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Autore: Il_Signore_Oscuro    04/11/2016    2 recensioni
Ragnar'ok Wintersworth un giorno sarà l'Eroe di Kvatch, colui che salverà Tamriel dalla minaccia di Mehrunes Dagon, principe daedrico della distruzione, con il fondamentale aiuto di Martin Septim ultimo membro della dinastia del Sangue di Drago. Ma cosa c'è stato prima della storia che tutti noi conosciamo? Chi era Ragnar prima di essere un Eroe? Lasciate che ve lo mostri.
[PAPALE PAPALE: questa storia tratterà delle vicende di Ragnar. Non sarò fedelissimo al gioco ma ne manterrò le linee generali, anche se alcuni avvenimenti saranno cambiati o spostati nel tempo. Non ho altro da dirvi, se non augurarvi una buona lettura!]
BETA READER: ARWYN SHONE.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Eroe di Kvatch, Jauffre, Sorpresa, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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Chapter ten – Girl, Shadow and Red Soul.

-Come sarebbe a dire “non scriverò nessuna raccomandazione”?
Gli occhi di ossidiana di Falcar non ammettevano repliche. Ero tornato da poco dal forte, recandomi immediatamente alla sede di Cheydinhal. L’altmer era nel suo studio e quando gli avevo mostrato le gemme nere dell’anima, si era infuriato, accusandomi di averle danneggiate e rese quindi inutili per i suoi studi.
Perciò non avrebbe inviato alcuna raccomandazione, venendo meno così ai nostri patti.
Dal canto mio credevo che le sue fossero solo scuse: le gemme le avevo custodite con la massima cura, premurandomi anche di avvolgerle in un panno, subito dopo essere uscito da Farragut.
-Significa esattamente ciò che ti ho detto, moccioso, puoi andartene a casa. Non c’è posto per l’incompetenza nella Gilda!
-Incompetenza?! – Ripetei, furioso. – Ho rischiato di farmi ammazzare per recuperare quelle stramaledette pietre, tutto per quella raccomandazione! E ora mi vieni a dire che non se ne fa niente?!
-Non mi interessano i pericoli che puoi aver corso, ragazzino. – Disse, con un ghigno nervoso. – Hai fallito il tuo compito, sparisci immediatamente dalla mia vista.
Gli animi si stavano scaldando. Falcar non era solo indisponente e difficile, no, lui stava nascondendo qualcosa: il sospetto mi era venuto già da prima, dopo che avevo ascoltato la conversazione fra i due negromanti a Forte Farragut: era certo una strana coincidenza che l’altmer mi avesse mandato a recuperare delle gemme sottratte ai Servitori del Re dei Vermi poco tempo prima. C’era poi Lucien: mandato nel forte per eliminare Cardys e i suoi servitori, dietro contratto.
Di solito la Confraternita Oscura non lasciava testimoni dietro di sé, anche se in quel caso le cose erano andate diversamente.
Se le mie supposizioni erano esatte, Falcar mi aveva spedito a recuperare le gemme sperando che, nel migliore dei casi, finissi ucciso o, nel peggiore, che riuscissi lì dove l’assassino avrebbe potuto fallire.
Una cosa era certa: ero diventato una persona scomoda per Falcar e le persone per cui lavorava, sapevo troppo. Forse mi stava provocando contando su un mio eccesso d’ira, in quel caso avrebbe potuto giustificare la mia uccisione come conseguenza accidentale di un’autodifesa troppo zelante.
Non dovevo stare al suo gioco, no, dovevo emularlo e rivoltarlo contro di lui: quell’altmer aveva un carattere irascibile e non sopportava l’insubordinazione, indurlo a fare la prima mossa non sarebbe stato difficile, se mi fossi giocato bene le mie carte.
Dovevo solo fare attenzione alle sue mani: non aveva la stazza del guerriero quindi, certamente, se mi avesse attaccato lo avrebbe fatto con la magia.
Nello studio c’eravamo solo io e lui. Mi avvicinai con cautela, sussurrandogli, con voce improvvisamente calma e tono mellifluo.
-Sai, Falcar, ho sentito un paio di cose interessanti laggiù, a Farragut. Quel genere di cose che al Consiglio piacerebbe sapere, chissà se troveranno curiose certe coincidenze come le ho trovate curiose io.
-Cosa vorresti insinuare, associato? – Chiese, lo sguardo incupito in un’espressione minacciosa.
-Io? Assolutamente niente. – Dissi, con non curanza. – Penso che potrebbero addirittura promuoverti e darti l’accesso ai piani alti dell’Università Arcana, viste le tue scoperte. Sempre che queste coincidenze, a cui prima accennavo, non destino sospetti sicuramente infondati sul tuo conto. – Conclusi, con aria trionfante. Le carte erano sul tavolo, avevo fatto la mia puntata: c’era solo da vedere se il mio avversario avrebbe abboccato o meno.
-Osi minacciarmi? Osi prenderti gioco di me? Pagherai cara la tua impudenza! – I miei occhi erano fissi sulle sue mani, in attesa, non potevo distrarmi neanche per un istante. – Il Re dei Vermi farà danzare il tuo cadavere!
Eccola, la luce verde: l’incantesimo della paralisi che più e più volte mi aveva lasciato inerme, mi aveva colto alla sprovvista. Lo riconoscevo al primo sguardo, come un vecchio nemico che torna a bussare alla tua porta. Stavolta non mi sarei lasciato trovare impreparato.
Le parole di Angalmo durante le lezioni di magia, a Chorrol, mi risuonarono nella testa come un memento “Troppi, fra noi maghi, allenano la mente trascurando il corpo, il suo potere. Così, anche il più grande e potente fra gli stregoni può cadere sotto il vigore di un guerriero e l’acciaio della sua lama”.
Non esitai ad afferrare il polso di Falcar, torcendolo fino a quando il bagliore verde non si estinse e lui non emise un gemito di dolore. Con l’altra la mano lo colpii con un destro, poi con un altro e un altro ancora, finché quella sua brutta faccia non divenne una maschera tumefatta di lividi e sangue, che fiottava giù dal naso adunco.
Gli piazzai una ginocchiata nello stomaco, sentii il suo respiro spezzarsi. L’altmer cadde a terra, imprecando contro di me.
Preparai un incantesimo del fuoco: le fiamme mi lambivano le dita, pronte a essere liberate, e il loro calore mi sfiorava il viso con un tocco ardente.
-Tu, maledetto bastardo! – Inveì, sputando un grumo di sangue e denti rotti. – Me la pagherai, stanne certo!
-Non aspetto altro. – Risposi, senza scompormi.
Si rialzò a fatica, fiondandosi fuori dal suo studio.
Non cercai di fermarlo, aveva lasciato dietro di sé le gemme dell’anima e tutta la sua roba, c’erano comunque abbastanza prove per farlo sbattere fuori dalla Gilda. Falcar non sarebbe più ritornato a Cheydinal, di questo potevo starne certo.

Prima di andarmene dovetti rilasciare una deposizione, Deetsan si preoccupò di trascriverla per inviarla, insieme con le gemme, al Consiglio. L’argoniana stilò anche una raccomandazione per me, rassicurandomi che sarebbe stata senz’altro accettata, viste le circostanze. Anche se lei non era la direttrice di quella sede non avrebbero fatto problemi.
La ringraziai e Deetsan mi augurò di non trovarmi mai più in situazioni simili, che ottenere le raccomandazioni dalle altre succursali sarebbe stato meno complicato e pericoloso. Su quest’ultimo punto avevo seri dubbi, ma a ben sperare non ci perdevo nulla, tanto valeva essere ottimisti.
Mi congedai dall’argoniana promettendole che non avrei fatto parola con alcuno su quanto era successo, avevo ormai capito che la Gilda dei Maghi era quel tipo di organizzazione per cui vigeva la massima “i panni sporchi si lavano in casa”.
Per un po’ avrei fatto a meno di intrighi, complotti, tradimenti e quant’altro. Al momento volevo solo bermi una birra e farmi quattro chiacchiere con un vecchio amico.

Diedi appuntamento a Vitellus alla “Locada di Terrenuove”, situata nel distretto del mercato nella parte ovest di Cheydinhal. Il posto sembrava accogliente ed era gestito da una dunmer che si ammazzava di lavoro giorno e notte.
Vitellus mi aspettava ad uno dei tavoli più riparati, sapeva che non gradivo granché stare in mezzo alla folla, dove a stento si potevano sentire i propri pensieri, figuriamoci avere una tranquilla conversazione.
Con un pollice l’imperiale stava schiacciando del tabacco, secco e sdrucciolato, in una pipa in terracotta. Quando arrivai la stava accendendo con uno stecchetto di legno, arso al fuoco di una candela.
Vitellus fumava la pipa dall’età di quindici anni, sui suoi denti erano comparse piccole macchioline brune: all’inizio la cosa mi aveva stranito, ma alla fine ci avevo fatto un po’ l’abitudine e non mi dava più fastidio.
Anch’io, da canto mio, mi portavo dietro una pipa, era di legno. L’avevo comprata in un negozietto a Bruma. Chiesi a Vitellus un po’ di tabacco e lui me loro porse. Lo accesi con un rudimentale incantesimo del fuoco.
Ordinammo una paio di birre dal sapore dolce e intenso, Vitellus intanto guardava il mio braccio fasciato e notò che non avevo più lo scudo che mi aveva regalato.
-Mi spiace, è andato distrutto in una zuffa contro alcuni banditi. – Mentii. – Era ridotto talmente male che ripararlo è stato impossibile.
-Non preoccuparti, l’importante è che abbia fatto il suo dovere finché ha potuto e che non ti sia fatto nulla. – Tirò una boccata alla pipa. – E quella roba al braccio? Perché non te la curi con la magia?
-Non mi piace fare troppo affidamento sul recupero e poi, sai, - dissi, soffiando una voluta di fumo – vorrei un bel set di cicatrici come quei soldati che vedevamo alla locanda.
-Ah, beh, io ho un bel morso di pantegana se ti interessa.
-Lode a te VItellus Donton – dissi, alzando il boccale – colui che ha resistito alle terribili fauci di un topastro.
-E piantala cretino! – Rispose, prorompendo in una risata.
Risi anch’io e bevvi un lungo sorso di birra: curioso come in poche settimane stessi sviluppando una certa resistenza all’alcol, prima per rimanere ciucco mi bastava appena mezzo boccale.
-Qual è la prossima tappa? – Chiese Vitellus, ora serio.
-Uhm, penso Bravil.
-Partirai domani?
-Sì, anche se prima devo occuparmi di una cosa.
-Beh, se ti interessa nelle prossime settimane dovrebbe partire una nave dal porto della Città Imperiale, farà scalo a Bravil. Procurarti un passaggio non dovrebbe costarti molto e poi è una buona scusa per dare un occhio alla Capitale.
-Grazie della dritta, vecchio mio.
-Figurati, che cos’è che devi fare prima di andare?
-Dovrei parlare con un certo Lord, Lord – schioccai le dita, cercando di ricordare il nome. – Ah, sì! Lord Rugdumph.
-Questo nome non mi è nuovo, sai? – Disse Vitellus, passando un dito sulla folta barba bruna. – Credo abiti in una tenuta fuori dalle mura di Cheydinhal. È un orco, giusto?
-Sì, ha anche una figlia.
-Allora ho capito chi è, per informazioni più dettagliate parlane con Burz gro-Kash, - Burz era il capo della sede della Gilda dei Guerrieri a Cheydinhal, - credo che le loro famiglia siano in qualche modo legate, ma non so come. Valle a capire le vicende famigliari degli orsimer.
-Perfetto, allora domattina ci vado a parlare.
-Non ti aspettare che sia gentile, però. Quell’orco potrebbe essere il figlio di un’orsa visto il caratteraccio che si ritrova. Io ci vado abbastanza d’accordo tutto sommato, ma oggi c’è mancato poco che malmenasse Keld.
-Non mi sorprende, quello è un idiota borioso.
-Un po’ come tutti i nord alla fine, no? – Mi punzecchiò, sorridendo.
-Già e gli imperiali sono tutti una massa di checche in gonnella, giusto.
Era bello passare un po’ di tempo così, dimenticando per un attimo le cose terribili che il mondo riservava. Alle volte mi chiedevo se mettermi in viaggio fosse stata una buona idea, se ne valeva davvero la pena. Poi però ricordavo i posti che avevo visitato, la gente che avevo incontrato, le persone che avevo conosciuto, le esperienze che avevo fatto e i pericoli che, a modo loro, mi stavano portando a crescere. Mi rendevo conto che una vita così valeva davvero la pena di viverla, pur con le sue brutture e i suoi momenti difficili.

Quella notte dormii nella locanda di Terrenuove, in cui avevo trascorso l’intera serata. Avrei potuto usufruire degli alloggi gratuiti forniti dalle due Gilde, ma il solo pensiero di rificcarmi fra l’intrico di vicoli e strade di Cheydinhal mi fece cambiare idea. Inoltre avevo voglia di starmene un po’ per i fatti miei e magari darmi una lettura al diario che avevo trovato a Forte Farragut.
Dopo essermi svestito e usando il mantello d’orso a mo’ di coperta, aprii il piccolo libricino e provai a leggere: le parole mi galleggiavano davanti agli occhi, erano incomprensibili. Magari ero troppo stanco e affaticato, le palpebre mi pesavano sugli occhi.
Decisi di rimandare la lettura al giorno dopo, quando fossi stato nel pieno delle forze e capace di concentrarmi. Riposi il diario sotto il cuscino e dopo pochi istanti precipitai in un sonno profondo.
Le immagini illuminarono il buio dietro le mie palpebre chiuse come in un sogno, ma con i colori smorti e la vividezza di un incubo.

Ero in una stanza che non avevo mai visto prima di allora: un caminetto, acceso, con il fuoco che consumava la legna e rilasciava nella stanza una luce pallida ma accogliente; sulla mensola c’erano alcuni vasi in terracotta, con sopra iscrizioni che non riuscivo a decifrare. Al centro della stanza un divanetto con due persone sedute, un uomo e una donna, intente in una conversazione: il tono era quello calmo e pacato di una lunga conoscenza, eppure nella voce della donna c’era un tremolio leggero, come se le sue parole fossero accese da un’aria sognante.
Mi avvicinai per vederli in viso, loro non sembravano fare caso a me. Era come se non fossi lì, ero un inerme spettatore di quella scena.
La donna aveva un viso che avevo già visto prima, era Cardys la Grigia, ma nel suo aspetto non c’era traccia dell’odio e dell’amarezza che le riempivano il volto a Forte Farragut. L’uomo invece non lo conoscevo: i lineamenti morbidi e la pelle chiara suggerivano che fosse di etnia bretone, i suoi capelli era schiariti dal primo biancore della vecchiaia. Era, insomma, un uomo di mezz’età. Era, apparentemente, molto più anziano della ragazza, eppure condivideva con lei una certa intimità.
-Ormai sei una maga a tutti gli effetti, sono così fiero di te. – Disse lui, sorridendole.
-Maestro, è tutto merito vostro. Se non mi aveste seguito nelle mie ricerche non sarei riuscita a buttar giù una tesi, Polus ne è sembrato così entusiasta. Mi avete seguita e sostenuta in tutti questi anni, nonostante le nostre idee sulla negromanzia siano tanto differenti.
-Piccolina, non darmi del lei, chiamami semplicemente Hannibal. Quante volte te lo devo ripetere? – La rimproverò teneramente, stropicciandole una guancia. – Ti ho accolto come mia pupilla dal primo momento in cui hai messo piede in questa Università, per me ormai sei come la figlia che non ho mai avuto.
La frase sembrò colpire la ragazza come uno schiaffo. Cardys si discostò un po’ dall’uomo e abbassò lo sguardo, cercando di nascondere gli occhi diventati lucidi.
-Come una figlia? Solo questo? – La sua voce tremava sempre di più. – È così che mi vedi?
-Cardys, bambina mia, che ti prende? – Chiese lui, a un tratto allarmato.
-Hanni, dal primo momento in cui ti ho visto ho sentito qualcosa che bruciava dentro di me, che mi scombussolava. All’inizio ti ho visto come un amico, un mentore, poi come un padre ma … ma andando avanti mi sono accorta che sentivo qualcosa di più forte nei tuoi riguardi. Credimi, ho cercato di resistere, sapevo che questa cosa avrebbe potuto mettere a rischio la tua posizione all’interno della Gilda e del Consiglio, ma non posso più tacere, non posso più far finta di nulla. Alla fine mi sono arresa a ciò che mi si muove dentro, al sentimento che a te mi lega. – Alzò lo sguardo. Le sue guance erano inondate di lacrime. – Hannibal Traven, i-io ti amo …
“Woah!” esclamai, indietreggiando di qualche passo per la sorpresa. Era una fortuna che oltre a non vedermi quei due non potessero neanche sentirmi. Il brandello di anima presente all’interno del diario di Cardys doveva avermi trascinato dentro uno dei suoi ricordi. Più in là avrei riflettuto su ciò che mi stava capitando, per il momento dovevo osservare con attenzione e ascoltare, probabilmente non avrei avuto un’altra occasione per assistere a questa scena.
Hannibal Traven era rimasto sbigottito dalla confessione della sua pupilla, dopo aver balbettato qualcosa, essersi scostato un po’, si schiarì la voce e disse:
-M-ma Cardys, bambina mia, t-tu sei così … così giovane, nel fiore degli anni mentre io-
-Non essere sciocco Hanni! – Protestò lei, risentita. – Per quanto ne sai potrei avere il doppio dei tuoi anni. Noi dunmer viviamo più a lungo del più longevo degli esseri umani, il tempo tarda a consumarci e invecchiamo lentamente. È solo apparenza, un’illusione, questo viso da ragazzina. – Gli prese una mano e la portò alla sua guancia levigata, color cenere.
-C-Cardys-
Non ebbe il tempo di finire la frase che la ragazza lo baciò.
Traven all’inizio rimase immobile di fronte a quel gesto inaspettato, poi le sue braccia cedettero, stringendosi attorno ai fianchi dell’elfa, premendo il corpo di lei contro il suo.

La scena mi si dissolse di fronte agli occhi: migliaia di frammenti, recanti brandelli di immagine, si librarono in aria, trascinati via da un vento proveniente da chissà dove. Mi ritrovai in uno spazio vuoto, senza pareti né cielo, tutto era nero, tutto era buio.
Ero come in un limbo, mi ritrovai davanti una ragazza dunmer che piangeva, con la testa fra le ginocchia, tutta rannicchiata per nascondere le belle forme del suo corpo nudo.
Era Cardys, ma sulla sua pelle c’era una nebbiolina bianca, lattiginosa. In quel limbo indossavo la mia armatura in cuoio, foderata con pelliccia; sulle spalle il mantello d’orso proveniente da Skyrim. Lo sganciai e lo posi sulle sue spalle, per coprirla.
Smise di singhiozzare, levando gli occhi verso di me: erano umidi, ancora ricolmi dell’ingenuità e gentilezza che le avevo visto in viso durante il ricordo con Traven.
-T-tu sei il ragazzo, – disse, tirando su con il naso, - come sei arrivato qui?
-Non saprei, suppongo sia per via del diario.
-Il diario? Per questo siamo ancora nel limbo. – Il suo tono si allarmò tutto ad un tratto. – Devi andare via, lei è qui! Cercherà di prendere il tuo corpo.
-Cosa? Chi è qui? Ci siamo solo io e te. – Non capivo.
-La donna vestita di nero, farebbe di tutto per vendicarsi di lui.
-Di chi? Di chi vuole vendicarsi?
-Dell’uomo che amavamo … vuole vendicarsi di Hannibal Traven.
-Ma-
-Non c’è tempo ragazzo, devi andare via adesso! Lei è qui!
Avvertii una presenza alle mie spalle, quando mi voltai notai con stupore che si trattava di Cardys: era vestita con gli abiti da negromante, nei suoi occhi c’era la stessa espressione furiosa che aveva nel forte.
Tentò di attaccarmi, ma un lampo di luce rossa la sbalzò indietro.
-Dannazione, l’altra anima! – Disse, con voce carica d’odio. – Non potrà proteggerti per sempre, sappi questo.
-Ma di che stai parlando? – Non ci stavo capendo nulla.
Gridò e tentò di attaccarmi una seconda volta, fallendo di nuovo.
-Maledizione!
-Devi andartene, ragazzo. – Disse quella che doveva essere la parte buona di Cardys.
-Taci, debole. – Le disse l’altra. – Vuoi davvero che Traven la passi liscia dopo quello che ci ha fatto?! Sei senza spina dorsale, senza di me tu non sei niente!
La ragazza si rialzò, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano. Nel suo sguardo c’era un’espressione forte e decisa, l’altra digrignò i denti e indietreggiò di qualche passo.
-Io non sono debole. Quella debole sei tu, consumata dal tuo odio.
-Come osi… - Rispose, caricando un incantesimo del fulmine fra le dita.
-Perché non ci diamo tutti una calmata? Spiegatemi cosa è successo. – Dissi, frapponendomi fra loro.
-Vattene, ragazzo. – Disse la buona, preparando un incantesimo a sua volta, per difendersi.
-No, ragazzo, rimani e muori. – Concluse l’altra.
Prima che potessi assistere allo scontro fui avvolto da una luce scarlatta, la stessa che mi aveva protetto dalla Cardys malvagia. La luce mi coprì gli occhi e la visione svanì così come era apparsa.
Mi svegliai di soprassalto nel mio letto. Nella stanza sentivo distintamente un acuto sibilo metallico, mi guardai intorno e capii che proveniva da Durendal: la spada era avvolta da un intenso bagliore rosso che si propagava dalla sua vena centrale.

 
NOTA DELL’AUTORE
Rieccomi :) “Oblivion: the story of the Hero of Kvatch (Prologue)” compie dieci capitoli. Capitolo denso di avvenimenti questo qui: vediamo Ragnar scoprire una parte del passato di Cardys e confrontarsi con la parte buona e la parte malvagia che è dentro ognuno di noi, come si risolverà questo scontro? C’è poi “l’altra anima”, quale mistero si nasconde dietro Durendal e perché protegge il nostro Nord? Lo scoprirete solo leggendo. Spero questo capitolo vi piaccia e che non sia troppo incasinato, poi lo sapete: se avete dubbi basta chiedere :D. Comunque per il diario avrete colto la citazione Potteriana, credo che la “Camera dei segreti” sia uno degli episodi più interessanti e originali della saga.

PS Se desiderate posso aggiornarvi personalmente sullo stato della storia, fatemi sapere tramite mp o nei commenti.

Un abbraccio,
NuandaTSP
   
 
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