4.
«S |
ei
sicura?»
«Sì,
sto bene qui.» Per evidenziare tale esclamazione, Alex alzò il libro che aveva
selezionato dalla raccolta della casa senza troppa convinzione: una vecchia
copia de La Tempesta di Shakespeare. Ritornata
al suo posto e impaziente di poter ignorare gli altri con la scusa di quella
lettura, lanciava ben poche occhiate al gruppo, nonostante avesse una buona
visuale di ciò che accadeva nella sala grazie alla sua posizione. Non l’aveva
scelta a caso. Poteva anche trovarsi lontano dal chiarore del fuoco, essendo
così costretta a stringere gli occhi per poter leggere le pagine che sapeva già
a memoria, ma tale disagio era un prezzo che pagava ben volentieri per la
vicinanza alla porta. Se le cose fossero andate male, avrebbe potuto
tranquillamente scappare, abbandonando i ragazzi al loro destino. Per cui non
si fece scrupoli a posare il libro sul tavolino, trattenendo appena un colpo di
tosse per la nuvola di polvere che sprigionò.
Udì Emily sospirare, ma la ragazza decise saggiamente
di dedicarsi agli altri. Erano stranamente quieti; un bel passo avanti rispetto
al caos che si era protratto fino a quel momento, che le permise di notare
subito lo strano comportamento di Keiran. Continuava a lanciare occhiate a Ren,
come se si aspettasse una qualche reazione da lui per il suo rifiuto di
partecipare al gioco. Il giovane lo ignorava in silenzio, limitandosi a
osservarla per conto suo quando non intratteneva Dakota.
Le venne spontaneo chiedersi da quando la sua opinione
fosse diventata un caso di rilievo nazionale.
«Molto bene, venite tutti sul tappeto e sedetevi in
modo da formare un cerchio. Mi raccomando, durante la seduta non dovrete mai
romperlo o…»
«Fammi indovinare» esclamò Mark, interrompendo Emily.
«Se il cerchio dovesse spezzarsi, gli spiriti richiamati sarebbero liberi di
vagare per il nostro mondo e ucciderci tutti. Lo sappiamo. Tutti noi abbiamo
visto almeno un film horror nella vita.»
Con la coda dell’occhio, Alex vide Keiran scuotere
amaramente il capo. Lui e Sarah si erano accomodati nella poltrona accanto al
fuoco e Sarah… Stava già iniziando a prendere appunti. Probabilmente Emily
glieli avrebbe chiesti in seguito, in modo da aggiornare la sua storia.
«Oh, andiamo! Non è mai morto nessuno per una cosa del
genere. E poi sono solo bambini. Cosa potrebbero farci?» sentenziò Dakota,
posando una mano sulla coscia di Ren.
«Uccidervi, magari?»
Non era riuscita a
trattenersi e si era ritrovata a fare il verso a Mark. Inutile dire che ebbe
tutti gli occhi puntati addosso.
«Come sei fatalista.»
«Considerando il contesto
direi di sì. E tecnicamente non sono bambini, ma fantasmi. E non so quale dei
due sia peggio… Forse i bambini.»
Una risatina spezzò l’atmosfera tesa che si era creata, tanto che Ren dovette ricomporsi, ignorando le occhiate stizzite che ricevette a favore di Alex, ritornata nel dimenticatoio.
«In ogni caso sarò io a rivolgere le domande agli
spiriti, quindi non parlate a vanvera, non servirà a nulla.» Emily lanciò uno
sguardo al gruppo per richiamare l’attenzione e quando il cerchio fu formato
annuì soddisfatta. Prese il sacchetto e rovesciò il suo contenuto al centro,
rivelando una dozzina di dadi. Al posto dei numeri, sulle facce erano state
trascritte le lettere dell’alfabeto con un pennarello nero. Li prese in mano e
guardò uno a uno i presenti.
«Molto bene, direi d’iniziare.»
«Ma sei sicura che quei cosi siano affidabili?» le
domandò all’improvviso Leyla, facendole scivolare un dado dalle dita. «Non
sapevo che foste così sciattoni da non potervi permette una tavola Ouja come si
deve.»
«Diciamo che l’intento della serata era quello di fare
qualcosa d’interessante e originale, non un pigiama party» la rimbeccò Emily,
mentre recuperava il fuggitivo. Alex dovette sforzarsi di non sorridere.
«Ci sono altre domande o possiamo cominciare?»
Silenzio.
Emily sospirò grata e sollevò i dadi. «Ok. Oh,
spiriti, questa notte noi vi invochiamo. Dateci un segno della vostra
presenza!»
Li lanciò in aria facendoli ricadere sul tappeto e li
rimasero, immobili. Alcuni si sporsero a osservare le lettere che erano apparse
in cerca di una traduzione, ma non avevano alcun significato.
G A U R Z T A N D S M Q
Emily aspettò qualche istante, poi li riprese, rigirandoseli
tra le dita. Ripeté la domanda un’altra volta, ma come in precedenza non
ottenne nessuna risposta concreta. Nonostante gli sguardi divertiti dei suoi
compagni, la ragazza non si perse d’animo.
«Riproviamo. C’è qualche spirito in questa casa?»
«Magari sono fuori a festeggiare» mormorò John,
beccandosi un pugno sulla spalla da Gregory.
Emily sollevò le mani e fece ricadere i dadi,
ignorando gli altri. Mentre i ninnoli volteggiavano in aria, le luci della
stanza ebbero un leggero tremolio, così impercettibile che nessuno se ne
accorse. Una vivida fiamma sguizzò nel camino. Quando Emily controllò
attentamente le lettere s’illuminò.
C G Q Y E S P U Z M A R
«Sì! Avete visto? È uscito sì! Vediamo… Siete morti in
questa casa?»
«Non credo sia molto delicato da parte tua
chiedergli…» Ma la voce di Gregory s’interruppe quando comparve la risposta.
Di nuovo un sì.
Alex alzò gli occhi dal libro.
«Chiedigli se è stato Gallivan ad ammazzargli!»
esclamò Mark, visibilmente euforico per come stava procedendo la seduta.
Emily lo guardò male e recuperò i dadi. «Volete
parlare un po' con noi?»
I cubi formarono di nuovo una sequenza senza senso.
«Uhm… possiamo giocare con voi, se volete?»
Ancora nulla di fatto.
«Notate qualcosa?» chiese
Emily, nella speranza di avere un qualche riscontro.
«Da questa prospettiva
sembra scritto “cake”» esclamò Dakota.
«Cake? Hanno per caso
voglia di torta?»
«Magari nel mondo dei morti
sono fanatici della linea.»
Alex scosse il capo nell’udire quei discorsi e calcolò mentalmente il numero di probabilità di una parola concreta con quel metodo. Certa che si trattasse di pura e semplice fortuna, ritornò al suo libro, posando il viso su una mano con fare annoiato.
«Siete ancora con noi?» domandò allora Emily.
La risposta fu “here”.
«Oh, bene. Almeno non ci hanno abbandonato. Dunque
volete…?»
«Emily…» iniziò Ren, interrompendo la sua domanda.
Colta alla sprovvista, Emily lasciò cadere i dadi sul tappeto nonostante non
avesse fatto alcuna richiesta. Gli altri si sporsero a controllare ugualmente,
incuranti di sembrare degli idioti. «Ti sei dimenticata la domanda più
importante…» continuò lui.
«E quale?»
«Se non ricordo male, in questa casa non sono morti
solo dei bambini. Perché sei convinta che si tratti di loro?»
Quella considerazione gettò tutti nel silenzio più
totale.
Emily raccolse i dadi, le mani che le tremarono
leggermente per l’emozione.
«Siete i ragazzi di Mrs. Pennington?»
Tutti trattennero il fiato nell’attesa di un
riscontro. Quando uscì un altro sì, si udirono vari sospiri di sollievo.
Alex sbadigliò, sistemandosi meglio la mantella sulle
spalle a causa degli spifferi che provenivano dalla porta. Stava quasi
rimpiangendo di non essersi seduta accanto a Sarah e a Keiran, ma in quel
momento si sentiva troppo pigra per alzarsi. Oltretutto, il panino stava già
facendo il suo corso e iniziava ad avere un leggero abbiocco.
«Cosa state facendo?»
Ci fu un attimo d’incertezza in cui i ragazzi
osservarono le lettere senza alcun riscontro, ma poi Ren si sporse e allontanò
i dadi superflui finché non rimase “play”.
«Beh, questo è confortante» sentenziò il ragazzo.
«A cosa state giocando?» chiese allora Emily.
La risposta non si fece attendere. “Hide”.
«Nascondino? Bello. Anch’io ci giocavo sempre da
piccola. E da chi vi nascondete?»
Di nuovo nessuna risposta.
«Ho capito. Volete giocare con noi?»
Ancora nulla.
«Vi nascondete da Gallivan?» chiese con voce incerta.
Ricomparve di nuovo “hide”.
Le palpebre di Alex si fecero più pesanti e il tepore
del sonno incominciò ad avvolgerla con il suo confortante manto. Il suo campo
visivo si fece sfuocato, i bordi confusi e sempre più ottenebrati. Scosse la
testa e strizzò gli occhi, cercando di concentrarsi sulle parole che le
scivolavano sotto gli occhi come acqua torbida. Alla fine, si arrese a quel
caldo abbraccio.
«Ok, allora… Chi deve nascondersi?» continuò Emily.
“Her”.
«Oh, quindi state cercando la bambina?»
«Emily, aspetta…»
I dadi ricomposero la parola “her”.
«Cosa c’è?» chiese, stupendosi della mano di Ren
posata sulle sue per bloccarla. I loro compagni erano talmente assorti che
quasi non si accorsero di quel gesto. Dakota sbuffò dalle narici.
«Credo sia arrivato il momento di concludere. Non è
saggio andare troppo oltre. Abbiamo chiacchierato a sufficienza.»
«Ren, non ti ci mettere anche tu» commentò stizzito
Mark. «Ormai le cose si stanno facendo interessanti.»
Lui non si scomodò a rispondergli, ma gli lanciò
un’occhiataccia mentre interrompeva il contatto fisico con Emily, tornando
composto.
«Forse hai ragione… Molto bene. Bambini, grazie della
compagnia. Dichiaro conclusa questa seduta. Siete liberi di riposare in pace!»
I dadi le scivolarono tra le dita. Forse si aspettava un qualche saluto, ma ciò
che comparve davanti agli occhi dei giovani fu un’altra sequenza.
W B O K O L A X N G H S
«Ma cosa…»
«Aspettate, forse ci sono!» esclamò Gregory,
protraendosi verso i ninnoli.
Fu allora che i dadi rotearono da soli sul tappeto,
provocando una sequela d’esclamazioni sorprese e imprecazioni. Ma quando si
fermarono, un silenzio opprimente cadde nella stanza.
H E R H E R H E R H E R
«Com’è possibile?» chiese Leyla, la voce stridula dal
panico. «Fa qualcosa!»
Keiran e Sarah si avvicinarono al gruppo, visibilmente
preoccupati per come stava proseguendo la seduta.
Emily fece per recuperare i dadi, ma questi rotearono
nuovamente privi di controllo, facendola scattare all’indietro.
H I D E H I D E H I D E
Le luci incominciarono a sfarfallare. Nella casa
echeggiò un raccapricciante rumore simile a un grottesco stridio, come se la
dimora si stesse assestando sulle sue fondamenta, facendo scricchiolare le assi
di legno e i vetri. Dopo di che, le piccole lampadine dei fili di luce si
surriscaldarono, emanando un bagliore così intenso che le fece esplodere. I
dadi, come se avessero avuto vita loro, continuarono a ruotare, formando la
stessa sequenza di parole più e più volte. Il suolo incominciò a tremare e la
lampada situata sul tavolino da caffè vicino al divano traballò sul bordo.
«No!» urlarono in coro Emily e Keiran, ma fu troppo
tardi.
La lampada scivolò e cadde. Agendo d’istinto, Mark si
alzò per schivarla, allontanandosi dagli altri. Nell’esatto istante in cui
infranse quell’invisibile circolo, tutto si acquietò senza alcuna spiegazione.
Le luci si affievolirono, il fuoco tornò a morire soffocato nelle proprie
ceneri e il silenzio ricominciò a regnare nella casa.
Con il respiro affannato e gli occhi sgranati dietro
le lenti degli occhiali, Emily osservò i dadi ormai immobili che formavano la
frase “the end”; poi alzò lo sguardo fino a trovare quello di Mark e infine
scrutò quelli tesi dei presenti. Ripresa dallo shock iniziale, scattò
all’improvviso, agguantando i cubetti per rimetterli velocemente nel sacchetto
senza degnarli di uno sguardo. Corse a gettarli nel camino senza alcuna
spiegazione, spinta dal desiderio di liberarsi di quei trabiccoli infernali, ma
nel mentre non accorse nemmeno di Keiran, che nel frattempo aveva afferrato
Mark per il colletto.
«Cosa ti è saltato in mente?» sbraitò.
«Non è successo niente!» Mark lo allontanò con quella
flebile scusa e uno scrollone. Non sorrideva.
«Non hai idea di che cosa hai fatto!» Prima che
potesse colpirlo, Gregory bloccò Keiran e lo costrinse ad allontanarsi da lui.
«Basta! Calmatevi!» urlò Dakota per riportare
l’ordine, anche se lei stessa era un fascio di nervi. «Dobbiamo andarcene da
qui! Non ne voglio più sapere di questa storia.»
«Concordo!» esclamò Leyla, correndo a prendere la
giacca.
«Avanti, non lasciamoci prendere dal panico» provò a
ragionare John, cercando di mantenere la calma. Nessuno lo badò.
«Panico? Direi che Emily si è divertita fin troppo!»
urlò Leyla, sistemandosi la giacca così bruscamente da rischiare di far saltare
le cuciture delle maniche.
«Pensi davvero che questa sia tutta opera mia?» sbraitò
allora lei, avvicinandosi per fronteggiarla.
«Ovvio. Hai avuto tutto il tempo che ti serviva per
architettare questo stupido scherzo! Non ti facevo una persona così meschina!
Si vede che la sua compagnia non ti fa bene!»
«Smettila, lei non c’entra nulla!» Emily era pronta a
rifare la faccia alla cugina a son di pugni, una reazione fin troppo violenta
per una persona dal carattere mite come il suo. Con i gelidi artigli del panico
conficcati nella pelle, era pronta a commettere qualsiasi sciocchezza, mentre
il sorriso di Leyla si allargava vittorioso.
«Ma davvero? Allora perché la tua complice è così
tranquilla?»
Emily trattenne a stento un’imprecazione, mentre nel
suo animo un altro tipo di preoccupazione prese il sopravvento. Senza pensarci
due volte, si voltò verso Alex.
«Alex?»
Alex emise un flebile sospiro. Avvertì la voce di
Emily riecheggiare insieme a tutte le altre attorno a lei, confuse e
indistinte, mentre un lieve respiro, così simile a una carezza contro la pelle,
le scendeva lungo il collo. Nessuno si accorse della mano nera che si ritirò
dentro al suo cappuccio, le dita inarcate che le lambivano i capelli.
Emily fece un passo nella sua direzione, inquieta.
Nonostante il caos, nonostante le urla e la tensione generale, Alex era rimasta
immobile per tutto il tempo, il capo leggermente reclinato in avanti come se si
fosse assopita.
«Alex? Stai bene? Mi stai preoccupando.»
Richiamata dal suono della voce dell’amica sempre più
vicino, Alex sollevò il capo e aprì gli occhi, confusa. Accorgendosi di avere
tutti gli sguardi concentrati su di lei, sbatté le palpebre, cercando di
schiarire la propria visuale. Scrutò i ragazzi agitarsi nello sfondo, la
lampada rotta che giaceva abbandonata sul tappeto, per poi puntare il suo
sguardo sul sacchetto di dadi che bruciava lentamente, rimanendo quasi
incantata. Una strana litania le echeggiava debolmente nelle orecchie. Quando
si decise a concentrarsi su Emily, la fissò confusa, non capendo il motivo per
cui la stava guardando terrorizzata. Almeno finché non avvertì qualcosa di
caldo scivolarle sulle labbra. Si portò una mano al viso e rimase attonita nel
constatare che le sue dita si erano macchiate di sangue.
«Alex…»
Fece per risponderle, ormai conscia di aver attirato
di nuovo l’attenzione generale e irritata per aver macchiato il libro, quando
fu distratta da suono sgradevole accanto a lei. Abbassò lo sguardo e si rese
conto di aver chiuso le mani ad artiglio sulla superficie liscia del tavolo,
rigando il legno con le unghie.
«Cosa…»
Non terminò la frase.
La sua schiena s’inarcò all’indietro con uno schiocco
raccapricciante; il cappuccio della mantella le ricadde sulle spalle, insieme a
una cascata di lunghi capelli scuri. I suoi occhi si persero a contemplare il
vuoto, spalancati quanto la bocca, nella quale un gemito era stato strozzato.
Per la prima volta dopo molto tempo, un sapore aspro,
quasi nostalgico, le si sciolse sulla lingua. Un sapore che aveva dimenticato.
Quello della paura.
Scossa dalle convulsioni, Alex non poté fare a meno di
avvertire i suoi arti scricchiolare e contorcersi, senza avere la possibilità
di fermarsi. Tremava così forte che da sotto la camicia sentiva il ciondolo che
indossava sbatterle con violenza contro il petto. Attorno a lei si levarono
grida, imprecazioni, ma non erano altro che deboli mormorii rispetto a ciò che
avvertì nella sua testa.
Erano voci, urla, sussurri, gemiti, ringhi, ruggiti.
Senza età, senza sesso, squillanti e profondi. Sconosciuti.
A L E X A N D
E R …
Famigliari.
Il dolore arrivò in un istante. Acido, bruciante,
senza perdono. Sentiva la sua carne lacerarsi sotto gli artigli di qualcosa che
la stava dilaniando senza pietà, scavando dentro di lei fino a creare una
voragine. L’urlo che le salì alla gola si trasformò in una grossolana risata
che azzittì i presenti, troppo sconvolti per reagire.
A L E X … A N
D E R …
Dentro di lei maturò il desiderio di scomparire, di
scivolare nell’oblio per non dover più sopportare quell’intrusione, ma con esso
crebbe anche la brutalità con il quale il suo corpo veniva profanato. Perché il
dolore non l’aveva portava alla deriva; l’aveva resa più lucida.
Doveva fermarlo. Doveva pur fare qualcosa.
La sua testa era sul punto di esplodere. Il suo corpo
sul punto di arrendersi.
Ma poi, quella presenza così intenta a farsi strada
dentro di lei, si bloccò. Non la lasciò andare, ma allentò la presa. In quel
momento, il caos raggiunse il suo apice, sbiadendo in un fischio così
assordante da cancellare qualsiasi rumore attorno a lei. Il tempo si dilatò in
un singolo, interminabile, attimo.
Alex prese un profondo respiro sofferto, mentre
avvertiva qualcosa che cambiava dentro di lei. Era impercettibile, una minima
differenza, troppo poco accennata per poter essere distinguibile. Eppure la
sentiva. Come lo scatto dei meccanismi di una serratura che veniva sbloccata.
Ci fu solo silenzio.
C I S E I
M A N C A T A …
Alex chiuse gli occhi; urlò e questa volta la presenza
dentro di lei non riuscì a contenerla.
Urlò con tutto il fiato che le era rimasto in corpo.
Attorno a lei, le vetrinette degli scaffali s’incrinarono ed esplosero. Le
grida di chi le stava attorno si levarono alte, unendosi alla sua in un coro
squillante e graffiante.
Udì dei passi correre verso lei, ma chiunque fosse
l’impavido stolto non riuscì a raggiungerla. Si ritrovò ad artigliare il
tavolino, mentre il suo petto cozzava contro la superfice ormai logora. Non
passò che qualche istante quando udì il rumore di qualcosa che cadeva in
lontananza o forse era solo la sua testa. Il suo collo scricchiolò, girato di
lato come una marionetta.
E fu allora che la vide.
Attraverso i capelli che le coprivano il viso, riuscì
a distinguere la tangibile figura di una bambina accanto a lei. Con le mani
protese e la bocca socchiusa che si muoveva come se stesse recitando una
qualche specie formula, la osservava contorcersi senza pace. I loro occhi
s’incrociarono, ma la bambina non mosse un muscolo, né distolse lo sguardo.
Nelle sue iridi color ebano Alex poté osservare l’abisso.
Dentro di lei la paura scemò, sostituita da qualcosa
di più bruciante e oscuro. Le voci si azzittirono.
Una rabbia senza nome spazzò vie le sue incertezze.
Come poteva farsi trattare in quel modo? Come osava quell’entità usare il suo
corpo a proprio piacimento senza che lei muovesse un dito per fermarla? Da
quanto tempo quella bambina era lì? Da quanto tempo la stava osservando senza
fare nulla per aiutarla?
Digrignò i denti, facendo appello alla sua volontà.
Via…
Sotto di lei il tavolino tremolò, come se qualcuno
l’avesse colpito con forza.
Va via…
Continuò a fissare la bambina. La stessa del dipinto.
La stessa che posava vicino alla donna con uno sguardo tranquillo. Ma non
riuscì a provare pietà per lei, nemmeno quando le sue labbra ebbero un fremito
e le sue mani si abbassarono. I suoi occhi inespressivi si colmarono di
confusione e, così come la rabbia di Alex montava in lei, di paura.
Va…
La bambina fece indietreggiò di un passo.
SPARISCI!
«Ipse venena
bibas» mormorò Alex.
Fu di nuovo scaraventata
all’indietro e il suo corpo cozzò contro lo schienale della sedia. E in un
attimo si sentì senza peso. Libera. Qualsiasi cosa si fosse impadronita di lei,
si dileguò senza lasciare traccia e Alex si ritrovò a boccheggiare nuovamente
sul tavolo, questa volta inalando la meravigliosa aria insalubre che le riempì
i polmoni doloranti.
Si voltò giusto in tempo
per vedere la bambina sparire oltre la soglia.
No.
Ignorando i lamenti e le
lacrime degli altri, la voce debole di Emily che spezzata dal pianto la chiamava,
Alex si tirò a sedere di scatto, incurante del dolore. Scaraventò il tavolo
lontano da sé per alzarsi, spedendolo al centro della stanza dove si ruppe
definitivamente e partì all’inseguimento con un’espressione mostruosa dipinta
in viso. I suoi passi rimbombavano nei corridoi deserti come tamburi di guerra,
il suo cuore agognava una dolce e pura vendetta. Doveva trovarla, doveva
raggiungerla, doveva…
«Alex!»
Una mano la fermò,
bloccandole il polso. Pervasa da un gelido moto d’odio, si voltò, mirando al
volto con le unghie sguainate.
«Alex, smettila!»
No. Nessun altro l’avrebbe
fermata. Si divincolò con la forza di una fiera in gabbia, mettendo a dura
prova il suo assalitore che alla fine si ritrovò costretto a schiacciarla
contro il muro per immobilizzarla. E ciò non fece altro che accrescere la sua
ira. Ormai accecata dall’istinto di sopravvivenza, Alex lottò con le unghie e
con i denti, riuscendo ad allontanarsi quel tanto che le serviva per scappare
e…
«Alex guardami, maledizione!»
Ren le schiaffeggiò con forza il viso, per poi
afferraglielo con entrambe le mani, costringendola a guardarlo dritto negli
occhi senza alcuna possibilità di ribellarsi.
Alex si fermò, rimanendo completamente immobile a
causa di quel contatto visivo.
Non era abituata a quella vicinanza. A causa della
pigmentazione irregolare delle sue iridi, le persone evitavano solitamente di
guardarla apertamente e per lo più le giravano alla larga, ma nello sguardo di
Ren non colse né la paura né la diffidenza a cui era abituata. C’era solo
apprensione.
«Guardami, Alex. Concentrati su di me.»
E lei lo fece.
Trattenne il respiro. Accorgendosi della sua reazione,
Ren le afferrò prontamente il cappuccio e glielo mise di nuovo sul capo, prima
di attirarla a sé per permetterle di nascondere il viso contro il suo petto.
Non fu un abbraccio tenero o compassionevole. Tutt’altro.
Nonostante il calore del suo corpo, il ragazzo era
rigido come un pezzo di legno.
«So che sei sconvolta» le sussurrò contro l’orecchio,
«ma ora ho bisogno che ti calmi e che ritorni in quella stanza. Dirai che va
tutto bene, ti scuserai con Keiran per averlo gettato contro il muro e non
dirai una sola parola su quello che è appena successo. Prenderemo le nostre
cose e usciremo da questa casa. Poi andremo in ospedale, che tu lo voglia o
meno, intesi?»
Ascoltò il suo tono freddo e pratico e annuì
lentamente, posando la mano sul suo polso. Prima di strattonarlo malamente via
da lei, riuscì per un istante a sentire la sua pelle liscia e calda sotto le
dita.
«Sto bene. Va tutto bene» mormorò senza alcuna
convinzione, sperando che non si accorgesse del lieve tremolio della sua voce.
«Ottimo. Perché da morta non mi servi a niente.» Le
diede un sbuffetto sul naso, trattenendosi solo un poco per pulirle il sangue
rappreso che le si era incrostato sopra il labbro superiore. Dopo di che, si
allontanò da lei, portando via tutto il calore del corridoio.
Alex, da brava persona analitica, non fece caso al suo
atteggiamento distaccato. Aveva ragione, purtroppo. Gli altri erano già sconvolti
e spaventati, ma con la sua fuga improvvisa aveva rischiato di scatenare il
panico; l’ultima cosa che serviva in una situazione del genere. Avrebbe avuto
tutto il tempo che le occorreva per leccarsi le ferite, una volta fuori da lì.
Fece per seguirlo docilmente, stanca di lottare e
indebolita, quando un fruscio dietro di lei la bloccò.
Decisa a proseguire, lo ignorò, ma quando alzò lo
sguardo per osservare la schiena di Ren, non vide altri che un ragazzino
dall’aspetto famigliare. Al contrario di sua sorella, lui si limitò a indicarle
il petto con una mano, gli stessi occhi oscuri che la fissavano immobili.
Alex abbassò lo sguardo e fu allora che mise a fuoco
le macchie nere che si stavano espandendo sulla sua camicia dove l’entità
l’aveva artigliata. Le sue mani ne erano già impregnate, il sangue nero che le
colava tra le dita come pece.
Socchiuse le labbra per richiamare l’attenzione di
Ren, ma quando fece un passo in avanti, cadde.
L’ultima cosa che avvertì, furono le braccia del
ragazzo chiudersi attorno a lei come una gabbia per trattenerla, ma fluttuò
via, galleggiando alla deriva.
Spazio scleri:
Eccoci qui con un nuovo capitolo. Incasinato. Molto incasinato. Lasciate pure le lamentele alla segretaria se non capite una cippa.
Ad ogni modo, ringrazio tutti quelli che hanno lasciato una recensione, aggiunto la storia alle loro liste e *momentobimbominkia* se volete lasciare un commento, un parere, una critica (magari) state pur tranquilli che non ho il vostro indirizzo di casa :D *finemomentobimbominkia*
Scherzi a parte, mi auguro che questo speciale vi stia piacendo, anche perché da adesso in poi ci sarà davvero da divertirsi. Se vi piacciono i tripponi nosense…
Ci vediamo tra un paio di settimane!