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Autore: _Blanca_    31/08/2016    1 recensioni
«Mi segue» disse Anna.
«Di che cosa parlate, miss Hawkins? Chi vi sta seguendo?»
«La morte.»

Ottobre 1875. Dalle coste della Nova Scotia, Anna Hawkins si imbarca per l’Inghilterra, dove vivrà con gli zii Woodhams, ricchi borghesi del Kent. Anna sa che vivere nel cuore dell'Impero, tra i bianchi sudditi della regina Vittoria, non sarà semplice. Lei è una Metis. È figlia di un inglese, che ha fatto fortuna come cacciatore di taglie, e di una donna della Prima Nazione. Ma Anna sa anche di non poter tornare indietro. Il suo viaggio è una fuga. Una fuga dalla solitudine, dalle responsabilità, da un destino che la terrorizza. La nuova esistenza nel Kent, tuttavia, si rivelerà diversa da qualsiasi speranza o timore. Anna dovrà affrontare i segreti di una vecchia casa e di una stanza che non deve mai essere aperta; dovrà tenere testa a una zia decisa a odiarla e a uno scrittore di racconti del terrore, capace di dare un’impronta fin troppo realistica agli incubi di carta e inchiostro. E, sullo sfondo del tutto, toccherà a lei risolvere l’enigma di un misterioso suicidio.
Genere: Horror, Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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XIV. La fanciulla della fonte





Quando Lily domandò ad Anna chi fosse l’autore della lettera, lei le negò una risposta. «Meno sai, meno devi mentire» disse; e calò davanti al viso la veletta nera, osservando nello specchio del vanity il proprio riflesso a lutto. Indossava uno degli abiti più eleganti, con le maniche a sbuffo e della trina attorno al colletto. Sui capelli, sistemati in una treccia raccolta, premeva un cappellino di paglia con un nastro di velluto nero; e le mani, dalle nocche arrossate per il freddo e il lavoro, erano nascoste da un paio di guantini di seta.
Il viaggio fu lento. Anna teneva le redini del calessino con la sicurezza dell’esperienza, ma non poteva costringere il cavallo al galoppo. O le buche, lungo la strada, avrebbero dato il ben servito alle ruote. Così, trascorse più di mezz’ora prima che gli zoccoli del boulonnais passassero dal pestare la terra gelata al battere contro l’umido e grigio selciato di Maidstone.
In città, Anna adempì al suo dovere: all’ufficio postale, consegnò gli annunci della zia Woodhams; poi, chiese dove fosse la redazione del Maidstone Journal and Kentish Advertiser. E la trovò là dove le era stata indirizzata: un edificio all’angolo tra due strade, dinanzi alla piazza del municipio. Quando, però, una volta all’interno, chiese di George Merrik, si sentì rispondere che sarebbe dovuta ripresentarsi l’indomani mattina, se sperava di trovarlo. Anna insistette: poteva almeno avere un indirizzo?
Al che, l’ometto canuto alla scrivania, scrutò Anna da capo a piedi. Benché muto, il suo quesito era palese: perché una donna, giovane, sola, e in pieno lutto, smaniava senza vergogna per l’indirizzo di George Merrik. Mentre lasciava un biglietto tra le mani di Anna, la risposta che dovette attraversare la mente dell’impiegato si tradusse in un abbozzo di sorriso sornione, accompagnato da un significativo scuotimento di capo. In quanto ad Anna, ringraziò e si allontanò, senza preoccuparsi di rettificare le fantasie dell’impiegato.
Stando alle indicazioni sul biglietto, Merrik risiedeva a poca distanza dalla chiesa di Tutti i Santi, sulla sponda opposta del Medway. Anna lasciò calesse e cavallo in custodia alla pensione più vicina, per poi incamminarsi lungo una viuzza in salita. Fairmeadow era una sfilata di casette color granata, l’una addossata all’altra, con le facciate linde e sobrie, ornate di buon gusto e senza opulenza; i medesimi pregi che si ci aspettava dagli inquilini che le abitavano.
Anna trovò la casa. Salì i sei pulitissimi gradini che separavano l’ingresso dalla strada. Bussò e attese: erano le due del pomeriggio e una sottilissima falce di luna già vegliava su Maidstone, mentre il sole si avvicinava sempre di più a un ovest sporcato dalle nubi.
La porta venne aperta da una donnetta dai riccioli ingrigiti e l’aria per bene. Indossava un modesto abito color ocra, con bottoni di coronzo; e occhiali piccoli come monete da mezzo penny poggiati sul naso lungo e stretto.
«Mi dispiace, il signor Merrik non è in casa» disse la donna, pacatamente, dopo che Anna ebbe comunicato il motivo della visita. E Anna si stava già sforzando di inghiottire il sommo fastidio per il tempo sprecato, quando la donna soggiunse: «Pranza sempre fuori. Ma, solitamente, non rientra mai più tardi delle due e trenta. Potete attenderlo, se non è un disturbo.»
Anna accettò.
La signora condusse Anna in un salottino, la cui unica finestra dava sulla strada, e la invitò a mettersi comoda, liberandola dall’impiccio del capottino.
«Posso offrirvi del tè?»
«No, grazie. Non disturbatevi.»
La signora, per un istante, parve spaesata dal rifiuto. Poi, sorrise. «Se vi serve qualcosa, io sarò in cucina: è la stanzetta qui accanto.» E abbandonò Anna a sé stessa, senza troppe cerimonie.
Lei prese posto sul divanetto, guardandosi attorno. I mobili erano lucidi e scuri, le tende blu come il petto dei pavoni, i rivestimenti del divano e delle sedie di un vivo carminio. Davanti alla finestra, c’era un piccolo tavolino rotondo; ospitava uno scrittoio, con corollario di penne, inchiostri e cartellina colma di fogli. Sopra la mensola del caminetto, invece, due grasse anfore di ceramica sembravano far da guardia a un cofanetto d'ebano. Non c’erano altri soprammobili, nella stanza; il che era strano, considerate la quantità di scaffali e vetrine, compresa una libreria semivuota; così come non c’erano quadri alle pareti, bensì cerchi, ovali e rettangoli di un tono più chiaro rispetto al bianco della tappezzeria.
Anna pazientava; schiena diritta e mani in grembo, controllando, di tanto in tanto, il suo orologio. Le due e dieci minuti. Le due e quindici. Le due e venticinque. Alle due e trentacinque, Anna, scivolata in avanti col fondoschiena, se ne stava a braccia conserte, gambe stese e caviglie accavallate, fin quando con un poderoso sospiro non si alzò in piedi, lasciandosi calamitare verso il tavolo.
Allungò le mani verso la cartellina incustodita.
E ne sbirciò il contenuto.
Si ritrovò sotto gli occhi un nudo femminile schizzato a matita. Era molto realistico, e dettagliato. ‘Scrittore, cantante e ritrattista. Che uomo pieno di talenti’ constatò Anna, affatto impressionata. Né dai talenti, né dal soggetto del ritratto. Nel bracciolo, sul quale la donna se ne stava languidamente adagiata, con lo sguardo di una Venere di provincia, riconobbe il divano del salottino; di conseguenza, sospettò che nemmeno la musa fosse frutto di pura fantasia.
Anna mise da parte il ritratto.
Il foglio sottostante doveva essere la bozza di una lettera. ‘Mia adoratissima Gladys’ e seguiva una accorata dichiarazione di banalità da innamorati, tra baci e promesse di fidanzamento.
Il terzo foglio, invece, era coperto di appunti. Parevano esser stati tracciati in fretta, o in sovrappensiero, a giudicare dalla calligrafia disordinata. Leggendoli uno di seguito all’altro, Anna capì che dovevano esseri possibili titoli... per un articolo di giornale.
I primi tre erano stati cancellati con una linea sottile: I fiori velenosi di Bon Fleur. La vedova nera di Bon Fleur. La casa degli orrori. E poi, in fondo all’elenco: La villa dei suicidi. Dentro la villa dei suicidi.
Anna pigiò la punta dell’indice sotto l’ultima parola. «Suicidi...»
Controllò gli altri fogli: erano immacolati. A quel punto, rimise tutto come l’aveva trovato e passò a esaminare libreria e scaffali. Dai segni sul legno, dedusse che di soprammobili ve n'erano stati, molti e a lungo; solo di recente dovevano essere stati rimossi. Arrivata al camino, aprì il cofanetto d'ebano; e non si sorprese troppo nel trovare le lettere della dolce metà di Merrik. Non ne lesse il contenuto per rispetto della già sufficientemente sfortunata signorina Barnes. Stava proprio richiudendo il cofanetto, quando dalla finestra intravide Merrik in persona e corse ad attenderne il rientro seduta sul divanetto, raccapezzando in fretta una postura e un'espressione compita.
Sentì la porta aprirsi e la voce della donna: «C’è una signorina per voi»; l’attimo dopo, Merrik varcò la soglia del salottino: alto e bello, in un completo da giorno grigio perla.
Anna rispose all'aria vagamente sorpresa di lui con un sorriso timido, a occhi bassi, nell’ombra della veletta.
«Avete ricevuto la mia lettera» asserì Merrik.
Anna fece cenno di sì.
Il giornalista chiuse la porta e andò verso Anna, che subito si levò in piedi.
«Non mi aspettavo una risposta tanto celere. Men che meno un incontro di persona.» Il tono di Merrik grondava più miele di un alveare; e Anna capì che sarebbe stato arduo seguitare con la parte della signorina pudica e schiva. «Voi siete davvero una giovane audace: la trovo una caratteristica ammirevole, nel vostro sesso.»
‘Si crede un esperto della materia’ pensò Anna.
E poi, senza preavviso, Merrik le strinse una mano. L’efebico viso del giornalista era vicino a quello di Anna. Molto più vicino di quanto lei desiderasse. E molto più vicino di quanto le norme sociali avrebbero permesso. Anna immaginò che l’averla trovata tutta sola, e affranta, nel suo salottino rappresentasse, dal punto di vista di Merrik, una tacita autorizzazione a scavalcare i limiti e tentare la sorte ― con buona pace di Gladys Barnes.
«Quanto sto per dirvi suonerà indelicato, considerata la situazione... ma il nero esalta la vostra bellezza.»
«Adesso che me lo avete detto voi, cercherò di indossarlo più spesso» mormorò Anna.
La beffa nella risposta passò inosservata al giovane, che iniziò ad accarezzarle il dorso della mano.
Anna si sottrasse alla presa, sforzandosi di non essere brusca. Distolse lo sguardo, tornò seduta e raccolse le mani in grembo. «Possiamo parlare, signor Merrik?»
«Naturalmente.»
L'uomo le sedette di fianco, volgendo viso e busto verso di lei; teneva un gomito adagiato sullo schienale e il ginocchio a sfiorare di proposito la gonna di Anna.
«Dunque ― cosa intendete ‘col mettere la vostra penna al mio servizio’?»
«Intendo scrivere, se la cosa incontra il vostro desiderio, un pezzo commemorativo. I lettori dell’Advertiser conosceranno il vero Walter Woodhams. L’uomo che fu in vita.»
«Ma a cosa devo questa generosità?»
«Non ho avuto il piacere di conoscere a fondo vostro zio. Ma conosco bene la famiglia Hall. La loro stima è una garanzia. Se loro lo hanno amato e ammirato, non posso dubitare che fosse una persona degna. Personalmente, ritengo inaccettabile e ingiusto che la memoria di un tal uomo debba venir insozzata dalle più basse menzogne.» Nell’ardore della dichiarazione, Merrik aveva portato la mano sull’avambraccio di Anna.
Ma Anna non batté ciglio: continuava a fissare le proprie mani. «Come potete immaginare» disse, «nell’ultima settimana leggere i giornali è stato l’ultimo di nostri pensieri. E, vedete, per me è difficile capire come parlare a difesa di mio zio se non so a cosa devo controbattere.»
«Davvero volete conoscere i dettagli?»
«Sì.»
«Tenterò di non urtare la vostra sensibilità.» E nel dirlo, Merrik sentì il bisogno di tornare a stringere una mano di Anna, come a donarle un supporto ― che lei non aveva richiesto. «Il biglietto è stato il male maggiore. O per essere più precisi: la vaghezza del contenuto. La gente tende a tessere ipotesi fantasiose là dove mancano i fatti.»
«Ah. Il biglietto, certo. Allora, anche mia zia è al centro dei pettegolezzi?»
«Temo fosse inevitabile.»
«E cosa vanno dicendo di lei?»
«Che deve aver commesso qualcosa di davvero terribile. C’è persino chi parla di un amante.»
Anna alzò lo sguardo sul giornalista.
«E quali prove hanno dell’esistenza di un amante?»
«I mal pensanti non hanno bisogno di prove. Le voci son più che sufficienti. Sopratutto il genere di voci che non si sa da dove nascano, ma che fanno in fretta a diffondersi. Basta un vicino che scorga un visitatore sospetto. O un corriere che faccia un po’ troppo spesso il medesimo tragitto.» Merrik sembrava sottilmente inebriato dal tema della conversazione. «Tuttavia, tenendo presente il passato di Bon Fleur Place, molti temono che vi sia dietro qualcosa di ben più grave di un adulterio.»
«Che dite? Quale passato?»
Per una volta, nei modi untuosi di Merrik, Anna intravide un sussulto di onesta sorpresa.
«Quale passato?» ripeté lui. «Ma come? Non sapete della ‘Fanciulla della Fonte’?»
Anna scosse il capo.
«Curioso» commentò Merrik. «O, forse, no» riprese, dopo un istante di riflessione. «Immagino che i vostri zii non amassero l’argomento.» Ed era lì, scritta sul un po’ volto incuriosito e un po’ sardonico di George Merrik, la conferma alle congetture di Anna. Non aveva mai avuto l’intenzione di parlargli di suo zio. La vita l’aveva disillusa: le fandonie, come i pregiudizi, erano un nemico incrollabile. Certo: avrebbe potuto fare un tentativo ― o almeno così pensava, prima di sbirciare la cartellina ― ma non sarebbe stato comunque il motivo principale della sua visita. Era  lì snella speranza che dalla bocca larga del giornalista cadessero le informazioni che andava cercando: se qualcuno era morto in un posto come Bon Fleur Place, i giornali dovevano saperlo; e se i giornali lo sapevano, lo sapeva anche George Merrik.
«State parlando della cameriera?»
«Oh ― dunque, sapete. ― Com’è che si chiamava? Margie? Mamie?»
«Mary.»
«Ecco, sì: Mary.»
«Che cosa le è successo?»
«Si è suicidata. Una notte, è uscita in giardino, si è immersa nella fontana e ha aspettato la morte.»
‘La fontana!’
Il cuore di Anna perse un battito. Sbiancò, dietro la veletta.
«Si... si conosce il motivo del gesto?»
«No. La novella Ofelia si è portata il segreto nella tomba.»
«Un suicidio senza un motivo?» ‘Un altro!’ «E nessuno ha pensato che potesse non essere veramente un suicidio?»
«Ovviamente. Ma non c'erano né ferite né lividi sul corpo della poveretta. E mai furono trovate prove che potessero far pensare che la ragazza fosse stata, in qualche modo, costretta o trascinata fino alla fontana. Tutti, padroni e servitù, vennero giudicati al di sopra di ogni sospetto. Comunque, potete immaginare come la triste faccenda accese l’interesse di mezza contea. C'è sempre un che di romantico e terrificante nell'immagine di una bella giovinetta che si abbandona all'abbraccio della morte. E, adesso, a distanza di pochi mesi, la storia si ripete ― ma vi vedo turbata, signorina Hawkins. Prendiamoci una pausa da questi spiacevoli argomenti.»
Merrik, con abile noncuranza, diminuì le già scarse distanze. E poiché Anna non diede segno di scostarsi, pensò bene di prendersi la libertà di sollevare la veletta. Ma non appena Anna avvertì la mano del giornalista scivolare sul suo collo, esaurita la pazienza e ottenuto ciò che voleva, gli strinse il polso con un scatto fulmineo che colse Merrik di sorpresa. «E basta.» Spinse via il braccio e si alzò in piedi.
«Sono imperdonabile. Avete ragione» sviolinò Merrik, accavallando le gambe. Ma tutto sembrava, fuorché pentito. «Se solo voi non foste così bella.»
Anna contrasse il volto in una smorfia vicina alla nausea.
«Più o meno bella della donna svestita che avete ospitato sul vostro divano?»
Il sorriso carezzevole di Merrik prima si congelò. Poi, si sciolse, lentamente, mentre gli occhi azzurri viravano in direzione dello scrittoio. Ma alla fine si trasse d’impiccio con una leggiadra scrollata di spalle.
«Non chiederò perdono per essere un ammiratore del Bello.»
Anna si piantò le mani sulla vita. «Non giudico i vostri passatempi» dichiarò, in tono secco, quasi disinteressato. «Quello che trovo vergognoso è che, con la scusa di volerci aiutare, vogliate carpire i dettagli della vita privata dei miei zii, per poi tirar su un articolo degno del più scadente penny dreadful. Dentro la villa dei suicidi, eh? ― A voi non importa nulla della reputazione di mio zio. A voi importa che il vostro giornale venda il più possibile.»
«Le vostre insinuazioni mi feriscono.»
«Merrik, che cosa vi fa pensare che io sia una sempliciotta? Il colore della mia pelle? Il fatto di essere donna? Entrambe le cose?»
Con un sorriso storto e un’alzata di sopracciglio, Merrik gettò la maschera. Sospirò rumorosamente, mettendosi comodo contro l’imbottitura del divanetto; sedeva al centro, con le gambe accavallate e i gomiti sollevati sopra lo schienale. «Che cosa posso dire in mia difesa? ― Un giornalista ha sempre bisogno di una storia. È il mio lavoro. La mia vocazione.»
«La vocazione dello sciacallo.»
«Perché mai? Perché do ai lettori quel che loro desiderano?» Merrik infilò una mano sotto la giacca e ne cavò una sottile scatolina argentata. «Non è colpa mia se la gente adora scandalizzarsi. In fondo, tragedie e malefatte altrui ci fanno sentire in pace con la nostra coscienza. Niente ci lusinga come il crederci migliori del nostro prossimo.»
«È di mio zio che state parlando, qui. Se non avete rispetto per lui, almeno fingete di averne per me fin quando vi sto di fronte.»
Merrik trasse dalla scatolina una lunga sigaretta bianca e se la portò tra le belle labbra carnose. «Se vostro zio non voleva l’onore delle prime pagine, avrebbe almeno potuto scegliere un proscenio più discreto.» E nel bagliore di un fiammifero, accese la sigaretta.
«Dite un’altra parola su mio zio» ebbe la bontà di informarlo Anna, «e il vostro prossimo articolo parlerà dei danni fisici causati dall’introduzione di una sigaretta accesa su per una narice.»
Merrik rise, sbuffando una nuvola di fumo. «Questo metodo di dissuasione è eredità del mestiere di vostro padre o delle usanze di vostra madre? ― Ebbene, sì, miss Hawkins. Mi sono informato sulle vostre origini.»
«Che io non mai avuto intenzione di nascondere a nessuno. Sai che impresa!»
«In ogni caso, devo presumere che non siate disposta a concedermi un’intervista. Peccato. Ma vi avverto: ancora qualche giorno e altri avanzeranno la stessa proposta. Il rispetto per il lutto non terrà a bada ancora per molto quelli che voi chiamate sciacalli. La gente non era tanto interessata a una morte dai tempi di Gabriel’s Hill.»
«Gabriel’s Hill? ― Intendete... Alice Mallory? La madre rinchiusa in manicomio?»
Merrik mosse il capo in un blando cenno di assenso.
«Raccontatemi cosa è successo a Gabriel’s Hill.»
«Datemi un buon motivo per farlo» ribatté Merrik, sornione, soffiando via altro fumo.
Anna fece spallucce.
«Ve ne do due. Gladys Barnes e la sua dote. Quella dote che potrebbe salvarvi dal continuare a vendere i soprammobili, e dallo scrivere articoli da disperato, pur di non finire in mezzo a una strada. Voi mi raccontate di Gabriel’s Hill e io non racconterò alla signorina Barnes delle vostre amichette con la tendenza a perdere i vestiti.»
«Siete impicciona e meschina, miss Hawkins. Mi piacete.»
«Sacripante, quale onore.»
«Bene. Veniamo a Gabriel’s Hill. Cercherò di essere breve. ― Vi abitava un medico: Joseph Mallory, con la moglie, Alice, e i tre figli. Erano ricchi, conosciuti e rispettati. Una famiglia perfetta. Idilliaca. Finché, una mattina, la governante entrò nella stanza dei bambini, per svegliarli ― e li trovò cadavere. Le povere creaturine erano state assassinate nel sonno. Tutte e tre con una coltellata al petto. Precisa e letale. Da principio, si sospettò della governante stessa, o della servitù. Ma dopo tre giorni ― tre giorni, badate bene, durante i quali la signora Mallory era rimasta chiusa nel silenzio, senza mangiare e senza alzarsi dal letto ― ecco che la signora, all’improvviso, si leva a sedere e inizia a urlare. Chi era con lei, descrisse la scena come terrificante. Come assistere un morto che si risveglia dalla tomba. Lacrime, urla, capelli strappati ― una crisi isterica in tutto e per tutto ― e Alice Mallory confessò di aver ucciso i bambini.»
«Ha confessato dopo tre giorni?»
«Dissero che la memoria della poveretta doveva aver soppresso il ricordo.»
«Quindi è per questo che l’hanno mandata al manicomio invece che al patibolo?»
«Scampò alla pena di morte perché all’epoca era in attesa di un quarto figlio. Ma abortì dopo poche settimane dall’internamento. La prova della sua pazzia, però, fu il fatto che diede la colpa al marito.»
«Al marito?»
«Disse che lui entrava tutte le notti nella sua camera da letto, si chinava su di lei e le sussurrava all’orecchio di far del male ai loro bambini. L’accusò di aver stretto un patto col Diavolo, per ottenere il potere di controllare la sua mente. Sciocchezze, ovvio. Ma sciocchezze d’effetto.»
«Che ne fu del dottore dopo l’internamento della moglie?»
«Pian piano, inesorabilmente, perse il rispetto, il denaro e la casa. E alla fine, anche la testa. Si diede all’oppio e all’alcol. Ed è spirato lo scorso inverno su un sudicio materasso di una casa per poveri.
Posso chiedervi il motivo del vostro interesse per la faccenda?»
Ma nemmeno sotto ricatto Anna avrebbe confessato a Merrik del legame tra il dottor Mallory e la zia Woodhams. «No. Non potete» disse. «Piuttosto, il vostro giornale avrà seguito indagini e processo, immagino. Avete delle copie?»
«Potrei recuperarle.»
«Fatelo. E speditele a Bon Fleur domani mattina.» Ma Merrik la fissava, aspirando la sigaretta, e Anna comprese come doveva concludere la frase, se voleva che il giornalista collaborasse. «Vi pagherò.»
«Ottimo.»
 






   
 
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