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Autore: _Kurai_    08/02/2017    1 recensioni
Tornare sulla Terra era sempre stato il sogno di Oikawa, e nelle poche settimane in cui gli era stato concesso di fare il mestiere dei suoi sogni si era incantato spesso a contemplare lo splendore di tutto quel blu punteggiato di verde che galleggiava nello spazio profondo attorno a lui.
Aveva fatto in tutto tre passeggiate spaziali dopo aver passato l'esame con il massimo dei voti e con un anno di anticipo, prima di quel maledetto giorno.
Quel maledetto giorno che aveva segnato l'inizio della fine.
Ma poteva forse essere un nuovo inizio? O sarebbe stato solo un modo diverso per ucciderli?
Genere: Angst, Science-fiction, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over, OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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We fall apart

It's the wars that we wage, the lives that we take
For better or for worse
It's the lion we cage, the love and the rage
That keeps us wanting more

But isn't it beautiful
The way we fall apart

It's magical and tragic all the ways we break our hearts
So unpredictable
We're comfortably miserable
We think we're invincible
Completely unbreakable
And maybe we are

(We fall apart, We as human)


Erano trascorsi tre giorni.

Mentre nella montagna il tempo scorreva lentamente, come cristallizzato, all'esterno sembrava passare con il doppio della velocità.

 

Hajime, Issei e Takahiro, insieme al nuovo “alleato” terrestre, avevano appena terminato di mettere a punto un piano: avrebbero potuto entrare nella montagna solo attraverso uno dei portelloni celati nel sistema di cunicoli sotterranei, che venivano aperti solo in determinati momenti per permettere il passaggio di gruppi di ricognizione o di Mietitori, ossia il nome con cui Kyotani definiva i terrestri degenerati con cui lo avevano trovato (e di cui lui stesso aveva fatto parte, anche se per poco). Kyotani, ormai ripresosi quasi del tutto dagli effetti del Rosso, avrebbe finto di esserne ancora vittima e di aver catturato gli altri tre all'esterno; gli uomini della montagna rapivano continuamente terrestri, ma lui non ne comprendeva il motivo.

Probabilmente avevano anche catturato uno dei membri del popolo del cielo, nonché proprietario di quell'oggetto luccicante che lui aveva raccolto chissà dove, il che aveva portato a quella bizzarra alleanza.

Tuttavia al terrestre non dispiaceva: per quanto non riuscisse a comprendere completamente le azioni di quegli Skaikru e non si fidasse ancora del tutto di loro (oltre al fatto che quello coi capelli scuri e ispidi lo aveva gonfiato di botte, anche se non ricordava bene tutto quello che era successo), era mille volte meglio stare insieme a loro che vagare con i Mietitori, in un'eterna confusione rabbiosa in attesa della dose.

Inoltre avrebbe voluto sapere che fine avessero fatto i suoi fratelli: aveva solo ricordi nebulosi del momento in cui erano stati catturati, ricordava solo la grotta semibuia in cui li aveva visti l'ultima volta, mentre una voce priva di espressione sanciva il loro destino con parole vuote che lui non riusciva a comprendere. Una rabbia incontenibile (ma molto diversa da quella provocata dalla droga) lo invadeva ogni volta che quelle immagini riaffioravano nella sua mente, e per questo era impaziente di attuare il piano.

Per questo riusciva a capire il comportamento di Iwaizumi, che fremeva dalla necessità di rientrare in quei cunicoli bui per riportare indietro colui che gli era stato strappato. Non era ancora riuscito a capire che tipo di rapporto lo legasse a quell'Oikawa, ma sicuramente era un legame abbastanza stretto da metterlo in condizione di rischiare la vita senza nemmeno pensarci. Tutto sommato lo rispettava, anche se aveva ancora il viso tumefatto per i suoi pugni.

 

 

Shoyo e Kenma erano diventati amici senza che Kuroo se ne rendesse conto: era la prima volta che il biondino stringeva un legame con un altro essere umano che non fosse lui, e Tetsurou provava una strana sensazione a metà tra l'orgoglio e la gelosia, ma sorrideva nel vedere Kozume parlare con tanto trasporto con qualcun altro. Forse stava davvero ricominciando a vivere dopo tutti quegli anni da recluso, e la solarità del piccolo terrestre indubbiamente aiutava. Avevano passato ore a parlare di chissà cosa a bassa voce, e gli occhi dorati di Kenma rilucevano di piccole stelle mentre si lasciava coinvolgere dalla vitalità del ragazzino terrestre.

 

Shoyo, anche se continuava ad andare avanti e indietro dal bunker, in realtà era rimasto a vivere all'esterno, nella baracca: era cresciuto tra gli alberi e non sarebbe riuscito a dormire sottoterra, o almeno così aveva detto per giustificare la sua scelta. In realtà era rimasto al vecchio campo principalmente per un motivo, e quel motivo aveva un nome e un cognome: Tobio non aveva avuto nessuna intenzione di cedere e spostarsi nel bunker, non finché ci fosse rimasto Tsukishima, e nessuno si era impegnato davvero per convincerlo.

L'unico che gli aveva rivolto la parola sulla questione era stato Daichi, che lo aveva preso da parte e con poche ma eloquenti frasi gli aveva fatto presente che se avesse riprovato per qualsiasi motivo a mentire a Koushi o a turbare in qualunque modo il suo umore avrebbe visto un lato dell'ex ufficiale che gli avrebbe fatto desiderare di non essere mai nato. Tobio non aveva voluto sperimentare oltre quell'inquietante versione inedita di Daichi e si era scusato, anche se continuava a covare rancore per il fatto che Tsukishima e Yamaguchi non fossero stati rimproverati.

 

In reazione alla strigliata di Sawamura, Kageyama si era chiuso nel mutismo. Ovviamente era un'occasione troppo piena di attrattiva per Shoyo, che evidentemente adorava tormentarlo nei suoi momenti di intrattabilità per qualche motivo incomprensibile. Per questo il terrestre continuava a stargli intorno nonostante tutto, attendendo chissà quale reazione dal ragazzo (e ignorando deliberatamente il rischio che tale reazione avrebbe potuto coinvolgere oggetti taglienti lanciati nella sua direzione).

 

 

Daichi aveva atteso ben quarantotto ore per permettere a sé stesso di tirare il fiato, almeno per il momento.

Era stato l'ombra di Koushi in quei due giorni, e finalmente tutti i sopravvissuti dell'attacco si erano ripresi abbastanza per non destare più preoccupazione nel suo fidanzato.

Certo, ne avevano persi altri due, più uno disperso e tre impegnati in una missione probabilmente suicida, ma anche Sugawara sembrava ormai essersi tristemente abituato a quella situazione.

Daichi lo sentiva sospirare spesso, preoccupato per i compagni a cui si era già affezionato, e in quei momenti gli si avvicinava piano e lo abbracciava da dietro, avvolgendolo con le sue braccia per proteggerlo dal resto del mondo.

Koushi non doveva soffrire.

Koushi non avrebbe più dovuto soffrire.

Era indubbiamente un obiettivo difficile, considerando quanto il medico fosse empatico, ma Sawamura aveva deciso fra sé che avrebbe fatto di tutto per non vedere mai più la sua metà in quello stato: ogni nuova brutta notizia sembrava scuoterlo nel profondo mentre all'esterno sorrideva e manteneva forzatamente la calma, ma solo Daichi poteva vedere le crepe in quel sorriso che minacciava di spezzarsi in ogni momento.

Daichi amava quella sensibilità. La amava come ogni altro aspetto dell'uomo con cui avrebbe voluto passare il resto della sua vita, la amava come la sensazione tattile dei suoi capelli serici tra le dita, la amava come le sue lunghe ciglia che ne incorniciavano le iridi dorate, la amava come la pelle delicata di Koushi, che diventava fuoco e velluto sotto le sue mani.

Lo aveva amato di nuovo, dopo giorni in cui l'unica priorità era sopravvivere, lo aveva amato dolcemente sul pavimento della navicella vuota dopo aver creato una piccola alcova improvvisata, dopo che tutti i feriti e gli oggetti ancora utilizzabili erano stati spostati nella baracca ormai ultimata. Lo aveva stretto a sé così forte da dimenticare dove si trovassero, così intensamente da immaginare di essere solo loro due, in un bozzolo al sicuro, lontani da quel mondo così ostile.

Koushi gli aveva restituito un amore altrettanto intenso, e per la prima volta da giorni avevano trascorso una notte tranquilla, uno tra le braccia dell'altro.

 

 

Keishin, Saeko, Ittetsu e Akiteru vagavano nella foresta da giorni. Si erano accorti in fretta che le persone che avevano salvato dalla Walden erano troppo deboli per affrontare un viaggio che nemmeno loro sapevano quanto sarebbe durato; per questo li avevano aiutati ad allestire un piccolo accampamento con le rovine della stazione orbitante, in una zona riparata a breve distanza dalla spiaggia e da un torrente: sarebbero sopravvissuti, vivendo sicuramente in condizioni migliori rispetto alla Walden. Solo loro avevano deciso di partire, alla ricerca dei Cento (che non erano più tali) e di qualunque traccia del loro passaggio. Avevano promesso che sarebbero tornati, anche se nessuno di loro ci credeva davvero.

Durante il cammino i quattro avevano parlato spesso, cercando di coprire con il suono delle loro parole i rumori inquietanti della foresta o il silenzio ancora più inquietante in cui i pensieri catastrofici cercavano di farsi spazio. Saeko aveva parlato tantissimo di quel fratellino che aveva cresciuto come un figlio e che non vedeva da quasi dieci anni: sperava davvero di rivederlo, ora che Takeda le aveva dato conferma della sua presenza tra i Cento, e continuava a pensare a cosa avrebbe potuto dirgli una volta che se lo fosse trovato davanti.

Anche Akiteru aveva un fratello che era stato deportato sulla Terra con i Cento: per quanto non essere figlio unico fosse una cosa rara e inusuale sull'arca, era stato quello uno dei motivi per cui si era affezionato tanto a Saeko, poiché entrambi avevano dovuto convivere con quella consapevolezza.

Si chiamava Kei, e probabilmente non si ricordava nemmeno più della sua esistenza. Non che avesse motivo di farlo, visto che lui era stato un pessimo fratello maggiore, ma non aveva avuto altra scelta. Era stato molto vago nell'accennarlo agli altri tre: ormai erano lontani dall'Arca, non c'era più bisogno di mantenere quel segreto, ma non si sentiva comunque a suo agio nell'aprire quel vaso di Pandora.

Lui non voleva pensare a quando avrebbe incontrato Kei, non sapeva nemmeno se voleva davvero affrontare quella parte del suo passato.

Rinchiuse quel pensiero in fondo alla mente e cambiò discorso, seppellendo le sue preoccupazioni sotto le problematiche più impellenti legate alla sopravvivenza.

 

 

Vivere nel complesso equilibrio della città dentro la montagna era un po' come stare in una boccia di cristallo. La chiave per sopravvivere con la sanità mentale sufficientemente intatta era non rendersi conto di esserne prigionieri: l'inconsapevolezza era la salvezza, e Tooru l'aveva capito troppo tardi.

Aveva cercato di nascondere la sua rabbia dietro sorrisi falsi e gentilezza forzata, aveva resistito a insultare quell'Ushijima per diverse volte (aveva guadagnato che gli venissero tolte le cinghie che lo legavano al letto, il che era stato un ottimo compromesso) e si era sforzato seriamente di fargli credere che volesse davvero rimanere lì dentro, al sicuro dal mondo esterno e in una società civilizzata e avanzata, piuttosto che tra i selvaggi all'esterno.

Aveva chiesto un paio di stampelle, accompagnando la richiesta con un sorriso e poi con il suo migliore sguardo speranzoso: voleva riprendere a camminare a tutti i costi, o avrebbe davvero rischiato di rimanere prigioniero della montagna per sempre.

Gli erano state concesse, anche se poteva solo cercare di muoversi nella stanza, perché la porta era comunque chiusa a chiave dall'esterno.

Un passo alla volta, tra un picco di dolore e l'altro.

Ce l'avrebbe fatta, ne era sicuro.

La sua volontà di ferro l'aveva portato a ottenere grandi risultati in passato, quindi sarebbe andata di nuovo così, indubbiamente. Tutto si sarebbe risolto, e avrebbe presto rivisto Hajime.

Sussurrava tra sé il suo nome, come un mantra.

Ogni passo stentato appoggiato a quelle stampelle, ogni fitta di dolore che metteva a tacere mordendosi le labbra a sangue lo avvicinavano a lui.

Iwa-chan. Iwa-chan. Iwa-chan”.

 

 

Bokuto aveva assaporato la vita quotidiana nella montagna fin dal suo secondo giorno di permanenza, e già sembrava apprezzarla parecchio. Akaashi gli aveva fatto da guida nei corridoi, gli aveva raccontato la storia della base segreta che era stata costruita quasi duecento anni prima segretamente dal governo, sotto la copertura di una grande esposizione universale di innovazioni scientifiche, e che si era ampliata negli anni, fino a diventare un rifugio temporaneo e poi definitivamente la loro casa, la loro protezione dalle terribili radiazioni esterne.

Il posto che indubbiamente Koutarou amava di più però era l'enorme sala da pranzo comune, dove Akaashi gli aveva detto che avrebbe potuto mangiare tutto ciò che voleva: non che il cibo fosse più la priorità, ora che poteva perdersi nelle iridi color della notte della sua guida improvvisata, che si stava dimostrando sempre più dolce e paziente con lui.

 

Keiji lo aveva consolato quando era corso da lui in lacrime in piena notte, dopo aver fatto un incubo terribile sui suoi amici che morivano carbonizzati uno dopo l'altro, mentre lui era costretto a restare a guardare, rinchiuso dentro un cubo di vetro.

Bokuto era diventato irriconoscibile: la voce che tremava, le lacrime che scendevano incessanti, le parole che non bastavano a descrivere l'orrore che aveva provato.

Keiji lo aveva abbracciato, gli aveva sussurrato nell'orecchio che andava tutto bene, che era solo un sogno e che i suoi amici erano salvi, e presto lo avrebbero raggiunto.

Bokuto era inconsolabile, quindi Akaashi gli aveva fatto una promessa: non potendo accompagnarlo all'esterno perché ipersensibile alle radiazioni (come tutti gli abitanti della montagna) gli avrebbe mostrato un modo per verificare che i suoi amici stavano bene, però avrebbe dovuto attendere il momento propizio per evitare le guardie, perché il luogo in cui voleva portarlo era riservato agli addetti ai lavori.

Koutarou si era tranquillizzato, e alla fine si era addormentato con Keiji che gli accarezzava i capelli, come un bambino.

Quando si era svegliato Akaashi era ancora lì, accanto a lui, con una mano che ancora stringeva la sua.

Forse tutto stava davvero accadendo per un motivo, e per Bokuto tutta quella serie di imprevisti e vicissitudini che lo avevano condotto sulla Terra iniziava ad avere un senso: se era successo tutto perché conoscesse Akaashi, allora avrebbe potuto accettare anche una situazione mille volte peggiore.

 

 

Un urlo di dolore gli uscì prepotentemente dalle labbra ancora prima di rendersi conto di avere finalmente ripreso conoscenza. Ci mise un minuto di troppo a rendersi conto che quella era la sua stessa voce, e che la sua fragile coscienza apparteneva di nuovo ad un corpo tangibile, oltre che fottutamente dolorante.

Non era solo.

Qualcuno stava spargendo una sostanza vischiosa dall'odore pungente sulla sua schiena, che bruciava come se fosse stata cosparsa di carboni ardenti. Era sdraiato a pancia in giù su una sconosciuta superficie lignea, forse un tavolo o qualcosa del genere.

Si è svegliato, Heda” disse una voce maschile che aveva già sentito, anche se non ricordava in quale occasione.

Sei stato un ottimo guaritore nonostante tutto, Tora. Non potevo lasciarlo morire, dopo che mi ha salvato la vita” rispose lei, la cui voce avrebbe riconosciuto fra mille.

Fece per voltarsi per mettere a fuoco il viso della bella comandante, ma il dolore alla schiena gli spezzò il respiro, strappandogli un lamento strozzato.

“Non muoverti, va tutto bene… devi solo aspettare che quelle ferite guariscano, fratello Skaikru” disse Tora, amichevole.

“...Fratello? Mi pareva che fino a poche ore fa voleste ammazzarmi… ma magari ho frainteso e mi avevate solo invitato a una grigliata, non capisco ancora tanto bene la lingua dei terrestri, sapete” rispose Tanaka con voce roca, con un exploit del suo sarcasmo delle grandi occasioni. Ormai aveva ben poco da perdere, poteva anche permettersi di fare brutte battute per distrarsi da quel dolore insopportabile.

Tora non rispose subito, ma non parve offendersi: “Hai salvato la vita alla mia Heda, per me ora è un dovere salvare la tua, come se fossi mio fratello” concluse, mentre continuava a spargere l'unguento puzzolente sulla sua schiena martoriata.

“Lascia che te lo chieda… come mai hai preferito proteggermi con il tuo corpo piuttosto che fuggire? Il villaggio è andato completamente distrutto, nessuno ti avrebbe inseguito… siamo sopravvissuti solo noi tre” prese la parola la comandante, spostandosi nel suo raggio visivo e guardandolo negli occhi.

Ryuu rimase in silenzio, improvvisamente incapace di formulare una risposta.

Perché non era scappato, invece di proteggere una persona che aveva appena ordinato la sua condanna a morte? Perché si era lanciato nella traiettoria dell'esplosione, per ritrovarsi coricato su un tavolo di legno con la schiena probabilmente squarciata e ustionata, a giudicare dal dolore? Come mai aveva messo la vita di quella giovane donna davanti alla sua?

Non poteva spiegarlo a parole, non senza abbassare totalmente le sue difese.

“È stato… l'istinto. Ho visto la bomba e ancora prima di accorgermene ho agito. Sì, l'istinto.” bofonchiò Tanaka, cercando di sostenere lo sguardo insieme dolce e autorevole della comandante, che senza quella strana maschera dipinta sul viso sembrava molto più umana.

“Eh, l'istinto...” commentò Tora, sollevando un sopracciglio.

“Comunque… vorrei sapere quanto è disperata la situazione lì dietro” cambiò discorso in fretta Ryuu, adducendo alle ferite sulla schiena.

“Ora sanguinano molto meno, ma quando tre giorni fa siamo arrivati qui le ustioni erano molto peggiori e avevi quella scheggia conficcata nella carne” rispose Tora, indicando un enorme pezzo di metallo mezzo insanguinato abbandonato in un angolo. Ryuu sussultò, reprimendo un'ondata di nausea.

“...aspetta. Hai detto che ho dormito tre giorni?” chiese, sconcertato.

“Esattamente, tre giorni e tre notti. Ad un certo punto ho pensato che non ce l'avresti fatta, la tua fronte scottava troppo” rispose Tora, con un'ombra sul viso.

“E invece ci vuol altro per uccidermi, quindi vi sarei grato se faceste passaparola con tutti gli altri terrestri di non provarci più, e ognuno per la sua strada” ghignò Tanaka, felice di essere vivo anche se dolorante.

Era strano che nonostante i precedenti i due terrestri non se la stessero prendendo nuovamente con lui, accusandolo del fatto che Terushima avesse fatto parte del suo stesso popolo: probabilmente avevano capito che Yuuji aveva agito in base a una vendetta personale, oppure la gratitudine per aver salvato la Heda era più forte del cieco desiderio di vendetta indiscriminata.

“Non so se il mio popolo mi rispetterà ancora dopo quello che è successo” abbassò lo sguardo la comandante “Aver fallito di nuovo nel tentare di proteggere la mia gente è una macchia imperdonabile, e probabilmente quando gli altri clan ne verranno a conoscenza per loro sarà solo questione di decidere se detronizzare prima me o attuare subito la vendetta contro il tuo popolo” concluse sospirando, ma senza perdere il suo contegno.

 

“Ma Heda… non penso che potrebbero mai mettere in discussione la tua autorità per questo… tu stessa ti sei salvata per miracolo!” obiettò Tora, abbattendo un pugno sul tavolo.

Lo sguardo della comandante era assente, perso nei ricordi: stava rievocando immagini di due inverni prima, che avrebbe preferito cancellare per sempre dalla sua mente.

 

La nube acida, i suoi uomini che cadevano intorno a lei.

La sua pelle che bruciava mentre cercava di issare un corpicino esile sul suo cavallo, per cercare di salvare almeno quella vita. Quella giovane vita a cui teneva più della propria, di colei che sarebbe stata con ogni probabilità la sua erede al ruolo di comandante.

Quei capelli biondi che celavano un viso deturpato dalle ustioni, quel respiro che si spegneva troppo in fretta, quelle piccole mani che avevano perso ogni calore mentre la comandante spronava il cavallo oltre la nebbia bruciante.

Era morta. Erano tutti morti.

 

 

Il piano era stato congegnato in modo perfetto, non poteva fallire.

Kyotani aveva spiegato con le sue parole tutto quello che ricordava della sua cattura e i tre si erano vestiti con abiti nella foggia dei terrestri, che il biondo aveva recuperato chissà dove.

Non era prudente farsi riconoscere come Skaikru, perché se Tooru era ancora vivo la loro presenza sarebbe stata considerata sospetta e avrebbero attirato troppo l'attenzione: si erano sporcati il viso e avevano indossato bizzarri ornamenti e uno strano miscuglio di abiti militari e pelli di animali, mentre Kyotani si era sforzato di recuperare l'aspetto minaccioso di quando era sotto il controllo della droga dei Mietitori.

Si erano mossi al tramonto, e Kyotani li aveva legati tutti e tre con funi logore e consumate, che all'occorrenza erano semplici da sciogliere.

Iwaizumi inizialmente si era opposto alla partecipazione di Matsukawa e Hanamaki, ma i due amici gli avevano ricordato la sua ultima missione suicida e avevano insistito tanto che alla fine aveva capitolato; lungo la strada Hajime non riusciva ad evitare di preoccuparsi per loro, oltre che per la sorte di Tooru, che lo angosciava tanto da farlo sentire male fisicamente, come se avesse una scheggia di vetro conficcata nel petto.

Una volta raggiunto l'imbocco della grotta principale, il terrestre aveva inserito la mano in una cavità, aprendo una porta segreta nascosta nella roccia. Da lì era stato tutto un susseguirsi di cunicoli semibui, che i quattro avevano attraversato senza fiatare.

Era andato tutto bene, fino al momento in cui non erano arrivati al termine del tragitto sotterraneo: nei pressi dell'ultimo tratto c'erano altri due Mietitori, che iniziarono a grugnire minacciosi all'indirizzo dei tre falsi prigionieri. Uno dei due fissava Takahiro come se avesse appena deciso cosa cucinare per cena, e Issei strinse i pugni per impedirsi di mandare a monte tutta la copertura.

 

Una volta aperta la porta metallica si ritrovarono all'inferno.

Tre terrestri erano già legati e inginocchiati sul pavimento di pietra, e Kyotani li spinse accanto a loro.

Un uomo alto dalla strana capigliatura rosso fiammante, con gli occhi piccoli e acquosi, ghignava assistendo alla scena, fasciato in un camice candido che contrastava con la penombra della grotta.

“E così abbiamo un bel carico stasera, eh?” commentò, avvicinandosi al primo dei terrestri e sollevandogli il mento per guardarlo in faccia. Era un ragazzo esile, ancora troppo giovane per essere definito un uomo; il dottor Tendou sollevò un sopracciglio e pronunciò la sua sentenza: “Raccolto”.

Poi passò al secondo, un nerboruto terrestre con la barba e un occhio chiuso e ricoperto di sangue rappreso: “Mietitori”.

La terza era una donna, che sembrava come in trance; fu condotta in un corridoio buio, destinata al Raccolto.

Kyotani gli aveva detto che non sapeva cosa sarebbe accaduto a chi veniva scelto per il Raccolto: i suoi due fratelli minori avevano seguito quella sorte, e non aveva idea del destino a cui erano andati incontro. Non che essere scelto per i Mietitori fosse una possibilità migliore, visto che portava a perdere sé stessi, ma lui in fondo si era salvato. Tutti e tre avevano ripensato alla scena raccapricciante a cui avevano assistito tre giorni prima: volendo stare al significato metaforico, il “Raccolto” sembrava destinato ad una fine peggiore, probabilmente a diventare il pasto dei Mietitori. Ma a che pro?

Matsukawa si sforzò di non vacillare quando, valutandolo per la sua stazza, l'uomo col camice lo destinò ai Mietitori; tuttavia non potè impedirsi di reagire quando l'uomo noto come Tendou Satori, la mente dietro quel progetto, pronunciò lentamente la parola “Raccolto”, fissando Hanamaki negli occhi come se volesse ucciderlo con lo sguardo. Il Mietitore che l'aveva puntato poco prima gli si avvicinò, alzandolo con la forza e strattonandolo, mentre lui si sforzava di non tradire la sua paura.

 

Fu un attimo.

Issei si liberò di scatto, sguainando un lungo coltello che aveva tenuto nascosto in uno stivale.

Stava mandando a puttane il piano, ma non gliene fregava nulla.

Il suo addestramento militare gli permise di approfittare del momento e puntare la lama alla gola di Satori, che inizialmente fu stupito ma poi riprese immediatamente il suo ghigno strafottente ed esplose in una risata: “Ebbene, cosa credi di fare ora?” chiese, mentre gli altri due Mietitori arrivarono alle sue spalle, minacciosi.

Avvenne tutto come al rallentatore: con due rapidi fendenti della sua sciabola Kyotani abbattè entrambi i Mietitori, strappando un verso sorpreso al dottor Tendou: “E così questo sarebbe un ammutinamento?” chiese, mentre un rumore di passi pesanti annunciava l'arrivo di rinforzi armati, che aveva chiamato chissà come.

 

Poi Hajime capì: era il suo momento, perché nessuno stava facendo caso alla sua presenza.

Issei gli lanciò uno sguardo oltre la spalla di Satori, sperando che l'amico riuscisse a cogliere quell'attimo prezioso.

Iwaizumi esitò per un istante: come poteva lasciare lì i suoi amici, senza sapere cosa sarebbe successo loro? Aveva senso che si sacrificassero in quel modo perché lui potesse salvare Oikawa?

Matsukawa gli lanciò un altro sguardo eloquente mentre i passi si avvicinavano sempre più: doveva farlo, non aveva scelta. Sarebbe tornato a salvarli in seguito, promise a sé stesso.

Si slegò le mani, sgattaiolò nel buio dietro una porta socchiusa e si ritrovò in un corridoio diverso, in cemento e illuminato da chiare luci al neon: si infilò poi in un'altra stanza appena in tempo, perché un istante dopo da quello stesso corridoio fecero irruzione nella stanza semibuia le guardie della Montagna, pronte a sedare la piccola rivolta.

 

La stanza in cui si era intrufolato sembrava un magazzino, pieno di congegni medici e boccette di liquido rosso; dopo qualche istante di panico, finalmente Hajime individuò quello che gli interessava: un condotto di aerazione. Aprì la grata con poche mosse esperte e si introdusse nello stretto cunicolo, sperando davvero che in qualche modo l'avrebbe condotto da Tooru.

Mentre respirava a fatica nello stretto condotto, strisciando sulla superficie metallica, improvvisamente un urlo squarciò l'aria e rimbombò in tutto lo spazio chiuso dove si trovava: era la voce di Hanamaki, che presto si spense in un silenzio assordante.

Non c'era stato nessun rumore di spari, ma il terrore congelò Hajime sul posto, tanto che dovette costringersi a proseguire facendosi violenza, mentre lacrime che non si accorgeva di versare scivolavano silenziosamente sul suo viso macchiato dalla pittura dei Trikru.

Continuò a strisciare per un tempo imprecisato, mentre le sue percezioni si confondevano e l'aria diventava sempre più pesante: da dove poteva iniziare a cercare Tooru? E se l'avesse trovato, come avrebbero fatto a uscire da quel luogo tremendo?

Non riusciva a trovare risposte, e si ritrovò a sussurrare piano tra sé il nome di Oikawa, come un mantra.

 


E niente, con un ritardo spaventoso è finito anche questo uwu Prima o poi forse riuscirò a mantenere le mie promesse, ma non è questo il giorno *sospir
Però dai, in compenso è tornato Tanaka quindi mi perdonate, vero? Veeeeero?
Anyway, ringrazio i fedelissimi lettori che mi seguono fin dall'inizio e spero che questa storia che va avanti ormai da più di sei mesi non vi stia annoiando... in ogni caso sono sempre aperta a recensioni, critiche e suggerimenti! Un bacione a tutti, e ci si vede al prossimo capitolo~
May we meet again...


_Kurai_

 

   
 
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