Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
Segui la storia  |       
Autore: Stella94    20/03/2017    9 recensioni
Dal primo capitolo:
"La pelle di suo marito contro la bocca era calda, emanava un dolce sentore di buono e abiti puliti.
Le piaceva la sensazione di averlo intorno a se, contro di se. Jon era sempre stato una fortezza di segreti, ma ora che l’aveva fatta entrare sapeva quanto valeva caro quel mondo inesplorato."
[Jonsa]
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jon Snow, Sansa Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
                                                                                                               


                                                                        Il primo giorno
 

 
 





Si era svegliato prima di lei quella mattina, e gli era piaciuto il modo in cui si era sentito.
C’era ancora il cielo grigio, basso, denso che prometteva altra neve, gelo e tempesta. Eppure Jon provava una sorta di strana eccitazione nello stomaco, come se quello fosse stato il giorno, una data che stava aspettando da tempo, qualcosa che avrebbe cambiato tutto.
Si distese su un fianco e trovò lei. Rannicchiata, sotto le coperte, aveva una ciocca di capelli rossi scomposta sul viso, un braccio piegato verso il petto come a farsi coraggio.
Jon si chiese che colore avessero i suoi sogni. Era stata la prima volta che avevano condiviso lo stesso letto. Non aveva avuto idea di cosa si sarebbe aspettato, ma era da molto che non si trovava in un’intimità simile con una donna, e aveva fatto fatica a prendere sonno.
Quella non era sua sorella, per quanto si costringesse ancora a definirla a tale, e quel corpo morbido premuto contro la sua schiena pareva ricordargli insistentemente chi era, cos’era diventato.
Alla fine si era arreso.
Nel bel mezzo della notte gli era apparso che Sansa sussurrasse il suo nome, la mano di sua moglie lo aveva cercato al buio, quasi annaspando. E quando aveva sentito delle dita, fredde e delicate sfiorargli il petto era stato li a pregare, sperando di poter essere abbastanza, di riuscire a vedere sempre, oltre il buio e l’incertezza, e di essere capace di tenerla, nel modo in cui Sansa Stark avrebbe meritato.
Sansa sembrava ancora una bambina, che aveva bisogno di stringersi qualcosa al petto durante il sonno. Ma il temperamento che Jon era riuscito a scorgere nei suoi occhi, quel fuoco, la determinazione con cui aveva percorso il parco degli dei, come a voler sfidare il mondo a rimanere senza fiato, aveva innescato in lui un’emozione a cui ancora non riusciva a dare un nome.
Scoprì che rimanere a fissarla, mentre era inconsapevole della sua quasi ossessiva attenzione, gli piaceva ed era bello far crollare qualsiasi barriera difensiva che aveva eretto tra lui e le persone che gli stavano intorno.
Se continuava a tenere gli occhi chiusi, Sansa non si sarebbe mai accorta del modo in cui Jon la stava studiando, ammirando con interesse la piega morbida delle labbra, il loro colore di un rosa pallido e perfetto, la linea degli zigomi, e quella armoniosa del naso.
Cercò di ricordare a com’era da bambina, ma in realtà Jon aveva sempre visto Sansa come una stella, lontana e irraggiungibile. Non gli era stato mai concesso fissarla, andare nella sua stessa direzione, offrirle il suo aiuto, o addirittura pensare di toccarla.
Sansa si era sempre dimostrata scostante, incomprensibile. L’aveva sentiva cantare spesso, versi infantili, favole di principesse e cavalieri. Aveva cercato di capire cosa ci trovasse di tanto gratificante nel ricamo, e nello stare ore a pettinarsi i capelli davanti allo specchio. E l’aveva trovata esasperante quando in continuazione stava minuti interi ad aggiustarsi i suoi vestiti sulle gambe, ad accertarsi che il fiocco che teneva stretto tra le ciocche rosse fosse sempre perfetto, tirato bene in alto.
E fu in quel momento che, con un pizzico di eccitante sgomento, si accorse che voleva toccarla, perché semplicemente ora poteva farlo. Voleva toccarla, spinto dall’irrefrenabile idea di renderla sua e dal pensiero che lo era davvero come mai avrebbe osato immaginare.
Cominciò con il spostarle la ciocca di capelli che aveva adagiata sul viso. Gliela mise dietro l’orecchio e così riuscì a vederla meglio. Sansa dormiva ancora, inconsapevole della sua audacia e della sua follia.
Si immaginò un mondo in cui non esistesse oltre a quell’insolito momento. Lui disteso su un fianco, ad osservare quel piccolo frammento di gioia, troppo puro e fragile per le sue mani assassine, e capì che gli bastava. Non si era mai sentito tanto in pace con se stesso.
Sansa gli gonfiava il cuore, e ad un tratto, mentre le stava accanto, gli pareva quasi di volare. C’era una sorta di certezza nei suoi occhi quando lo fissavano, e Jon ogni volta sapeva che avrebbe trovato comprensione.
Poteva sentire qualcosa muoversi dentro di lui. Non l’aveva mai provato, ed era più intenso di quello che si aspettasse.
Era un’emozione, un grido soffocato, ed ogni cosa era infinitamente troppo piccola e voleva poterla rendere grande abbastanza da soddisfare ogni suo bisogno. Jon provava il desiderio di sentirla contro, e la curiosità di sapere come avrebbe reagito. Le mani gli formicolavano e non volevano stare ferme.
Era sua, no? Poteva prenderla, assicurandole che sarebbe andato tutto bene. Sarebbe stato semplice e legittimo. Pretendeva solo di toccarla, e sapere se la sua pelle fosse fatta effettivamente di seta come aveva sempre immaginato. O quanto morbide sarebbero state le sue labbra al tocco.
Cosa mi sta succedendo?
La notte scorsa si era dimostrato risoluto e deciso. Sansa gli si era offerta, tutta famiglia e dovere, ma era stato abbastanza forte da proteggerla e altrettanto giusto da capire che non poteva essere il modo migliore.
Si era tormentato per giorni pensando a cosa suo padre, l’uomo che lo aveva cresciuto, avrebbe pensato.
E quando finalmente si ripeteva che nei suoi occhi severi c’era sempre stato l’ordine appena sussurrato di proteggere le sue sorelle, Jon vedeva passare Sansa davanti ai suoi occhi, bella come una mattina di pallida primavera, gentile e sempre accorta, mentre quasi fluttuava nei suoi abiti di seta e di merletti, facendola assomigliare al bagliore di un sogno.
Mia moglie, la donna della mia vita, come posso, padre, proteggerla da me stesso, se devo renderla parte di me stesso? E cos’è questa spinta che sento? Sembra quasi incitarmi a tenerla sempre più vicina.
Perdonami, padre. Ho sbagliato tutto.
Non avrebbe mai dovuto accettare quel matrimonio. Si sentiva uno sciocco, quasi un burattino.
Robb sarebbe stato disgustato. Provò ad immaginare la sua faccia se lo avesse visto adesso, lui mezzo nudo nel letto dei suoi genitori; Una mano protesa verso Sansa, gli occhi fissi sulla ragazza quasi a divorarla.
Si morse la lingua con i denti, e il dolore gli servì a farlo finalmente ritornare nel mondo.
Con un ringhio avvilito, si mise seduto sul materasso dando a Sansa la schiena. Stanco, provato e confuso, cercò di rimanere lucido passandosi una mano tra i capelli folti.
Il sesso tirava nell’intimo, non era facile imporre al proprio corpo di annichilire certe pulsioni. Poteva provare a combatterle, ma il sangue fluiva troppo veloce a volte, incendiandolo di un fuoco nuovo.
Non so più chi sono.
Gli sembrava addirittura di non riuscire a ricordare per quale motivo avesse accettato un accordo simile. Strinse le labbra in una smorfia frustata, proprio nel momento in cui avvertì un tocco leggero e freddo sul fianco.
Era Sansa.
Con gli occhi per metà aperti lo fissava, come ancora avvolta dalla nebbia di un lungo sogno. Le sue iridi di un blu intenso, parevano piccoli solchi di cielo in un viso pallido, sereno. Con le punte di due dita, continuava a toccarlo piano, delineando i contorni di una vecchia cicatrice; un brivido che lo percorse lungo la schiena ricordandogli ancora quella parte di se stesso che non sarebbe mai stato  abbastanza caparbio da controllare.
─Questa me la ricordo quando te la sei fatta. ─la sentì mormorare con la voce ancora impastata dal sonno. Jon segui con gli occhi la traiettoria del suo sguardo. Vide se stesso, la pelle bianca leggermente frastagliata dove un tempo si era aperta una grossa ferita, la mano di Sansa, leggera e raffinata pareva il tocco di una piuma caduta dal cielo. ─Eravamo bambini, stavamo giocando nel bosco, fuori dalle mura di Grande Inverno. Mi hai afferrato all’ultimo minuto, prima che Arya mi colpisse con una pietra. Siamo scivolati lungo un burrone pietroso. Ma tu mi hai fatto scudo con il tuo corpo affinché non mi facessi male. Quando però ci siamo rimessi in piedi sanguinavi.
─E’ così che va fatto ─ convenne quasi mormorando ─I fratelli maggiori si prendono cura delle sorelle.
Allora Sansa alzò lo sguardo su di lui. Era la prima volta quella mattina che lo fissava.
Il colore dei suoi occhi si era scurito, sembrava come se dentro si stesse agitando una tempesta. C’era una silenziosa accusa in quell’occhiata. Non era severa, non era comprensiva. Le dita sulla sua pelle strinsero e Jon si sentì troppo esposto, troppo stupido, troppo ingenuo.
─Non siamo mai stati fratelli ─ il suo tono non era greve, Sansa continuava a sussurrare come se qualcuno la spingesse a parlare nel sonno. ─Ci hai mai pensato? Mia madre non ti permetteva neppure di mangiare con noi e io mi sono fatta influenzare dal suo giudizio. Hai sempre cercato di mostrarmi il lato migliore di te, ricevendo in cambio il lato peggiore di me.
Jon si girò, rimettendosi supino sul letto. Subito il profumo di sua moglie lo invase e quasi con sgomento si rese conto che gli era mancato.
Con gli occhi rivolti al soffitto, sospirò, già stanco ancora prima di essersi del tutto svegliato. Sarebbe stato bello non dover uscire da quella stanza. Sotto le lenzuola, Jon non era un re, non era un cavaliere, un principe promesso e neppure un traditore. Era solo Jon ed era incredibilmente leggero. Ecco si, pareva fatto quasi di nuvole e nebbia.
─Non voglio pensare al passato, Sansa ─e gli mancava anche il suo tocco sulla pelle ─Non voglio pensare a quello che è successo e che avremmo potuto cambiare.
La sentì muoversi sotto le coperte, poteva quasi vederla con la coda dell’occhio distesa su un fianco a reggersi la testa con una mano. Sentì il suo sguardo su di se.  Jon lo voleva, e restare fisso a studiare il soffitto gli serviva a pensare prima di dire qualcosa di stupido e incompleto.
─Non ho alcuna intenzione di rimpiangere il passato, Jon. Quello che sono stata, mi ha aiutato ad apprezzare la persona che sei adesso. Se ti avessi avuto da sempre, ora non sarei spaventata dall’idea di perderti.
Sembrava seria mentre parlava, un cipiglio ad aggrottare la sua fronte pallida. L’oceano dei suoi occhi ora era meno profondo, più limpido e trasparente. Jon percepì come una fitta, in mezzo al cuore, prepotente quasi come un fulmine. Lo strinse in una morsa che non faceva male, ma era prepotente, dotata di una forza a cui non sapeva opporsi. Si allungò per darle un bacio sulla fronte. La sua pelle al mattino era calda, e profumava di lenzuola pulite.
─Tu non mi perdi. ─Le assicurò sorridendo appena ─ Ci terremo a vicenda.
E dovette alzarsi dal letto, prima che fosse stato abbastanza sconsiderato da dare peso alla voce che gli ordinava di stringerla più forte.
 
 
Mappe, pergamene, calamai, piume impiastrate di inchiostro, piani di guerra scarabocchiati in linee imprecise, erano sparsi sul tavolo di quercia nella stanza grande che un tempo apparteneva a Ned Stark.
Lui la chiamava il “Pensatoio”, ed era lì che spesso si rinchiudeva per giorni interi, aspettando di compiere la scelta giusta.
Jon non era altrettanto bravo a trovare la soluzione migliore, ma si stava sforzando di vedere qualcosa di più oltre i segni, gli scritti, immagini di terre abbozzate da grandi maestri.
Si rendeva conto che stava da ore con le braccia aperte, con la testa china sul tavolo provando ad ipotizzare mosse, immedesimandosi in corpi freddi, dalle menti ferocemente rigide, i loro occhi azzurri come dominati da spettri. Schioccò la lingua sul palato e si passò la mano sul mento reso ispido dalla barba scura.
Occorrevano più uomini.
─Sei l’ultima persona che credevo che avrei incontrato questa mattina, vostra grazia. Soprattutto in questa stanza.
A Jon non servì girarsi per sapere a chi appartenesse quella voce. Lord Baelish. Ditocorto, per una fortuita circostanza, Lord Protettore della Valle, e colui a cui, ammettendolo con non poca rabbia, doveva la vita.
In futuro, pensò, doveva stare attento a chiudere bene la porta, e ad ordinare alle sue guardie di non far entrare nessuno, a meno che non si fosse trattato di una questione di estrema urgenza.
─La guerra incombe, Lord Bealish. Dobbiamo tenerci pronti ad affrontarla.
─Senz’altro ─Convenne Ditocorto con l’accenno di un sorriso fin troppo ostentato. Nel avvicinarsi Jon non poté fare a meno di notare che appariva meno radioso del solito. Portava una lunga tunica color prugna, e oro tra le dita e lungo il collo, ma sembrava avere l’aria di qualcuno che per tutta la notte si era rigirato nel letto, senza prendere sonno. ─Ma dopotutto sono passate solo poche ore dalle tue nozze. Comprendo la gravità della situazione, ma anche al re è concesso poter festeggiare nel modo migliore l’importanza di un tale evento.
Jon lo soppesò con lo sguardo, poi tornò a rivolgere l’attenzione alle pergamene sparse sul tavolo. A Lord Bealish piaceva giocare, e ben poche volte amava lasciare che gli altri vincessero. Jon decise che non avrebbe proprio cominciato la partita quella mattina.
─Ieri è stato allestito un grande banchetto. Si sono divertiti tutti.
Petyr inclinò la testa ─I banchetti sono per gli invitati. La parte migliore arriva alla fine, quando tutti sono troppo ubriachi per vedere e per sentire.
Jon tornò ad osservare il suo ospite. Una delle tante cose che odiava di Lord Baelish, era che pareva sempre così fastidiosamente tranquillo, come se fosse ogni volta un passo avanti, capace di prevedere qualsiasi mossa, ancora prima che qualcuno l’avesse concepita. Faceva parte, dopotutto, della sua fortuna.
Jon odiava il modo in cui lo faceva sentire. Piccolo, inesperto, costantemente in procinto di compiere uno sciocco e imperdonabile sbaglio. Si trascinava una sorta di potere dietro le sue lunghe tuniche spesse ed eleganti. Era l’unica persona, in tutto Grande Inverno, capace di scaturire in lui una rabbia fredda tanto accecante da fargli quasi perdere il senno.
─Lord Baelish, mi piace andare dritto al punto, soprattutto quando ho questioni più importanti di cui occuparmi. Cosa vuoi chiedermi?
Il Lord protettore della Valle sorrise. Una risata nervosa, quasi forzata. Si portò il pugno chiuso sotto il mento, gli occhi tradivano l’ombra di un certo disagio. Forse questa volta era stato Jon ad anticipare la sua mossa.
─Sono solo un umile servitore del reame, cosa mai potrei pretendere di chiedere al re del Nord?
Jon strinse le labbra mettendosi dritto con la schiena. Messi uno di fronte all’altro, avevano quasi la stessa altezza, ma Jon era più robusto, imponente, faceva sembrare Ditocorto un fuscello rinsecchito.
Nonostante l’evidente disparità, Petyr non arretrò e non accennò neppure un battito di ciglia.
Aveva smesso di ridere, ma riservava un certo contegno. Lui, a differenza di Jon, era bravo a mascherare le sue più cruente emozioni. Poteva solo immaginare cosa stesse provando; risentimento, rabbia, frustrazione.
─Vuoi sapere se me la sono portata a letto, vero? Se Sansa mi si è concessa.
Petyr Bealish sbiancò, a Jon venne naturale pensare che quella doveva essere la prima volta in tutta la sua vita. Aveva gli occhi chiari spalancati, le labbra strette come a mordersele. I pugni chiusi parevano celare una sorda minaccia, ma Jon rimase dritto, freddo come un blocco di marmo, duro, incontenibile.
─Sono solo preoccupato per le sorti del Nord ─ Ammise Ditocorto quasi come una preghiera che aveva imparato a recitare di notte prima di dormire ─La credibilità della vostra unione è fragile. Una spaccatura all’interno getterebbe le sorti di mezzo regno alla dannazione.
─No ─ A Jon veniva quasi da ridere ─Non è della Valle che ti importa. Tu vuoi Sansa. Immagini di essere me. Vorresti averla. È questo che ti tormenta. Vorresti essere al mio posto.
La postura di lord Bealish si rilassò, sciolse i pugni, la testa leggermente inclinata su una spalla.
─Tutti uguali voi Stark. Arroganti, pieni di ego. Vi vantate di cose che non avete nessun diritto di possedere.
Fu un attimo, la rabbia e il risentimenti lo accecarono. Quando aprì gli occhi si ritrovò così tanto vicino a Lord Bealish da sentirsi avvolto dal suo profumo dolciastro di menta e di limone.
Lo teneva fermo, ad un palmo dal naso con la mano stretta al bavero della sua tunica.
Improvvisamente gli apparve così piccolo, fragile, e pietosamente vulnerabile che ebbe l’insito di lasciarlo andare. Ma aveva caldo, ed era intensa la collera che sembrava sorgergli in mezzo allo stomaco, che si ritrovò a stringere i denti, una smorfia micidiale sul volto pieno di sdegno.
─Ora tu mi ascolti. ─ borbottò quasi in un ringhio ─Non osare mai più nominare la mia famiglia. E non osare pensare a Sansa, in qualsiasi modo. Lei è mia, capito? Mia! E’ mia moglie, appartiene a me. Stalle lontano, o giuro che sono pronto a mandare alla malora il nostro accordo e il reame intero pur di vedere la tua testa penzolare da una picca.
Non sapeva cosa esattamente si aspettava da Ditocorto. Che tipo di reazione si sarebbe potuta disegnare sul suo viso, o quale mossa avesse tentato per riscattarsi da un’umiliazione simile. Di certo però, non si aspettava di vedergli spuntare un ghigno sul volto esausto scavato dal tormento. Un ghigno di puro divertimento, quasi di gioia. Come lo sguardo trionfale di chi era appena uscito vincitore da una sanguinosa battaglia.
─Tu non l’hai avuta ─ e rise ancora ─Tu hai paura…
─Che cosa sta succedendo?
Sansa era lì, all’uscio della porta, meravigliosa e lucente in un abito di lana ricamato con pietruzze preziose. Si era legata i capelli in una treccia lunga abbandonata sopra a una spalla. Alcune ciocche sfuggivano dall’acconciatura, donandole un’aria deliziosa ed innocente. Le labbra rosse erano leggermente spalancate dallo sgomento, gli occhi azzurri sembravano l’unica cosa che possedesse luce nella semioscurità della stanza.
─Niente ─Si giustificò Jon pieno di vergogna, lasciato subito la presa sulla tunica di Petyr ed arretrando, la testa bassa, umiliato. Si chiese quanto di quella conversazione avesse ascoltato. Pregò, sperando che fosse appena arrivata ─Lord Bealish stava andando via.
Ditocorto gli scoccò un’ultima occhiata vittoriosa. In quel momento Jon seppe che aveva perso di nuovo. Lo vide  piegarsi in un accenno di un inchino. Quando raggiunse sua moglie si fermò e attese. Era orribile il modo in cui restò a fissarla, profondamente, intimamente, come se riuscisse a penetrare sotto il tessuto dei vestiti. Lei sembrava non accorgersene. Non aveva mai capito.
─Ti auguro di trascorrere una buona giornata, mia regina.
Sansa lo soppesò con lo sguardo, ancora un po’ atterrita.
─Auguro lo stesso anche a te, Lord Bealish.
Poi la sua attenzione fu tutta puntata su suo marito, che imprecando con i pugni stretti, si era già rimesso a fissare le sue pergamene, con il cuore ancora in gola e l’espressione vittoriosa di Ditorcordo sotto le palpebre, che era stato capace di colpirlo in ogni suo punto debole.
Voleva rimanere da solo, la presenza di Sansa lo agitava più di quanto quella di Petyr avesse fatto poco prima. Non era dell'umore giusto per un eventuale confronto. Il modo in cui avanzò verso di lui gli fece sospettare che Sansa invece era in cerca di risposte.
─Ho avuto come l’impressione che stavate litigando, poco fa.
Jon schioccò la lingua sul palato ─Non stavamo affatto litigando, Sansa. Non c’è nulla di cui tu debba preoccuparti.
Sansa gonfiò il petto, dentro la scollatura del vestito ricamato. L’aroma del suo profumo dolce lo spinse ad alzare gli occhi, fino ad incontrare due pietruzze azzurre, purissime e perfette. Pareva che una luce bianca splendesse al loro interno, ed erano micidiali quanto bellissime. Qualcosa che a Jon ricordò vagamente lo sguardo solitamente corrucciato di Lady Catelyn.
─Non mentirmi, Jon. Mi stai trattando come se fossi una stupida. Non provarci a tenermi fuori.
Perfetto, pensò nel momento in cui la vide correre via, questo è solo il nostro primo giorno che trascorriamo come marito e moglie, e ho già rovinato tutto quanto.  
 
 
CONTINUA…

 
 
Ed eccomi qui, ritornata con il secondo capitolo. Lasciate che prima vi ringrazi, non mi aspettavo tanto entusiasmo da parte vostra! Sono rimasta colpita! Davvero grazie! Mi avete dato l’entusiasmo giusto per continuare, spero non mi abbandonerete adesso!
Cosa ne pensate? Ho sempre voluto vedere un confronto Petyr/Jon sull’argomento Sansa, e così ho pensato di scriverci su. Se vuoi fa funzionare una Jonsa, penso che l’ingrediente principale è l’attrazione fisica. In questo momento Jon è molto attratto da lei (come biasimarlo?) ma è anche molto tormentato dai sensi di colpa. Certo che la vicinanza di Sansa –vedrete in futuro- non sarà di aiuto per lui. Ho anche cercato di alternare i POV. Scrivere un po’ dal punto di vista di Sansa, un po’ da quello di Jon. Spero che come idea vi piaccia.
Ora vi pongo un quesito. Volete il terzo capitolo di questa storia? O che continui wildest dreams ritardando l’aggiornamento di questa? Fatemelo sapere, voglio cercare di venirvi incontro e accontentarvi quanto più possibile!
Grazie mille di tutto!! A presto! 
   
 
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones / Vai alla pagina dell'autore: Stella94