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Autore: thequeens    19/01/2017    0 recensioni
Questa è la storia di due anime sole che, incontrandosi, scopriranno valori di cui non avrebbero mai immaginato l’esistenza e diventeranno, l’una per l’altra, più importanti di quanto si aspettassero.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Chuuya Nakahara, Osamu Dazai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Rimasero lì dentro a lungo, fino alla mattina successiva, e nessuno dei due aveva avuto bisogno di dire nulla durante tutto quel tempo.
Ormai Chuuya aveva consumato tutte le sue lacrime, Dazai lo aveva accompagnato fino al divano e ora si trovava lì, seduto, fissando il vuoto.
Sentiva gli occhi bruciargli fortemente per il pianto e il sonno; si passò le mani sul viso, abbandonandosi allo schienale. Se avesse voluto avrebbe pianto ancora e ancora, ma era stanco persino per quello.
Era stanco di soffrire, ma sentiva il dovere di farlo per le vite che erano state spezzate quella notte. Ne sarebbe rimasto segnato a vita, lo sapeva.
Ci pensò Dazai a distoglierlo dai suoi pensieri: "Kouyou è andata al lavoro e mi ha detto di tenerti d'occhio. Vuoi che ti prepari qualcosa?" gli chiese con premura.
Chuuya scrollò leggermente le spalle, continuando a fissare il muro davanti a sé.
"Faccio io, dai" disse Dazai dirigendosi verso la cucina da cui provenne un gran trambusto: probabilmente aveva fatto cadere qualcosa. Se non fosse stato che stava a pezzi Chuuya avrebbe riso di quanto l'altro fosse impacciato.
"Dazai" chiamò, la voce arrochita che non raggiunse l'orecchio del diretto interessato: "Dazai" fece di nuovo Chuuya dopo averla schiarita.
"Che c'è?" chiese l'altro, facendo capolino dall'uscio della porta.
"Come fai ad essere così spensierato? Abbiamo ucciso delle persone, come..."
"In realtà" lo interruppe Dazai: "Voglio morire."
Chuuya fu profondamente inquietato da quelle parole: "In che senso?" chiese a mezza voce.
"Quanti sensi ci sono?" ribatté Dazai sarcastico, sorridendo leggermente.
L'altro rimase ferito da quella risposta così cinica, datagli in un momento del genere: "Vuoi scherzare?" chiese più duramente.
"No. Quello che ho fatto è orribile" disse Dazai tranquillamente: "Perciò è giusto che io la paghi."
"Smettila di dire stronzate, ho già visto troppi morti" disse Chuuya iniziando ad agitarsi: "E poi... sei stato tu a dirmi che la vita è un dono, ricordi?"
"Ma è un dono che ho strappato via ad altri, quindi è giusto che faccia lo stesso con me" spiegò Dazai.
Chuuya rimase interdetto: quella logica non aveva assolutamente alcun senso; quello che parlava non era il Dazai che conosceva, ma un folle.
"Non è da te dire certe cose, che ti sta succedendo?" gli chiese Chuuya sconvolto.
Il ragazzo non gli rispose, si voltò e si diresse verso la cucina: "Lo vuoi il tè?"
"Non voglio un cazzo!" sbotto l'altro: "Solo che la smetti di dire queste cose!"
"Ma perché te la prendi tanto? Non ho mica detto che devi morire tu." 
Chuuya boccheggiò per un po', poi esplose: "Perché io al contrario di te non sono egoista! Se ti ammazzassi non risolveresti nulla, mi lasceresti solo e basta!"
Dazai restò senza parole a quella sfuriata. Era affetto quello che vedeva davanti a sé?
"E non ti permettere, Dazai" continuò l'altro serio: "Non azzardarti nemmeno a lasciarmi da solo."
Sì, decisamente. Era affetto.
Dazai gli sorrise: "Dai, aiutami, non sono molto bravo in cucina..."
Chuuya prese quell'invito come una rassicurazione ma, in realtà, sapeva che avrebbe dovuto proteggerlo da se stesso molteplici volte.
Non si sbagliò. Pochi giorni dopo entrò in bagno senza bussare e lo colse in flagrante mentre stava per ingerire del detersivo. Rimasero a fissarsi in silenzio per un lunghissimo lasso di tempo, in cui Dazai si sentì mortificato per quello che stava per fare quando vide gli occhi pieni di delusione e terrore dell'amico che, tuttavia, non si arrabbiò per quella volta, gli tolse con gentilezza il detersivo dalle mani e lo abbracciò. Da quel momento in poi Chuuya cercò di stare con lui il più possibile e quando non potevano vedersi gli mandava messaggi abbastanza frequentemente, per assicurarsi non stesse facendo nulla di stupido.
Dopo quel tentativo ne seguirono comunque altri. La seconda volta aveva rubato a Mori uno dei bisturi che usava per uccidere, poi si era nascosto, o credeva di averlo fatto, nella sala da ballo del bar, dove il boss teneva la sua invidiabile collezione di vini pregiati, presente nell'enorme palazzo dove risiedeva. Si sedette lentamente su uno degli sgabelli presenti davanti al bancone dove venivano serviti gli alcolici durante le serate di gala, tirò fuori il coltellino dalla tasca e lo avvicinò pericolosamente al polso, ma si bloccò nell'udire una voce conosciuta chiamarlo con apprensione e farsi sempre più vicina. Cercò di sbrigarsi ad incidere la carne, nella speranza che Chuuya impiegasse un po' a trovarlo, o meglio, che non lo trovasse affatto, ma ecco che la sua esile figura fece la sua comparsa sulla porta. Senza esitare e senza dargli nemmeno il tempo di aprire bocca, gli si fiondò addosso, afferrandogli il polso della mano in cui stringeva il bisturi e buttandolo a terra cadendo insieme a lui. 
Si rotolarono a terra per un bel po', combattendo per il dominio sull'altro; Chuuya tentava di togliergli l'arma bianca, ma Dazai non sembrava affatto intenzionato a cedergliela, tanto che la rivolse contro l'amico, il quale, seduto su di lui, ebbe la prontezza di riflessi per agguantargli entrambi i polsi con forza e respingerlo. La loro lotta finì quando Chuuya, nel tentativo di afferrare il bisturi, si procurò un profondo taglio proprio sul palmo della mano sinistra. 
"Chuuya!" lo chiamò preoccupato Dazai, quando vide il sangue sgorgare copioso. Lasciò andare il coltellino sul pavimento e si fiondò ad assistere l'amico, scusandosi con lui molteplici volte. Lo aveva accompagnato a casa e si era occupato di lui personalmente: gli aveva medicato il taglio servendosi del kit di pronto soccorso che, sapeva, Kouyou teneva per le emergenze. 
"Se ti faccio male dimmelo e mi fermo" gli disse più volte durante il trattamento, ma Chuuya si limitava a farfugliare qualcosa di incomprensibile, senza nemmeno degnarsi di guardarlo. Non lo fermò neanche una volta, nonostante i lamenti che gli sfuggivano e i denti digrignati a causa dello sforzo che stava facendo per resistere al dolore.
Quando Dazai finì di avvolgergli la benda intorno alla mano la assicurò annodandola per bene: "Ecco fatto" gli disse sorridendo, poi calò nuovamente il silenzio tra loro.
Fu Dazai a romperlo parlando ancora: "Chuuya, la tua mano è piccolissima!" esclamò mettendo il palmo della sua mano contro quello bendato dell'amico, constatando quanto l'altro fosse più piccolo non solo di statura. 
"Taci" sussurrò Chuuya arrossendo appena, e ritraendo la mano di scatto.
Quella non fu l'ultima volta che Dazai tentò il suicidio, anzi, in seguito ci provò moltissime altre volte, quando riusciva a sfuggire al controllo eccessivo dell'amico; ma veniva sempre fermato da altre persone che gli stavano attorno: a quanto pareva era destino che non dovesse morire, che non dovesse abbandonare Chuuya così presto. Ogni volta pregava i suoi salvatori di non dire nulla all'amico ma, in qualche modo, questi veniva sempre a saperlo e lo rimproverava.
"Lasciami in pace, non sei mia madre!" gli aveva detto Dazai un giorno, esasperato dalle attenzioni di Chuuya.
Quest'ultimo se l'era presa, poi la delusione si era trasformata in rabbia, ed erano stati un pomeriggio intero a litigare, urlandosi a vicenda cose che non si sarebbero mai sognati di pensare l'uno dell'altro.
Dopo che si furono riappacificati Dazai chiese con calma: "Perché ti preoccupi così tanto per me?"
Chuuya rimase interdetto a quella domanda. Fino a poco tempo prima probabilmente gli avrebbe semplicemente risposto che era suo dovere farlo, in qualità di suo amico, ma ora non ne era più tanto sicuro. Nella sua mente aveva cominciato ad insinuarsi il dubbio che i suoi sentimenti per Dazai andassero oltre la semplice amicizia, anche se odiava ammetterlo persino a se stesso, e si spaventava quando lo faceva, ma non riusciva ad accettare il fatto che potesse piacergli un uomo, e probabilmente nemmeno la Mafia riteneva l'omosessualità un fattore accettabile. Certo, lui non era ancora sicuro del suo orientamento sessuale e di ciò che provava, ma qualcosa stava cambiando, si sentiva molto più legato all'altro, si preoccupava costantemente per lui, non voleva perderlo, per non parlare del fatto che apprezzasse qualsiasi tipo di contatto fisico con lui, o il semplice fatto che gli fosse vicino.
"Perché sì" gli disse semplicemente, lasciandolo con più domande che risposte, anche se era da un po' che aveva iniziato a sospettare qualcosa.
Dazai, dal canto suo, sentiva che non era più il ragazzo allegro e spensierato di un tempo: uccidere lo aveva cambiato nel profondo, aveva risvegliato la sua parte animalesca, ma ormai non gli importava granché.
Com'è che gli aveva detto Mori una volta? Noi esseri umani abbiamo la straordinaria capacità di adattarci a tutto. E così era stato. 
Si era abituato talmente tanto a far del male agli altri da prenderci gusto. Era diventato un sadico, faceva a gara con gli altri membri della Mafia a chi uccidesse più nemici e a chi spezzasse più ossa, impegnandosi al massimo per vincere: ci riusciva, e anche maledettamente bene, lo vedeva negli occhi compiaciuti di Mori.
Dall'altro lato vedeva la delusione in quelli di Oda, che sperava diventasse una brava persona nonostante tutto. Ma non gli importava, si sarebbe abituato anche lui.
E intanto continuava a mietere vittime: era bello uccidere, era soddisfacente. Lo sfogo perfetto per alleviare il senso di colpa che togliere la vita agli altri gli provocava: era un circolo vizioso.
Quando pensava a come la sua vita fosse caduta in rovina il suicidio gli sembrava l'unica via per uscire da quell'inferno di cui sembrava essere niente di meno che il diavolo.
   
 
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