Continuava
a ripetersi che era colpa dello stress, forze carenza di zuccheri,
forse era
troppo preoccupato per le lettere di suo fratello.
Eppure
l’irritazione cresceva: perché il primo moccioso
che arrivava all’orfanotrofio
doveva provocargli quel fastidio?
Magari
le prime volte ci si poteva anche stare, ma adesso si era arrivati al
limite.
Forse era questo che intendeva suo padre quando si parlava della
sconfitta.
Ma
lui non avrebbe fatto la sua fine. C’era una cosa che doveva
ancora fare, ma
quel pomeriggio era impegnato.
-Mello!
Mello, vieni subito qui!-
Erano
passati mesi e mesi, ormai, Mello sulla soglia dei dodici anni,
mangiava
tranquillo una barretta di cioccolato. Veniva chiamato da un signore
anziano
con gli occhiali chiamato Roger, e teneva per mano dei bambini.
-Perché
non riesci a startene tranquillo per almeno cinque minuti?- chiese Roger
-Mi
importunavano e siccome con le buone non l’hanno capito ho
usato le cattive-
-Mello,
devi capire che la violenza non serve a nulla. A prescindere dai motivi-
Una
cosa che Mello invece stava capendo, man mano che cresceva, e anche
grazie
all’esperienza col padre, era che, al contrario, con le buone
a volte non si
arrivava da nessuna parte. a volte per vincere si doveva essere
disposti a tutto.
E poi non aveva fatto niente di male, in fondo: giusto qualche calcetto
per
allontanarli. Che poppanti.
Dal
lutto del padre Mello vestiva sempre di nero, quasi fosse una divisa, e
i
capelli erano sempre gli stessi, a baschetto biondi con una frangetta
regolarissima, come avrebbero voluto i suoi genitori.
Sei
l’orgoglio della nobile
razza ariana, Mihael.
Si
incamminò, Mello, insieme agli altri bambini, verso una sala
in cui li
aspettava Watari, collegando qualche cavo del computer. Tutti i bambini
erano
eccitati, mentre lui era di un pattume quasi anormale. Ma non era
l’unico:
insieme a lui anche un altro bambino se ne stava tranquillo,
inginocchiato per
terra, a completare un puzzle a tinta unica. Questo bambino era fonte
di tanti
crucci per Melo, poiché era l’unico che gli dava
filo da torcere negli studi.
Il suo nome in codice era Near, ed era un poppante col pigiama bianco
sempre
addosso e i capelli bianchi mossi. Forse era albino. Non parlava con
nessuno, i
suoi rapporti con l’esterno si riducevano al minimo
indispensabile, e se ne
stava sempre a giocare coi robottini o a fare puzzle e castelli di
carta. Un
tipo odioso sotto tutti i punti di vista. Più volte voleva
picchiarlo, ma si
convinceva che l’indifferenza era l’arma migliore.
-Bambini,
silenzio, ora- disse Watari. Mello scartò un’altra
barretta e si appoggiò al
muro, in fondo alla stanza. Tanto non c’era nulla da vedere,
solo una schermata
bianca con una L in old english. Al di là di quello schermo
doveva esserci il
più grande detective del mondo, ma la cosa a mello non
interessava. Tanto
questo investigatore noto come L non parlava quasi mai, i bambini
ponevano le
domande e lui rispondeva. Poteva vedere tutti attraverso una
telecamera, ma a
loro non era concesso vederlo in volto. Non aveva senso perdere tempo
con una
persona così, pertanto Mello, di nascosto, uscì
dalla stanza per recarsi in
biblioteca.
-Dunque…-
diceva mentre sfogliava libri abbastanza vecchi –Arma,
guerra… Guerra,
distruzione… No, non così… Soldi,
lavoro… Lavoro, fatica… No, accidenti!-
Niente,
non riusciva a trovare nulla che riconducesse a suo padre! Quanto tempo
ci
stava lavorando ormai, senza la certezza di avere ancora un membro
della
famiglia vivo?!
Riprese
l’ultima lettera lasciata da suo fratello Milhel, e
cercò di mettere a fuoco
quella specie di scarabocchi. Prese carta e penna e cominciò
a scrivere.
M
R
A
A
Moraa
Aroma
Marao
Maroa
Ramoa
Amaro
Si
concentrò su aroma. Forse andava divisa in parti
più piccole.
Aro ma
A roma
Ar oma
Un
momento…
A
Roma?
Cosa
c’entrava Roma con suo fratello?
Riprovò
con un altro sistema.
A= 1
R= 17
O= 14
M= 13
A= 1
11714131
IILIAIEI
I il i aie i
Non
aveva senso.
Cosa
c’era dietro quelle lettere?
La
risposta era davvero… A Roma?
Digitò
sul motore di ricerca del computer Roma. Tra i tanti risultati il primo
che
apparve fu “Grande evento A Roma:
mostra di arte greca-romana classica, nei pressi del Pantheon.
Roma,
Pantheon.
Lo
aveva studiato qualche tempo fa.
Era
un tempio dedicato a tutti gli dei, dalla forma circolare. Aveva anche
una
cupola formata da cinque ordini di 28 cassettoni.
28…
Considerato
nell’antichità numero perfetto, simboleggiava
l’alto.
28…
Anche
provando a concentrarsi su quel numero, cosa doveva tirarne fuori?
28,
numero antico e perfetto.
28…
Data di nascita di Milhel, ora che ci pensava. 28 maggio, quinto mese
dell’anno,
come gli ordini della cupola.
Ma
questo non portava da nessuna parte.
Possibile
che quegli scarabocchi Milhel li avesse fatti apposta?
E
se invece…
A
Roma, 28 maggio
Mello
diede un’occhiata al calendario sul computer: 28 aprile.
Era
ancora in tempo.
-Mello!-
Mello
sobbalzò, girandosi di scatto verso la porta della
biblioteca. A chiamarlo era
stato un bambino castano che teneva in mano una consolle dei
videogiochi.
-Cosa
c’è, Matt?-
-Roger
ha detto che ti vuole nel suo ufficio. Si è accorto che te
ne sei andato mentre
L stava parlando-
Mello
sbuffò. Prese le scartoffie e il frutto dei suoi
ragionamenti e con passo
svogliato si diresse nell’ufficio di Roger.
Doveva
trovare il modo di andare a Roma il 28 maggio, assolutamente.