14° Capitolo
«Non sbranare nessuno» si raccomandò il figlio dello sceriffo, riprendendo
un tratto tipico che rimproverava spesso nel lupo con sarcasmo.
Non vi era nessuno negli spogliatoi, non ancora, e gli unici abitanti di
quel luogo erano lui e Derek che si preparavano alla nuova partita di basket
come se scendessero in campo entrambi.
«Solo se qualcuno mi ruberà una palla di troppo» lo rassicurò tremendamente
il licantropo, godendo giocosamente delle precauzioni e dell’elenco che l’altro
stava stilando.
«Derek» sospirò il sedicenne quasi esasperato, guardandolo torvo. «Dico sul
serio».
«Andrà bene» disse soltanto il mutaforma con la sicurezza nella voce ferma.
Stiles si abbandonò contro la fronte del lupo, osservandolo di sottecchi.
«Starai bene? Stai bene?».
«Sì» convenne il capitano della squadra di basket, persuadendolo a mollare
la presa. «Non è la prima partita che gioco con la luna piena».
«Lo so» era il primo giorno di plenilunio, la luna era alta e completa,
splendente ed unica protagonista del cielo stellato. La sua ascesa era iniziata
da qualche ora e gli effetti sui lupi mannari erano già cominciati il giorno
prima e sarebbero perdurati per altre due notti. «Ma vorrei che pensassi solo a
giocare, non a contenere la tua natura».
«Anche questo fa parte della mia natura» e per Derek era sempre più facile
controllarla ed averne la supremazia, la preoccupazione era l’ultimo dei suoi
pensieri, ma non era lo stesso per Stiles. Stiles era sempre preoccupato, per
qualsiasi cosa.
L’umano alzò gli occhi e Derek si ritrovò completamente specchiato nelle
iridi di caramello. «Mi fido di te, Derek Hale, ma non fare l’orgoglioso in
campo» era un messaggio non tanto criptato in cui l’invitava a lasciare la
partita se le cose fossero degenerate, anche se la percentuale era pari quasi a
zero.
Il diciottenne annuì a contatto con la sua pelle e, facendolo contento,
acconsentì alle sue parole. «Ne ho già persa una».
Sembrava passata una vita intera, una vita passata con il suo lupo, ed
ancora non poteva dimenticare il gesto avventato che Derek aveva compiuto,
l’abbandonare il campo perché non poteva sopportare le voci che progettavano
piccole e tremende vendette verso il figlio dello sceriffo per quella stessa
sera; vendette che erano evaporate nel momento in cui l’umano non era stato più
presente all’interno dell’istituto scolastico al termine della partita. Stiles
spesso si chiedeva se avessero davvero rinunciato, mettendo da parte il colpo
per occasioni future o se Derek avesse fatto valere la sua voce pericolosa –
certe retrovie non le avrebbe mai scoperte. «Lo so, c’ero anch’io» e ti ho quasi perso.
Derek portò la mano destra sopra la sua guancia, tenendolo fermo e
permettendosi di schioccare un nuovo bacio tra la radice dei capelli castani,
rincuorandolo ancora un po’. «Non perderò il controllo e non cederò al lupo»
strusciò la fronte contro di lui, riportandolo nella posizione precedente,
incollando le iridi di giada a quelle di miele. «E tu sarai lì».
Era troppo facile, troppo facile per Stiles abbandonarsi ai tocchi delicati
di Derek, all’attenzione che aveva per lui, al suo metterlo al primo posto
occupandosi dei suoi bisogni invece che dei propri, ed era qualcosa che gli
faceva scoppiare il cervello, ma che gli colmava il cuore, sentendolo sempre
più pieno e pronto a straripare. «Non ho mai perso una partita».
«Lo so» c’era solo certezza e consapevolezza nel tono del mannaro, la
sicurezza che Stiles fosse sempre stato lì e fosse stato in grado di percepirlo
fin dalla prima partita di campionato l’anno prima.
Derek era sempre stato a conoscenza di lui?
«Piccioncini, potreste amoreggiare più tardi? Abbiamo una partita da
vincere» si intromise Boyd senza alcun problema,
senza una sfumatura particolare nella voce che attestasse con che tono avesse
pronunciato quella frase; ma era una sua caratteristica rimanere disinteressato
ed incline ad essere all’oscuro delle cose.
Boyd fu il primo ad entrare nello spogliatoio, seguito da tutto il resto della
squadra, che poggiava i borsoni nelle varie panche ed apriva gli armadietti
assegnati per sistemarsi, rivolgendo parole di saluto al figlio dello sceriffo.
Per nessuno dei membri della squadra era una sorpresa ritrovarlo lì, in
atteggiamenti intimi con il capitano che aumentavano ad ogni nuova occasione ed
in cui si accorciavano definitivamente le barriere che esistevano tra loro.
Stiles era sempre il primo ad arrivare negli spogliatoi, anticipando tutti
gli altri ed entrando quasi in contemporanea con Derek Hale, come se avessero
un casuale e stabilito appuntamento. Raggiungeva Erica soltanto quando si
dividevano e ritornavano alle rispettive mansioni.
La squadra non si era mai lamentata di averlo in giro e Stiles non aveva
retrocesso, al contrario avevano stabilito un buon rapporto di convivenza.
Stiles sbuffò tra le labbra di Derek e si scostò appena, indirizzando gli
occhi verso il nuovo arrivato, mentre il capitano lasciava ricadere a peso
morto il braccio sul fianco, togliendo la mano dal viso del sedicenne. «Ciao, Boyd. Tempismo perfetto» proferì con sarcasmo pieno di
malizia, sfoderando il suo ghigno da volpe rossa pieno di sfaccettature. «Hai
appena interrotto il nostro momento idilliaco».
«Partita. Priorità» tagliò corto l’afroamericano, senza lasciarsi incantare
dalle sue fattezze e giochi di parole.
«Va bene, va bene, vado via» proferì poco accettato l’umano, sbuffando
ancora una volta ed avviandosi per allontanarsi, separandosi dal suo lupo. «Tu
stai bene?» chiese invece, rimandando i saluti e guardandolo con attenzione,
seriamente interessato.
Gli occhi di Boyd si ingrandirono un po’ e
dovette seriamente guardarlo bene per capire se l’avesse chiesto realmente a
lui e se si stesse riferendo alla luna che sovrastava il cielo, manifestando il
potere che aveva su di loro. Dovette distogliere lo sguardo per incontrare
quello di Derek, non particolarmente stupito di quella manifestazione che si
presentava nel figlio dello sceriffo, preoccupandosi di ogni creatura
sovrannaturale che lo circondava e di cui era a conoscenza. Lo sguardo di Derek
era eloquente e non lasciava spazio a perplessità o dubbi, c’erano anche tracce
di orgoglio e fierezza nelle sue iridi verdi e non esistevano altre possibilità
oltre a quella.
In Derek c’era qualcosa che vedeva soltanto quando Stiles era nelle vicinanze
ed era quello che il branco intero proteggeva. Stiles era unico. «Sì, sto bene»
e l’unico.
Stiles era disteso scompostamente sul letto, a pancia in giù e con le gambe
che solleticavano l’aria, continuamente scomposta dai suoi movimenti che la fendevano,
mentre leggeva avido le nozioni del libro di sociologia, corso extra che era
iniziato da qualche settimana, che si teneva nell’ora dei laboratori
pomeridiani e di cui lui era l’iscritto più giovane. «Quando hai iniziato a
spedire le lettere d’ammissione al college?».
Derek sedeva sul pavimento, una gamba distesa e l’altra piegata che teneva
in equilibrio perfetto il volume di storia contemporanea, con la schiena
poggiata al bordo del materasso da cui faceva capolino il padrone di casa. «È
un po’ troppo presto per pensarci» che non era esattamente la risposta alla
domanda postagli, ma a quella intrinseca e sottintesa che non era stata emessa,
quella ansiosa e precoce che caratterizzava perfettamente colui che l’aveva
formulata.
«Sto solo chiedendo delle dritte, sei all’ultimo anno, sei la persona più
adatta» si giustificò prontamente il sedicenne, sbuffando un po’ offeso per
quella piccola ripresa che gli aveva fatto.
«Sono sicuro che hai tutte le tue risposte» proferì semplicemente il lupo
mannaro disinteressato, voltando pagina e continuando la lettura.
«È sempre un piacere parlare con te, Derek» lo pungolò con stizza l’umano,
con tono velenoso e risentito, soffiandogli contro come un gatto offeso e
togliendogli la sua attenzione.
Il lupo non sembrò badarci e perseverò nel suo studio.
«Le hai spedite almeno?» ritentò il castano, non contento della risposta
ricevuta e propenso a scavare ancora.
«Sì» lo accontentò con distacco, rubando uno degli evidenziatori colorati
di Stiles ed inglobando dei concetti chiave.
«Dove? A quale college hai fatto domanda?» era un argomento che non avevano
mai tirato in ballo, che non era mai esistito, che non era mai stato
considerato benché fosse risaputo ed evidente che Derek fosse all’ultimo anno e
che quando Stiles avrebbe frequentato la terza classe, lui non sarebbe più
stato nell’istituto. Niente più Derek Hale tra le mura, niente eserciti di
ragazze esagitate che lo tormentavano con una dichiarazione al giorno, a volte
all’ora; non l’avrebbe più visto giocare, allenarsi e vincere. Non l’avrebbe
più visto e basta.
Le labbra del diciottenne si sigillarono per un istante, guardando a
disagio un punto alla sua destra e scacciando tutto con la sua impassibilità,
cancellando quell’unico momento di umanità. «Uno vale l’altro».
Le iridi d’ambra si ingrandirono e la sua attenzione fu completamente
riposta sulla figura del mannaro, abbandonando il tomo della nuova materia
acquisita e spostando la parte superiore del suo corpo verso quello dell’altro,
girando la testa verso la sua per guardarlo e strappargli le risposte. «Uno vale l’altro? Vuoi dirmi che non ce
n’è uno che ti attira particolarmente?».
«No» ricalcò la dose il mutaforma, lievemente esasperato da quel concetto
già espresso.
«Quindi ti andrebbe bene qualunque ti accettasse?» chiese con un leggero
sconcerto che comprendeva soltanto a metà, non particolarmente affine con la
sua politica.
«Sì» convenne il licantropo con distacco, sottolineando ancora una volta la
sua risposta.
Stiles non poteva crederci, era una cosa che lo lasciava di stucco e senza
parole. «E i corsi? I dipartimenti? In cosa vorresti laurearti?».
«Deciderò in base al college» rivelò atono il capitano della squadra di
basket, mostrando ancora una volta il disinteresse per quella parte futura
della sua vita.
«Che sciocchezza è mai questa?» lo riproverò astiosamente l’umano,
irrigidendo il corpo ed investendolo con la sua aura nera, balzando sul letto e
mettendosi in posizione di seduta, richiamando la sua attenzione. «Non è così
che funziona, non è così che si sceglie e si affronta il futuro. Solo i
disperati lo fanno, chi non riesce a vedere ad un palmo dal proprio naso, ma
tu…» l’ira ed il turbamento crebbero di diverse ottave e se avesse fatto un
passo falso ed avventato sarebbe ruzzolato giù dal materasso. «Tu potresti
entrare dovunque vorresti, ogni college farebbe carte false per averti, per
averti nella loro squadra. Riusciresti a vincere una borsa di studio per il
basket e potresti seguire i migliori corsi del paese. Non posso credere che tu
non abbia minimamente pensato a questo».
«Non mi serve una borsa di studio» ribatté Derek per niente colpito e sordo
alle parole del sedicenne che si battevano per una causa persa.
Stiles tacque e lo guardò allucinato. «È tutto quello che hai da dire?».
«Sì» confermò freddamente il lupo mannaro, tagliando corto.
Per qualche minuto il silenzio cadde su tutta la stanza e l’unico suono era
il loro respirare, uno meno regolare dell’altro.
Poi Stiles si alzò all’improvviso, sbattendo i piedi nudi sul pavimento e
dirigendosi verso la scrivania, aprendo uno dei cassetti della cassettiera
incorporata e spostando qualche foglio protocollo, afferrando successivamente
un raccoglitore con anelli di medie dimensioni dal colore blu elettrico e
facendo dietrofront, piantandosi davanti alle gambe del lupo mannaro e
piazzandogli il suddetto raccoglitore già aperto sotto gli occhi. «Questa è L’Hofstra University, si trova a
New York, precisamente a Long Island. È piccola ed intima ed hanno dei
programmi sensazionali. È selettiva e scrupolosa, ma i loro corsi sono i
migliori e formano le persone più capaci del paese. Hanno un programma di
criminologia che non ha eguali, ma… ma questo non c’entra niente con te» frenò,
inciampando nei pensieri e sfogliando le pagine, estraendo gli opuscoli che
aveva collezionato negli anni. Ne aveva uno di ogni anno da quando ne aveva
undici ed aveva le idee già chiare sul suo futuro; erano tutti correlati e non
ne mancava nessuno. «Il loro programma
sportivo è qualcosa di eccezionale e hanno le migliori squadre dello stato; i
biglietti per le partite di basket terminano dopo qualche minuto ed il loro
simbolo è un leone, ma possiamo accontentarci, giusto?» un lupo che gioca con i
leoni, come poteva venirgli in mente? «Ti prenderebbero ad occhi chiusi ed
hanno perfino uno Starbucks e un supermercato al loro interno, non che sia
importante, ma è una lode in più».
«Conosco il loro programma» rivelò Derek, interrompendo il suo monologo e
le intenzioni che stava manifestando.
«Oh, sì, certo» si fermò come se fosse stato bloccato e dovesse
ricollegarsi per seguire il giusto fiume di pensieri e capire cosa avrebbe
dovuto fare. Saltò la sezione dedicata all’Hofstra e
si buttò a capofitto su tutte le altre possibilità. «C’è la Suny,
è sparsa per tutta la città, ma è un ottimo college. C’è anche la St. John's University e Le Moyne College. Ma forse non ti interessano, hanno tutti il
programma di criminologia» sfogliò ancora il raccoglitore, scartando tutte
quelle che aveva scelto per quel particolare tipo di dipartimento. «Ma ce ne
sono così tante, la Columbia, Stanford e Preston. Non ho niente su di esse
perché non hanno la facoltà di criminologia, ma posso trovarli, posso trovarli»
tremò quasi, in modo evidente ed indistinto, con quel nuovo attacco di panico
che minacciava di prendere vita e che gli urlava il pessimo stile di vita che
Derek aveva deciso di percorrere. «Scegline uno, puoi sceglierli tutti; li
condivido tutti con te» e gli donò tutto il prezioso raccoglitore a cui aveva
lavorato per anni, tracciando i piani del proprio futuro.
«Stiles, basta» esclamò imperativo il lupo mannaro, fermando le sue mani
agitate e mettendo fine alla discussione. «Conosco i loro programmi» ripeté,
scandagliando bene le parole ed inglobando tutti i nomi che il sedicenne aveva
nominato. «E ho già il mio piano da seguire».
Stiles sospirò esausto e per niente arreso, guardandolo con durezza ed accusatorio.
«È un piano penoso. A undici anni avevo un piano migliore».
«Perché parti in anticipo» gli fece presente il licantropo, ben sapendo che
non ce ne fosse alcun bisogno, ma sottolineando ancora una volta la sua vera
natura.
Il figlio dello sceriffo lo guardò in tralice, sporgendosi su di lui per
afferrare il libro che era stato abbandonato sul letto, spostandosi al suo
fianco per mostrarglielo meglio, costringendo l’altro a lasciargli le mani. «È
un libro di sociologia, frequento un corso di sociologia e sono il più giovane»
disse come se fosse la cosa più importante del mondo, mostrandogli la strada
che stava compiendo e quanto si stesse impegnando. «Criminologia è una branca
della sociologia e sarà la mia materia di base per tutti e quattro gli anni,
qualunque college io sceglierò. E sono il più giovane del mio corso e nessuno
dei frequentanti è interessato a criminologia».
«È il mio piano, Stiles, solo mio» lo ammonì caldamente il mutaforma, non
contento del giudizio che l’altro aveva di lui.
Il sedicenne abbassò il volume che minuti prima stava studiando, curiosando
avido e lo abbandonò tra le sue gambe semi aperto, inclinando appena la testa e
cercando di mantenere la calma, di vedere attraverso i suoi occhi. «Quindi
sceglierai la facoltà in base al college che ti accetterà» fece mente locale,
ignorando tutto il resto ed immedesimandosi, ricevendo un cenno positivo dal
lupo. «Ma non c’è una facoltà che ti piacerebbe frequentare? Lasciando perdere
le risposte che riceverai. Non ce n’è una che ti fa pensare: è questa?».
Derek indugiò, trattenendo la risposta e quasi sperando di dimenticare la
domanda, ma Stiles non avrebbe demorso ed avrebbe continuato a presentargli
programmi su programmi, finché probabilmente non avrebbe scatenato il predatore
che viveva dentro di lui. «Astronomia».
«Astronomia?» ripeté a se stesso il figlio dello sceriffo con sorpresa e
stupore, piegando le labbra in una piega accondiscendente e piena di
rivelazione. «Un lupo tra le stelle, è una bella immagine».
Derek non disse niente, non lo corresse e non parò il tiro; non gli disse
che le avrebbe soltanto guardate da lontano e che non doveva scambiarlo per uno
che ambiva a diventare astronauta; era certo che Stiles conoscesse bene le
differenze, ma si divertisse solo a fantasticarci sopra.
Stiles lo guardò bene, voglioso di tamburellare le dita su qualsiasi
superficie possibile, ma contenendosi per quanto gli fosse permesso, per quanto
riuscisse a controllarsi. «Se ti piace astronomia, perché non puoi puntare
direttamente a quella?».
Il mannaro sembrò colpito in pieno petto e si ritrasse, abbassando
erroneamente la guardia. «È complicato».
Stiles percepì in pieno ciò che in realtà Derek gli stava nascondendo, le
motivazioni che l’avevano portato a puntare ad un futuro così precario e
nebuloso. «Quando hai spedito le lettere d’ammissione?».
Derek lo guardò di sbieco, benché fosse la domanda che gli era già stata
posta, era stata pronunciata con un’inclinazione particolare e che sondava il
terreno in modo diverso. «Lo scorso anno».
Il figlio dello sceriffo si fece più guardingo ed il sospetto crebbe
inesorabilmente. Quasi nessuno spediva anticipatamente le domande d’ammissione;
soltanto chi ambiva ai più prestigiosi ed importanti prendeva l’iniziativa,
lavorando affannosamente per il suo biglietto da visita. «Tutti i college a cui
hai fatto domanda hanno la facoltà di astronomia?».
Il licantropo esitò per piccole frazioni di secondo, lanciando uno sguardo
al raccoglitore ancora aperto del padrone di casa e chiudendolo
automaticamente. «No».
Tutto il corpo di Stiles si irrigidì ed una rabbia mai provata prima lo
invase; il sospetto prese il sopravvento. «Chi stai inseguendo?».
Tutta la stanza si raggelò e le pupille di pece del lupo si dilatarono,
rifiutandosi di rispondere, ma Stiles riuscì a trarre comunque le sue
conclusioni.
«Derek» la voce era dolce e comprensiva, quasi come se capisse quello che
stava vivendo nell’animo tormentato del suo lupo mannaro. «Ne vale la pena?
Vale davvero il tuo sacrificio?» non c’era bisogno di specificare o fare nomi,
era chiaro e lampante che tutto ruotava intorno alla tanto decantata persona
speciale che faceva battere il cuore rotto del mutaforma.
«Non sacrifico nulla» ed eccola lì la risposta che tutti stavano
aspettando, quella che conosceva, ma che ignorava e quella che Stiles aveva
voluto strappargli; la conferma a gran voce delle scelte che Derek stava
compiendo, del perché e soprattutto per chi.
Stiles si sostenne con una spalla al bordo del materasso, poggiando la mano
destra, in cui brillava l’anello identico al capitano, sul viso del licantropo
e sfiorandogli i capelli corvini con la punta delle dita. «Non pensi a me?»
chiese retoricamente, con una morbidezza ed una latenza che annebbiarono le
membra del diciottenne. «Andrai via per inseguire qualcun altro».
«Stiles» Derek tremava lievemente sotto il suo tocco e Stiles poteva quasi
giurare che, sotto la sua scorza intaccabile, fosse perso e sconvolto,
completamente incapace di reagire e decifrare ciò che il sedicenne gli stava
riferendo.
Il figlio dello sceriffo abbandonò la fronte contro quella del mannaro,
diventando un tutt’uno ed i polpastrelli scivolarono tra i suoi capelli scuri,
immergendo parzialmente le falangi. «Sono gli ultimi mesi insieme, Der e poi andrai via e non avrò nemmeno la consolazione di
sapere che stai percorrendo la strada che vorresti intraprendere, gli studi che
vorresti seguire e la facoltà che vorresti frequentare» sospirò afflitto e
lontano dalle risposte che voleva sentire, guardandolo intensamente negli occhi
senza abbassare lo sguardo. «Come farò a sapere se stai bene?».
«Starò bene» disse il lupo mannaro, limpido e pulito, accarezzandogli il
profilo del naso con il proprio.
Quella sarebbe stata l’unica risposta che avrebbe ricevuto da Derek e che
avrebbe colmato tutte le vicissitudini che c’erano, la certezza che il lupo
stesse commettendo un errore per inseguire qualcuno che non riusciva a vederlo
e per cui avrebbe annullato se stesso. Che cosa ne avrebbe ricavato se non
provava nemmeno ad aprirsi con la sua persona speciale? «Spero che sceglierai
il college con la facoltà di astronomia, se proprio devi fare questa
stupidata».
Non era un lascia passare, ma a Derek sembrava andargli bene lo stesso.
«Vuoi andare a New York?».
Stiles si staccò da lui, abbandonando la fronte e separandosi
completamente, lasciando ricadere le mani sul proprio ginocchio. «Perché me lo
chiedi?».
«Tutti i college che hai nominato sono lì» e si riferiva a quelli che
contenevano il dipartimento di criminologia e non a quelli che aveva elencato
per persuaderlo a scegliere un percorso come si conveniva, degno di quel nome.
«Voglio andare all’Hofstra University,
ovunque si trovi» indipendentemente da dove
si trovi. Era stato amore a prima vista quando undicenne trafficava sul
portatile del padre e cercava tutto quello che fosse affine con la sua
carriera. Le parole criminologia e college si erano digitate da sole dopo
ore di ricerche incrociate e l’aveva trovata, in tutto il suo splendore. Per
anni aveva visitato il loro sito per rimanere costantemente aggiornato e con il
tempo aveva capito che era lì che voleva terminassero i suoi studi. Le altre
università di cui raccoglieva il materiale, erano soltanto il suo cuscinetto di
sicurezza, nel caso non sarebbe riuscito ad entrare.
«È il posto per te» la convinzione nella sua voce era ridondante ed univoca
e appariva anche certo della risposta che l’umano gli avrebbe dato, senza
tentennare.
Stiles venne colpito da un nuovo sospetto e si chiese quanto bene Derek
conoscesse l’Hofstra University.
«Davvero Derek non accetterebbe la borsa di studio?» erano solo lui e
Malia, rinchiusi in biblioteca a studiare matematica, in un angolo deserto ed
appartato, benché la sala dei libri fosse semi deserta e vi fossero una
manciata di studenti sparsi e tutti a conversare tra loro.
Da quando era nata l’amicizia tra il figlio dello sceriffo e la ragazza
mannara, due volte a settimana ed ogni volta che ne aveva bisogno, Stiles si
impegnava nell’aiutarla a recuperare dov’era più calante, cercando di
insegnarle quelle basi che le erano mancate per la sua vita forzata nel bosco
sotto forma di coyote completo.
Malia era ingenua e diffidente in tutte le cose, la maggior parte delle
volte si sentiva così sopraffatta e stordita da tutto quel cumolo di nozioni da
imparare che gettava la spugna prima del dovuto, certa di non riuscire ad
ottenere il risultato desiderato. Stiles doveva riprenderla con delicatezza,
guidandola con i mezzi giusti verso la risoluzione; non aveva importanza se
impiegava il triplo del tempo, riusciva comunque ad ottenere dei risultati e
lentamente Malia cominciava a camminare da sola.
«Ti ha detto così?» domandò la sedicenne con postura, senza staccare gli
occhi dal suo quaderno degli esercizi.
«Ha detto che non gli serve» non era esattamente la stessa cosa, ma nel
linguaggio stretto e contato del lupo mannaro poteva lasciare spazio a numerose
interpretazioni.
«È vero» confermò la ragazza, scarabocchiando sulla pagina bianca per metà
riempita ed allungandosi per afferrare la calcolatrice.
Doveva smetterla di intraprendere delle conversazioni che bisognavano di un
numero concreto di parole con i campioni del mutismo. «Quindi la
rifiuterebbe?».
Malia si fermò, distolse lo sguardo dagli esercizi di matematica e lo
rivolse attenta in quello ambrato. «Se lui accettasse, ce ne sarebbe una in
meno per chi ha seriamente bisogno».
Stiles era consapevole di quella verità, del fatto che potesse permettersi
di pagarsi l’università senza battere ciglio e senza nemmeno porsi il problema,
ma era quella la risposta giusta? «Derek otterrebbe una borsa di studio per lo
sport non perché ne abbia bisogno, ma perché se lo merita. È come una
qualifica, la sua qualifica. È un premio per il suo talento e le sue capacità».
«È così importante che lui l’accetti?» chiese la coyote con moderazione,
percependo l’agitazione e l’appassionata battaglia che Stiles stava compiendo
per il licantropo.
«Sì» confermò l’umano con immediatezza, senza soffermarcisi per un solo
attimo. «Smetterebbe di sminuirsi e punirsi».
Malia abbassò gli occhi, ben conoscitrice a cosa il ragazzo si stesse
riferendo e della piega che stava prendendo quella conversazione. Le scelte che
Derek aveva fatto e doveva ancora compiere nel campo riguardante il college
erano un argomento che il branco conosceva bene. «Non condannarlo prima di aver
ascoltato le sue ragioni».
«Mi ha fatto ben presente le sue ragioni» esclamò con il rimprovero netto
nella voce, spalancando le braccia ed agitandole energicamente.
«Conosci solo metà della storia» gli riferì la sedicenne con una nota un
po’ più dura del normale, che si pentì immediatamente di aver emesso.
Stiles ne fu vistosamente colpito e per quanto fosse pronto a ribattere ed
a smentire quanto detto, si rese conto di quanto fosse vero.
Benché lui e Derek avessero affrontato molte cose e conoscessero molte
parti l’uno dell’altro, comprendendosi e facendosi forza, scambiandosi le
energie per affrontare il mondo e divenire persone migliori, accettando se
stessi ed i propri errori, i demoni che vivevano dentro le loro anime, ci sarebbe
sempre stato qualcosa che Derek non gli avrebbe mai riferito, che avrebbe
tenuto per sé, custodendolo gelosamente. Derek non avrebbe mai condiviso con
lui ciò che si nascondeva dietro la sua persona speciale, che cosa lo bloccasse
e l’enorme muro che aveva innalzato per non arrivarci.
Potevano unirsi quanto volevano ma Derek non sarebbe mai stato
completamente sincero con lui, mettendolo all’oscuro di qualcosa che
evidentemente aveva più importanza di tutto il resto che avevano già condiviso,
ed era qualcosa che lo lacerava e lo straziava.
Malia rimuginò a lungo silenziosamente, osservatrice del turbine tenebroso
in cui si stava gettando l’umano, non ritenendosi all’altezza del lupo; era
qualcosa che dava dell’incredibile. «Il tuo anello è identico a quello di
Derek».
Il figlio dello sceriffo fu ripescato agilmente dalla voce profetica della
coyote mannara, attirando tutta la sua attenzione e rivolgendole uno sguardo
interrogativo, spiazzato da quell’osservazione su un argomento che non avevano
mai trattato e che pensava si fosse concluso tempo addietro. «Sì».
La ragazza sbatté sul foglio, in un unico gesto non ripetuto, la parte
superiore della penna, quasi pensierosa ed indecisa se proseguire o lasciar
cadere l’argomento. «Sai nulla del suo anello?».
«Soltanto che è stato creato per lui» non aveva bisogno di pensarci su, era
una cosa che gli era rimasta impressa e che non si era più tolto dalla mente,
come il fatto che fosse stato creato per lui perché ne aveva bisogno. Il
pollice si mosse all’istante ad accarezzare il gioiello.
Malia annuì a confermare, sbattendo un altro colpo con la penna
distrattamente. «È stata Laura, lei si diletta in queste cose; è molto brava»
Stiles aveva pensato a tutto, ad ogni genere di persona, ma non si sarebbe mai
aspettato che fosse stata la sorella maggiore a creargli l’anello; quella che
un giorno sarebbe divenuta l’Alpha, quella di cui Derek sarebbe diventato il
braccio destro. «Non so molto, non ero ancora arrivata; ero ancora un… animale»
la mannara si fermò, raccogliendo le idee e cercando di metterle a fuoco.
«Glielo diede quando iniziò il pessimo periodo di Derek, non so per quale
motivazione, ma c’era una piccola speranza e promessa che aveva tramutato in un
oggetto. In oggetti» lo sguardo si fece intenso e carico di significato ed il
cuore dell’umano perse vari battiti. «Gli anelli erano due».
«Due?» due anelli identici o due anelli e basta? Stiles rischiava di
perdersi seriamente in un nuovo attacco di panico che non lo coglieva da anni,
ma che da quando Derek Hale era entrato nella sua vita, non faceva altro che
minacciarlo. «Dov’è adesso il secondo?».
«Non lo so» rispose la sedicenne, riprendendo in pugno la biro e ritornando
a cimentarsi nei suoi esercizi di matematica. «Laura l’ha portato via con sé».
Laura aveva quattro anni in più di Derek ed era all’ultimo anno di college,
a New York. Questo era tutto quello che Stiles sapeva su di lei, oltre alla sua
natura mannara e al futuro ruolo che avrebbe avuto.
Se davvero Laura aveva fabbricato quegli anelli e glieli aveva dati nel
periodo più nero della vita del lupo, le uniche cose che gli venivano alla
mente erano la morte di Paige ed il consequenziale intrattenersi in ogni modo
possibile con qualunque essere umano che provasse attrazione per lui ‒
particolare che Derek gli aveva lasciato semplicemente intendere, non
approfondendo mai il discorso.
Derek era al suo primo anno di liceo e Laura gli aveva creato un anello con
una speranza e una promessa.
Chi l’ha fatto pensava ne avessi bisogno.
Derek aveva quindici anni ed aveva ricevuto quell’anello tre anni prima.
E tre anni prima Stiles aveva comprato il suo in un piccolo negozietto
invisibile agli occhi dei passanti e si era sentito chiamare.
Laura l’ha portato via con sé.
Stiles aveva il terribile sospetto di sapere esattamente dove Laura Hale
avesse portato il secondo anello e dove si trovasse.
L’anello d’argento e oro rosso con la triscele incisa sul metallo prese a
scaldarsi velocemente, scottandogli e bruciandogli il dito medio; il figlio
dello sceriffo fu costretto a chiudere la mano a pugno e sopportare il dolore e
l’allarme incessante che risuonava nel nervo acustico.
Stiles era stato irrequieto ed irruente per tutta la sera, quasi impedendo
a Derek di addormentarsi accanto a lui e allo stesso tempo aveva proferito
poche parole, cadendo nella sua fase taciturna e meditativa che escludeva tutti
quelli che lo circondavano.
«Vuoi che vada via?» domandò costretto il lupo mannaro, percependo
quell’ostilità ed inquietudine che convergeva su di lui.
Il figlio dello sceriffo era completamente in un altro mondo pieno di
soluzioni ed alternative, possibili scenari e teorie campate nel vuoto, ma
quando Derek aveva dato vita a quella domanda l’aveva riportato indietro,
ancorandolo alla realtà e Stiles non sapeva bene quale fosse la migliore
situazione. «Perché dovrei volerlo?».
«Sei agitato e non dormi» gli fece ben presente il diciottenne, corrugando
le sopracciglia e dedicandogli uno sguardo grave.
In poche parole la sua presenza non serviva a nulla se il padrone di casa
non provava nemmeno a prendere sonno. «Non voglio che tu vada via, Der» Stiles era completamente voltato verso il licantropo,
guardandolo intensamente negli occhi e comunicandogli le sue vere intenzioni.
«Non voglio mai che tu vada via».
Le iridi di Derek brillavano nefaste ed erano così improntate su di lui che
non sarebbe mai riuscito a resistergli ed a negargli qualcosa. «Qual è il
problema?» chiese allora il mutaforma, non riuscendo a vedere quale fosse la
ragione che turbava tanto il sedicenne, impedendogli di accoccolarsi contro di
lui privo di pensieri.
Le labbra di Stiles si socchiusero e non passò un solo filo d’aria,
ripromettendosi di non dare voce a nessuna parola che potesse affondarli e
mettere nero su bianco tutto ciò che aleggiava nella sua mente; erano pensieri
pericolosi e catastrofici. E la confusione era tutto ciò che riempiva gli
ingranaggi interni.
«Stiles» lo esortò il mannaro quando diversi momenti erano passati e
l’umano non aveva borbottato alcuna parola ‒ si sarebbe accontentato
anche di quello ‒, sfiorandogli il viso con la punta delle dita ed
immergendole completamente tra i capelli setosi che lo inghiottirono.
Le palpebre calarono sulle iridi d’ambrosia quando il contatto avvenne,
leggere e spensierate, senza alcun pensiero disturbante che potesse toccarle e
sconsacrarle, gettandole in qualcosa che ancora non sapevano gestire. Il tocco
di Derek era sempre dolce e protettivo, calmante e rassicurante e non poteva
accadere nulla di male se stavano insieme, se niente poteva separarli e
dividerli.
La fronte combaciò con quella del diciottenne, respirando la sua epidermide
e sfiorandogli il setto nasale in una soave carezza con la punta del naso.
«Resta semplicemente con me».
Derek restò muto, senza voce, con la mano sinistra catturata dalle ciocche
castane del figlio dello sceriffo, mentre quest’ultimo legava le loro
reciproche mani destre, lasciando incontrare gli anelli come ogni notte, con le
tenebre che calavano inesorabilmente, lasciando i loro segreti sospesi
nell’aria.
Era molto raro, non accadeva quasi mai, di solito la prima cosa che
incontrava la mattina erano le iridi smeraldo di Derek che aspettavano il suo
risveglio, augurandogli a suo modo un buongiorno tacito ed impeccabile, prima
di alzarsi dal letto ed aprire l’armadio, prendendo una delle sue maglie che
aveva cominciato a lasciare lì, per permettersi di cambiarsi, almeno in parte,
in tutte quelle occasioni in cui rimaneva con Stiles fino al suono della
sveglia.
Ma Stiles non incontrò le gemme di giada, non c’era Derek ad aspettare il
suo risveglio ed a valergli come sveglia umana che lo incitava ad alzarsi ed a
ricordargli i doveri scolastici.
Il lupo mannaro stava ancora dormendo, bello e beato, senza che nulla
potesse toccarlo, senza che nulla potesse sottrargli quell’angolo di paradiso
che aveva trovato e che non voleva più lasciare; quello era il luogo in cui
Derek era più felice.
Forse non era il luogo a rendere Derek Hale felice.
Stiles sospirò silenziosamente, incassando il viso sul cuscino e
nascondendosi al mondo; che cosa stava combinando?
Un occhio gli cadde sul lato sinistro su cui si era addormentato, quasi
spalmato completamente contro il corpo del più grande e lì, proprio lì,
all’altezza dei loro cuori, vi era la trama delle loro mani destre che era
rimasta immutata, perfetta ed impossibile da mettergli fine. Non c’era nulla
che lo destabilizzasse più di quello.
Aprì leggermente le dita della mano incriminata, avvicinandosi un po’ di
più e portandosi all’altezza dell’anello che gli aveva sconvolto la vita.
La triscele intagliata sul metallo, che racchiudeva entrambi i colori in un
solo simbolo, si ergeva incontrollata, brillando senza tregua e ridendogli beffarda,
conoscitrice di qualcosa che gli era stato negato.
La sfiorò proprio con il polpastrello del medio destro, assorbendo il
calore dell’argento riscaldato dalla temperatura corporea sempre elevata del
lupo mannaro, sperando di entrare in possesso della grande verità che non gli
era concessa.
Derek si svegliò proprio in quel momento, quando le grandi domande di
Stiles non facevano che crescere, e lo illuminò con i suoi occhi verdi,
entrando nel suo scenario giornaliero e beccandolo sul fatto.
Stiles lo notò con qualche attimo di ritardo, con le iridi color miele che
erano state chiamate da quel nuovo dettaglio periferico per caso, facendo
crescere l’esigenza di accertarsi di quel nuovo fattore che si era aperto alla
mattina.
Ritirò le dita d’istinto, con il fiato corto e le palpitazioni più veloci,
l’ossigeno che gli creava scherzi e la mente che urlava di essere stato
smascherato e di correre ai ripari. Ma dove poteva correre? Come poteva
correre? Quella era casa sua, la sua camera da letto, il suo regno indiscusso
che nessuno avrebbe dovuto toccare, il posto in cui era più al sicuro.
Ma quel posto era stato toccato, quel regno era stato condiviso e non aveva
più un luogo dove andarsi a nascondere, un luogo dove poteva proteggersi da
Derek Hale.
Derek intercettò subito le sue azioni e frenò la sua corsa fuggiasca,
bloccandogli le falangi con le proprie, impedendogli di sciogliere la presa che
avevano mantenuto per tutta la notte e tutte quelle precedenti. «Stiles».
Quella voce era così soave e così carica di qualcosa che Stiles non era
ancora pronto ad identificare, che lo fece raggelare sul posto con un tono che
aveva più consapevolezza e che sembrava aver capito cosa lo tormentasse. «Torna
a dormire, Der. È ancora presto».
«Chiedimelo» disse invece il capitano della squadra di basket, ignorando
spietatamente quella mossa astuta che voleva semplicemente depistarlo e far
cadere qualsiasi discorso avrebbero potuto intraprendere.
Stiles tremò e sbiancò nell’immediato e non era propriamente certo di cosa
volesse che gli chiedesse; c’era così tanto e così ben protetto e riparato che
esprimerlo finalmente a parole lo sommergeva completamente di paura; diventava
la paura stessa.
Derek scivolò maggiormente verso di lui, ostruendogli qualsiasi possibilità
di una futura fuga ed obbligandolo a rivolgere lo sguardo soltanto a lui; era
l’unico raggio d’azione che gli permetteva. «Chiedimelo».
Sei innamorato di me?
Stiles era nel panico più totale, completamente andato ed impossibile da
andare a recuperare. Non c’erano strade, non c’erano scappatoie e non c’era
alcun modo per scappare da tutto quello.
Pungolò sull’anello, proprio dove si trovava la triscele intagliata,
imprimendosi la sua forma sotto i polpastrelli. «I nostri anelli hanno un
segreto?» ignorò completamente la domanda che Derek avrebbe realmente voluto
sentire, quella che aleggiava tra loro da quando lo scambio degli anelli era
avvenuto, dal momento esatto in cui il gioiello appartenuto a Derek si era
incastrato sul proprio anulare sinistro, aderendo perfettamente e con l’unico
desiderio di non sfilarsi mai più.
Da quel momento, da quel singolo ed unico momento in cui le strade si erano
incrociate e Stiles era venuto a conoscenza totalmente di Derek Hale, l’anello
di proprietà del lupo mannaro non aveva fatto altro che chiamarlo,
costantemente ed incessantemente, reclamandolo ed esigendolo, invogliandolo e
pregandolo e Stiles stava annaspando ed affogando e non sapeva come salvarsi e
riemergere, tornare completamente in possesso delle proprie facoltà mentali;
rientrare in possesso di se stesso e non del desiderio di legarsi a
quell’anello per fondersi unicamente con Derek Hale.
«Sì» confermò univocamente il licantropo, radendo al suolo tutte le
speranze poco concrete che il figlio dello sceriffo aveva creato nella propria
mente, indicendosi a farsi forza.
Non esisteva più il singolare, non esisteva più l’unicità e non esisteva
più la perfetta distinzione tra di loro. Ma era mai esistita? Erano sempre
state due entità uniche e separate? Stiles ricordava di aver usato in modo
sproporzionato il plurale e di averli uniti più volte in un noi; erano sempre stati un noi. «Mi è dato conoscerlo?» sono pronto? era la vera domanda che si
nascondeva dietro quelle parole, le reali intenzioni e ciò che risuonava nel
silenzio della camera, isolata dal mondo intero.
«No» rispose sfavorevolmente il lupo mannaro, certo e conoscitore di quella
negazione. Non ancora. Forse mai.
Stiles si sentì dilaniato e straziato, una pugnalata al cuore da dove
sgorgava sangue ferito ed impuro. Era la persona più terribile che potesse
esistere.
Derek inspirò candidamente dai suoi capelli castani, sfiorandoli con il
naso e circondando parzialmente con un braccio il corpo dell’umano, attutendo
la sua afflizione. «Va tutto bene, Stiles».
Stiles soffocò un singhiozzo con fatica e si ritrovò ad affondare il viso
nel collo del mannaro, trovandolo già pronto e predisposto per accoglierlo; per
prendersi parte delle sue sofferenze.
Non andava bene, non andava bene proprio per
niente.
Derek avrebbe continuato a metterlo al primo posto a prescindere da tutto
quello che sarebbe potuto accadere e lui avrebbe continuato ad impersonare
l’antagonista della storia.
Era la persona più orribile che potesse esistere.
Ebbene, da dover
partiamo?
Sì, loro amoreggiano
negli spogliatoi e sì, lo fanno davanti a tutta la squadra di basket e Boyd è l’unico che dice le cose come stanno, prendendosi un
po’ gioco di loro nei suoi modo molto alla… Boyd,
insomma.
L’argomento college è
molto, molto importante. Diciamo che la storia è stata fondata anche su questo
principio e alla fine ci ha messo più tempo del previsto ad arrivare. Ma… non
dimenticatene. E un po’ di ragione Stiles ce l’ha nel reagire in quel modo, lui
che è una pietra miliare dei piani, soprattutto quelli a lungo termine; che
Derek non ne abbia e che al contrario si basino sull’inseguire qualcuno, beh…
lo destabilizza molto e gli fa giudicare malamente il lupo.
Stiles e Malia
studiano insieme e fin qui tutto okay, ma va a finire sempre che si parla di
Derek in qualche modo e poi boom! Una bomba viene lanciata dalla nostra
adorabile coyote che tutto sa e tutto dice, ma si trattiene come può.
Se non ci fosse stata
lei, Stiles non avrebbe nemmeno mai pensato di chiedere qualcosa di quel
particolare argomento a Derek, figurarsi La domanda che continua a tenere per
sé, ma che finalmente ha formulato almeno nella mente.
Povero, povero Derek;
sei diventato un santo per Stiles.
Chissà se le cose
diventeranno più strette.
A settimana prossima,
Antys