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Autore: SalvamiDaiMostri    27/11/2016    2 recensioni
Sherlock sa che John non ama Mary. Sa anche che resterà con lei per il bene di Diana, la loro figlia. Il futuro dei Watson non sarà certamente facile, ma Sherlock sarà sempre lì per loro, perchè fece una promessa e la manterrà.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Presto, giunse l’sms di Mycroft che diceva che gli assassini di Mary erano stati trovati, arrestati dai servizi segreti inglesi e che non poteva aggiungere ulteriori dettagli per ragioni di sicurezza nazionale.
Questo, il tempo e la compagnia di Sherlock aiutarono John a stare meglio a poco a poco. Spesso tornava ad essere vivace, spiritoso, attivo... Sherlock lo vedeva addirittura sorridere ogni tanto.
John si concentrò soprattutto sul suo rapporto con Diana: giocava spesso con lei, facevano lunghe passeggiate nei parchi con la carrozzina e John le parlava. Le parlava per ore e ore, di ogni cosa.
Sherlock un giorno li ascoltò dal piano di sotto:
“Ragazza mia, dovremo imparare a cavarcela da soli io e te. Pensi che ce la potremo fare? Eh? Che ne dici? Ce la farà papà? ... Beh, non è vero che siamo soli soli: c’è lo zio Sherlock! Vero? Eh sì, eh si.. Noi tre contro il resto del mondo...” e Sherlock non potè che avere un tuffo al cuore all’udire quelle parole.
 
Poco meno di un mese dopo la morte di Mary, John propose a Sherlock di accompagnare lui e Diana in una passeggiata all’Hyde Park e Sherlock fu molto felice di accettare.
Si fermarono lungo il lago delle anatre che Diana osservava molto incuriosita sporgendosi dalla sua carrozzina e facendo buffi versetti. Sherlock si sforzava di parlarlare e far parlare John, affinchè potesse distrarsi, ma ad un certo punto restarono in silenzio a guardare la piccola che si sforzava di fare lunghe chiacchierate a modo suo, in versetti e pernacchie.
“Sherlock” disse John rompendo il silenzio “Tutto quello che stai facendo per noi… Per me… Io volevo solo… Non ti ho mai- Grazie Sherlock, davvero.” Lo guardò negli occhi sorridendo “Non so cosa avrei fatto senza di te.” Sherlock si limitò a sorridergli. Poi, propose di tornare a casa.
Quella sera, come ormai tutte le sere, Sherlock fece il bagno a Diana e la portò al piano di sopra. Le mise il pigiamino  e, susurrando una ninnananna, la cullò finchè non si addormentò. Poi la adagiò nella sua culla, completamente perso nella sua dolcezza.
“Sei davvero bravo.” Sherlock sobbalzò “E anche portato, direi.” John se ne stava sorridente a braccia conserte appoggiato sullo stipite della porta.
“Quant’è che sei li?” domandò scocciato
“Abbastanza…” John gli sorrise e si avvicinò alla culla  “È bellissima…”
“Quando dorme!” rispose sarcastico.
Risero entrambi.
“Somiglia a sua madre…” commentò John e Sherlock sospirò
“Ha i tuoi occhi.” puntualizzò
“Lo so... Resto io a dormire con lei.” Sherlock lo guardò con aria sorpresa “Tu scendi in camera tua: ti ho rubato il letto per troppo tempo.”
“Sei sicuro? A me non da fastidio…”
“Sono sicuro, posso farlo. Sto meglio, davvero.”
“Ok.” Sherlock fece per andare di sotto, ma John gli afferrò il braccio. Fece quindi scivolare la mano all’indietro fino ad arrivare a prendere la sua.
“Sherlock io…” lo guardò intensamente negli occhi, ma poi, arrossendo, distolse lo sguardo e disse solo “Buonanotte.” lasciando cadere la mano. Sherlock sospirò, di nuovo.
“È sbagliato che io sia felice per tutto questo, John?” lui lo guardò confuso “Stimavo immensamente Mary, ma.. Averti di nuovo qui, a casa... Avervi entrambi qui... Mi rende così felice. È come se non avessi mai desiderato altro.” Sospirò “È sbagliato...?”
“Non lo so...” rispose John tornando a guardare il viso angelico di Diana assopita “Forse... Anche se non credo che essere felici possa mai essere sbagliato o irrispettoso.” Sherlock sospirò e fece per uscire dalla stanza di nuovo “Per quel che vale, Sherlock...” lo interruppe John “Non posso fare a meno di essere immensamente felice anch’io di essere tornato.”
Sherlock si voltò e gli sorrise:
“Buonanotte, John.”
“Buonanotte, Sherlock.”
Sherlock non lo ammise ad alta voce per molto tempo, ma quella notte, nella solitudine della sua stanza, sentì immensamente la mancanza di Diana.
 
Passarono i gorni e Sherlock tornava a sentire prepotentemente quei sentimenti nei confronti di John che, per quel drammatico periodo appena trascorso, erano rimasti vagamente assopiti in lui per cedere spazio alla compassione e al lutto. Chiudeva gli occhi e pensava lui, sentiva il suono della sua voce risalire dal profondo del suo stomaco direttamente fino al cuore che nei momenti meno oppurtuni cominciava a battere furiosamente nel suo pallido petto. L’odore di John, i gesti di John, i suoi occhi, le sue mani... Tornarono ad essere oggetto di venerazione e desiderio costante da parte di Sherlock, che cercava in ogni modo di comportarsi normalmente. Nella sua mente balenavano troppo frequentemente immagini del cuo compagno di avventure che lo facevano improvvisamente arrossire. Averlo di nuovo in casa, con quell’aggiunta di quel terribilmente attraente senso di paternità, era per il consultive detective uno struggente piacere che cresceva di giorno in giorno.
Inoltre, da quando John si era nuovamente concentrato a cercare lavoro, la loro vita stava tornando ad una certa normalità e a Sherlock pareva che John non lo avesse mai lasciato. E nulla, in tutta la sua vita, lo aveva reso altrettanto felice quanto la consapevolezza che ora lui, John e la sua bambina vivevano insieme.
L’unica ed immensa differenza tra il prima e l’adesso era, infatti, la piccola Diana che, Sherlock osservava, in quei giorni stava cominciando a riconoscere le voci di coloro che le parlavano, a reagire quando la chiamavano per nome. La sua memoria si stava rafforzando  prepotentemente di giorno in giorno, soprattutto per quanto riguardava il riconoscimento dei volti, e distingueva ogni giorno più sfumature di colori. Ora era in grado di girarsi sul fianco da sola e cominciava a trascinarsi verso le mete desiderate e di riconoscere e giocare con le proprie manine e piedini. Tutto ciò per Sherlock era semplicemente straordinario: non aveva mai avuto la possibilità di osservare così a fondo un neonato e seguirne lo sviluppo. Era il più incredibile degli studi che avesse intrapreso, l’esperimento più delicato ed interessante.
Su molte delle decine e decine delle reviste e dei blog a tema neonati che leggeva ogni giorno, Sherlock aveva letto che a quattro mesi i bambini si divertono moltto a giocare con una palestrina, sdraiati sulla schiena: e Diana ricevette dallo zio Sherlock una splendida palestrina per neonati il giorno stesso del suo quarto compi-mese, con immensa sorpresa di John. La misero sul tappeto del salone, tra le due poltrone, da dove i due potevano osservarla e dilettarsi nel vederla esplorare le funzionalità di quel piccolo arco colorato da cui pendevano pupazzetti, specchi e sonagli. Sherlock avvertì che quel gesto, così semplice, aveva rafforzato drasticamente il rapporto tra lui e John, ma anche tra lui e Diana e addirittura quello tra Diana e John stessi, anche se non riuscì del tutto a spiegarsene la ragione.
 
In quel periodo, Lestrade si trovò tra le mani un caso davvero peculiare e, anche lui, troppo nostalgico dei vecchi tempi, chiese a John e Sherlock una mano per risolverlo.
Quel pomeriggio la signora Hudson fu più che lieta di fare da babysitter a Diana e i due poterono andare ad assaporare un briciolo di azione per la prima volta da molto, troppo tempo.
Inutile negare che Sherlock si sentisse al settimo cielo ad essere di nuovo fianco a fianco al suo amato John nell’inseguimento di un pluriomicida dalla strana mania di incrociare le dita delle sue vittime sulla loro fronte. Catturarlo insieme, tenerlo fermo mentre John gli assestava un pugno sul naso ed aspettare col fiatone l’uno appoggiato all’altro l’arrivo della polizia, aveva fatto risvegliare in entrambi vecchi ricordi, sentimenti ed emozioni che erano state messe da parte da così tanto tempo, per ragioni diverse.
Tornarono a casa a piedi insieme, approfittando della bella serata e del fatto che la scena del crimine non era poi così lontana dal 221b. Risero e scherzarono a lungo, fianco a fianco sulla via del ritorno, finchè esausti, si limitarono a passeggiare in silenzio, contemplando la bellezza del centro della Londra notturna.
“Non credo di aver mai amato davvero Mary” confessò John all’improvviso, Sherlock sussultò e rivolse lo sguardo al compagno che guardava il vuoto davanti a lui, un passo dietro l’altro “Credo di averlo capito già quando tornasti dal mondo dei morti... Ma ero così incazzato con te da preferire ignorare ciò che volevo davvero. È che sei PROPRIO tornato mentre le chiedevo di sposarla! Ma che razza di tempismo è??”
“Un pessimo tempismo...” commentò Sherlock fissando il marciapiede
“E di lì in avanti fu semplice inerzia... Trasporto... E al matrimonio ci hai detto che era incinta e... Ormai non c’era via di fuga...” Sherlock rimase in silenzio. “Ho davvero usato la parola ‘fuga’ parlando del mio matrimonio e della mia defunta moglie? Cristo santo...” Sherlock finse di non averlo notato “E... Davvero penso alla sua morte, al suo brutale assassinio come quell’improvvisa scappatoia che ormai avevo perso la speranza di avere...?” sospirò, fermandosi. Sherlock si fermò a sua volta.“Mi sento terribilmente in colpa per questo.” si portò le mani sul volto. Sherlock lo prese fra le sue braccia e lo abbracciò dolcemente sussurrandogli:
“Lo so.”
John se ne stette per una manciata di secondi al sicuro tra le braccia di Sherlock, appoggiato al suo petto, sentendo il suo calore e il suo affetto, e per quell’attimo ogni problema sembrò svanire. Avrebbe voluto restare lì per sempre, ma si separarono, si sorrisero e senza aggiungere inutili parole tornarono a casa.
Quando giunsero al 221b, John bussò alla porta della Signora Hudson affinchè gli riconsegnasse Diana, addormentata ed infagottata. Salirono in silenzio e John portò la bambina nel suo lettino. Quando scese nel salone, Sherlock aveva riempito due bicchieri di Scotch e glie ne stava offrendo uno: il medico lo accettò volentieri e si sedettero sul divano.
Parlarono per almeno mezz’ora del caso che avevano appena risolto, ridendo e scherzando su come John lo avrebbe trascritto poi sul suo blog.
Improvvisamente John si fece più serio e disse:
“Tu mi hai già detto che volevi che tornassi qui...” bevve un sorso “Tocca a me ora confessarti quanto mi mancasse questo posto, questa vita...” Sherlock lo osservava estasiato, inebriato dall’alcol, seguiva i movimenti della sua bocca, i buffi accartocciamenti della sua fronte, senza volerne dedurre assolutamente nulla “Quanto tu mi sia mancato Sherlock” Sherlock tornò improvvisamente in sè al suono di quelle parole e ascoltò più attentamente: “...quando eri morto,  e quando vivevo con Mary... Niente è come vivere in questa casa...”
“Io sono risorto dai morti pur di tornarci...” risero entrambi, Sherlock posò il suo bicchiere sul tavolo davanti a lui.
“No ma, seriamente, ho sempre voluto tornare... da te...” confessò, infine, John e per lui fu come levarsi dal petto un peso che portava ormai da anni. E solo con il pronunciare quelle parole, si sentì finalmente libero.
I loro sguardi si incontrarono. E davvero in tutti quegli anni non c’era mai stato un momento tanto perfetto per loro due: Sherlock non potè fare a meno di prendergli il viso tra le mani e baciarlo.
John si ritrovò senza sapere cosa fare con il bicchiere a mezz’aria, ma in un istante se ne dimenticò e lo fece rotolare a terra macchiando di Scotch il vecchio tappeto, per poter accarezzare i ricci di Sherlock in quel bacio che entrambi stavano aspettando da così tanti anni. Con un leggero schiocco delle labbra, si separarono e sulla bocca di John, Sherlock sussurrò:
“Da quanto, John?” lui lo guardò con un’aria da babbeo felice, talmente intontito che era rimasto “Quanto tempo fa avrei potuto baciarti?” John rise e accarezzandogli il volto rispose:
“Probabilmente da quando mi hai chiesto ‘Afghanistan o Iraq’ in avanti non avrei opposto resistenza…” risero entrambie John volle baciarlo a sua volta, più intensamente facendosi strada attraverso la sua bocca.
Dopo alcuni minuti di paradiso, si separarono e John si voltò per appoggiarsi a Sherlock, così che Sherlock potesse abbracciarlo da dietro e appoggiare la testa sulla sua spalla:
“Non puoi nemmeno immaginare quanto questo significhi per me...” gli sussurrò Sherlock nell’orecchio “Non puoi nemmeno pensare a quanto lo desiderassi...”
“Una vaga idea ce l’ho...”
“E abbiamo dovuto aspettare così tanto... Quando saremmo potuti essere felici come ora così tanti anni fa...”
“Se così fosse stato, non avrei mai avuto Diana.”
“Questo è vero...”
“Io riesco a trovare un senso a tutto questo solo grazie a lei.” Sherlock annuì. Passarono minuti interi, ma a loro parvero pochi istanti, prima che a John cadesse l’occhio sul proprio orologio da polso e vedesse che era ormai passata la mezzanotte. Terribilmente affranto, fu costretto a dire: “Mi hanno dato quel posto in ambulatorio... Comincio domani...”
“Oh! Beh, grandioso...” sorrise Sherlock, stingensosi a lui.
“È meglio che vada a dormire...” disse alzandosi. Sherlock comprese, rimanendo terribilmente deluso da tale rivelazione: avrebbe trascorso i prossimi cento anni su quel divano, con John tra le braccia. Ma John si chinò nuovamente su di lui per un ultimo bacio: “Buonanotte.” Sussurrò. Ancora uno.
“Notte” sorrise l’altro. Sta volta davvero l’ultimo:
“Notte, Sherlock.”

 

Ciao a tutti!! ^^ Eccovi il terzo capitolo di questa fanfiction dai toni un po' fluff per i miei gusti, ma che volete che vi dica? Ce lo meritiamo. io vi ringrazio infinitamente di aver letto sino a qui, spero tanto che la mia storia vi stia piacendo e vi chiedo cortesemente di lasciarmi una recensione qui sotto.
Grazie infinte, ci vediamo presto! Un abbraccio, con affetto _SalvamiDaiMostri
   
 
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