Libri > Shadowhunters
Segui la storia  |       
Autore: Kary91    31/01/2017    4 recensioni
[Long Fiction | Jace!centric | Jace & Alec (bromance) | What-if? di "Città delle Anime Perdute"]
Ci troviamo verso la fine di Città di Anime Perdute e qualcosa di sostanziale cambia, durante la battaglia fra Shadowhunters e Ottenebrati: Alec viene ucciso da Sebastian, sotto lo sguardo impassibile di un Jace schiavo della volontà di quest'ultimo.
Sei mesi dopo, Jace è finalmente libero dal condizionamento di Sebastian, ma non è più se stesso. Devastato dai sensi di colpa e dal dolore per la perdita del suo parabatai , è ossessionato dall’idea di riportare in vita Alec.
Troverà un modo: una strada che nessuno ha mai nemmeno pensato di intraprendere e che probabilmente gli costerà la vita. Un viaggio che rischia di scardinare l’equilibrio dei Regni Celesti – dove vivono gli angeli e le anime di chi non c'è più.
Ma quando Jace Herondale vuole qualcosa nemmeno Raziel in persona può impedirgli di ottenerla. Soprattutto se quel qualcosa è la vita di suo fratello.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Jace Lightwood, James Carstairs, Kieran, Magnus Bane
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'A thousand times over;'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

3 | City of Desolation;

 

«Provò immediata simpatia per Fratello Zaccaria, immaginandosi se stesso senza Alec, con quella runa stinta come unica memoria del tempo a cui era stato legato a qualcuno che conosceva tutte le parti migliori e peggiori della sua anima.»

Jace Herondale Città del Fuoco Celeste. Cassandra Clare

 

L’anello era di un argento un po’ spento e ospitava un motivo di uccelli in volo.

Jace se lo rigirò fra le dita, riconoscendo il simbolo degli Herondale.

 

“Apparteneva a James, il figlio di Tessa e Will” gli stava spiegando Jem Carstairs, un sorriso malinconico a piegargli le labbra. Aveva chiesto a Jace di incontrarlo all’Istituto e il ragazzo aveva acconsentito, seppur con riluttanza.

 

“È un anello molto antico: gli Herondale se lo scambiano da generazioni e Tessa insiste che l’abbia tu. Avrebbe voluto dartelo di persona, ma l’ultima volta che vi siete visti non ne ha avuto modo ed io ero di passaggio qui a New York, così…”

 

Jem si strinse nelle spalle: tutto a un tratto sembrò davvero giovane, appena poco più grande di Jace.

Era strano vederlo parlare e comportarsi come una persona qualunque. In passato, Jace aveva creduto che vedere un Fratello Silente senza la classica tonaca color pergamena sarebbe equivalso a vederlo nudo, ma Carstairs – con quegli occhi vividi e la voce gentile – non ricordava un membro della fratellanza più di quanto non lo sembrasse lui.

 

“C’è un motivo se hai voluto incontrarmi qui?” domandò, giocherellando con l’anello. “L’Istituto non è esattamente il mio posto preferito, al momento.”

 

“Sì, Clary me l’ha detto” rispose Jem, sollevando la custodia di violino che aveva con sé. “Ma so anche che qui avete una Stanza della Musica davvero bella: vorrei vederla, se per te va bene. Suonare è proibito ai Fratelli Silenti, ma adesso che non lo sono più intendo recuperare tutta la musica che mi sono perso.”

 

Jace gli rivolse un’occhiata distaccata.

 

“Ti ci può portare Clary: sta disegnando in camera di Izzy.”

 

La sua tensione si attenuò, quando pronunciò il nome della fidanzata.

Era stata Clary a convincerlo ad accettare l’incontro con Jem: negli ultimi mesi si era tenuta in contatto con lui e Tessa, e sembrava aver instaurato un buon rapporto con entrambi. Era convinta che parlare con Jem avrebbe aiutato Jace. Dopotutto, anche lui aveva perso il suo parabatai e da quando era tornato uno Shadowhunter il dolore della perdita sembrava essersi amplificato.

Jem gli sorrise.

“In realtà speravo di sentirti suonare” ammise, sfiorando la custodia del violino. “Ho sentito dire che sei molto bravo.”

“Lo sono” confermò Jace, l’aria compiaciuta a spazzare un po’ della stanchezza dal suo volto. “In effetti sono davvero poche le cose che mi riescono male: una di questa è apparire brutto.”

Il sorriso di Jem si allargò.

“Credo che questo sia un tratto comune a tutti gli Herondale” commentò. Un guizzo di allegria si accese nel suo sguardo; a Jace ricordò lo scintillio che animava gli occhi di Alec quando si perdevano in conversazioni tutte loro.

Il ricordo sembrò scaldarlo per un istante, ma divenne in fretta doloroso.

“Allora è per questo che sei venuto qui” asserì, sorridendo tagliente. “Non è per la musica: vuoi giocare a ‘trova le differenze’ fra me e il tuo parabatai.”

Jem scosse la testa, per nulla turbato dal cambio di tono nella conversazione.

“E se invece parlassimo del tuo?” chiese.

Jace si irrigidì.

“Cosa vuoi sapere di Alec?” ribatté con freddezza. Che Magnus gli avesse spifferato tutto?

 

“Qualsiasi cosa tu abbia voglia di raccontarmi” disse Jem, tornando a stringersi nelle spalle. “Certe volte parlare è l’unico modo per ricordare; e ricordare aiuta a guarire, quando viene fatto nel modo giusto.”

 

Parlava con la pacatezza di un anziano, ma il suo sguardo rifletteva la sicurezza di una persona molto forte: adesso sì che sembrava centenario.

“Parlami di lui” insistette Jem, posandogli una mano sulla spalla. Il suo era un tocco leggero, a malapena percepibile.

Jace esitò: il no con cui avrebbe tanto avrebbe voluto rispondere gli morì in gola.

La verità era che aveva davvero voglia di parlare di Alec. Solo, non se ne era mai accorto.

“Perché?” insistette, aggrottando le sopracciglia. “Perché t’interessa così tanto aiutarmi?”

Jem fissò con fare distratto l’anello degli Herondale.

“Perché tu mi hai salvato la vita” rispose infine, tornando a rivolgere la sua attenzione al ragazzo. “Il minimo che possa fare è provare a salvare la tua.”

 

***

“C’è stata una volta…”

Jace aveva i gomiti appoggiati sul piano, gli occhi socchiusi nel tentativo di abbandonarsi completamente al ricordo. Jem l’ascoltava in silenzio, il violino sulle ginocchia.

“… L’unica volta in cui credo di essermi davvero affidato qualcuno, prima dell’arrivo di Clary. Avrò avuto undici anni. Era l’anniversario della morte di mio padre, o almeno così credevo” aggiunse, con una punta di durezza. “Avevo voglia di stare per conto mio, così me ne andai a nella serra: era uno di miei posti preferiti, ma gli altri non ci andavano quasi mai. Alec mi trovò comunque.”

Sorrise appena, giocherellando con il suo anello.

“Lui mi trovava sempre.”

Anche Jem sorrise; sembrava volesse dire qualcosa, ma non lo interruppe e Jace gliene fu grato.

“Quel giorno mi sentivo stanco, confuso: stando con i Lightwood avevo incominciato a rendermi conto che c’era qualcosa di sbagliato nel modo in cui mio padre si era preso cura di me. Mi aveva cresciuto con la durezza che si riserva ai soldati, non ai figli, eppure trovavo insopportabile l’idea di metterlo in discussione. L’amore indebolisce, mi dicevo, per questo sto male; per questo sento così tanto la sua mancanza: aveva ragione lui.”

La voce gli tremò appena. I pensieri della sua infanzia erano una ferita aperta e stavano bruciando di nuovo, a distanza di tutti quegli anni.

“Quando Alec mi ha trovato avevo le dita affondate nel terriccio. Cercavo delle radici a cui aggrapparmi, qualcosa che mi desse stabilità. Mi sentivo stanchissimo, come quando si piange per delle ore, ma i miei occhi erano asciutti. Ho questo ricordo di Alec che mi guarda senza dire nulla e poi si siede vicino a me; sento la sua mano sulla mia spalla. Lo ricordo così bene…”

Si portò una mano poco sopra la clavicola, a sfiorare la runa parabatai.

“… Riuscivo a sentire il suo calore. Non fisicamente: era qualcosa di diverso. Percepivo il suo abbraccio, eppure mi stava a malapena toccando; non aveva bisogno di farlo. Ci parlavamo a sguardi, io e lui, a gesti. Sentivo le sue parole di conforto anche quando non parlava e quel giorno il suo silenzio deve avermi raccontato qualcosa di veramente importante, perché le mie barriere crollarono. S’indebolirono a punto tale da spingermi ad affidarmi a lui, a un ragazzo poco più grande di me. Ricordo di aver tirato via le mani dal terreno e di avergli appoggiato la testa sulle gambe, come un bambino piccolo.”

Sorrise ancora, divertito da quel ricordo.

“Era una cosa così terribilmente da Max, quella, che pensai di essere ammattito. Ad Alec non piacque” ricordò, stringendosi nelle spalle. “Sentii che si irrigidiva, che si sforzava di restare immobile. Aveva tredici anni: eravamo in quell’età in cui si cerca di cancellare il bisogno di tenerezza, ma Alec alla fine cedette. Mi lasciò fare.”

Incrociò lo sguardo di Jem e si stupì nel riconoscervi dentro del dolore. Si chiese se le sue parole stessero riportando a galla qualche suo ricordo su Will. Anche loro, si disse, dovevano essersi conosciuti da bambini: la maggior parte dei parabatai stringevano amicizia durante l’infanzia.

“Ricordo che a un certo punto aveva incominciato ad accarezzarmi i capelli. Aveva le dita sottili” riprese, una fitta improvvisa di nostalgia a premergli contro il petto. “Da bambino. Ma c’erano già delle cicatrici.”

Se le ricordava bene quelle carezze goffe, le mani incerte di Alec che gli solleticavano il collo. Ricordava la sensazione bellissima e dolorosa al tempo stesso di una prima volta: i polpastrelli di Alec gli avevano tracciato addosso un affetto mai provato, marchiandolo con segni invisibili.

“Quella è stata la prima volta, da quando avevo sei anni, in cui mi sono mostrato debole a qualcuno senza vergognarmene. La prima volta in cui mi sono sentito amato per davvero” riprese, lasciandosi scivolare l’anello in tasca. “È questo il ricordo che salverei se qualcuno minacciasse di cancellare via tutti gli altri.”

Jem annuì, dolore e malinconia a mascherare la mitezza del suo volto. Mentre Jace parlava aveva messo il violino in posizione e adesso teneva l’archetto sollevato, la schiena dritta e la testa inclinata di lato.

Chiuse gli occhi e inspirò. Infine, lasciò che l’archetto accarezzasse le corde del violino e i primi suoni s’insinuarono nell’aria.

Jace serrò a sua volta le palpebre, lasciandosi sfiorare dalle prime note: assomigliavano alla risacca. Lo inondavano fino a inzupparlo e poi tornavano indietro, lasciandolo solo e fradicio di ricordi.

Una volta, Hodge gli aveva parlato di un’antica storia cinese, una favola di amicizia e di musica. Era la storia del musicista Yu Boya e del suo amico Zhong Ziqi, l’unico in grado di leggere il suo cuore, di visualizzare le immagini scaturite dalla sua musica: era stato grazie a Zhong Ziqi che Yu Boya aveva iniziato a suonare il Qin. Quando Zhong Ziqi morì, Yu Boya suonò il dolore e la nostalgia della perdita sulla tomba dell’amico e poi distrusse il Qin.

Zhi Yin: era così che Yu Boya chiamava Zhong Ziqi. Significava capire la musica, ma anche essere legati da qualcosa di incondizionato, qualcosa di più forte dell’amicizia.[1]

Jem Carstairs questo doveva saperlo: perché con le sue note – un concerto di vibrazioni eleganti e dolorose – aveva incominciato a raccontare Alec.

 Suonava suo fratello – il suo zhi yin – e gli anni della loro vita assieme, così come Jace glieli aveva raccontati.

Suonò due ragazzini seduti vicini nella serra, il più piccolo dei due con la testa sulle ginocchia dell’altro. Suonò la cerimonia parabatai: il fuoco e i voti e le rune ardenti[2]. Suonò due adolescenti nelle sala delle esercitazioni, uno che leggeva ad alta voce e l’altro che riposava al suo fianco, dopo ore di allenamenti. E poi le notti trascorse a parlottare e quelle in cui si sorvegliavano a vicenda dalle soglie delle rispettive camere, per tenere lontani gli incubi.

Le mani di Jace si mossero d’istinto, guidate dai ricordi. Le sue dita si alternarono sui tasti del pianoforte, rincorrendo una melodia che parlava di Alec: della gioia nell’averlo trovato e della sofferenza per averlo perso.

Suonò assieme a Jem la sicurezza emanata dalle loro strette di mano e la luce tiepida nello sguardo di entrambi, quando ridevano assieme.

Raccontò il terrore provato quando se l’era trovato ferito fra le braccia per la prima volta e la rabbia, il tradimento che gli avevano graffiato l’anima durante le loro litigate.

Suonarono il loro primo abbraccio e anche l’ultimo; ogni gesto d’affetto che si erano scambiati, ma anche le parole che non erano mai riusciti a dirsi. Suonarono la piccola frattura che l’ultimo anno aveva insinuato fra loro con l’arrivo di Clary e la volontà di Sebastian a premere sulla sua.

Suonarono la gelosia di Alec e il senso di colpa di Jace e mai erano parsi tanto belli – e delicati, eppure struggenti – quanto in quel momento.

Le ultime note riempirono l’aria di azzurro – lo stesso colore intenso dello sguardo di Alec.

E quando la musica terminò, e Jem ebbe riposto di nuovo il suo strumento nell’astuccio, gli occhi del violinista erano ancora chiusi, ma quelli di Jace erano pieni di lacrime[3].

Il silenzio dondolò loro intorno con la lentezza della neve; Jace sentì che gli si depositava addosso, soffocando il dolore come una benda sulle ferite aperte.

Si sentiva come doveva essersi sentito Yu Boya sulla tomba di Zhong Ziqi: come qualcuno che dice addio alla metà migliore di se stesso.

Come qualcuno che si rassegna.

“Non voglio.”

Le parole erano sfuggite al suo controllo, fievoli e incerte: non sapeva nemmeno cosa significassero.

“Lo so.”

Jem tornò a posargli una mano sulla spalla.

“Conosco la tua sofferenza. Ti ho ascoltato suonare, Jace Herondale, e ho visto il tuo Alec, ho ascoltato la vostra storia: ho sentito il tuo dolore e l’ho suonato assieme a te.”

 

“Come?” replicò atono Jace, distogliendo lo sguardo. “Non lo conoscevi nemmeno.”

 

 

Ho visto i fantasmi evocati dalla tua musica” rispose Jem. “I fantasmi sono ricordi, e noi li conserviamo perché coloro che amiamo non lascino il mondo. Finché ci sono l’amore e il ricordo, non ci sono vere perdite.”[4]

 

“L’amore e il ricordo non mi bastano” ribatté secco Jace, sfregandosi gli occhi con una mano: erano tornati asciutti.

“A nessuno bastano” ammise Jem, e Jace ebbe l’impressione che in quelle parole echeggiasse una tristezza secolare. “Ma a volte non si ha che questo, oltre al tempo. E il tempo sa essere indulgente, quando si affronta una perdita.”

“Non voglio indulgenza.”

Jace scosse la testa, le braccia incrociate sul petto.

“Hai detto di essere in debito con me. Dici di volermi aiutare, ma non sto cercando tecniche alternative per processare un lutto: mi serve un piano.”

Il suo sguardo tornò ad accendersi: il dolore e le lacrime erano solo più un’ombra, un ricordo appena accennato intorno agli occhi.

 “Un piano per cosa?” Jem rimase impassibile. “Per riportare indietro il tuo parabatai?”

Jace si sforzò di sembrare altrettanto calmo.

“Un anno fa sono morto” rivelò, guardandosi le mani: il fuoco celeste s’intravedeva appena, formando strane ombre sulla sua pelle. “Grazie a Clary mi è stata data una seconda possibilità ed io l’ho sprecata.”

“Non è dipeso da te” cercò di contestare Jem.

“Non importa” lo ignorò Jace. “Adesso è il turno di Alec.”

“Ascoltami, Jace....”

Per la prima volta in quel pomeriggio, Il viso Jem si corrugò in un’espressione contrariata.

“… Non sono anziano come Magnus, ma sono stato un Fratello Silente a lungo e ho assistito a diversi tentativi di resurrezione. Persone più grandi ed esperte di te hanno giocato con la negromanzia, causando la morte di tanti. Ogni magia ha un prezzo, spesso caro. E in cambio di cosa, poi? Chi tornava in vita non era mai interamente se stesso.”

“Questo lo so” ribatté secco Jace. “Ma a me non interessa la negromanzia. Un corpo vuoto non mi serve: rivoglio indietro la sua anima.”

Il suo sguardo, adesso, non aveva più niente del ragazzino arrogante e tormentato di poco prima. Gli occhi di Jace rilucevano di una luce fulgida, come quelli di un angelo vendicatore.

“Ci sono strade, nel regno delle fate, che conducono all’Inferno” spiegò, facendo un passo avanti. “A Edom e alle altre dimensioni demoniache. E se anche il Paradiso non fosse altro che un insieme di dimensioni parallele?”

Jem tacque per qualche istante, limitandosi a studiarlo con sguardo grave.

 “Nella Città di Ossa, i Fratelli Silenti hanno accesso ad alcuni testi proibiti molto antichi” ammise infine, con un sospiro. “Si dice che siano stati scritti dai primi Nephilim – David, Jonathan e Abigail – sotto dettatura dello stesso Raziel. Parlano dei Regni Celesti e delle leggi che li governano. Ma come ho detto prima, sono pagine proibite: ciascun membro della Fratellanza è votato al silenzio, pena la morte.”

“Ma tu non sei più un Fratello Silente” osservò Jace, l’impazienza che gli scorreva sottopelle. “Non possono costringerti al silenzio.”

Ancora una volta, Jem non rispose subito. Frugò nello sguardo di Jace alla ricerca di qualcosa e probabilmente la trovò, perché qualche istante dopo riprese a parlare.

“Non abbiamo prove…” incominciò, sedendosi di fronte al pianoforte. “… Ma in questi testi il Paradiso viene descritto come un’insieme di dimensioni concentriche: Jonathan le chiamava Dimensioni Celesti. Le anime dei morti migrano di cerchio in cerchio, secondo regole a noi sconosciute. C’è una sola dimensione celeste di cui si sa qualcosa, il cerchio più esterno. I Mondani gallesi la chiamano Annwn” aggiunse con un’improvvisa sfumatura malinconica nello sguardo. “Alcune leggende la descrivono come un luogo fertile e dal clima sempre sereno, dove le persone non invecchiano, il cibo abbonda e le malattie non esistono. Altre hanno una connotazione più negativa: qualcuno crede che Annwn sia il luogo dove vengono tenute prigioniere le anime in sospeso fra i due mondi.”

“E queste scritture di Jonathan, questi testi proibiti…” lo interruppe Jace, appoggiando i gomiti al pianoforte. “… Spiegano anche come raggiungere una di queste dimensioni?”

Jem scosse la testa.

“Le leggi del Paradiso sono molto ferree” spiegò, appoggiandosi il violino sulle ginocchia. “Nessun vivente può accedervi.”

“Ma se qualcuno ci riuscisse…” insistette il ragazzo, protendendosi in avanti. “… Se qualcuno trovasse il modo… Allora sarebbe anche possibile trovare Alec.”

“Non è così semplice” lo contraddisse Jem, scuotendo la testa. “L’equilibrio che mantiene legate le Dimensioni Celesti è fragile ed è regolato dal Principio dello Scambio Equivalente.”

“Lo conosco” mormorò Jace, una luce di consapevolezza nello sguardo. “È il concetto su cui si basa l’alchimia: senza sacrificio, l'uomo non può ottenere nulla” recitò poi, sfiorando distratto la runa della memoria.“Per ottenere qualcosa, è necessario dare in cambio qualcos'altro che abbia il medesimo valore.”

“Ti intendi di alchimia mondana?” domandò Jem, visibilmente sorpreso.

Jace abbozzò un sorrisetto.

Nah... È la frase di un cartone che ho visto con mio fratello” confessò, avvertendo un improvviso moto di malinconia: c’erano dei giorni in cui la perdita di Max gli gravava addosso quasi quanto quella di Alec. “Due bambini cercavano di riportare in vita la madre morta, ma senza riuscirci: non esiste merce di scambio che abbia lo stesso valore di un’anima.”

“Proprio così” confermò Jem. “I Regni Celesti sono dominati da questo principio: quando si vuole ottenere qualcosa bisogna rendere qualcosa in cambio – qualcosa che abbia lo stesso valore. Per ogni anima strappata alla morte, un’altra va sacrificata.”

“In pratica stai dicendo che per riavere indietro Alec dovrei morire al suo posto” tradusse Jace con voce insolitamente asciutta.

“A livello teorico sì” fu costretto ad ammettere Jem. “Ma dimentichi che è impossibile accedere alle Dimensioni Celesti. E anche se così non fosse, non è detto che chi le governa si presterebbe a uno scambio di anime.”

Il silenzio tornò a permeare la stanza, intervallato dal tamburellare delle dita di Jace sul piano.

“Troverò il modo” mormorò infine il ragazzo, la luce della decisione ad accendergli gli occhi.

Jem sorrise: il suo era un sorriso paterno, indulgente, eppure il suo sguardo si era fatto improvvisamente risoluto.

“Non lo farai” rispose, fissandolo con intensità. “Ti ho parlato dei Regni Celesti perché ero certo che, se non l’avessi fatto, avresti cercato di procurarti quelle informazioni in altri modi – mettendoti nei guai, probabilmente. Ma non mi limiterò a guardare mentre ti lanci in una missione suicida.”

“Il tuo Will avrebbe capito” ribatté Jace, concedendosi una punta di sarcasmo nel pronunciare quel tuo. “Ti direbbe di lasciarmi provare: qualunque parabatai lo farebbe.”

“E la tua famiglia cosa direbbe, invece?” esordì Jem, scuro in viso. “Cosa penserebbe Isabelle, che di fratelli ne ha già persi due? E Clary? Pensi che si meriti la sofferenza che stai pensando di infliggerle?”

Il fuoco celeste si animò, ustionandolo dall’interno. Jace chiuse gli occhi, boccheggiando per il dolore, ma quando Jem cercò di toccarlo si ritrasse.

“Clary è la ragione per cui continuo ad alzarmi la mattina” disse, allontanandosi dal piano: non era il caso di trasformarlo in un falò. “Forse prima o poi, con lei al mio fianco, potrei tornare ad essere felice, ma la mia resterebbe comunque una mezza vita. Non posso andare avanti così, con il senso di colpa a contaminare ogni brandello di felicità che mi è rimasto. Malo mori quam foedari[5]” concluse in latino, un sorriso amaro ad arricciargli le labbra. Meglio morire che il disonore.

Qualcosa di simile alla tenerezza smorzò la tensione nel volto di Jem.

Gli Herondale” mormorò, scuotendo la testa. “Me n’ero quasi dimenticato. Nessuna famiglia fa tanto per amore, o prova un così grande senso di colpa.”[6]

 Jace abbozzò un sorriso.

“Mi aiuterai” intuì, guardandolo negli occhi: erano più scuri dei suoi, ma limpidi come un tempo lo erano stati quelli di Alec. Poteva leggerci attraverso e quello che vi trovò dentro gli piacque.

“Mi rendo conto che non c’è modo di ostacolarti” ammise Jem, stringendosi nelle spalle. “Tanto vale rendermi utile: dopotutto i Carstairs hanno un debito in sospeso con gli Herondale.”

“Che cos’altro puoi dirmi?”

“Ti ho parlato di Annwn” proseguì Jem, alzandosi dallo sgabello. “La dimensione più esterna dei Regni Celesti. Non mentivo quando ho detto che nessun vivente può accedervi, ma esiste un popolo – uno solo – a cui è consentito transitare sul suo confine.”

Indugiò ancora, lo sguardo improvvisamente stanco.

“Hai mai sentito parlare della Caccia Selvaggia?” chiese infine, rivelando ciò che fino a quel momento si era sforzato di nascondergli.

Un brivido di esaltazione risalì la schiena di Jace. Annuì: tutti gli Shadowhunters conoscevano la Caccia.

“Fate che non rispondono a nessuna delle Corti terrenesnocciolò, ricordando ciò che aveva letto sul Codice. “Sono cacciatori e cavalcano in cielo, guidati da Gwyn ap Nudd. La gente pensa che a seguirli possano condurti nel regno delle fate o… nella terra dei morti[7]concluse, con un fremito.

La terra dei morti.

“I membri della Caccia non hanno sovrani e disdegnano le leggi. Cavalcano rasente la morte e la devastazione, presenziando alle battaglie più sanguinarie per prelevarne i caduti. Alcune vittime vengono scelte perché si uniscano alla Caccia. È magia nera, la peggiore. Ma se li segui…” inspirò con forza, come se proseguire gli stesse costando fatica. “… Potrebbero condurti al confine con Annwn.”

“Forse Gwyn ap Nudd conosce un modo per accedere alle Dimensioni Celesti” si animò Jace, stringendo l’anello degli Herondale fino a far impallidire le nocche. “La Caccia custodisce segreti secolari, proprio come la Fratellanza. Potrei cercare di unirmi a loro: so che reclutano mortali una volta l’anno.”

“Chi si unisce alla Caccia ne farà parte per sempre” lo ammonì Jem. “L’unico modo per uscirne è ottenere il permesso di Gwyn ap Nudd.”

“Non importa” replicò deciso Jace, il familiare sorriso obliquo a piegargli le labbra. “Non ho in programma di tornare indietro.”

Jem lo stava fissando con fare preoccupato, ma c’era anche dell’altro nel suo sguardo: nostalgia, forse. L’attaccamento al ricordo di qualcuno che non c’era più.

“Quel che mi interessa è riuscire a trovare il modo per entrare ad Annwn” proseguì Jace.

“Stando ai testi proibiti, se anche un essere vivente riuscisse ad accedere a una Dimensione Celeste, morirebbe subito” spiegò Jem, scuotendo la testa. “Annwn è un regno di sole anime, ma tu hai il fuoco celeste. Hai in corpo qualcosa che scorre soltanto nelle vene degli angeli.”

Jace inspirò con forza, gli occhi chiusi nel tentativo di concentrarsi.

“Tutto ciò che mi occorre è un portale” mormorò infine, tirando fuori il suo stilo. “O una runa di apertura: qualcosa che sblocchi l’accesso ad Annwn.”

Jem gli rivolse un’occhiata pensosa.

“I sigilli che bloccano l’accesso ai Regni Celesti sono il frutto di potere angelico: non esiste magia terrena– né una runa– in grado di contrastarla.”

“Forse no” convenne Jace, tornando a sorridere. “Ma conosco qualcuno che può farlo.”

 

*

 

Clary non ricordava per quanto a lungo avesse dormito, né che cosa l’avesse spinta ad accasciarsi a quel modo sul suo album da disegno, le palpebre tutto a un tratto pesanti.

Si trovava in camera di Izzy quando era successo: aveva gli occhi pieni di lacrime, commossa dalla melodia malinconica che proveniva dalla stanza della musica.

Il brano eseguito da Jace e James Carstairs non le aveva parlato solo di Alec, o di Will, e della sofferenza provata dai rispettivi parabatai. Le aveva sussurrato di Simon e dello smarrimento che avrebbe avvertito lei, se qualcuno gliel’avesse portato via. Le aveva raccontato cosa significava sentirsi mutilati, tranciati in due, privi di una metà fondamentale.

Aveva pianto pensando a Jace, alla luce fievole che di tanto in tanto la illudeva, facendo capolino nei suoi occhi. C’erano delle volte in cui sembrava sereno, giorni in cui non la smetteva più di fare battute. C’erano stati dei pomeriggi trascorsi a sorridere e a baciarsi, a sussurrarsi poche parole all’orecchio.

Tuttavia, nonostante i tentativi di entrambi di riemergere dal dolore, nonostante Clary si sbracciasse più che poteva per riportare Jace in superficie, il ragazzo continuava a sprofondare.

Bastava poco: una foto, qualche frase formulata male, un brutto sogno e i suoi occhi tornavano a spegnersi, il sorriso spariva. Il dolore gli rubava la voce e lui scivolava più in basso, lasciandosi affondare senza nemmeno cercare di liberarsi.

Clary stava pensando a questo, quando si era addormentata.

La musica di Jem e Jace c’era ancora, anche se in sordina, ma non riusciva a capire da che direzione provenisse. Si sentiva galleggiare – un corpo vuoto trascinato dalle correnti marine – ma non aveva paura.

Aveva alzato la testa e un senso di vertigine l’aveva travolta: era sospesa in una distesa color notte, circondata da puntini simili a stelle.

Un fiotto di luce era apparso di scatto, costringendola a coprirsi gli occhi con le braccia. Quando li aveva riaperti, si era trovata di fronte la figura sfocata di Ithuriel, splendida e dorata come nei sogni precedenti.

Clary ricordava di aver aperto bocca per parlare, ma non era fuoriuscito alcun suono. Ithuriel, tuttavia, sembrava aver capito lo stesso. Aveva spiegato le ali, per poi unirle di fronte a sé, come se stessero formando uno scudo. Gli occhi disegnati sulle piume erano svaniti e al loro posto era comparso un nuovo disegno, lungo e sinuoso.

I tratti neri dell’immagine avevano preso fuoco e la violenza di quelle fiamme aveva fatto trasalire Clary, che si era vegliata di scatto, pallida e tremante.

Adesso la ragazza era in ginocchio sul letto di Izzy, il fiato corto e il corpo percorso dai fremiti.

Una mano era impegnata a tenere fermo l’album da disegno e l’altra si sforzava di reggere la matita, che continuava a cadere.

Il disegno del suo sogno, quello tracciato sulle piume di Ithuriel, fece lentamente comparsa sul foglio: due dentini appoggiati a un tratto verticale che si curvava verso il fondo, ricordando l’attaccatura di un ala. Assomigliava a una chiave.

Clary era certa che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato nel suo disegno. Più volte fu tentata di staccare la matita dal foglio, ma l’impulso a proseguire era talmente forte che non riuscì a smettere fino a quando non arrivò all’ultimo tratto.

Si alzò in piedi, l’album da disegno che vibrava per via della sua presa tremula.

Aveva tra le mani una nuova runa: la più potente che avesse mai creato.

 

Note Finali.

Buonasera (notte?)

Ecco qui, in super ritardo, il nuovo capitolo. Mi spiace di non essere stata puntuale con l’aggiornamento, ma ultimamente tendevo sempre a rimandare, vuoi la scuola vuoi un po’ di sconforto per l’esito della storia in sé. Spero che a lungo andare possa incominciare a leggerla qualcuno! Intanto cerco di non demordere e ringrazio tantissimo mafiaromano che continua a seguire gli aggiornamenti! Sei gentilissima!

Questo capitolo, come avevo anticipato nello scorso, è forse quello in cui si tocca il fondo a livello di angst; è anche uno di quelli che per me significa di più, perché si entra un po’ in profondità per quanto riguarda ciò che sta provando Jace e anche perché ho un debole per Jem e per loro due nelle vesti di musicisti. Questo è anche il capitolo in cui compaiono più citazioni/parallelismi con i libri! Spero che non abbiano appesantito troppo la lettura o infastidito, ma ci tenevo proprio a creare una sorta di legame fra le due coppie di parabatai. E, al tempo stesso, volevo riprendere alcune cose di Città del Fuoco Celeste (alcuni frammenti di una conversazione fra Jem e Tessa e altre cose che Jem dice a Jace nel libro) in maniera da far coincidere, in qualche modo, i due futuri: quello della saga e questo.

Nel prossimo capitolo per Jace avrà inizio il viaggio vero e proprio. Ma, soprattutto, ritroveremo finalmente qualcun altro: qualcuno che in questa storia comparirà meno rispetto a Jace, ma che resta comunque uno dei protagonisti indiscussi. Ovviamente sto parlando di… Church! E va bene, parlavo di Alec anche se Church una comparsata intorno a metà storia la fa!

Spero tanto che questa parte possa esservi piaciuta, nonostante la lunghezza!

Un abbraccio e a presto!

Laura



[1] La leggenda di Zhong Ziqi e Yu Boya viene raccontata nella trilogia delle Origini di Cassandra Clare.

[2] Citazione tratta da “La Principessa" di C. Clare.

[3] Citazione tratta da “La Principessa” di Cassandra Clare.

[4] Riferimenti ad alcuni passaggi di Città del Fuoco Celeste, tratti da alcune conversazioni fra Jem, Tessa e Clary.

[5] Un vecchio motto romano: Jace deve averlo trovato passando in rassegna decine di libri antichi, durante le sue ricerche, e gli è rimasto impresso.

 

[6] Citazione tratta da Città del Fuoco Celeste: Jem pronuncia quella frase allo stesso Jace.

[7] Sono sicurissima che anche questo passaggio sia tratto dai libri, ma ho scritto questa scena quasi un anno fa e non riesco più a trovare il riferimento! Se vi viene in mente fatemelo sapere, così inserisco i crediti!

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Shadowhunters / Vai alla pagina dell'autore: Kary91