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Autore: Stella Dark Star    22/01/2017    0 recensioni
Delfina, figlia del banchiere Andrea de' Pazzi, ha solo quindici anni e nessuna vita sociale quando viene incaricata dal padre di entrare nelle grazie di Rinaldo degli Albizzi per scoprire ogni suo segreto e sapere in anticipo ogni mossa che farà in campo politico. Lei accetta con riluttanza la missione, ma ancora non sa che il destino ha in serbo per lei molto di più. Quella che doveva essere una semplice e innocente conoscenza, diventa ben presto un'appassionata storia d'amore in cui non mancano gelosie, sofferenze e punizioni. Nonostante possa contare sull'aiuto della madre Caterina (donna dal doppio volto) e della fedele serva Isabella (innamorata senza speranze di Ormanno), Delfina si ritroverà lei stessa vittima dell'inganno architettato da suo padre e vedrà i propri sogni frantumarsi uno dopo l'altro.
PS: se volete un lieto fine per i protagonisti, non dimenticate di leggere il Finale Alternativo che ho aggiunto!
Consiglio dell'autrice: leggete anche "Andrea&Lucrezia - Folle amore (da Pazzi, proprio!)" per vivere assieme ai protagonisti un amore impossibile.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo venticinque
Il potere del denaro
 
Nelle settimane che seguirono, Ormanno venne a farmi visita molto spesso principalmente per poter vedere sua figlia Gioia. La sua prima reazione era stata positiva e potevo vedere chiaramente quanto amasse tenerla in braccio e riempirla di baci. Peccato che invece non riuscisse ancora a rivolgere la parola ad Isabella. Per essere precisi, l’ultima volta che lo aveva fatto era stato per rimproverarla severamente per avergli taciuto il suo stato di gravidanza. In quanto padre della piccola, aveva il diritto di saperlo. Lei, seppur sofferente per la situazione, non mancava mai di smaniare per lui, rendendo tutto ancora più difficile. Io sopportavo pazientemente e nutrivo la speranza che un giorno si sarebbero riappacificati, se non per loro stessi almeno per amore della bambina. A quanto sembrava non avevano ancora capito che il loro dovere primario era quello di pensare al bene della loro figlioletta prima di ogni altra cosa. Ma nonostante tutto, a volte li invidiavo.
I miei tentativi di rivedere Rinaldo erano tutti falliti miseramente. Oltre a non potergli parlare, non mi era nemmeno stato concesso di fargli recapitare messaggi o doni. Neanche attraverso Ormanno, l’unico cui era stato concesso di vederlo un paio di volte, ma solo a patto di essere perquisito prima di accedere alla torre e di essere poi tenuto sotto sorveglianza durante la visita. A malapena riuscì a riferire a Rinaldo qualche parola da parte mia.
Solo una cosa nessuno poté proibirmi di fare. Mi recavo quotidianamente alla Piazza della Signoria, dove mi mischiavo tra la folla e celavo la mia identità sotto il cappuccio nero infischiandomene del calore del sole estivo, e lì aspettavo. A qualunque ora arrivassi, sapevo che di lì a poco il mio amato Rinaldo sarebbe comparso alla piccola finestra sbarrata della torre, come se tra noi ci fosse una sorta di filo invisibile che lo avvertiva quando ero vicina. E vedendo il suo viso il mio cuore ricominciava a battere, mentre con la mente gli comunicavo i miei pensieri, talvolta così intensamente che le lacrime prendevano a correre silenziose lungo le mie guance. Poi, al momento di separarci, non mancavo mai di sfiorarmi le dita con un bacio e poi di inviarlo a lui sollevando il braccio nella sua direzione. Attendevo che lui rispondesse, che mostrasse la mano oltre le sbarre, allora sapevo che l’aveva ricevuto.
Un giorno in particolare, accompagnai mio padre il quale doveva presentarsi ad un incontro della Signoria. Un paio di ore di attesa, inviai il mio bacio a Rinaldo e riabbassai il braccio giusto un momento prima che mio padre uscisse dal palazzo e mi scorgesse tra la folla. Dalla sua espressione capii che qualcosa non andava.
“Non so come tu riesca ad indossare quel cappuccio con il caldo che fa.” Criticò.
Mi scoprii il capo per accontentarlo: “Quali nuove dalla Signoria? Avete discusso riguardo a Rinaldo?”
Mio padre ridacchiò e levò un dito verso l’alto della torre: “E’ lui la ragione per cui ci incontriamo, mia cara.” Vedendomi ansiosa, si schiarì la voce e tornò ad usare un tono serio: “Le cose si stanno mettendo male per lui, non te lo nascondo. E di questo voglio prendermi una parte di merito. Ad ogni incontro sono il primo a chiedere la sua testa.”
Non potevo credere che lo stesse dicendo con tanta leggerezza, come se non stessimo parlando della vita dell’uomo che amavo non che il padre di mio figlio. Ero indignata.
“Come puoi parlare in questo modo? Non posso credere che tu sia così perfido da…”
Avvicinò il viso al mio, interrompendomi, sulle sue labbra un sorriso furbo: “Cosimo de’ Medici è favorevole all’esilio, anche se non per sua volontà. La Signoria e il popolo di Firenze gridano a gran voce che il tiranno venga giustiziato, Sua Santità invece desidera salvarlo. Per farlo ha chiesto aiuto a Medici, il quale ha dovuto accettare per obbligo morale. Ma come può un unico uomo riuscire in tale impresa?”
Si fermò in attesa di una mia risposta, ma io ero troppo impegnata a seguire il filo del discorso per poter dire alcun che.
“Gli si mette di fronte un valido oppositore. Qualcuno che gli renda il lavoro difficile. In questo modo Medici è costretto ad aumentare gli sforzi per trovare validi argomenti e fare del proprio meglio per convincere la Signoria a risparmiare la vita del tiranno.”
Rimasi immobile e muta ancora qualche istante, poi sgranai gli occhi: “Mi stai dicendo che a parole vuoi la morte di Rinaldo, ma che in realtà lo vuoi salvare?”
Mio padre mi porse il braccio, in un tacito invito a camminare con lui. Accettai, lui posò una mano sulla mia in gesto stranamente affettuoso.
“Vedi, figliola, io penso al futuro. Con Rinaldo in esilio invece che nella tomba potrò avviare un grande progetto. Tempo qualche anno perché lui organizzi un esercito, mentre io mi occupo della situazione dall’interno della città e…unendo le forze potremo finalmente distruggere i Medici e prenderci il potere.”
Dell’intero discorso, l’unica parte a cui ero favorevole era quella di salvare la vita a Rinaldo. Il resto invece non avrei nemmeno voluto sentirlo. Esilio, esercito, potere… Sempre le solite cose. E mentre noi camminavamo a passo lento per tornare al nostro palazzo, ebbi la necessitò di voltarmi indietro. Rinaldo era ancora affacciato alla piccola finestra sulla torre.
“Quasi dimenticavo. E’ stata decisa la data della sentenza.”
La mia attenzione tornò tutta per mio padre.
*
La luce rossa e arancio del tramonto accendeva la torre con potenza, facendola sembrare una spada infuocata che squarciava il velo del cielo. La Piazza della Signoria a quell’ora era quasi deserta, perciò nessuno badò alla figura incappucciata che si dirigeva verso il palazzo a passo spedito.
Quella figura ero io.
Entrai e andai dritta dalla guardia all’ingresso della torre, quindi abbassai il cappuccio all’indietro. L’uomo, lo stesso che avevo incontrato la prima volta, nel riconoscermi sollevò gli occhi al soffitto, già esasperato dalla mia presenza: “Damigella, perdonatemi se vi dico che non sono lieto di rivedervi.”
Sorrisi con grazia: “Io, al contrario, sono felice che questa sera siate di turno proprio voi, così la mia richiesta sarà più facile da esporre.”
“Qualunque cosa voi diciate, non vi lascerò passare.”
Da sotto il mantello, gli lasciai intravedere il sacchetto di cuoio ben rigonfio di denaro.
“Cinque pezzi?”
“No, Damigella.”
“Dieci?”
“Sono spiacente, ma ora devo chiedervi di allontanarvi.”
“Venti pezzi d’oro. E’ il massimo che posso offrirvi se mi darete il permesso di salire.”
La cifra lo allettò particolarmente, nel suo sguardo lessi la lotta tra giusto e sbagliato nel decidere se infrangere una regola o intascare il gruzzolo. Sospirò: “E sia. Ma badate, se il carceriere vi caccerà, come probabile, io terrò comunque il denaro.”
Sfoggiai un sorriso soddisfatto e gli porsi il sacchetto: “Affare fatto.”
L’uomo si guardò attorno rapidamente, prima di aprire la porta e lasciarmi passare. Ora che il primo ostacolo era superato, dovevo prepararmi ad affrontare il secondo.
Salii le scale senza fretta ma battendo bene i piedi a terra. Volevo che il rumore dei miei passi annunciasse il mio arrivo e lasciasse il mio prossimo ostacolo sulle spine. Arrivata all’ultimo gradino, lo trovai infatti lì ad attendermi con impazienza.
“Buona serata a voi, buon uomo. Sono lieta di rivedervi.” Voce squillante e sorriso candido.
La sua reazione fu molto simile a quella della guardia, solo più rozza: “Ancora voi? E’ una persecuzione? Non potete stare qui.”
“Oh, lo so bene! Solo che questa volta voi chiuderete un occhio e mi accontenterete.” Come nulla fosse, salii l’ultimo gradino e superai il carceriere per dirigermi di fronte alla cella di Rinaldo. Lui era lì in piedi, le mani sulle sbarre, il volto sciupato dalla prigionia e lo sguardo carico di speranza nel rivedermi.
“Damigella de’ Pazzi, voi mi volete rovinare.” Disse il carceriere, affiancandosi a me e guardandomi con cipiglio severo.
Pensai bene di mettere in mostra un secondo sacchetto di denaro, di dimensioni superiori a quello precedente: “Cinquanta monete d’oro che sarò felice di donarvi se mi permetterete di trascorrere qui l’intera nottata.”
“Siete impazzita come dice il vostro nome?” Sbottò lui.
Avrei potuto offendermi, invece stranamente risi per quello scherzo che prima d’ora nessuno aveva osato dire ad alta voce: “Probabile. L’importante è che mi accontentiate.”
“Non potrei lasciarvi qui nemmeno cinque minuti, figuriamoci una notte intera.” Rispose, portandosi una mano al fianco per dare maggiore enfasi alle parole.
L’unica possibilità che avevo era quella di mostrarmi sicura e ferma nella mia richiesta. Assunsi una postura rigida e sollevai il mento come a dimostrare che non temevo nulla, la voce uscì chiara e decisa come volevo io: “Come ben saprete, domani vi sarà la sentenza e io non ho alcuna intenzione di lasciare Messer Albizzi solo e divorato dalla pena dell’attesa. Sono pronta anche a graffiarvi a sangue e aggrapparmi alle sbarre con i denti se sarà necessario.”
Il suo silenzio e quello sguardo torvo mi fecero temere il peggio. Rimasi immobile come una statua, in attesa di una sua decisione. E finalmente, dopo quella che a me parve un’eternità, l’uomo si mosse e lanciò un’occhiata maliziosa a Rinaldo: “Inizio a capire perché l’abbiate scelta come amante. Con lei non rischiate certo di annoiarvi.”
Nessuno di noi due confermò o smentì quella supposizione, per quanto fossimo già compromessi, era comunque meglio non rispondere. Sapevo che le voci della nostra relazione segreta avevano cominciato a vagare per la città da tempo, ma di fatto nessuno mi aveva ancora additata come sua amante ufficiale.
Rimasi immobile anche mentre il carceriere infilava la grande chiave nella serratura e solo quando ebbe aperto la cella mi azzardai a fare un passo. Lui emise un sonoro colpo di tosse e mise in mostra il palmo della mano.
“Mi auguro che sarete discreto, questa notte, e che avrete la decenza di chiudere un occhio e magari anche un orecchio per concederci maggiore intimità.” Gli misi il sacchetto ricolmo sulla mano e lui lo agguantò con avidità. Il suo sguardo divertito mi irritò alquanto.
Nel fare i due passi per entrare all’interno della cella, venni percorsa da un brivido. Mi fermai, il carceriere richiuse la cella alle mie spalle e si allontanò probabilmente per mettere al sicuro il suo bottino. Finalmente ero sola con l’uomo che amavo.
  
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