbuffò guardando la bionda.
Com'è
che quella ragazza gli stava portando un sacco di casini? Era
già in
una situazione di merda a causa del padre, delle morti nella Fazione
Bianca e del tentativo di collaborazione con quella Nera. Sembrava
una mina vagante portatagli solo per creargli ulteriori problemi.
Nonostante
questo però la guardò e vide com'era distrutta;
notò gli occhi
chiusi anche se era cosciente – la vedeva respirare
affannosamente
e tremare, e in qualsiasi caso non avrebbe ingannato lui – e
dalle
ciglia scappavano delle lacrime che lasciavano una scia pulita nel
viso annerito da quella che sembrava cenere.
Notò
di sfuggita Beal che si buttava sulla poltrona con uno sbuffo esausto
e a quel movimento la ragazza socchiuse gli occhi per guardarsi
intorno; incrociandosi con Sargas serrò di scatto le
palpebre, come
spaventata o in imbarazzo.
Il
ragazzo sospirò.
«Chiama
Claire e falla venire qui» disse poi in direzione di Beal.
Nel
frattempo si inginocchiò al lato di Ophelia e
passò un braccio
sotto le gambe e sulle spalle, per poi prenderla in braccio e
adagiarla con delicatezza sul divanetto posizionato all'angolo della
stanza.
«È
fuori con Max e Nick. Li hai mandati tu, non ricordi?» fece
Beal,
mentre gli occhi passavano dal bianco perlaceo a un più
normale
nocciola chiaro.
Sargas
alzò gli occhi al cielo.
Ha
ragione.
«Allora
chiama Louise e falla venire qui subito» ordinò
perentorio in
direzione del ragazzo; notò distratto l'altro lanciargli uno
sguardo
scocciato, ma non si lamentò e dopo essersi alzato
uscì
dall'ufficio.
«Ti
fa molto male?» disse con voce bassa.
Vide
gli occhi di Ophelia tremare, ma poi la ragazza si decise ad aprirli
e li puntò sui suoi. Si ritrovò a fissare un paio
di occhi verdi
dalla tonalità particolarmente scura in quel momento,
arrossati
dalle lacrime e con una confusione e paura tali che Sargas si
trovò
a disagio.
«Perché
mi sta succedendo tutto questo?» sussurrò.
“Perché
ci sta succedendo tutto questo?”
Sargas
si costrinse a eliminare quel ricordo dalla testa, cercando di
focalizzarsi solo e soltanto sulla ragazza che lo guardava con
quell'aria così sperduta.
«Non
lo so» sussurrò a sua volta.
In
qualche modo aveva paura di spaventarla ancora di più di
quanto già
non fosse.
Vide
quegli occhi verdi ricoprirsi di un velo di lacrime.
«Non
so perché mio padre mi ha mandato a cercarti»
continuò, cercando
di darle un qualche tipo di risposta, anche se non le stava comunque
dicendo nulla.
Voleva
mantenersi freddo come faceva di solito, ma a vederla così
terrorizzata non riusciva ad essere gelido come suo solito. Non
poteva.
«Non
so neanche perché hanno tentato di rapirti oggi, non ce lo
aspettavamo» continuò fissandola.
Una
lacrima sfuggì alla ragazza che spostò
velocemente lo sguardo,
vergognandosi della propria reazione.
In
un altro frangente Sargas avrebbe guardato con sufficienza coloro che
reagivano in quel modo, ma a farlo ora si sarebbe sentito un
bastardo.
«Io
non capisco. Sono stanca di tutto questo, non capisco cosa mi stia
succedendo, perché fa così tanto male... Vorrei
solo che tutto
ritornasse com'era prima» sussurrò la bionda,
deglutendo
rumorosamente.
«Non
si può» rispose Sargas implacabile.
Non
voleva essere uno stronzo, ma quella era la verità: non
poteva
rispedirla indietro come se nulla fosse successo, soprattutto ora che
sapevano fosse in pericolo; se non fosse rimasta con loro non sarebbe
durata un giorno.
«Perché?»
«Perché
moriresti. Non so chi e per quale motivo, ma qualcuno ti vuole. E
pare pronto a farti del male per averti»
Ophelia
sospirò esausta.
«E
quando potrò avere qualche risposta?» chiese a
bassa voce.
«Non
so neanche questo. Ci sono anche altre cose a cui pensare, ma
farò
il possibile per farti avere delle risposte» disse.
D'altro
canto, le risposte le voleva anche a lui, anche a costo di far
tornare il padre da ovunque fosse.
Allungò
una mano e gliela mise sulla fronte: era bollente.
«Ora
riposa, hai bisogno di recuperare energie. Ci occuperemo noi di
te»
mormorò.
Ophelia
annuì e basta, lasciando andare la testa all'indietro e
chiudendo
gli occhi.
Sargas
si alzò.
Devo
fare qualcosa.
«Circe,
hai notato i suoi occhi?»
La
donna dai capelli in fiamme alzò lo sguardo verso il proprio
compagno, osservandolo mentre curava il suo squarcio al braccio.
Il
suo viso era una maschera di ghiaccio.
«Sì»