Crossover
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Autore: Fiamma Drakon    01/06/2009    4 recensioni
Lucy è l'unico Diclonius rimasto al mondo e gli umani si ostinano a darle la caccia, nonostante la sua pericolosità. Però non tutti gli umani sono come li si dipinge e Lucy lo capirà solo quando farà un'insolita conoscenza che la cambierà radicalmente...
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
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1_Pensieri in solitudine Era tornata di nuovo lì.
Il rumore dell’acqua che cadeva, insinuandosi fra gli speroni di roccia del dirupo, la calmava molto più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Le piaceva starsene in solitudine a riflettere di tanto in tanto, isolarsi volontariamente da quel mondo dal quale già era emarginata per le sue corna, per il suo diverso DNA.
Strinse più forte le braccia attorno alle gambe e poggiò il viso sulle ginocchia, osservando tristemente la cristallina superficie del laghetto nel quale terminava la cascata.
Era sola.
Anche l’ultima Silpelit era morta ed era rimasta solo lei, l’unica Diclonius superstite in un mondo dominato dalla razza umana.
Le avevano uccise tutte, una dopo l’altra, le sue adorate Silpelit, le sue compagne, le uniche capaci di poterla realmente capire.
Ed ora che era l’unico Diclonius rimasto, cos’avrebbe fatto? Gli umani l’avrebbero rintracciata e, volente o nolente, l’avrebbero costretta a seguirli o sarebbe stata soppressa.
Il suo sguardo si soffermò sulla sua mano, che voltò in modo da poterne vedere chiaramente il palmo: chiazze di sangue.
Il suo era un passato intriso di sangue, di morti e massacri, per la sopravvivenza: fin dalla tenera età era stata emarginata e disprezzata per le sue corna, finché dentro di sé non aveva trovato il potere necessario a far emergere i suoi vettori.
Da quel momento, aveva vissuto senza provare terrore verso niente e nessuno: erano gli umani a doverla temere, non il contrario.
Era lei ad avere il potere, ad essere superiore a tutti gli altri umani, non viceversa. Finalmente aveva avuto la sua vendetta per tutto il male subito da piccola, per tutto il disprezzo nutrito dai suoi compagni dell’orfanotrofio nei suoi confronti.
Finalmente aveva avuto il controllo della sua vita, almeno, finché non era stata rinchiusa in quell’orribile laboratorio di ricerche sulla futura razza umana.
E lì aveva avuto la certezza di non essere sola al mondo, perché lì c’erano altre come lei, altre emarginate, sole e sofferenti, trattate come pezzi di carne su cui gli scienziati umani si divertivano a sperimentare i loro giochetti. Non le riservarono trattamenti di favore: solo dolore.
Dolore fisico, psicologico, emotivo, ma pur sempre dolore.
Solo mesi dopo il suo internamento aveva capito che quello non era un laboratorio: era la porta per l’Inferno.
E lei l’aveva patito, l’Inferno, per anni, senza poter far altro che sperare.
Sperare e sperare.
Poi la sua fuga e di nuovo la libertà.
Una libertà che, fino a poco tempo fa, sapeva davvero di libertà, ma che aveva assunto un retrogusto amaro dopo l’uccisione dell’ultima Silpelit.
Ora non era più libera: era braccata.
Nonostante fosse lei la cacciatrice, era divenuta preda, la più ambita preda degli stupidi esseri umani che si divertivano a torturare quelli diversi da loro.
Stupidi. Incoscienti.
Non sapevano con chi avevano a che fare: lei non si sarebbe certo fermata solo perché erano fragili esseri umani.
No, affatto: avevano sterminato le sue Silpelit, le sue fidate compagne senza farsi il minimo scrupolo.
Lei non sarebbe stata da meno: li avrebbe massacrati tutti, dal primo all’ultimo che avesse osato incrociare la sua strada.
Quegli stupidi, inutili umani...
Sospirò ancora, riportando tutta la sua attenzione al luogo dove era.
Percepiva qualcosa di diverso nell’aria attorno a sé, qualcosa di diverso dal sottile fetore ferroso del sangue rappreso sulle rocce dietro di sé.
Somigliava ad un fruscio, un impercettibile movimento d’aria alle sue spalle, qualche metro più indietro.
I suoi occhi si ridussero a due fessure che emanavano rossastri bagliori pericolosi: chiunque fosse, non gli avrebbe dato il tempo d’avvertire i compagni. L’avrebbe ucciso subito.
Si volse a fissare il punto della boscaglia dal quale sapeva sarebbe presto uscito il suo nuovo nemico. Non aveva affatto fretta: se ne stava lì, in piedi, completamente immobile a fissare le piante con disprezzo e superiorità. Nei suoi occhi c’era solo rabbia.
Una rabbia che a stento riusciva ancora a trattenere.
Una rabbia distruttrice che avrebbe vendicato tutte le sue compagne uccise.
Avvertì il consueto formicolio dei vettori che, impazienti, aspettavano di poter uscire e colpire, distruggere, squartare.
Quello era il suo potere.
Quella era la sua rabbia... la rabbia dei Diclonius.
   
 
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