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Autore: Antys    13/01/2017    3 recensioni
Nel liceo di Beacon Hills si era sviluppata una strana mania, una tradizione, da diversi anni e quasi ogni studente tra quelle mura vi partecipava.
Tutto ruotava intorno agli anelli che si indossavano quotidianamente e, a seconda della loro collocazione, esprimevano un significato da trasmettere ai presenti ed era una continua caccia: tutti controllavano chi stava indossando quale anello su quale dito.
Ma l’ambizione consisteva nel riuscire a scambiarsi due anelli gemelli che comunicavano il significato di coppia e che autenticasse quel loro modo di essere.
Anche Stiles possedeva un anello, un anello che casualmente aveva il significato di single, ma che non era in alcuna maniera collegata a quella sciocca tradizione che non apprezzava. Quello che non sapeva, era che qualcun altro all’interno di quel liceo portava il suo stesso identico anello, nello stesso medesimo dito ed era la persona che meno si sarebbe mai aspettato.
[…]
«È come se non fosse il mio» strascicò il castano con voce profonda e rivelatrice, incredibilmente tradita. Quell’anello era troppo perfetto.
Scott si girò verso di lui dubbioso e la campanella che annunciava la fine di quell’ora riecheggiò in tutto l’edificio. «Forse l’hai scambiato».
Scambiato? Scambiato con chi?
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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14° Capitolo

 

«Non sbranare nessuno» si raccomandò il figlio dello sceriffo, riprendendo un tratto tipico che rimproverava spesso nel lupo con sarcasmo.

Non vi era nessuno negli spogliatoi, non ancora, e gli unici abitanti di quel luogo erano lui e Derek che si preparavano alla nuova partita di basket come se scendessero in campo entrambi.

«Solo se qualcuno mi ruberà una palla di troppo» lo rassicurò tremendamente il licantropo, godendo giocosamente delle precauzioni e dell’elenco che l’altro stava stilando.

«Derek» sospirò il sedicenne quasi esasperato, guardandolo torvo. «Dico sul serio».

«Andrà bene» disse soltanto il mutaforma con la sicurezza nella voce ferma.

Stiles si abbandonò contro la fronte del lupo, osservandolo di sottecchi. «Starai bene? Stai bene?».

«Sì» convenne il capitano della squadra di basket, persuadendolo a mollare la presa. «Non è la prima partita che gioco con la luna piena».

«Lo so» era il primo giorno di plenilunio, la luna era alta e completa, splendente ed unica protagonista del cielo stellato. La sua ascesa era iniziata da qualche ora e gli effetti sui lupi mannari erano già cominciati il giorno prima e sarebbero perdurati per altre due notti. «Ma vorrei che pensassi solo a giocare, non a contenere la tua natura».

«Anche questo fa parte della mia natura» e per Derek era sempre più facile controllarla ed averne la supremazia, la preoccupazione era l’ultimo dei suoi pensieri, ma non era lo stesso per Stiles. Stiles era sempre preoccupato, per qualsiasi cosa.

L’umano alzò gli occhi e Derek si ritrovò completamente specchiato nelle iridi di caramello. «Mi fido di te, Derek Hale, ma non fare l’orgoglioso in campo» era un messaggio non tanto criptato in cui l’invitava a lasciare la partita se le cose fossero degenerate, anche se la percentuale era pari quasi a zero.

Il diciottenne annuì a contatto con la sua pelle e, facendolo contento, acconsentì alle sue parole. «Ne ho già persa una».

Sembrava passata una vita intera, una vita passata con il suo lupo, ed ancora non poteva dimenticare il gesto avventato che Derek aveva compiuto, l’abbandonare il campo perché non poteva sopportare le voci che progettavano piccole e tremende vendette verso il figlio dello sceriffo per quella stessa sera; vendette che erano evaporate nel momento in cui l’umano non era stato più presente all’interno dell’istituto scolastico al termine della partita. Stiles spesso si chiedeva se avessero davvero rinunciato, mettendo da parte il colpo per occasioni future o se Derek avesse fatto valere la sua voce pericolosa – certe retrovie non le avrebbe mai scoperte. «Lo so, c’ero anch’io» e ti ho quasi perso.

Derek portò la mano destra sopra la sua guancia, tenendolo fermo e permettendosi di schioccare un nuovo bacio tra la radice dei capelli castani, rincuorandolo ancora un po’. «Non perderò il controllo e non cederò al lupo» strusciò la fronte contro di lui, riportandolo nella posizione precedente, incollando le iridi di giada a quelle di miele. «E tu sarai lì».

Era troppo facile, troppo facile per Stiles abbandonarsi ai tocchi delicati di Derek, all’attenzione che aveva per lui, al suo metterlo al primo posto occupandosi dei suoi bisogni invece che dei propri, ed era qualcosa che gli faceva scoppiare il cervello, ma che gli colmava il cuore, sentendolo sempre più pieno e pronto a straripare. «Non ho mai perso una partita».

«Lo so» c’era solo certezza e consapevolezza nel tono del mannaro, la sicurezza che Stiles fosse sempre stato lì e fosse stato in grado di percepirlo fin dalla prima partita di campionato l’anno prima.

Derek era sempre stato a conoscenza di lui?

«Piccioncini, potreste amoreggiare più tardi? Abbiamo una partita da vincere» si intromise Boyd senza alcun problema, senza una sfumatura particolare nella voce che attestasse con che tono avesse pronunciato quella frase; ma era una sua caratteristica rimanere disinteressato ed incline ad essere all’oscuro delle cose.

Boyd fu il primo ad entrare nello spogliatoio, seguito da tutto il resto della squadra, che poggiava i borsoni nelle varie panche ed apriva gli armadietti assegnati per sistemarsi, rivolgendo parole di saluto al figlio dello sceriffo. Per nessuno dei membri della squadra era una sorpresa ritrovarlo lì, in atteggiamenti intimi con il capitano che aumentavano ad ogni nuova occasione ed in cui si accorciavano definitivamente le barriere che esistevano tra loro.

Stiles era sempre il primo ad arrivare negli spogliatoi, anticipando tutti gli altri ed entrando quasi in contemporanea con Derek Hale, come se avessero un casuale e stabilito appuntamento. Raggiungeva Erica soltanto quando si dividevano e ritornavano alle rispettive mansioni.

La squadra non si era mai lamentata di averlo in giro e Stiles non aveva retrocesso, al contrario avevano stabilito un buon rapporto di convivenza.

Stiles sbuffò tra le labbra di Derek e si scostò appena, indirizzando gli occhi verso il nuovo arrivato, mentre il capitano lasciava ricadere a peso morto il braccio sul fianco, togliendo la mano dal viso del sedicenne. «Ciao, Boyd. Tempismo perfetto» proferì con sarcasmo pieno di malizia, sfoderando il suo ghigno da volpe rossa pieno di sfaccettature. «Hai appena interrotto il nostro momento idilliaco».

«Partita. Priorità» tagliò corto l’afroamericano, senza lasciarsi incantare dalle sue fattezze e giochi di parole.

«Va bene, va bene, vado via» proferì poco accettato l’umano, sbuffando ancora una volta ed avviandosi per allontanarsi, separandosi dal suo lupo. «Tu stai bene?» chiese invece, rimandando i saluti e guardandolo con attenzione, seriamente interessato.

Gli occhi di Boyd si ingrandirono un po’ e dovette seriamente guardarlo bene per capire se l’avesse chiesto realmente a lui e se si stesse riferendo alla luna che sovrastava il cielo, manifestando il potere che aveva su di loro. Dovette distogliere lo sguardo per incontrare quello di Derek, non particolarmente stupito di quella manifestazione che si presentava nel figlio dello sceriffo, preoccupandosi di ogni creatura sovrannaturale che lo circondava e di cui era a conoscenza. Lo sguardo di Derek era eloquente e non lasciava spazio a perplessità o dubbi, c’erano anche tracce di orgoglio e fierezza nelle sue iridi verdi e non esistevano altre possibilità oltre a quella.

In Derek c’era qualcosa che vedeva soltanto quando Stiles era nelle vicinanze ed era quello che il branco intero proteggeva. Stiles era unico. «Sì, sto bene» e l’unico.

 

Stiles era disteso scompostamente sul letto, a pancia in giù e con le gambe che solleticavano l’aria, continuamente scomposta dai suoi movimenti che la fendevano, mentre leggeva avido le nozioni del libro di sociologia, corso extra che era iniziato da qualche settimana, che si teneva nell’ora dei laboratori pomeridiani e di cui lui era l’iscritto più giovane. «Quando hai iniziato a spedire le lettere d’ammissione al college?».

Derek sedeva sul pavimento, una gamba distesa e l’altra piegata che teneva in equilibrio perfetto il volume di storia contemporanea, con la schiena poggiata al bordo del materasso da cui faceva capolino il padrone di casa. «È un po’ troppo presto per pensarci» che non era esattamente la risposta alla domanda postagli, ma a quella intrinseca e sottintesa che non era stata emessa, quella ansiosa e precoce che caratterizzava perfettamente colui che l’aveva formulata.

«Sto solo chiedendo delle dritte, sei all’ultimo anno, sei la persona più adatta» si giustificò prontamente il sedicenne, sbuffando un po’ offeso per quella piccola ripresa che gli aveva fatto.

«Sono sicuro che hai tutte le tue risposte» proferì semplicemente il lupo mannaro disinteressato, voltando pagina e continuando la lettura.

«È sempre un piacere parlare con te, Derek» lo pungolò con stizza l’umano, con tono velenoso e risentito, soffiandogli contro come un gatto offeso e togliendogli la sua attenzione.

Il lupo non sembrò badarci e perseverò nel suo studio.

«Le hai spedite almeno?» ritentò il castano, non contento della risposta ricevuta e propenso a scavare ancora.

«Sì» lo accontentò con distacco, rubando uno degli evidenziatori colorati di Stiles ed inglobando dei concetti chiave.

«Dove? A quale college hai fatto domanda?» era un argomento che non avevano mai tirato in ballo, che non era mai esistito, che non era mai stato considerato benché fosse risaputo ed evidente che Derek fosse all’ultimo anno e che quando Stiles avrebbe frequentato la terza classe, lui non sarebbe più stato nell’istituto. Niente più Derek Hale tra le mura, niente eserciti di ragazze esagitate che lo tormentavano con una dichiarazione al giorno, a volte all’ora; non l’avrebbe più visto giocare, allenarsi e vincere. Non l’avrebbe più visto e basta.

Le labbra del diciottenne si sigillarono per un istante, guardando a disagio un punto alla sua destra e scacciando tutto con la sua impassibilità, cancellando quell’unico momento di umanità. «Uno vale l’altro».

Le iridi d’ambra si ingrandirono e la sua attenzione fu completamente riposta sulla figura del mannaro, abbandonando il tomo della nuova materia acquisita e spostando la parte superiore del suo corpo verso quello dell’altro, girando la testa verso la sua per guardarlo e strappargli le risposte. «Uno vale l’altro? Vuoi dirmi che non ce n’è uno che ti attira particolarmente?».

«No» ricalcò la dose il mutaforma, lievemente esasperato da quel concetto già espresso.

«Quindi ti andrebbe bene qualunque ti accettasse?» chiese con un leggero sconcerto che comprendeva soltanto a metà, non particolarmente affine con la sua politica.

«Sì» convenne il licantropo con distacco, sottolineando ancora una volta la sua risposta.

Stiles non poteva crederci, era una cosa che lo lasciava di stucco e senza parole. «E i corsi? I dipartimenti? In cosa vorresti laurearti?».

«Deciderò in base al college» rivelò atono il capitano della squadra di basket, mostrando ancora una volta il disinteresse per quella parte futura della sua vita.

«Che sciocchezza è mai questa?» lo riproverò astiosamente l’umano, irrigidendo il corpo ed investendolo con la sua aura nera, balzando sul letto e mettendosi in posizione di seduta, richiamando la sua attenzione. «Non è così che funziona, non è così che si sceglie e si affronta il futuro. Solo i disperati lo fanno, chi non riesce a vedere ad un palmo dal proprio naso, ma tu…» l’ira ed il turbamento crebbero di diverse ottave e se avesse fatto un passo falso ed avventato sarebbe ruzzolato giù dal materasso. «Tu potresti entrare dovunque vorresti, ogni college farebbe carte false per averti, per averti nella loro squadra. Riusciresti a vincere una borsa di studio per il basket e potresti seguire i migliori corsi del paese. Non posso credere che tu non abbia minimamente pensato a questo».

«Non mi serve una borsa di studio» ribatté Derek per niente colpito e sordo alle parole del sedicenne che si battevano per una causa persa.

Stiles tacque e lo guardò allucinato. «È tutto quello che hai da dire?».

«Sì» confermò freddamente il lupo mannaro, tagliando corto.

Per qualche minuto il silenzio cadde su tutta la stanza e l’unico suono era il loro respirare, uno meno regolare dell’altro.

Poi Stiles si alzò all’improvviso, sbattendo i piedi nudi sul pavimento e dirigendosi verso la scrivania, aprendo uno dei cassetti della cassettiera incorporata e spostando qualche foglio protocollo, afferrando successivamente un raccoglitore con anelli di medie dimensioni dal colore blu elettrico e facendo dietrofront, piantandosi davanti alle gambe del lupo mannaro e piazzandogli il suddetto raccoglitore già aperto sotto gli occhi. «Questa è L’Hofstra University, si trova a New York, precisamente a Long Island. È piccola ed intima ed hanno dei programmi sensazionali. È selettiva e scrupolosa, ma i loro corsi sono i migliori e formano le persone più capaci del paese. Hanno un programma di criminologia che non ha eguali, ma… ma questo non c’entra niente con te» frenò, inciampando nei pensieri e sfogliando le pagine, estraendo gli opuscoli che aveva collezionato negli anni. Ne aveva uno di ogni anno da quando ne aveva undici ed aveva le idee già chiare sul suo futuro; erano tutti correlati e non ne mancava nessuno.  «Il loro programma sportivo è qualcosa di eccezionale e hanno le migliori squadre dello stato; i biglietti per le partite di basket terminano dopo qualche minuto ed il loro simbolo è un leone, ma possiamo accontentarci, giusto?» un lupo che gioca con i leoni, come poteva venirgli in mente? «Ti prenderebbero ad occhi chiusi ed hanno perfino uno Starbucks e un supermercato al loro interno, non che sia importante, ma è una lode in più».

«Conosco il loro programma» rivelò Derek, interrompendo il suo monologo e le intenzioni che stava manifestando.

«Oh, sì, certo» si fermò come se fosse stato bloccato e dovesse ricollegarsi per seguire il giusto fiume di pensieri e capire cosa avrebbe dovuto fare. Saltò la sezione dedicata all’Hofstra e si buttò a capofitto su tutte le altre possibilità. «C’è la Suny, è sparsa per tutta la città, ma è un ottimo college. C’è anche la St. John's University e Le Moyne College. Ma forse non ti interessano, hanno tutti il programma di criminologia» sfogliò ancora il raccoglitore, scartando tutte quelle che aveva scelto per quel particolare tipo di dipartimento. «Ma ce ne sono così tante, la Columbia, Stanford e Preston. Non ho niente su di esse perché non hanno la facoltà di criminologia, ma posso trovarli, posso trovarli» tremò quasi, in modo evidente ed indistinto, con quel nuovo attacco di panico che minacciava di prendere vita e che gli urlava il pessimo stile di vita che Derek aveva deciso di percorrere. «Scegline uno, puoi sceglierli tutti; li condivido tutti con te» e gli donò tutto il prezioso raccoglitore a cui aveva lavorato per anni, tracciando i piani del proprio futuro.

«Stiles, basta» esclamò imperativo il lupo mannaro, fermando le sue mani agitate e mettendo fine alla discussione. «Conosco i loro programmi» ripeté, scandagliando bene le parole ed inglobando tutti i nomi che il sedicenne aveva nominato. «E ho già il mio piano da seguire».

Stiles sospirò esausto e per niente arreso, guardandolo con durezza ed accusatorio. «È un piano penoso. A undici anni avevo un piano migliore».

«Perché parti in anticipo» gli fece presente il licantropo, ben sapendo che non ce ne fosse alcun bisogno, ma sottolineando ancora una volta la sua vera natura.

Il figlio dello sceriffo lo guardò in tralice, sporgendosi su di lui per afferrare il libro che era stato abbandonato sul letto, spostandosi al suo fianco per mostrarglielo meglio, costringendo l’altro a lasciargli le mani. «È un libro di sociologia, frequento un corso di sociologia e sono il più giovane» disse come se fosse la cosa più importante del mondo, mostrandogli la strada che stava compiendo e quanto si stesse impegnando. «Criminologia è una branca della sociologia e sarà la mia materia di base per tutti e quattro gli anni, qualunque college io sceglierò. E sono il più giovane del mio corso e nessuno dei frequentanti è interessato a criminologia».

«È il mio piano, Stiles, solo mio» lo ammonì caldamente il mutaforma, non contento del giudizio che l’altro aveva di lui.

Il sedicenne abbassò il volume che minuti prima stava studiando, curiosando avido e lo abbandonò tra le sue gambe semi aperto, inclinando appena la testa e cercando di mantenere la calma, di vedere attraverso i suoi occhi. «Quindi sceglierai la facoltà in base al college che ti accetterà» fece mente locale, ignorando tutto il resto ed immedesimandosi, ricevendo un cenno positivo dal lupo. «Ma non c’è una facoltà che ti piacerebbe frequentare? Lasciando perdere le risposte che riceverai. Non ce n’è una che ti fa pensare: è questa?».

Derek indugiò, trattenendo la risposta e quasi sperando di dimenticare la domanda, ma Stiles non avrebbe demorso ed avrebbe continuato a presentargli programmi su programmi, finché probabilmente non avrebbe scatenato il predatore che viveva dentro di lui. «Astronomia».

«Astronomia?» ripeté a se stesso il figlio dello sceriffo con sorpresa e stupore, piegando le labbra in una piega accondiscendente e piena di rivelazione. «Un lupo tra le stelle, è una bella immagine».

Derek non disse niente, non lo corresse e non parò il tiro; non gli disse che le avrebbe soltanto guardate da lontano e che non doveva scambiarlo per uno che ambiva a diventare astronauta; era certo che Stiles conoscesse bene le differenze, ma si divertisse solo a fantasticarci sopra.

Stiles lo guardò bene, voglioso di tamburellare le dita su qualsiasi superficie possibile, ma contenendosi per quanto gli fosse permesso, per quanto riuscisse a controllarsi. «Se ti piace astronomia, perché non puoi puntare direttamente a quella?».

Il mannaro sembrò colpito in pieno petto e si ritrasse, abbassando erroneamente la guardia. «È complicato».

Stiles percepì in pieno ciò che in realtà Derek gli stava nascondendo, le motivazioni che l’avevano portato a puntare ad un futuro così precario e nebuloso. «Quando hai spedito le lettere d’ammissione?».

Derek lo guardò di sbieco, benché fosse la domanda che gli era già stata posta, era stata pronunciata con un’inclinazione particolare e che sondava il terreno in modo diverso. «Lo scorso anno».

Il figlio dello sceriffo si fece più guardingo ed il sospetto crebbe inesorabilmente. Quasi nessuno spediva anticipatamente le domande d’ammissione; soltanto chi ambiva ai più prestigiosi ed importanti prendeva l’iniziativa, lavorando affannosamente per il suo biglietto da visita. «Tutti i college a cui hai fatto domanda hanno la facoltà di astronomia?».

Il licantropo esitò per piccole frazioni di secondo, lanciando uno sguardo al raccoglitore ancora aperto del padrone di casa e chiudendolo automaticamente. «No».

Tutto il corpo di Stiles si irrigidì ed una rabbia mai provata prima lo invase; il sospetto prese il sopravvento. «Chi stai inseguendo?».

Tutta la stanza si raggelò e le pupille di pece del lupo si dilatarono, rifiutandosi di rispondere, ma Stiles riuscì a trarre comunque le sue conclusioni.

«Derek» la voce era dolce e comprensiva, quasi come se capisse quello che stava vivendo nell’animo tormentato del suo lupo mannaro. «Ne vale la pena? Vale davvero il tuo sacrificio?» non c’era bisogno di specificare o fare nomi, era chiaro e lampante che tutto ruotava intorno alla tanto decantata persona speciale che faceva battere il cuore rotto del mutaforma.

«Non sacrifico nulla» ed eccola lì la risposta che tutti stavano aspettando, quella che conosceva, ma che ignorava e quella che Stiles aveva voluto strappargli; la conferma a gran voce delle scelte che Derek stava compiendo, del perché e soprattutto per chi.

Stiles si sostenne con una spalla al bordo del materasso, poggiando la mano destra, in cui brillava l’anello identico al capitano, sul viso del licantropo e sfiorandogli i capelli corvini con la punta delle dita. «Non pensi a me?» chiese retoricamente, con una morbidezza ed una latenza che annebbiarono le membra del diciottenne. «Andrai via per inseguire qualcun altro».

«Stiles» Derek tremava lievemente sotto il suo tocco e Stiles poteva quasi giurare che, sotto la sua scorza intaccabile, fosse perso e sconvolto, completamente incapace di reagire e decifrare ciò che il sedicenne gli stava riferendo.

Il figlio dello sceriffo abbandonò la fronte contro quella del mannaro, diventando un tutt’uno ed i polpastrelli scivolarono tra i suoi capelli scuri, immergendo parzialmente le falangi. «Sono gli ultimi mesi insieme, Der e poi andrai via e non avrò nemmeno la consolazione di sapere che stai percorrendo la strada che vorresti intraprendere, gli studi che vorresti seguire e la facoltà che vorresti frequentare» sospirò afflitto e lontano dalle risposte che voleva sentire, guardandolo intensamente negli occhi senza abbassare lo sguardo. «Come farò a sapere se stai bene?».

«Starò bene» disse il lupo mannaro, limpido e pulito, accarezzandogli il profilo del naso con il proprio.

Quella sarebbe stata l’unica risposta che avrebbe ricevuto da Derek e che avrebbe colmato tutte le vicissitudini che c’erano, la certezza che il lupo stesse commettendo un errore per inseguire qualcuno che non riusciva a vederlo e per cui avrebbe annullato se stesso. Che cosa ne avrebbe ricavato se non provava nemmeno ad aprirsi con la sua persona speciale? «Spero che sceglierai il college con la facoltà di astronomia, se proprio devi fare questa stupidata».

Non era un lascia passare, ma a Derek sembrava andargli bene lo stesso. «Vuoi andare a New York?».

Stiles si staccò da lui, abbandonando la fronte e separandosi completamente, lasciando ricadere le mani sul proprio ginocchio. «Perché me lo chiedi?».

«Tutti i college che hai nominato sono lì» e si riferiva a quelli che contenevano il dipartimento di criminologia e non a quelli che aveva elencato per persuaderlo a scegliere un percorso come si conveniva, degno di quel nome.

«Voglio andare all’Hofstra University, ovunque si trovi» indipendentemente da dove si trovi. Era stato amore a prima vista quando undicenne trafficava sul portatile del padre e cercava tutto quello che fosse affine con la sua carriera. Le parole criminologia e college si erano digitate da sole dopo ore di ricerche incrociate e l’aveva trovata, in tutto il suo splendore. Per anni aveva visitato il loro sito per rimanere costantemente aggiornato e con il tempo aveva capito che era lì che voleva terminassero i suoi studi. Le altre università di cui raccoglieva il materiale, erano soltanto il suo cuscinetto di sicurezza, nel caso non sarebbe riuscito ad entrare.

«È il posto per te» la convinzione nella sua voce era ridondante ed univoca e appariva anche certo della risposta che l’umano gli avrebbe dato, senza tentennare.

Stiles venne colpito da un nuovo sospetto e si chiese quanto bene Derek conoscesse l’Hofstra University.

 

«Davvero Derek non accetterebbe la borsa di studio?» erano solo lui e Malia, rinchiusi in biblioteca a studiare matematica, in un angolo deserto ed appartato, benché la sala dei libri fosse semi deserta e vi fossero una manciata di studenti sparsi e tutti a conversare tra loro.

Da quando era nata l’amicizia tra il figlio dello sceriffo e la ragazza mannara, due volte a settimana ed ogni volta che ne aveva bisogno, Stiles si impegnava nell’aiutarla a recuperare dov’era più calante, cercando di insegnarle quelle basi che le erano mancate per la sua vita forzata nel bosco sotto forma di coyote completo.

Malia era ingenua e diffidente in tutte le cose, la maggior parte delle volte si sentiva così sopraffatta e stordita da tutto quel cumolo di nozioni da imparare che gettava la spugna prima del dovuto, certa di non riuscire ad ottenere il risultato desiderato. Stiles doveva riprenderla con delicatezza, guidandola con i mezzi giusti verso la risoluzione; non aveva importanza se impiegava il triplo del tempo, riusciva comunque ad ottenere dei risultati e lentamente Malia cominciava a camminare da sola.

«Ti ha detto così?» domandò la sedicenne con postura, senza staccare gli occhi dal suo quaderno degli esercizi.

«Ha detto che non gli serve» non era esattamente la stessa cosa, ma nel linguaggio stretto e contato del lupo mannaro poteva lasciare spazio a numerose interpretazioni.

«È vero» confermò la ragazza, scarabocchiando sulla pagina bianca per metà riempita ed allungandosi per afferrare la calcolatrice.

Doveva smetterla di intraprendere delle conversazioni che bisognavano di un numero concreto di parole con i campioni del mutismo. «Quindi la rifiuterebbe?».

Malia si fermò, distolse lo sguardo dagli esercizi di matematica e lo rivolse attenta in quello ambrato. «Se lui accettasse, ce ne sarebbe una in meno per chi ha seriamente bisogno».

Stiles era consapevole di quella verità, del fatto che potesse permettersi di pagarsi l’università senza battere ciglio e senza nemmeno porsi il problema, ma era quella la risposta giusta? «Derek otterrebbe una borsa di studio per lo sport non perché ne abbia bisogno, ma perché se lo merita. È come una qualifica, la sua qualifica. È un premio per il suo talento e le sue capacità».

«È così importante che lui l’accetti?» chiese la coyote con moderazione, percependo l’agitazione e l’appassionata battaglia che Stiles stava compiendo per il licantropo.

«Sì» confermò l’umano con immediatezza, senza soffermarcisi per un solo attimo. «Smetterebbe di sminuirsi e punirsi».

Malia abbassò gli occhi, ben conoscitrice a cosa il ragazzo si stesse riferendo e della piega che stava prendendo quella conversazione. Le scelte che Derek aveva fatto e doveva ancora compiere nel campo riguardante il college erano un argomento che il branco conosceva bene. «Non condannarlo prima di aver ascoltato le sue ragioni».

«Mi ha fatto ben presente le sue ragioni» esclamò con il rimprovero netto nella voce, spalancando le braccia ed agitandole energicamente.

«Conosci solo metà della storia» gli riferì la sedicenne con una nota un po’ più dura del normale, che si pentì immediatamente di aver emesso.

Stiles ne fu vistosamente colpito e per quanto fosse pronto a ribattere ed a smentire quanto detto, si rese conto di quanto fosse vero.

Benché lui e Derek avessero affrontato molte cose e conoscessero molte parti l’uno dell’altro, comprendendosi e facendosi forza, scambiandosi le energie per affrontare il mondo e divenire persone migliori, accettando se stessi ed i propri errori, i demoni che vivevano dentro le loro anime, ci sarebbe sempre stato qualcosa che Derek non gli avrebbe mai riferito, che avrebbe tenuto per sé, custodendolo gelosamente. Derek non avrebbe mai condiviso con lui ciò che si nascondeva dietro la sua persona speciale, che cosa lo bloccasse e l’enorme muro che aveva innalzato per non arrivarci.

Potevano unirsi quanto volevano ma Derek non sarebbe mai stato completamente sincero con lui, mettendolo all’oscuro di qualcosa che evidentemente aveva più importanza di tutto il resto che avevano già condiviso, ed era qualcosa che lo lacerava e lo straziava.

Malia rimuginò a lungo silenziosamente, osservatrice del turbine tenebroso in cui si stava gettando l’umano, non ritenendosi all’altezza del lupo; era qualcosa che dava dell’incredibile. «Il tuo anello è identico a quello di Derek».

Il figlio dello sceriffo fu ripescato agilmente dalla voce profetica della coyote mannara, attirando tutta la sua attenzione e rivolgendole uno sguardo interrogativo, spiazzato da quell’osservazione su un argomento che non avevano mai trattato e che pensava si fosse concluso tempo addietro. «Sì».

La ragazza sbatté sul foglio, in un unico gesto non ripetuto, la parte superiore della penna, quasi pensierosa ed indecisa se proseguire o lasciar cadere l’argomento. «Sai nulla del suo anello?».

«Soltanto che è stato creato per lui» non aveva bisogno di pensarci su, era una cosa che gli era rimasta impressa e che non si era più tolto dalla mente, come il fatto che fosse stato creato per lui perché ne aveva bisogno. Il pollice si mosse all’istante ad accarezzare il gioiello.

Malia annuì a confermare, sbattendo un altro colpo con la penna distrattamente. «È stata Laura, lei si diletta in queste cose; è molto brava» Stiles aveva pensato a tutto, ad ogni genere di persona, ma non si sarebbe mai aspettato che fosse stata la sorella maggiore a creargli l’anello; quella che un giorno sarebbe divenuta l’Alpha, quella di cui Derek sarebbe diventato il braccio destro. «Non so molto, non ero ancora arrivata; ero ancora un… animale» la mannara si fermò, raccogliendo le idee e cercando di metterle a fuoco. «Glielo diede quando iniziò il pessimo periodo di Derek, non so per quale motivazione, ma c’era una piccola speranza e promessa che aveva tramutato in un oggetto. In oggetti» lo sguardo si fece intenso e carico di significato ed il cuore dell’umano perse vari battiti. «Gli anelli erano due».

«Due?» due anelli identici o due anelli e basta? Stiles rischiava di perdersi seriamente in un nuovo attacco di panico che non lo coglieva da anni, ma che da quando Derek Hale era entrato nella sua vita, non faceva altro che minacciarlo. «Dov’è adesso il secondo?».

«Non lo so» rispose la sedicenne, riprendendo in pugno la biro e ritornando a cimentarsi nei suoi esercizi di matematica. «Laura l’ha portato via con sé».

Laura aveva quattro anni in più di Derek ed era all’ultimo anno di college, a New York. Questo era tutto quello che Stiles sapeva su di lei, oltre alla sua natura mannara e al futuro ruolo che avrebbe avuto.

Se davvero Laura aveva fabbricato quegli anelli e glieli aveva dati nel periodo più nero della vita del lupo, le uniche cose che gli venivano alla mente erano la morte di Paige ed il consequenziale intrattenersi in ogni modo possibile con qualunque essere umano che provasse attrazione per lui ‒ particolare che Derek gli aveva lasciato semplicemente intendere, non approfondendo mai il discorso.

Derek era al suo primo anno di liceo e Laura gli aveva creato un anello con una speranza e una promessa.

Chi l’ha fatto pensava ne avessi bisogno.

Derek aveva quindici anni ed aveva ricevuto quell’anello tre anni prima.

E tre anni prima Stiles aveva comprato il suo in un piccolo negozietto invisibile agli occhi dei passanti e si era sentito chiamare.

Laura l’ha portato via con sé.

Stiles aveva il terribile sospetto di sapere esattamente dove Laura Hale avesse portato il secondo anello e dove si trovasse.

L’anello d’argento e oro rosso con la triscele incisa sul metallo prese a scaldarsi velocemente, scottandogli e bruciandogli il dito medio; il figlio dello sceriffo fu costretto a chiudere la mano a pugno e sopportare il dolore e l’allarme incessante che risuonava nel nervo acustico.

 

Stiles era stato irrequieto ed irruente per tutta la sera, quasi impedendo a Derek di addormentarsi accanto a lui e allo stesso tempo aveva proferito poche parole, cadendo nella sua fase taciturna e meditativa che escludeva tutti quelli che lo circondavano.

«Vuoi che vada via?» domandò costretto il lupo mannaro, percependo quell’ostilità ed inquietudine che convergeva su di lui.

Il figlio dello sceriffo era completamente in un altro mondo pieno di soluzioni ed alternative, possibili scenari e teorie campate nel vuoto, ma quando Derek aveva dato vita a quella domanda l’aveva riportato indietro, ancorandolo alla realtà e Stiles non sapeva bene quale fosse la migliore situazione. «Perché dovrei volerlo?».

«Sei agitato e non dormi» gli fece ben presente il diciottenne, corrugando le sopracciglia e dedicandogli uno sguardo grave.

In poche parole la sua presenza non serviva a nulla se il padrone di casa non provava nemmeno a prendere sonno. «Non voglio che tu vada via, Der» Stiles era completamente voltato verso il licantropo, guardandolo intensamente negli occhi e comunicandogli le sue vere intenzioni. «Non voglio mai che tu vada via».

Le iridi di Derek brillavano nefaste ed erano così improntate su di lui che non sarebbe mai riuscito a resistergli ed a negargli qualcosa. «Qual è il problema?» chiese allora il mutaforma, non riuscendo a vedere quale fosse la ragione che turbava tanto il sedicenne, impedendogli di accoccolarsi contro di lui privo di pensieri.

Le labbra di Stiles si socchiusero e non passò un solo filo d’aria, ripromettendosi di non dare voce a nessuna parola che potesse affondarli e mettere nero su bianco tutto ciò che aleggiava nella sua mente; erano pensieri pericolosi e catastrofici. E la confusione era tutto ciò che riempiva gli ingranaggi interni.

«Stiles» lo esortò il mannaro quando diversi momenti erano passati e l’umano non aveva borbottato alcuna parola ‒ si sarebbe accontentato anche di quello ‒, sfiorandogli il viso con la punta delle dita ed immergendole completamente tra i capelli setosi che lo inghiottirono. 

Le palpebre calarono sulle iridi d’ambrosia quando il contatto avvenne, leggere e spensierate, senza alcun pensiero disturbante che potesse toccarle e sconsacrarle, gettandole in qualcosa che ancora non sapevano gestire. Il tocco di Derek era sempre dolce e protettivo, calmante e rassicurante e non poteva accadere nulla di male se stavano insieme, se niente poteva separarli e dividerli.

La fronte combaciò con quella del diciottenne, respirando la sua epidermide e sfiorandogli il setto nasale in una soave carezza con la punta del naso. «Resta semplicemente con me».

Derek restò muto, senza voce, con la mano sinistra catturata dalle ciocche castane del figlio dello sceriffo, mentre quest’ultimo legava le loro reciproche mani destre, lasciando incontrare gli anelli come ogni notte, con le tenebre che calavano inesorabilmente, lasciando i loro segreti sospesi nell’aria.

 

Era molto raro, non accadeva quasi mai, di solito la prima cosa che incontrava la mattina erano le iridi smeraldo di Derek che aspettavano il suo risveglio, augurandogli a suo modo un buongiorno tacito ed impeccabile, prima di alzarsi dal letto ed aprire l’armadio, prendendo una delle sue maglie che aveva cominciato a lasciare lì, per permettersi di cambiarsi, almeno in parte, in tutte quelle occasioni in cui rimaneva con Stiles fino al suono della sveglia.

Ma Stiles non incontrò le gemme di giada, non c’era Derek ad aspettare il suo risveglio ed a valergli come sveglia umana che lo incitava ad alzarsi ed a ricordargli i doveri scolastici.

Il lupo mannaro stava ancora dormendo, bello e beato, senza che nulla potesse toccarlo, senza che nulla potesse sottrargli quell’angolo di paradiso che aveva trovato e che non voleva più lasciare; quello era il luogo in cui Derek era più felice.

Forse non era il luogo a rendere Derek Hale felice.

Stiles sospirò silenziosamente, incassando il viso sul cuscino e nascondendosi al mondo; che cosa stava combinando?

Un occhio gli cadde sul lato sinistro su cui si era addormentato, quasi spalmato completamente contro il corpo del più grande e lì, proprio lì, all’altezza dei loro cuori, vi era la trama delle loro mani destre che era rimasta immutata, perfetta ed impossibile da mettergli fine. Non c’era nulla che lo destabilizzasse più di quello.

Aprì leggermente le dita della mano incriminata, avvicinandosi un po’ di più e portandosi all’altezza dell’anello che gli aveva sconvolto la vita.

La triscele intagliata sul metallo, che racchiudeva entrambi i colori in un solo simbolo, si ergeva incontrollata, brillando senza tregua e ridendogli beffarda, conoscitrice di qualcosa che gli era stato negato.

La sfiorò proprio con il polpastrello del medio destro, assorbendo il calore dell’argento riscaldato dalla temperatura corporea sempre elevata del lupo mannaro, sperando di entrare in possesso della grande verità che non gli era concessa.

Derek si svegliò proprio in quel momento, quando le grandi domande di Stiles non facevano che crescere, e lo illuminò con i suoi occhi verdi, entrando nel suo scenario giornaliero e beccandolo sul fatto.

Stiles lo notò con qualche attimo di ritardo, con le iridi color miele che erano state chiamate da quel nuovo dettaglio periferico per caso, facendo crescere l’esigenza di accertarsi di quel nuovo fattore che si era aperto alla mattina.

Ritirò le dita d’istinto, con il fiato corto e le palpitazioni più veloci, l’ossigeno che gli creava scherzi e la mente che urlava di essere stato smascherato e di correre ai ripari. Ma dove poteva correre? Come poteva correre? Quella era casa sua, la sua camera da letto, il suo regno indiscusso che nessuno avrebbe dovuto toccare, il posto in cui era più al sicuro.

Ma quel posto era stato toccato, quel regno era stato condiviso e non aveva più un luogo dove andarsi a nascondere, un luogo dove poteva proteggersi da Derek Hale.

Derek intercettò subito le sue azioni e frenò la sua corsa fuggiasca, bloccandogli le falangi con le proprie, impedendogli di sciogliere la presa che avevano mantenuto per tutta la notte e tutte quelle precedenti. «Stiles».

Quella voce era così soave e così carica di qualcosa che Stiles non era ancora pronto ad identificare, che lo fece raggelare sul posto con un tono che aveva più consapevolezza e che sembrava aver capito cosa lo tormentasse. «Torna a dormire, Der. È ancora presto».

«Chiedimelo» disse invece il capitano della squadra di basket, ignorando spietatamente quella mossa astuta che voleva semplicemente depistarlo e far cadere qualsiasi discorso avrebbero potuto intraprendere.

Stiles tremò e sbiancò nell’immediato e non era propriamente certo di cosa volesse che gli chiedesse; c’era così tanto e così ben protetto e riparato che esprimerlo finalmente a parole lo sommergeva completamente di paura; diventava la paura stessa.

Derek scivolò maggiormente verso di lui, ostruendogli qualsiasi possibilità di una futura fuga ed obbligandolo a rivolgere lo sguardo soltanto a lui; era l’unico raggio d’azione che gli permetteva. «Chiedimelo».

Sei innamorato di me?

Stiles era nel panico più totale, completamente andato ed impossibile da andare a recuperare. Non c’erano strade, non c’erano scappatoie e non c’era alcun modo per scappare da tutto quello.

Pungolò sull’anello, proprio dove si trovava la triscele intagliata, imprimendosi la sua forma sotto i polpastrelli. «I nostri anelli hanno un segreto?» ignorò completamente la domanda che Derek avrebbe realmente voluto sentire, quella che aleggiava tra loro da quando lo scambio degli anelli era avvenuto, dal momento esatto in cui il gioiello appartenuto a Derek si era incastrato sul proprio anulare sinistro, aderendo perfettamente e con l’unico desiderio di non sfilarsi mai più.

Da quel momento, da quel singolo ed unico momento in cui le strade si erano incrociate e Stiles era venuto a conoscenza totalmente di Derek Hale, l’anello di proprietà del lupo mannaro non aveva fatto altro che chiamarlo, costantemente ed incessantemente, reclamandolo ed esigendolo, invogliandolo e pregandolo e Stiles stava annaspando ed affogando e non sapeva come salvarsi e riemergere, tornare completamente in possesso delle proprie facoltà mentali; rientrare in possesso di se stesso e non del desiderio di legarsi a quell’anello per fondersi unicamente con Derek Hale.

«Sì» confermò univocamente il licantropo, radendo al suolo tutte le speranze poco concrete che il figlio dello sceriffo aveva creato nella propria mente, indicendosi a farsi forza.

Non esisteva più il singolare, non esisteva più l’unicità e non esisteva più la perfetta distinzione tra di loro. Ma era mai esistita? Erano sempre state due entità uniche e separate? Stiles ricordava di aver usato in modo sproporzionato il plurale e di averli uniti più volte in un noi; erano sempre stati un noi. «Mi è dato conoscerlo?» sono pronto? era la vera domanda che si nascondeva dietro quelle parole, le reali intenzioni e ciò che risuonava nel silenzio della camera, isolata dal mondo intero.

«No» rispose sfavorevolmente il lupo mannaro, certo e conoscitore di quella negazione. Non ancora. Forse mai.

Stiles si sentì dilaniato e straziato, una pugnalata al cuore da dove sgorgava sangue ferito ed impuro. Era la persona più terribile che potesse esistere.

Derek inspirò candidamente dai suoi capelli castani, sfiorandoli con il naso e circondando parzialmente con un braccio il corpo dell’umano, attutendo la sua afflizione. «Va tutto bene, Stiles».

Stiles soffocò un singhiozzo con fatica e si ritrovò ad affondare il viso nel collo del mannaro, trovandolo già pronto e predisposto per accoglierlo; per prendersi parte delle sue sofferenze.

Non andava bene, non andava bene proprio per niente.

Derek avrebbe continuato a metterlo al primo posto a prescindere da tutto quello che sarebbe potuto accadere e lui avrebbe continuato ad impersonare l’antagonista della storia.

Era la persona più orribile che potesse esistere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ebbene, da dover partiamo?

Sì, loro amoreggiano negli spogliatoi e sì, lo fanno davanti a tutta la squadra di basket e Boyd è l’unico che dice le cose come stanno, prendendosi un po’ gioco di loro nei suoi modo molto alla… Boyd, insomma.

L’argomento college è molto, molto importante. Diciamo che la storia è stata fondata anche su questo principio e alla fine ci ha messo più tempo del previsto ad arrivare. Ma… non dimenticatene. E un po’ di ragione Stiles ce l’ha nel reagire in quel modo, lui che è una pietra miliare dei piani, soprattutto quelli a lungo termine; che Derek non ne abbia e che al contrario si basino sull’inseguire qualcuno, beh… lo destabilizza molto e gli fa giudicare malamente il lupo.

Stiles e Malia studiano insieme e fin qui tutto okay, ma va a finire sempre che si parla di Derek in qualche modo e poi boom! Una bomba viene lanciata dalla nostra adorabile coyote che tutto sa e tutto dice, ma si trattiene come può.

Se non ci fosse stata lei, Stiles non avrebbe nemmeno mai pensato di chiedere qualcosa di quel particolare argomento a Derek, figurarsi La domanda che continua a tenere per sé, ma che finalmente ha formulato almeno nella mente.

Povero, povero Derek; sei diventato un santo per Stiles.

Chissà se le cose diventeranno più strette.

A settimana prossima,

Antys

   
 
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