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Autore: AlenGarou    17/11/2016    1 recensioni
Pennington Mansion era buia e derelitta; una costruzione ormai morta da tempo, soffocata dal sangue e dalle ceneri del suo stesso passato. Del suo florido corpo non rimaneva altro che un labirinto di corridoi silenziosi e decadenti, marciti dal tempo e dall’usura. Ogni tanto la dimora gemeva, emanando qualche tetro scricchiolio; assestava le sue stanche e logore membra ricercando un riposo a lei proibito. Nonostante la misera fine che l’aveva soggiogata, all’interno delle sue ossa rimbombavano ancora i loro mormorii; flebili, infidi… supplichevoli. Malgrado i numerosi ospiti che ancora ricevevano, nessuno era stato in grado di dar loro una risposta, di dar loro una voce. Esseri senza guscio e senza alcun potere, venivano semplicemente ignorati.
Anno dopo anno, la loro agonia continuava inesorabile. Quell’incubo perdurava, mascherato da innocente gioco di un’infanzia a loro rubata. Fino a quel giorno. Fino alla notte di Samhain.
Fino a che lei non arrivò.
La casa si ridestò dal suo sogno; loro si risvegliarono e il male, che assopito aveva pazientemente atteso nel cuore oscuro di quella dimora, ritornò alla vita.
Eppure lei non gli diede alcun credito. Perché mai avrebbe dovuto temere quel male?
Genere: Dark, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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4.

 

«S

ei sicura?»

«Sì, sto bene qui.» Per evidenziare tale esclamazione, Alex alzò il libro che aveva selezionato dalla raccolta della casa senza troppa convinzione: una vecchia copia de La Tempesta di Shakespeare. Ritornata al suo posto e impaziente di poter ignorare gli altri con la scusa di quella lettura, lanciava ben poche occhiate al gruppo, nonostante avesse una buona visuale di ciò che accadeva nella sala grazie alla sua posizione. Non l’aveva scelta a caso. Poteva anche trovarsi lontano dal chiarore del fuoco, essendo così costretta a stringere gli occhi per poter leggere le pagine che sapeva già a memoria, ma tale disagio era un prezzo che pagava ben volentieri per la vicinanza alla porta. Se le cose fossero andate male, avrebbe potuto tranquillamente scappare, abbandonando i ragazzi al loro destino. Per cui non si fece scrupoli a posare il libro sul tavolino, trattenendo appena un colpo di tosse per la nuvola di polvere che sprigionò.

Udì Emily sospirare, ma la ragazza decise saggiamente di dedicarsi agli altri. Erano stranamente quieti; un bel passo avanti rispetto al caos che si era protratto fino a quel momento, che le permise di notare subito lo strano comportamento di Keiran. Continuava a lanciare occhiate a Ren, come se si aspettasse una qualche reazione da lui per il suo rifiuto di partecipare al gioco. Il giovane lo ignorava in silenzio, limitandosi a osservarla per conto suo quando non intratteneva Dakota.

Le venne spontaneo chiedersi da quando la sua opinione fosse diventata un caso di rilievo nazionale.

«Molto bene, venite tutti sul tappeto e sedetevi in modo da formare un cerchio. Mi raccomando, durante la seduta non dovrete mai romperlo o…»

«Fammi indovinare» esclamò Mark, interrompendo Emily. «Se il cerchio dovesse spezzarsi, gli spiriti richiamati sarebbero liberi di vagare per il nostro mondo e ucciderci tutti. Lo sappiamo. Tutti noi abbiamo visto almeno un film horror nella vita.»

Con la coda dell’occhio, Alex vide Keiran scuotere amaramente il capo. Lui e Sarah si erano accomodati nella poltrona accanto al fuoco e Sarah… Stava già iniziando a prendere appunti. Probabilmente Emily glieli avrebbe chiesti in seguito, in modo da aggiornare la sua storia.

«Oh, andiamo! Non è mai morto nessuno per una cosa del genere. E poi sono solo bambini. Cosa potrebbero farci?» sentenziò Dakota, posando una mano sulla coscia di Ren.

«Uccidervi, magari?»

Non era riuscita a trattenersi e si era ritrovata a fare il verso a Mark. Inutile dire che ebbe tutti gli occhi puntati addosso.

«Come sei fatalista.»

«Considerando il contesto direi di sì. E tecnicamente non sono bambini, ma fantasmi. E non so quale dei due sia peggio… Forse i bambini.»

Una risatina spezzò l’atmosfera tesa che si era creata, tanto che Ren dovette ricomporsi, ignorando le occhiate stizzite che ricevette a favore di Alex, ritornata nel dimenticatoio.

«In ogni caso sarò io a rivolgere le domande agli spiriti, quindi non parlate a vanvera, non servirà a nulla.» Emily lanciò uno sguardo al gruppo per richiamare l’attenzione e quando il cerchio fu formato annuì soddisfatta. Prese il sacchetto e rovesciò il suo contenuto al centro, rivelando una dozzina di dadi. Al posto dei numeri, sulle facce erano state trascritte le lettere dell’alfabeto con un pennarello nero. Li prese in mano e guardò uno a uno i presenti.

«Molto bene, direi d’iniziare.»

«Ma sei sicura che quei cosi siano affidabili?» le domandò all’improvviso Leyla, facendole scivolare un dado dalle dita. «Non sapevo che foste così sciattoni da non potervi permette una tavola Ouja come si deve.»

«Diciamo che l’intento della serata era quello di fare qualcosa d’interessante e originale, non un pigiama party» la rimbeccò Emily, mentre recuperava il fuggitivo. Alex dovette sforzarsi di non sorridere.

«Ci sono altre domande o possiamo cominciare?»

Silenzio.

Emily sospirò grata e sollevò i dadi. «Ok. Oh, spiriti, questa notte noi vi invochiamo. Dateci un segno della vostra presenza!»

Li lanciò in aria facendoli ricadere sul tappeto e li rimasero, immobili. Alcuni si sporsero a osservare le lettere che erano apparse in cerca di una traduzione, ma non avevano alcun significato.

 

G A U R Z T A N D S M Q

 

Emily aspettò qualche istante, poi li riprese, rigirandoseli tra le dita. Ripeté la domanda un’altra volta, ma come in precedenza non ottenne nessuna risposta concreta. Nonostante gli sguardi divertiti dei suoi compagni, la ragazza non si perse d’animo.

«Riproviamo. C’è qualche spirito in questa casa?»

«Magari sono fuori a festeggiare» mormorò John, beccandosi un pugno sulla spalla da Gregory.

Emily sollevò le mani e fece ricadere i dadi, ignorando gli altri. Mentre i ninnoli volteggiavano in aria, le luci della stanza ebbero un leggero tremolio, così impercettibile che nessuno se ne accorse. Una vivida fiamma sguizzò nel camino. Quando Emily controllò attentamente le lettere s’illuminò.

 

C G Q Y E S P U Z M A R

 

«Sì! Avete visto? È uscito sì! Vediamo… Siete morti in questa casa?»

«Non credo sia molto delicato da parte tua chiedergli…» Ma la voce di Gregory s’interruppe quando comparve la risposta.

Di nuovo un sì.

Alex alzò gli occhi dal libro.

«Chiedigli se è stato Gallivan ad ammazzargli!» esclamò Mark, visibilmente euforico per come stava procedendo la seduta.

Emily lo guardò male e recuperò i dadi. «Volete parlare un po' con noi?»

I cubi formarono di nuovo una sequenza senza senso.

«Uhm… possiamo giocare con voi, se volete?»

Ancora nulla di fatto.

«Notate qualcosa?» chiese Emily, nella speranza di avere un qualche riscontro.

«Da questa prospettiva sembra scritto “cake”» esclamò Dakota.

«Cake? Hanno per caso voglia di torta?»

«Magari nel mondo dei morti sono fanatici della linea.»

Alex scosse il capo nell’udire quei discorsi e calcolò mentalmente il numero di probabilità di una parola concreta con quel metodo. Certa che si trattasse di pura e semplice fortuna, ritornò al suo libro, posando il viso su una mano con fare annoiato.

«Siete ancora con noi?» domandò allora Emily.

La risposta fu “here”.

«Oh, bene. Almeno non ci hanno abbandonato. Dunque volete…?»

«Emily…» iniziò Ren, interrompendo la sua domanda. Colta alla sprovvista, Emily lasciò cadere i dadi sul tappeto nonostante non avesse fatto alcuna richiesta. Gli altri si sporsero a controllare ugualmente, incuranti di sembrare degli idioti. «Ti sei dimenticata la domanda più importante…» continuò lui.

«E quale?»

«Se non ricordo male, in questa casa non sono morti solo dei bambini. Perché sei convinta che si tratti di loro?»

Quella considerazione gettò tutti nel silenzio più totale.

Emily raccolse i dadi, le mani che le tremarono leggermente per l’emozione.

«Siete i ragazzi di Mrs. Pennington?»

Tutti trattennero il fiato nell’attesa di un riscontro. Quando uscì un altro sì, si udirono vari sospiri di sollievo.

Alex sbadigliò, sistemandosi meglio la mantella sulle spalle a causa degli spifferi che provenivano dalla porta. Stava quasi rimpiangendo di non essersi seduta accanto a Sarah e a Keiran, ma in quel momento si sentiva troppo pigra per alzarsi. Oltretutto, il panino stava già facendo il suo corso e iniziava ad avere un leggero abbiocco.

«Cosa state facendo?»

Ci fu un attimo d’incertezza in cui i ragazzi osservarono le lettere senza alcun riscontro, ma poi Ren si sporse e allontanò i dadi superflui finché non rimase “play”.

«Beh, questo è confortante» sentenziò il ragazzo.

«A cosa state giocando?» chiese allora Emily.

La risposta non si fece attendere. “Hide”.

«Nascondino? Bello. Anch’io ci giocavo sempre da piccola. E da chi vi nascondete?»

Di nuovo nessuna risposta.

«Ho capito. Volete giocare con noi?»

Ancora nulla.

«Vi nascondete da Gallivan?» chiese con voce incerta.

Ricomparve di nuovo “hide”.

Le palpebre di Alex si fecero più pesanti e il tepore del sonno incominciò ad avvolgerla con il suo confortante manto. Il suo campo visivo si fece sfuocato, i bordi confusi e sempre più ottenebrati. Scosse la testa e strizzò gli occhi, cercando di concentrarsi sulle parole che le scivolavano sotto gli occhi come acqua torbida. Alla fine, si arrese a quel caldo abbraccio.

«Ok, allora… Chi deve nascondersi?» continuò Emily.

“Her”.

«Oh, quindi state cercando la bambina?»

«Emily, aspetta…»

I dadi ricomposero la parola “her”.

«Cosa c’è?» chiese, stupendosi della mano di Ren posata sulle sue per bloccarla. I loro compagni erano talmente assorti che quasi non si accorsero di quel gesto. Dakota sbuffò dalle narici.

«Credo sia arrivato il momento di concludere. Non è saggio andare troppo oltre. Abbiamo chiacchierato a sufficienza.»

«Ren, non ti ci mettere anche tu» commentò stizzito Mark. «Ormai le cose si stanno facendo interessanti.»

Lui non si scomodò a rispondergli, ma gli lanciò un’occhiataccia mentre interrompeva il contatto fisico con Emily, tornando composto.

«Forse hai ragione… Molto bene. Bambini, grazie della compagnia. Dichiaro conclusa questa seduta. Siete liberi di riposare in pace!»

I dadi le scivolarono tra le dita.  Forse si aspettava un qualche saluto, ma ciò che comparve davanti agli occhi dei giovani fu un’altra sequenza.

 

W B O K O L A X N G H S

 

«Ma cosa…»

«Aspettate, forse ci sono!» esclamò Gregory, protraendosi verso i ninnoli.

Fu allora che i dadi rotearono da soli sul tappeto, provocando una sequela d’esclamazioni sorprese e imprecazioni. Ma quando si fermarono, un silenzio opprimente cadde nella stanza.

 

H E R H E R H E R H E R

 

«Com’è possibile?» chiese Leyla, la voce stridula dal panico. «Fa qualcosa!»

Keiran e Sarah si avvicinarono al gruppo, visibilmente preoccupati per come stava proseguendo la seduta.

Emily fece per recuperare i dadi, ma questi rotearono nuovamente privi di controllo, facendola scattare all’indietro.

 

H I D E H I D E H I D E

 

Le luci incominciarono a sfarfallare. Nella casa echeggiò un raccapricciante rumore simile a un grottesco stridio, come se la dimora si stesse assestando sulle sue fondamenta, facendo scricchiolare le assi di legno e i vetri. Dopo di che, le piccole lampadine dei fili di luce si surriscaldarono, emanando un bagliore così intenso che le fece esplodere. I dadi, come se avessero avuto vita loro, continuarono a ruotare, formando la stessa sequenza di parole più e più volte. Il suolo incominciò a tremare e la lampada situata sul tavolino da caffè vicino al divano traballò sul bordo.

«No!» urlarono in coro Emily e Keiran, ma fu troppo tardi.

La lampada scivolò e cadde. Agendo d’istinto, Mark si alzò per schivarla, allontanandosi dagli altri. Nell’esatto istante in cui infranse quell’invisibile circolo, tutto si acquietò senza alcuna spiegazione. Le luci si affievolirono, il fuoco tornò a morire soffocato nelle proprie ceneri e il silenzio ricominciò a regnare nella casa.

Con il respiro affannato e gli occhi sgranati dietro le lenti degli occhiali, Emily osservò i dadi ormai immobili che formavano la frase “the end”; poi alzò lo sguardo fino a trovare quello di Mark e infine scrutò quelli tesi dei presenti. Ripresa dallo shock iniziale, scattò all’improvviso, agguantando i cubetti per rimetterli velocemente nel sacchetto senza degnarli di uno sguardo. Corse a gettarli nel camino senza alcuna spiegazione, spinta dal desiderio di liberarsi di quei trabiccoli infernali, ma nel mentre non accorse nemmeno di Keiran, che nel frattempo aveva afferrato Mark per il colletto.

«Cosa ti è saltato in mente?» sbraitò.

«Non è successo niente!» Mark lo allontanò con quella flebile scusa e uno scrollone. Non sorrideva.

«Non hai idea di che cosa hai fatto!» Prima che potesse colpirlo, Gregory bloccò Keiran e lo costrinse ad allontanarsi da lui.

«Basta! Calmatevi!» urlò Dakota per riportare l’ordine, anche se lei stessa era un fascio di nervi. «Dobbiamo andarcene da qui! Non ne voglio più sapere di questa storia.»

«Concordo!» esclamò Leyla, correndo a prendere la giacca.

«Avanti, non lasciamoci prendere dal panico» provò a ragionare John, cercando di mantenere la calma. Nessuno lo badò.

«Panico? Direi che Emily si è divertita fin troppo!» urlò Leyla, sistemandosi la giacca così bruscamente da rischiare di far saltare le cuciture delle maniche.

«Pensi davvero che questa sia tutta opera mia?» sbraitò allora lei, avvicinandosi per fronteggiarla.

«Ovvio. Hai avuto tutto il tempo che ti serviva per architettare questo stupido scherzo! Non ti facevo una persona così meschina! Si vede che la sua compagnia non ti fa bene!»

«Smettila, lei non c’entra nulla!» Emily era pronta a rifare la faccia alla cugina a son di pugni, una reazione fin troppo violenta per una persona dal carattere mite come il suo. Con i gelidi artigli del panico conficcati nella pelle, era pronta a commettere qualsiasi sciocchezza, mentre il sorriso di Leyla si allargava vittorioso.

«Ma davvero? Allora perché la tua complice è così tranquilla?»

Emily trattenne a stento un’imprecazione, mentre nel suo animo un altro tipo di preoccupazione prese il sopravvento. Senza pensarci due volte, si voltò verso Alex.

«Alex?»

Alex emise un flebile sospiro. Avvertì la voce di Emily riecheggiare insieme a tutte le altre attorno a lei, confuse e indistinte, mentre un lieve respiro, così simile a una carezza contro la pelle, le scendeva lungo il collo. Nessuno si accorse della mano nera che si ritirò dentro al suo cappuccio, le dita inarcate che le lambivano i capelli.

Emily fece un passo nella sua direzione, inquieta. Nonostante il caos, nonostante le urla e la tensione generale, Alex era rimasta immobile per tutto il tempo, il capo leggermente reclinato in avanti come se si fosse assopita.

«Alex? Stai bene? Mi stai preoccupando.»

Richiamata dal suono della voce dell’amica sempre più vicino, Alex sollevò il capo e aprì gli occhi, confusa. Accorgendosi di avere tutti gli sguardi concentrati su di lei, sbatté le palpebre, cercando di schiarire la propria visuale. Scrutò i ragazzi agitarsi nello sfondo, la lampada rotta che giaceva abbandonata sul tappeto, per poi puntare il suo sguardo sul sacchetto di dadi che bruciava lentamente, rimanendo quasi incantata. Una strana litania le echeggiava debolmente nelle orecchie. Quando si decise a concentrarsi su Emily, la fissò confusa, non capendo il motivo per cui la stava guardando terrorizzata. Almeno finché non avvertì qualcosa di caldo scivolarle sulle labbra. Si portò una mano al viso e rimase attonita nel constatare che le sue dita si erano macchiate di sangue.

«Alex…»

Fece per risponderle, ormai conscia di aver attirato di nuovo l’attenzione generale e irritata per aver macchiato il libro, quando fu distratta da suono sgradevole accanto a lei. Abbassò lo sguardo e si rese conto di aver chiuso le mani ad artiglio sulla superficie liscia del tavolo, rigando il legno con le unghie.

«Cosa…»

Non terminò la frase.

La sua schiena s’inarcò all’indietro con uno schiocco raccapricciante; il cappuccio della mantella le ricadde sulle spalle, insieme a una cascata di lunghi capelli scuri. I suoi occhi si persero a contemplare il vuoto, spalancati quanto la bocca, nella quale un gemito era stato strozzato.

Per la prima volta dopo molto tempo, un sapore aspro, quasi nostalgico, le si sciolse sulla lingua. Un sapore che aveva dimenticato. Quello della paura.

Scossa dalle convulsioni, Alex non poté fare a meno di avvertire i suoi arti scricchiolare e contorcersi, senza avere la possibilità di fermarsi. Tremava così forte che da sotto la camicia sentiva il ciondolo che indossava sbatterle con violenza contro il petto. Attorno a lei si levarono grida, imprecazioni, ma non erano altro che deboli mormorii rispetto a ciò che avvertì nella sua testa.

Erano voci, urla, sussurri, gemiti, ringhi, ruggiti. Senza età, senza sesso, squillanti e profondi. Sconosciuti.

 

A L E X A N D E R …

 

Famigliari.

Il dolore arrivò in un istante. Acido, bruciante, senza perdono. Sentiva la sua carne lacerarsi sotto gli artigli di qualcosa che la stava dilaniando senza pietà, scavando dentro di lei fino a creare una voragine. L’urlo che le salì alla gola si trasformò in una grossolana risata che azzittì i presenti, troppo sconvolti per reagire.

 

A L E X … A N D E R …

 

Dentro di lei maturò il desiderio di scomparire, di scivolare nell’oblio per non dover più sopportare quell’intrusione, ma con esso crebbe anche la brutalità con il quale il suo corpo veniva profanato. Perché il dolore non l’aveva portava alla deriva; l’aveva resa più lucida.

Doveva fermarlo. Doveva pur fare qualcosa.

La sua testa era sul punto di esplodere. Il suo corpo sul punto di arrendersi.

Ma poi, quella presenza così intenta a farsi strada dentro di lei, si bloccò. Non la lasciò andare, ma allentò la presa. In quel momento, il caos raggiunse il suo apice, sbiadendo in un fischio così assordante da cancellare qualsiasi rumore attorno a lei. Il tempo si dilatò in un singolo, interminabile, attimo.

Alex prese un profondo respiro sofferto, mentre avvertiva qualcosa che cambiava dentro di lei. Era impercettibile, una minima differenza, troppo poco accennata per poter essere distinguibile. Eppure la sentiva. Come lo scatto dei meccanismi di una serratura che veniva sbloccata.

Ci fu solo silenzio.

 

C I  S E I  M A N C A T A …

 

Alex chiuse gli occhi; urlò e questa volta la presenza dentro di lei non riuscì a contenerla.

Urlò con tutto il fiato che le era rimasto in corpo. Attorno a lei, le vetrinette degli scaffali s’incrinarono ed esplosero. Le grida di chi le stava attorno si levarono alte, unendosi alla sua in un coro squillante e graffiante.

Udì dei passi correre verso lei, ma chiunque fosse l’impavido stolto non riuscì a raggiungerla. Si ritrovò ad artigliare il tavolino, mentre il suo petto cozzava contro la superfice ormai logora. Non passò che qualche istante quando udì il rumore di qualcosa che cadeva in lontananza o forse era solo la sua testa. Il suo collo scricchiolò, girato di lato come una marionetta.

E fu allora che la vide.

Attraverso i capelli che le coprivano il viso, riuscì a distinguere la tangibile figura di una bambina accanto a lei. Con le mani protese e la bocca socchiusa che si muoveva come se stesse recitando una qualche specie formula, la osservava contorcersi senza pace. I loro occhi s’incrociarono, ma la bambina non mosse un muscolo, né distolse lo sguardo. Nelle sue iridi color ebano Alex poté osservare l’abisso.

Dentro di lei la paura scemò, sostituita da qualcosa di più bruciante e oscuro. Le voci si azzittirono.

Una rabbia senza nome spazzò vie le sue incertezze. Come poteva farsi trattare in quel modo? Come osava quell’entità usare il suo corpo a proprio piacimento senza che lei muovesse un dito per fermarla? Da quanto tempo quella bambina era lì? Da quanto tempo la stava osservando senza fare nulla per aiutarla?

Digrignò i denti, facendo appello alla sua volontà.

Via…

Sotto di lei il tavolino tremolò, come se qualcuno l’avesse colpito con forza.

Va via…

Continuò a fissare la bambina. La stessa del dipinto. La stessa che posava vicino alla donna con uno sguardo tranquillo. Ma non riuscì a provare pietà per lei, nemmeno quando le sue labbra ebbero un fremito e le sue mani si abbassarono. I suoi occhi inespressivi si colmarono di confusione e, così come la rabbia di Alex montava in lei, di paura.

Va…

La bambina fece indietreggiò di un passo.

SPARISCI!

«Ipse venena bibas» mormorò Alex.

Fu di nuovo scaraventata all’indietro e il suo corpo cozzò contro lo schienale della sedia. E in un attimo si sentì senza peso. Libera. Qualsiasi cosa si fosse impadronita di lei, si dileguò senza lasciare traccia e Alex si ritrovò a boccheggiare nuovamente sul tavolo, questa volta inalando la meravigliosa aria insalubre che le riempì i polmoni doloranti.

Si voltò giusto in tempo per vedere la bambina sparire oltre la soglia.

No.

Ignorando i lamenti e le lacrime degli altri, la voce debole di Emily che spezzata dal pianto la chiamava, Alex si tirò a sedere di scatto, incurante del dolore. Scaraventò il tavolo lontano da sé per alzarsi, spedendolo al centro della stanza dove si ruppe definitivamente e partì all’inseguimento con un’espressione mostruosa dipinta in viso. I suoi passi rimbombavano nei corridoi deserti come tamburi di guerra, il suo cuore agognava una dolce e pura vendetta. Doveva trovarla, doveva raggiungerla, doveva…

«Alex!»

Una mano la fermò, bloccandole il polso. Pervasa da un gelido moto d’odio, si voltò, mirando al volto con le unghie sguainate.

«Alex, smettila!»

No. Nessun altro l’avrebbe fermata. Si divincolò con la forza di una fiera in gabbia, mettendo a dura prova il suo assalitore che alla fine si ritrovò costretto a schiacciarla contro il muro per immobilizzarla. E ciò non fece altro che accrescere la sua ira. Ormai accecata dall’istinto di sopravvivenza, Alex lottò con le unghie e con i denti, riuscendo ad allontanarsi quel tanto che le serviva per scappare e…

«Alex guardami, maledizione!»

Ren le schiaffeggiò con forza il viso, per poi afferraglielo con entrambe le mani, costringendola a guardarlo dritto negli occhi senza alcuna possibilità di ribellarsi.

Alex si fermò, rimanendo completamente immobile a causa di quel contatto visivo.

Non era abituata a quella vicinanza. A causa della pigmentazione irregolare delle sue iridi, le persone evitavano solitamente di guardarla apertamente e per lo più le giravano alla larga, ma nello sguardo di Ren non colse né la paura né la diffidenza a cui era abituata. C’era solo apprensione.

«Guardami, Alex. Concentrati su di me.»

E lei lo fece.

Trattenne il respiro. Accorgendosi della sua reazione, Ren le afferrò prontamente il cappuccio e glielo mise di nuovo sul capo, prima di attirarla a sé per permetterle di nascondere il viso contro il suo petto. Non fu un abbraccio tenero o compassionevole. Tutt’altro.

Nonostante il calore del suo corpo, il ragazzo era rigido come un pezzo di legno.

«So che sei sconvolta» le sussurrò contro l’orecchio, «ma ora ho bisogno che ti calmi e che ritorni in quella stanza. Dirai che va tutto bene, ti scuserai con Keiran per averlo gettato contro il muro e non dirai una sola parola su quello che è appena successo. Prenderemo le nostre cose e usciremo da questa casa. Poi andremo in ospedale, che tu lo voglia o meno, intesi?»

Ascoltò il suo tono freddo e pratico e annuì lentamente, posando la mano sul suo polso. Prima di strattonarlo malamente via da lei, riuscì per un istante a sentire la sua pelle liscia e calda sotto le dita.

«Sto bene. Va tutto bene» mormorò senza alcuna convinzione, sperando che non si accorgesse del lieve tremolio della sua voce.

«Ottimo. Perché da morta non mi servi a niente.» Le diede un sbuffetto sul naso, trattenendosi solo un poco per pulirle il sangue rappreso che le si era incrostato sopra il labbro superiore. Dopo di che, si allontanò da lei, portando via tutto il calore del corridoio.

Alex, da brava persona analitica, non fece caso al suo atteggiamento distaccato. Aveva ragione, purtroppo. Gli altri erano già sconvolti e spaventati, ma con la sua fuga improvvisa aveva rischiato di scatenare il panico; l’ultima cosa che serviva in una situazione del genere. Avrebbe avuto tutto il tempo che le occorreva per leccarsi le ferite, una volta fuori da lì.

Fece per seguirlo docilmente, stanca di lottare e indebolita, quando un fruscio dietro di lei la bloccò.

Decisa a proseguire, lo ignorò, ma quando alzò lo sguardo per osservare la schiena di Ren, non vide altri che un ragazzino dall’aspetto famigliare. Al contrario di sua sorella, lui si limitò a indicarle il petto con una mano, gli stessi occhi oscuri che la fissavano immobili.

Alex abbassò lo sguardo e fu allora che mise a fuoco le macchie nere che si stavano espandendo sulla sua camicia dove l’entità l’aveva artigliata. Le sue mani ne erano già impregnate, il sangue nero che le colava tra le dita come pece.

Socchiuse le labbra per richiamare l’attenzione di Ren, ma quando fece un passo in avanti, cadde.

L’ultima cosa che avvertì, furono le braccia del ragazzo chiudersi attorno a lei come una gabbia per trattenerla, ma fluttuò via, galleggiando alla deriva.

 

 

 

Spazio scleri:

 

Eccoci qui con un nuovo capitolo. Incasinato. Molto incasinato. Lasciate pure le lamentele alla segretaria se non capite una cippa.

Ad ogni modo, ringrazio tutti quelli che hanno lasciato una recensione, aggiunto la storia alle loro liste e *momentobimbominkia* se volete lasciare un commento, un parere, una critica (magari) state pur tranquilli che non ho il vostro indirizzo di casa :D *finemomentobimbominkia*

Scherzi a parte, mi auguro che questo speciale vi stia piacendo, anche perché da adesso in poi ci sarà davvero da divertirsi. Se vi piacciono i tripponi nosense…

Ci vediamo tra un paio di settimane!

 

  
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