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Autore: Nuel    30/01/2017    3 recensioni
Hogwarts apre le porte per la terza volta per Albus Potter. Quest'anno anche sua sorella minore Lily inizia a frequentare la più famosa scuola di magia e stregoneria del mondo, e mentre James stringe nuove amicizie, la vita familiare dei Potter potrebbe venire sconvolta.
Ogni pezzo è sulla scacchiera, sta ad Albus decidere se giocare quella che forse non è solo una semplice partita.
♦ Serie Imago Mundi, III
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Severus Potter, Altro personaggio, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Scorpius Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Imago Mundi ϟ'
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Un boccino chiamato Hogsmeade

 


Quando le zucche di Hagrid divennero grosse quanto un pony e gialle come mele, arrivò il freddo. A scuola si iniziava a parlare di Halloween, degli scherzi che gli studenti si sarebbero fatti e della festa che la scuola avrebbe organizzato nella Sala Grande.
    Per Roxanne fu un periodo molto intenso: fino all’anno prima era stato suo fratello Fred ad informare amici e compagni dei nuovi prodotti dei Tiri Vispi Weasley e alla decima richiesta di consigli su cosa acquistare, da parte di un Tassorosso di cui non sapeva nemmeno il nome, Roxanne mandò un gufo al padre, chiedendo di inviarle qualche volantino del negozio. George Weasley fece di meglio: acquistò un’intera pagina della Gazzetta del Profeta per pubblicizzare la nuova collezione di Tiri Vispi di Halloween.
    Lily, come tutti gli alunni del primo anno, era particolarmente eccitata. «È vero che le zucche diventeranno grandi come carrozze?», chiese a James e Albus, «E ci saranno davvero dei pipistrelli veri nella Sala grande?». Quando le risposero affermativamente, i suoi occhi nocciola diventarono ancora più grandi e luminosi. Albus la vide mordersi il labbro inferiore per non strillare di gioia:  Ausia l’aveva ripresa qualche giorno prima dicendole che correre, saltare e gridare “non erano comportamenti adeguati a una Serpeverde”, e Lily faceva del proprio meglio per dimostrarle che era degna della sua Casa, ma era ancora una bambina e preferiva di gran lunga la compagnia di Lotus e di Scorpius a quella di Ausia che la richiamava di continuo.
    Era la terza settimana di Ottobre quando, durante la colazione, un grosso gufo planò verso il tavolo di Grifondoro. Dominique sussultò nel vederlo: era una surnia ulula dal piumaggio bruno scuro macchiettato di bianco e dall’aspetto arcigno, con le sopracciglia inarcate, e lei lo conosceva bene perché era il gufo di Augustus Flint.
    Il rapace, però, non era lì per lei. Volteggiò rapidamente sopra il tavolo e scese in picchiata di fronte a James, lasciando cadere una pergamena strettamente arrotolata. James la afferrò al volo, un attimo prima che la pergamena cadesse esattamente dentro il suo bicchiere di succo di zucca.
    «Chi ti scrive?», gli chiese Rose.
    «Non ne ho idea», rispose il ragazzo, sfilando il laccetto che la chiudeva. In meno che non si dica, Dominique era alle sue spalle.
    «È Augustus, vero?», chiese la ragazza, «Cosa vuole da te?».
    «Ehm», James alzò gli occhi sulla cugina, porgendole il foglio ancora arrotolato.
    «I gufi non sbagliano mai a consegnare la posta!», gli ricordò Dominique. «Leggila e dimmi cosa vuole!», ordinò. Lei e Flint avevano avuto una breve storia terminata alcuni mesi prima in modo poco amichevole.
    James si sentiva un po’ a disagio a leggere la posta con la cugina appostata alle sue spalle, ma lo fece comunque. Albus e Rose lo guardavano, anche loro in attesa di scoprire cosa volesse l’ex Serpeverde.
    Gli occhi di James si allargarono e la sua bocca formò una “O” perfetta, prima che gli si imporporasse il viso. «Ehm, parla di Quidditch», tagliò corto scorrendo rapidamente il breve messaggio del tutto inaspettato.
    Dominique parve delusa. «Non ha scritto nemmeno una parola su di me?», chiese, mordendosi poi il labbro inferiore. Anche se Augustus l’aveva trattata male ed era stato con lei solo perché l’essere stata punta dal Fuso delle Fate, due anni prima, l’aveva resa popolare a scuola, per un po’ si era illusa che la cosa potesse diventare seria.
    «No», sbuffò James, lasciando il tavolo senza aver terminato la colazione. Infilò la lettera in tasca e, durante le lezioni della mattina, non riuscì a pensare ad altro. Si sarebbe aspettato di tutto da Flint, tranne quello che aveva scritto su quel foglio: “Ehi, Potter, ho saputo della nomina a capitano della Weasley. Serendip non ha tutte le rotelle a posto, al suo posto io avrei scelto te. Ti consiglio di cominciare a pensare come un capitano perché quando la Weasley perderà il controllo della squadra, servirà qualcuno in grado di focalizzare gli obiettivi e prendere la guida in campo. Non basta essere un buon giocatore per diventare capitano.
    Mi dispiace che non potrò vedere la partita in cui mostrerai a tutti che tipo di leader sei, ma fino a quel giorno, Serpeverde continuerà a battervi.
    Quando ti sentirai pronto ad affrontarmi di nuovo, mandami un gufo, ti devo una rivincita.”

    All’ora di pranzo, James era insolitamente euforico: le parole di Flint gli ronzavano in testa, tanto che ormai conosceva il testo del messaggio a memoria. Non era d’accordo con lui su Roxanne, ma forse, quando lei si sarebbe diplomata, avrebbe potuto aspirare lui alla carica di capitano. Mangiò in fretta, senza nemmeno togliersi la borsa dei libri dalla spalla, occhieggiando il tavolo degli insegnanti, quasi si aspettasse che Serendip si alzasse e gli dicesse qualcosa, ma l’unico che si alzò dal tavolo fu proprio lui, quando gli altri erano ancora a metà del pasto.
    «Dove vai?», gli chiese Albus.
    «Devo fare una cosa», rispose James, scappando verso la guferia. Aveva deciso su due piedi, senza nemmeno rifletterci. Si sentiva pronto per una rivincita? Non aveva mai pensato di poter giocare di nuovo contro Flint, ma l’idea lo faceva sentire eccitato, più che per qualsiasi avesse giocato. Amava il Quidditch, ma dopo la sconfitta di Grifondoro, l’anno precedente, era cambiato qualcosa: non era più solo un gioco, voleva vincere. Aveva sempre voluto emulare sua madre e la zia Angelina, ma ogni volta che era salito sulla scopa, quell’estate, aveva pensato a Flint.
    Inconsapevolmente, aveva cercato di imitarlo, di volare come lui, come aveva fatto in quell’ultima partita, quando Augustus Flint, il giocatore più sleale della scuola, aveva vinto senza commettere nemmeno un fallo, dimostrando di essere davvero bravo. Era stato un buon capitano e un vero leader per la sua squadra e gli aveva scritto “servirà qualcuno in grado di focalizzare gli obiettivi e prendere la guida in campo”, lo aveva scritto a lui. James non avrebbe mai creduto che Flint potesse dire una cosa simile proprio di lui, ma del resto non lo aveva nemmeno creduto capace di giocare in modo corretto.
    Quell’estate James aveva giocato a Quidditch parecchie volte, praticamente ad ogni visita alla Tana, quando zii e cugini erano in numero sufficiente per formare due squadre. Avevano giocato genitori contro figli e maschi contro femmine e con squadre miste. Si era fatto insegnare alcune mosse dalla madre e dalla zia Angelina e aveva gareggiato col padre e con Albus. Era sicuro di essere migliorato come giocatore e voleva che Flint lo vedesse, voleva che gli dicesse che era una bravo giocatore.
    Quando raggiunse la cima della guferia, James si ritrovò a corto di parole, oltre che di fiato. Prese una pergamena e una piuma dalla propria borsa e osservò il foglio bianco senza sapere cosa scrivere. Si sentì sciocco, ma si disse che non poteva non rispondere. “Sono pronto”, scrisse solo. Gli batteva forte il cuore perché era la prima volta che si sentiva, in qualche modo, “grande”.
    Con un fischio chiamò a raccolta i gufi della scuola. Ne scelse uno a caso, quello che gli si avvicinò per primo e gli consegnò, ancora incredulo, la sua lettera di sfida.
    Augustus Flint, con grande sorpresa di James, rispose tre giorni dopo. Nei giorni precedenti, James era stato sulle spine, impaziente di ricevere una risposta e mano a mano più deluso dal non riceverla. Non aveva rivelato a nessuno la ragione del suo malumore, ma quando, durante la colazione, sentì Dominique commentare: «Quell’uccello vola come il suo padrone», alzò gli occhi in tempo per vedere l’ulula di Flint sfrecciare di nuovo verso di lui.
    Albus gli chiese: «Che sta succedendo con Flint?».
    «Niente», rispose James, afferrando la pergamena e mettendola in tasca ancora chiusa. Voleva leggerla lontano dagli sguardi di suo fratello e di Dominique e senza gli occhi di Ausia che sembravano trafiggerlo sin dall’altro lato della sala. «Solo qualche consiglio sul Quidditch».
    Albus si acciglio. «Da Flint?», chiese poco convinto.
    James scrollò le spalle. «C’eri anche tu all’ultima partita. Hai visto come ha giocato. È bravo».
Albus non rispose e James si sforzò di rimanere fino alla fine della colazione anche se fremeva dalla voglia di leggere il messaggio. Quando raggiunse l’aula di Babbanologia si sedette in ultima fila, così da poter srotolare la pergamena.
    “L’ultima domenica del mese sarò a Hogsmeade”.
    James rilesse quelle poche parole più volte. Non era quello che si aspettava. Non aveva idea di cosa significasse, né di come rispondere. Mancava poco più di una settimana all’ultima domenica del mese, in quel fine settimana i preparativi per Halloween avrebbero occupato insegnanti ed elfi domestici, ma James sarebbe stato a scuola, senza la possibilità di raggiungere Hogsmeade. Non avrebbe mai ottenuto un permesso dal professor Serendip per un motivo tanto futile e non c’era possibilità di convincere i suoi genitori a chiedere un permesso per lui, anzi, i suoi si sarebbero arrabbiati se lo avessero saputo.
    Eppure quel messaggio, quel “sarò a Hogsmeade” sembrava parte della sfida, era come se la partita, tra di loro, fosse già iniziata e Flint lo stesse sfidando a trovare un modo di raggiungerlo. Hogsmeade era il Boccino e lui doveva prenderlo.
    Dopo la guerra, Hogwarts era stata ricostruita esattamente come era prima degli incendi e della devastazione che i Mangiamorte avevano portato nel castello, ma i passaggi segreti che un tempo avevano condotto al villaggio non c’erano più. James ne aveva sentito parlare tante volte, quando era bambino, tanto che aveva impiegato tutto il primo anno a cercare di rintracciarli, ma aveva trovato soltanto solide mura e nuove statue che non nascondevano segreti. Non aveva alcuna possibilità di imitare le rocambolesche fughe del padre e degli zii. Quando aveva trafugato la Mappa del Malandrino dal baule del padre l’aveva studiata con estrema attenzione, in cerca di una porta, un passaggio, qualcosa che gli rivelasse un segreto della scuola che nessuno conosceva, ma non c’erano più passaggi segreti a Hogwarts.
    Col pensiero fisso di trovare un modo per raggiungere il villaggio, quella sera andò a letto prima del solito. Forse Flint aspettava una sua risposta, forse avrebbe contato i giorni come aveva fatto lui. Non gli aveva chiesto di incontrarlo a Hogsmede, non gli aveva scritto che gli avrebbe concesso la rivincita proprio quel giorno, ma James era sicuro che fosse quello il senso del suo messaggio. Gli aveva notificato che sarebbe stato al villaggio di lì a dieci giorni e non c’era altra ragione per cui avrebbe dovuto farlo. James non aveva idea di come avrebbe fatto ma seguì l’istinto: prese piuma e pergamena e scrisse “Ci sarò”. Poi la chiuse nella borsa pronta per la mattina dopo, perché, prima di inviarla, doveva capire come avrebbe fatto a mantenere la parola.

 
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Il titolo alternativo di questo capitolo potrebbe essere "Piccoli Potter Crescono". VI avviso già che i prossimi due capitoli saranno interamente dedicati a James. So che qualcuno ne sarà contento, spero che agli altri non dispiaccia.
Come sempre vi ringrazion per leggere questa storia, in particolare uwetta che ha recensito ogni capitolo, e vi invito a venirmi a trovare su FB, Twitter e Ask.
A presto! ^^
   
 
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