Fumetti/Cartoni americani > Voltron: Legendary Defender
Segui la storia  |       
Autore: nitin    20/03/2017    2 recensioni
Questa Klance si articola in sms, di tanto in tanto interrotti da qualche spiegazione giusto per far capire che, in realtà, c’è un filo logico dietro a questa trashata.
-
Cosa diamine era successo, la sera prima…?
31/03
11:04
“Appena puoi, dimmi se ti senti meglio.”
11:04
“Bellissima dichiarazione, comunque. Dovresti fare il poeta.”
11:04
“Adesso vado a dormire. Vedi di non chiedermi di sposarti in questo lasso di tempo.”
Genere: Angst, Comico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Sono viva.
Vi chiedo scusa per il ritardo, sono stata impedita da un po’ di interrogazioni a scuola e solo ora sono riuscita a pubblicare il capitolo. Penso sia uno dei capitolo di cui vado più fiera, quindi spero seriamente che ne rimaniate soddisfatt*!
Importante:
Alla fine, questo è il penultimo capitolo. Presto pubblicherò l’ultimo, ma se ne avessi scritto uno solo mi sarebbe venuta una roba lunghissima e meno bella di ciò che avevo in mente, quindi ecco a voi!
Superimportante:
Ecco la canzone protagonista di questo capitolo. Non vi dico chi la canta.
https://www.youtube.com/watch?v=4JipHEz53sU
 
Buona lettura, gioie ♡
 
CAPITOLO 14
 
01/09, Santa Marta, Cuba, ore 15:36
 
Anche settembre, a Cuba, era estremamente caldo. Anzi, a dire il vero, era decisamente il mese più caldo. E terribilmente umido, come se non bastasse. La temperatura media durante quel mese era di 29 gradi Celsius, ma in certi giorni si alzava addirittura a 35. Se non altro, pioveva spesso.
Per chi amava il caldo, quella era una benedizione: al mare si stava bene, l'acqua era piacevolmente rinfrescante, e in riva alle spiagge la brezza era fresca, quando accarezzava i corpi umidi delle persone.
Che poi, a dire il vero, agosto e settembre erano i mesi peggiori per andare a Cuba perché pioveva spesso e c’era sempre il rischio di una tempesta tropicale, ma fondamentalmente ai turisti non importava, quindi ci andavano lo stesso.
Cuba era piena di persone in ogni singola stagione. Fin da sempre, ma in particolare dall'inizio dell'Embargo, l'economia dell’isola si era basata principalmente sul turismo, quindi chiaramente gli abitanti locali non avrebbero mai rinunciato ad accogliere persone su persone provenienti da qualsiasi parte del globo, giorno e notte, d’inverno o d’estate.
Effettivamente, Cuba era un posto meraviglioso. Turisti da tutto il mondo e di tutte le età giungevano a riempire le strade e le spiagge, a renderle un misto di varie etnie, di vari colori di pelli, dalle più chiare dell'Europa del nord alle più scure dei popoli afro-americani, e di varie forme del viso, dagli occhi più assottigliati dei turisti orientali alle labbra più carnose delle donne delle isole esotiche.
E ancora, le città brulicavano di vestiti diversi, di camicie a fiori classiche degli americani, di veli tutti colorati tipici dei paesi mediorientali, di ragazze in bikini fantasiosi e ragazzi in costumi monocromo.
La fortuna di quel caldo afoso erano i venti alisei, freschi e rinvigorenti, che permettevano la pesca, le escursioni in vela, e davano alle persone un minimo di sollievo da quel caldo, insopportabile per la maggior parte degli abitanti.
 
Quel giorno, l’aliseo soffiava forte.
A dire il vero, la temperatura in generale era parecchio bassa, grazie al vento e alla pioggia, ma per chi era abituato al caldo quello era un vero toccasana.
Le spiagge erano vuote a causa dei forti rovesci d’acqua, ma le strade no, quelle erano sempre piene di gente, ora coperta da mantelline e ombrelli.
Alle persone non importava il tempo: Cuba era bella, le persone erano dolci, e tutti, nel loro minimo, nel loro microcosmo, stavano bene.
 
Lance e Pidge erano a casa di Hunk, nel centro di Santa Marta, seduti sul divano davanti alla televisione e allo schermo di un computer.
Il volume della tv, già basso di suo, era reso completamente inutile dal suono della pioggia che sbatteva contro i vetri e contro le strade, e dal vento che muoveva le persiane e le foglie degli alberi che costeggiavano i viali.
Ma non era la tv il soggetto principale di quel momento, bensì lo stesso computer, e Lance, che sull’orlo delle lacrime lo guardava. Gli occhi rossi, le borse scure sotto di essi, le mani che tremavano sulla tastiera. Una mano di Hunk sulla spalla destra, una mano di Pidge su quella sinistra. E sospiri che uscivano dalle sue labbra.
« Non ce la farò mai. » ripeteva da almeno cinque minuti, singhiozzando senza lasciare che lacrime isteriche gli solcassero gli zigomi abbronzati.
Lo sguardo era fisso sul prezzo dei biglietti aerei per il primo del mese di ottobre, direzione Seul, Corea del Sud. E gli occhi stessi erano vuoti di tutto, se non di panico.
« Lance… Ci hai pensato a fondo? » la vocina di Pidge ruppe il silenzio, accompagnata dalla pioggia in sottofondo e dai sottili singhiozzi del ragazzo dai capelli castani e dagli occhi blu mare.
« Sì. Sì, ci ho pensato. Solo… Pensavo costassero meno. » soffiò questo, ritirando le mani dalla tastiera del computer e posandosi i palmi davanti agli occhi, come sperando che, levandoli, si sarebbe trovato davanti un prezzo dimezzato.
Costavano. Costavano tantissimo. E lui i soldi li aveva, certo, li aveva per davvero, perché aveva lavorato sodo e Dom gli aveva prestato ciò che aveva potuto, ma… Ma quello era il momento in cui avrebbe dovuto decidere tutto.
Avrebbe dovuto decidere se comprarli o meno, quei biglietti. Avrebbe dovuto decidere se spendere o meno tutti i soldi che aveva, che erano più di quanti ne avesse mai avuti, per andare a prendere un ragazzo che non aveva neppure mai visto dal vivo. Dall’altra fottuta parte del mondo, per di più.
« Lance… Devi decidere ora. Più i giorni passano, più i biglietti costeranno. » sussurrò Hunk, con la voce profonda che tremava dal nervosismo quasi più di quella dello stesso Lance. E Lance, dal canto suo, aveva posato una mano sul mouse.
Il cursore del computer pronto sul tasto “Acquista”.
Il cuore che gli batteva nel petto come un martello pneumatico.
Avrebbe dovuto decidere in fretta.
 
Se avesse premuto quel tasto, avrebbe comprato i biglietti. Se avesse comprato i biglietti, avrebbe dovuto trovare un modo per dire ai propri genitori che sarebbe stato via per almeno tre giorni, senza far scoprire loro assolutamente nulla.
Si sarebbe dovuto arrangiare da solo per città che non conosceva, lui, che da solo non riusciva neppure ad andare a L’Avana.
Avrebbe dovuto mantenere la calma, una volta arrivato in Corea, perché se si fosse perso a Seul non avrebbe assolutamente capito come uscirne vivo. I Coreani lo parlavano l’inglese, tra le altre cose? Lance lo sperava davvero.
Avrebbe dovuto cercare il collegio di Keith da solo, organizzarsi una mappa per arrivare dall’aeroporto a lì.
Avrebbe dovuto mantenere il segreto… Perché a Keith non avrebbe detto niente di niente. Voleva fargli una sorpresa, proprio come aveva sempre sognato di fare. Voleva farsi trovare sotto al suo orfanotrofio, salutarlo, abbracciarlo per ore e ore, regalargli una rosa, magari, e renderlo felice. E quello, mantenere il segreto, sarebbe stata la parte più difficile.
 
Se non avesse premuto quel tasto, invece, tutto sarebbe finito.
Non avrebbe mai più avuto il coraggio di scrivere a Keith ancora, perché ciò avrebbe significato un fallimento.
Avrebbe avuto in sé la consapevolezza di aver illuso Keith per tutto quel tempo, di aver infranto le promesse che gli aveva – troppo presto e troppo ingenuamente – fatto, di avergli spezzato il cuore.
Avrebbe avuto su di sé il peso di qualsiasi cosa fosse capitata a Keith, perché se lui avesse ripreso a farsi del male, se lui fosse ricorso a maniere drastiche per superare quel casino che era la sua vita, la colpa sarebbe stata solo propria.
E Lance non era disposto ad accettarlo, perché ormai era troppo tardi. Anche se non gli sembrava vero, non gli sembrava vero che un ragazzino ingenuo e stupido come lui si fosse preso tali responsabilità, responsabilità che avrebbe potuto benissimo evitarsi se solo non avesse mai continuato a rispondere a quei messaggi, cinque mesi prima, quella sera dell’ultimo giorno di marzo.
Ma ormai se le era prese. E voleva tenersele.
E voleva viaggiare per mezzo mondo, vivere una fiaba, andare a prendere il ragazzo che amava e portarlo via con sé. Anche se quella non era una fiaba, era la vita reale, e Lance non aveva soldi neppure per respirare, la maggior parte delle volte.
Ma non gli importava. Per cinque mesi era stato innamorato di lui. E ora, ora sarebbe andato a prenderlo, nonostante tutto.
 
Lance premette il tasto “Acquista”.
 
« … Okay. Bene. L’ho fatto. » furono le proprie parole, sussurrate solo numerosi secondi dopo che, sullo schermo, era apparsa la scritta “Grazie per aver acquistato i nostri biglietti, le auguriamo una buona vacanza!”.
Un biglietto di andata per Seul, due biglietti di ritorno da Seul.
Pidge e Hunk stavano ancora osservando lo schermo, increduli. Era chiaro che non pensassero che Lance sarebbe andato fino in fondo, era chiaro che pensassero che si sarebbe fermato, ma non l’aveva fatto. E Hunk fu il primo a parlare.
« Sei una grandissima testa di ca- »
« Lo so, Hunk! Lo so, ma ormai l’ho fatto. L’ho fatto, okay? Me ne vado a Seul. Me ne vado a prendere Keith. Tra un mese esatto. Se non torno, vi ho voluto bene. » la voce di Lance era isterica, nervosa e tremula, e un sorriso a dir poco inquietante gli solcava le labbra. Era euforico e terrorizzato al tempo stesso.
E come avrebbe potuto non dirlo a Keith? Come avrebbe potuto non dirgli “Ehi, quando esci non scappare subito che devo venirti a prendere”? Come avrebbe potuto mantenere quel segreto per fargli una sorpresa? Perché, se gli avesse detto che non sarebbe potuto andare a prenderlo, lui ci sarebbe rimasto malissimo… Ma se gliel’avesse detto sarebbe saltato tutto!
Doveva pensare a qualcosa.
« Pensi che lo dirai al suo amico, come si chiama, Shiro? » soffiò Pidge, e a Lance si illuminarono gli occhi. Giusto, Shiro! Si sarebbe decisamente fatto consigliare da lui!
« Sei un grande, Pidge. Ho un’idea fantastica. »
 
 
01/09, Varadero, Cuba, ore 18:35
 
Lance aveva il telefono tra le dita, gli occhi fissi sul contatto di Shiro, ed era estremamente indeciso sul chiamarlo o meno.
Sicuramente lui avrebbe potuto consigliarlo bene, conosceva Keith meglio di chiunque altro e aveva la possibilità di vederlo quando voleva, quindi sarebbe stato un bene, parlarne con lui.
Quindi, sconfiggendo le proprie paure, Lance lo chiamò, sperando seriamente che fosse già sveglio.
 
« Uh, pronto, Shiro? »
« Hm… Chi è? »
« Oh, sono Lance! Sai, il Lance di Keith… »
« Oh, certo, certo. Dimmi tutto, Lance. »
« … Ti prego, dimmi che non ti ho svegliato o mi sentirò in colpa per tutta la vita… »
« Non preoccuparti, sono sveglio da un po’. Di cosa hai bisogno? »
« Ecco, io… Vorrei chiederti un consiglio. Insomma, oggi ho preso i biglietti dell’aereo, no? E, ecco- »
« Aspetta, cosa? »
« Cosa devo aspettare…? »
« Hai… Preso i biglietti? Per venire qui? »
« Beh, certo che li ho presi… »
« Nel senso… Parti e vieni qui a prendere Keith? Tra un mese? »
« Io- Certo che ci vengo! Avevi dubbi? »
« Ovviamente avevo dei dubbi. Non pensavo che volessi farlo davvero. »
« Shiro, Keith ha praticamente tentato di uccidersi per colpa mia, penso che portarlo via da lì sia il minimo che posso fare, no? »
« Lance, quella, uh, non è assolutamente stata colpa tua. »
« Sì, sì, non è questo il punto. Insomma, ho preso questi diamine di biglietti e- »
« Lance, fermo. Tu pensi davvero che, una volta uscito da qui, Keith potrà fare ciò che vorrà? »
« … Non… Non è così? »
« Maledizione, Lance! Ti rendi conto dei problemi che ha quel ragazzo? Ha bisogno di cure e di persone che gli stiano accanto, non può permettersi di prendere e volare fino a dove diamine abiti con qualcuno che non ha mai visto prima! »
« Shiro, tu invece ti rendi conto che io e lui di questa cosa ne abbiamo parlato e che lui non vede l’ora che io venga a prenderlo, vero? »
« Non è assolutamente rilevante. Non posso lasciarlo andare con qualcuno del quale non so nulla in un paese ad anni luce da qui. »
« Shiro, tu non sei suo padre! E se lui mi ama e io amo lui allora io vengo in quella città di Satana in cui abitate, me lo carico in spalla e me lo porto dove mi pare, okay? Ti è chiaro il concetto? »
« Lui ti ama. Questo è innegabile. E so benissimo che vorrebbe venire via con te. Ma non funziona così nella vita reale, Lance. »
« Allora, dimmi cosa devo fare per guadagnarmi la tua fiducia. »
« Dimmi dove abiti. »
« Varadero, Cuba. A dire il vero, un po’ in periferia di Varadero… Più vicino a Santa Marta, ecco. »
« Che lavoro fanno i tuoi genitori? »
« Mio padre gestisce un supermercato, mio fratello maggiore ha un’officina, mia madre invece non lavora. »
« Hai altri fratelli? »
« Una sorella di quattordici anni e un fratello di due. »
« E tu, tu lavori? »
« Lavoro al supermercato di mio padre tutte le mattine, ho lavorato come babysitter, dogsitter, catsitter, ho anche tenuto una tartaruga e dei pesci rossi, e ho lavorato come cameriere in un pub e in un ristorante. Ti basta? »
« No. Non frequenti un’università? »
« Mi sarebbe piaciuto studiare ingegneria aerospaziale, ma non, uh, non potevamo permettercelo. »
« A quanto ammonta il reddito annuo della tua famiglia? »
« Uh… Il cosa? »
« Fammi un elenco delle vostre assicurazioni. »
« Non so se abbiamo assicurazioni… Cosa sono? »
« I tuoi genitori sanno di questa storia che hai con Keith? »
« No, ma mio fratello lo sa! »
« Quindi, se Keith venisse con te, per i tuoi genitori sarebbe una sorpresa? »
« Sì! »
« Risposta sbagliata. Richiamami quando saprai rispondere a tutte le mie domande e quando l’avrai detto ai tuoi genitori. Allora, magari, ti darò una mano con Keith. »
 
Shiro riattaccò il telefono in faccia a Lance.
… E Lance non si sarebbe mai, mai aspettato parole del genere da parte sua.
Ma avevano senso. Odiava ammetterlo, ma avevano senso. E odiava ammetterlo perché, e solo ora lo realizzava, aveva davvero cercato di vivere una fiaba.
 
Che poi, insomma. Keith sarebbe diventato maggiorenne, no? Quindi che senso aveva, per Shiro, porgli tutte quelle domande? Perché non avrebbe potuto fare quel che diamine voleva?
Non era importante; ora come ora, doveva solo informarsi. Doveva saper rispondere a tutte le domande di Shiro. E doveva parlarne con i propri genitori.
Ecco, quella sarebbe stata la parte più difficile. Non solo dire loro che era innamorato di un ragazzo, ma anche aggiungere che lui, quel ragazzo, non l’aveva mai visto. Non aveva idea di come l’avrebbero presa. Se gli avessero detto di no? Se gli avessero vietato di andare in Corea, come avrebbe fatto? Sarebbe scappato di casa? E poi?
Non poteva saperlo. Per prima cosa, ne avrebbe parlato con la madre.
 
 
01/09, Varadero, Cuba, ore 21:36
 
21:36
“Keith, ti scrivo tra poco, okay? Devo parlare a mia madre di una cosa!”
21:37
“Va bene, non è un problema. Ci sentiamo dopo.”
 
Il momento era arrivato. Il padre era andato a dormire presto, quella sera, perché la mattina seguente si sarebbe dovuto svegliare parecchio presto; la sorellina stava tenendo Adrian, e insieme guardavano la tv; Dom era in camera sua: tutto era perfetto. La madre Athalie stava pulendo la cucina, con i capelli castani raccolti in un muccetto e un grembiulino rosso legato attorno alla vita, in maniera tale che le coprisse il leggero vestito a fiori rosa e arancioni.
Lance la osservò per qualche secondo.
Mai e poi mai, in famiglia, era saltata fuori quella conversazione. Mai Lance aveva parlato di ragazzi, mai aveva anche solo accennato ad un’ipotetica omosessualità di qualcuno. Non aveva idea di come la propria famiglia avrebbe reagito.
« Uh, mamà? Posso parlarti un secondo? » sussurrò il castano, varcando la soglia della cucina e chiudendosi alle spalle la porta di legno.
La madre, con una spugna impregnata di sapone in una mano e lo sgrassatore nell’altra, posò lo sguardo su di sé, annuendo con un sorriso dolce dipinto sulle labbra sottili. Lei e Lance avevano sempre parlato di tutto, non c’erano mai stati segreti, tra di loro… Fino a cinque mesi prima.
« Lancey, certo che puoi. Vieni, dimmi tutto. » la sua voce era tenera e rassicurante, morbida come zucchero filato. E Lance, ora, doveva solo radunare tutte le forze che aveva in corpo per sputare fuori i propri segreti.
« Ecco, io… Uh… Mi- mi sono innamorato. Penso. Cioè, ne sono sicuro. »
« Patito, cosa mi dici mai? Di chi? Oh, sono così felice! » stava gridando, quella donna, con la sua vocina acuta ed emozionata! Lance le fece segno di rimanere in silenzio, posandosi l’indice davanti alle labbra.
« Mamà, por favor… Non voglio che lo sappiano tutti, è un segreto! » sì, Lance stava cercando di prendere tempo. Non sapeva come dirglielo. Non sapeva che parole usare, che faccia fare… Forse avrebbe solo dovuto dirglielo con naturalezza? Sì, avrebbe fatto così. Sarebbe andato tutto bene.
« Ecco, io… Di… Di un ragazzo. Si chiama Keith. »
L’aveva detto. L’aveva fatto. Aveva detto alla madre di essere innamorato di un ragazzo. Aveva ammesso di non essere più eterosessuale. E non riusciva a guardarla in faccia, ora, perché sapeva benissimo che faccia avesse: confusa, interdetta, e probabilmente non sapeva cosa dire. Ed era così.
Athalie sbatté le palpebre un paio di volte, prima di piegare appena il viso di lato. Lance, in silenzio, aveva lo sguardo fisso sui propri piedi.
“Parla”, pensò, “ti prego, di’ qualcosa”; e Athalie parlò.
« Oh, beh… Non- Non me l’aspettavo. Sei sempre stato un tale donnaiolo… Mi hai colta proprio di sorpresa. » la sua voce era nervosa, ma non arrabbiata. Lance tirò un sospiro di sollievo. Ma, ora, sarebbe arrivata la parte più difficile.
« E dimmi, Lancey… Di dov’è questo Keith? Abita a Santa Marta? »
Ecco, appunto. Lance, ancora una volta, sospirò. Doveva dirglielo in quel momento o mai più, non poteva aspettare, doveva dirle tutto, così poi avrebbe richiamato Shiro e si sarebbe messo d’accordo con lui.
Doveva farlo per il suo Keith.
« Oh, lui è di… Uh… Seul. Corea. Corea del Sud. Sai, tra Cina e Giappone, penso. »
Aveva fallito in pieno. Aveva pronunciato quelle parole con tranquillità, con vaghezza, e Athalie aveva sgranato gli occhi. No, così non andava bene. Lance doveva riprendere a parlare prima che lei iniziasse a rispondergli.
« Sai, ci siamo conosciuti per caso, sul telefono, qualcosa come… Cinque mesi fa, e abbiamo legato tantissimo! Lui è una persona dolcissima! Cioè, soffre di depressione, quindi a volte sta un po’ male, ma la maggior parte delle volte sta bene, anzi, a dire il vero ultimamente sta sempre bene! E insomma, soffre di depressione perché vive in un orfanotrofio, perché i suoi genitori sono morti quando era piccolo, ma tra un mese ne uscirà, no? Quindi ora sta davvero meglio! »
La madre non aveva smesso un attimo di guardarlo, con gli occhi chiari sgranati e con le dita strette attorno alla spugna, tanto da sporcarsi tutta la mano di sapone.
Poi, il silenzio calò. Il respiro di Lance era irregolare, le proprie gambe tremavano, ma ormai aveva detto tutto. Tranne la parte in cui lui voleva scappare, andare a prenderlo, tornare e vivere come se nulla fosse stato.
E già fin lì la madre non sembrava essere molto contenta di quelle nuove notizie, anzi, sembrava confusa, preoccupata e… Senza parole. Ma alcune parole uscirono comunque dalle sue labbra.
« E tu… Tu sei, ecco, innamorato? Di questo ragazzo della Corea. Che è depresso… E che suppongo tu non abbia mai visto? »
Lance annuì. Non sapeva che altro fare se non annuire con tutta la convinzione che avesse in corpo. Sapeva che la madre non si sarebbe mai aspettata una cosa del genere da sé, sapeva che la situazione non si sarebbe risolta facilmente, ma aveva già dimostrato di saper gestire la propria vita, no? e di essere una persona responsabile, quando voleva! E aveva mostrato anche di sapere cosa volesse davvero, perché Lance era testardo, otteneva sempre ciò che voleva. Tranne le ragazze, quelle non le aveva mai ottenute… Ragion per cui, ora, doveva assolutamente impegnarsi con Keith!
« Lancey, mi amor. La Corea è molto lontana, e io… Non voglio vederti triste, capisci cosa intendo dire? »
Lance lo capiva benissimo, quindi annuì. Capiva cosa intendesse: intendeva dire che non pensava che quella situazione sarebbe mai andata a finire bene, che Lance era un ragazzo emotivo e si sarebbe lasciato trasportare, e che, di conseguenza, avrebbe sofferto. Ma lei non sapeva che Lance avesse un piano.
« Lo capisco, lo so… Per questo ho un piano! Tra un mese vado in Corea e lo vado a prendere, così lo porto qui! »
Athalie lo guardò. Sbatté ancora le palpebre chiare, poi sospirò, e infine appoggiò la spugna sul bancone della cucina. Poi, sospirò ancora una volta.
« … Perdonami? »
« Insomma, ho lavorato tutta l’estate e sono riuscito a mettere da parte dei soldi, quindi oggi ho comprato i biglietti e me vado in Corea! Verso il primo di ottobre, ecco, e starò via in tutto tre giorni. Va bene, no? »
No. Non andava bene per niente.
 
« Lance, amorcito… Tu non vai da nessuna parte. » soffiò lei, scoppiando in una risatina a metà tra il confuso e il divertito.
E Lance la seguì, sorridendo. Sull’orlo delle lacrime.
Lo sapeva. Cioè, era ovvio. Era ovvio che non avrebbe mai approvato, era ovvio che non l’avrebbe lasciato andare in Corea, era ovvio che Lance sarebbe dovuto rimanersene lì a Cuba e lasciar perdere tutto.
 
Era ovvio che non l’avrebbe fatto.
Era ovvio che sarebbe scappato.
 
 
04/09, Varadero, Cuba, ore 19:12
 
Lance, ovviamente, a Keith non aveva detto nulla.
Da quella sera, da quella confessione che il castano aveva fatto alla madre, l’argomento non era più saltato fuori. Lui le aveva fatto promettere di non dire nulla al padre, lei lo giurò. In cambio, lui la rassicurò, dicendole che “non era nulla di serio” e che “avrebbe potuto lasciar perdere.”
In tutto ciò, erano tre notti che Lance non chiudeva occhio.
Dopo la discussione con Shiro, aveva fatto una marea di ricerche su cosa fossero le assicurazioni (per inciso: la propria famiglia non ne aveva), su cosa fosse un reddito annuo (per inciso: quello della propria famiglia era bassissimo) e, se non altro, aveva provato a parlarne con la madre.
Ora doveva solo… Mentire. E Lance avrebbe saputo farlo. Perché si era preparato un discorso, aveva imparato a mantenere la calma, e così avrebbe fatto.
Quindi, nel vialetto della propria casa, con il telefono in mano, premette sul tasto per chiamare Shiro. Era pronto a tutto.
 
« Pronto, Lance? »
« Sì, ciao. Allora, non abbiamo assicurazioni, ne avevamo una sulla casa ma tanto se crolla ci fa solo un piacere. Il reddito annuo non sto manco a dirtelo, è basso, ma abbiamo entrate sufficienti per sostenere quattro ragazzi e due adulti, e se mi metto a lavorare come ho fatto in questi mesi entro poco sarò in grado di prendermi un appartamento tutto mio. E ne ho parlato a mia madre. E sai che ha detto? Ha detto che va bene. Ha detto che vuole vedere se sarò in grado di cavarmela, ha detto che si fida di me e che mi lascerà venire in Corea. Okay? »
« … O-Okay? »
« … Davvero? Tutto a posto? »
« Beh, no, non è tutto a posto, ma… Ho parlato con Keith. »
« Che? Che hai fatto? Non gli hai mica detto che vengo, vero? »
« No, no, tranquillo. Gli ho solo chiesto se… Se ne fosse sicuro. »
« E…? »
« E ha detto che se non vieni a prenderlo si mette a nuotare fino a Cuba. A questo punto, preferisco saperlo su un aereo, piuttosto che in mezzo all’oceano. »
« Io… Oh. »
« Quindi, insomma, io non sono suo padre. Ma lui, per me, è come un fratello. Devi capire che ho bisogno di garanzie, ho bisogno che tu mi assicuri che non lo lascerai neppure per un secondo. Quel ragazzo è fragile, Lance, e se tu lo lasci cadere lui cade. E non si rialza. »
« Shiro… Puoi stare tranquillo. Davvero. Non penso ad altro da mesi, non dormo di notte per pensarci, e ho capito che è ciò che voglio davvero. Voglio stare con Keith, lo voglio avere qui con me. »
« Anche perché, se gli farai del male, ti giuro su ciò che ho di più caro che sgancio una bomba su tutta Cuba. Giusto per essere sicuro di non mancare la tua casa. »
« Concetto afferrato. »
« Allora… Mi sembrava volessi chiedermi qualcosa, no? »
« Sì, giusto! Ecco… Vorrei fargli una sorpresa. Hai qualche consiglio? »
« Per tua fortuna, sì. »
 
La conversazione andò bene.
Shiro gli diede degli ottimi consigli, gli disse di dire a Keith che sarebbe andato a prenderlo una settimana dopo la sua uscita dall’orfanotrofio, e che nel frattempo Shiro lo avrebbe fatto dormire a casa sua. In questo modo, presentandosi davanti al collegio il giorno stesso della sua uscita, gli avrebbe fatto una bella sorpresa.
Inoltre, Shiro gli diede indicazioni su come arrivare all’orfanotrofio dall’aeroporto, su come muoversi per Seul, consigli che Lance annotò immediatamente nel proprio quadernino degli appunti su Keith.
Al castano cadde l’occhio su alcune parole.
 
“Gli piacciono le rose bianche come a me!!!”
“Ascolta band sconosciute ma fighe”
“Non lo ammette ma secondo me ha un debole per i 5sos”
“Ama il rosso, voglio regalargli qualcosa di rosso, magari una maglietta?”
“Non indossa magliette, quindi gli regalerò un maglione”
“Non indossa magliette perché non gli piace il suo corpo”
“Anche se è bellissimo”
“Il suo migliore amico si chiama Shiro, è alto e potrebbe spezzarmi il collo con un mignolo (parole di Keith)”
“Non si è mai ubriacato”
“Ogni tanto fuma (!!!)”
“Mi ha mandato una sua foto, la stampo qui:”
 
E la foto che Keith gli aveva mandato stampata su un foglietto di carta e incollata sotto a quelle stesse parole. Lance la guardò. Osservò il suo viso dolce, i suoi capelli scuri, quelle mani che presto avrebbe stretto tra le proprie.
Sarebbe scappato in quel preciso istante, pur di andarlo a prendere.
 
 
07/09, Seul, Corea del Sud, ore 14:23
 
Dalla camera di Keith proveniva un suono molto strano. E Shiro se ne accorse, perché non era un suono che si pensava potesse provenire dalla camera di qualcuno come Keith. Erano… Gemiti, possibile? Sembravano gemiti femminili. O gemiti di una voce molto femminile.
Shiro si avvicinò alla porta, sentendosi in colpa e terribilmente incuriosito allo stesso tempo. Possibile che… Keith stesse facendo qualcosa? Con qualcuno? No, era impossibile che stesse tradendo Lance, quindi… Possibile che quella fosse la sua voce? Che fosse lui a gemere? Shiro arrossì di colpo. Keith era come un fratello minore! Non poteva fare quelle cose! Non poteva toccarsi, non era… Giusto! Era troppo piccolo ed indifeso per gesti del genere, per gemiti così spinti, così…
Shiro bussò alla porta. E Keith aprì.
 
« Keith…? »
« Sì, Shiro? »
Shiro non aveva parole per descrivere la scena che aveva davanti.
C’era Keith. In piedi, sulla soglia della porta della sua camera, con una pila di magliette piegate nelle mani, uno sguardo confuso, e… Un paio di pantaloncini addosso. Un paio di rossi pantaloncini corti. E una maglietta nera a maniche corte che gli copriva il corpo magro, lasciando ben evidenziate le braccia candide e piene di cicatrici.
Ma Keith sembrava non essersene neppure accorto. Aveva un’espressione tranquilla e confusa dipinta sul bel viso, i capelli tirati indietro in un codino, la faccia di un gatto al quale era appena stata pizzicata, per gioco, la coda.
Shiro voleva fargli una foto e mandarla a Lance in quel preciso istante. Anzi… Un video, perché i gemiti femminili di sottofondo c’erano ancora.
« Keith… Stai davvero ascoltando Nicki Minaj? »
 
Keith scoppiò in una risata cristallina, facendo cenno all’amico di entrare in camera mentre riponeva nel cassetto dell’armadio la pila di magliette ben piegate.
« Beh, sì! Me l’ha consigliata Lance! A dire il vero non la capisco molto, dice spesso parole buffe… Ma è allegra! » esclamò Keith, volteggiando per la sua cameretta al ritmo di “Super Bass”.
« Io… No, certo… »
« Shiro, stai bene? Sembri sconvolto… » Keith si incrociò le braccia il petto, forse realizzandolo solo in quel momento, il fatto che esse fossero scoperte « Oh, è per questo? Ho deciso che voglio abituarmi! Insomma, a Cuba fa caldo, e non potrò stare in felpa tutto l’anno… Inoltre, non voglio che Lance mi veda come un debole. Ha fatto tutto questo per me, voglio ricambiare diventando più forte! Posso permettermi questi pantaloncini, no? » aggiunse, indicando i pantaloncini rossi che indossava, che gli arrivavano fino alle ginocchia magre.
E Shiro, confuso ed estasiato al tempo stesso, annuì.
« Boy, you got my heartbeat running away! Beating like a drum, and it’s coming your way! Can’t you feel that bum, badum bum bum, badum bum bay? »
Keith cantava, muovendosi agilmente per la stanza mentre riordinava tutti i vestiti in ordine di colore. E Shiro, in piedi e immobile, pensò che, forse, non aveva commesso un errore poi così grande, incoraggiando Lance a venirlo a prendere.
 
« Keith? Posso farti una foto? Ti prego. Per Lance. Lui merita di vederti. » soffiò Shiro, e Keith, con il codino di capelli che ancora ondeggiava al ritmo della musica, annuì lievemente, sorridendo in direzione del proprio telefono, stretto tra le dita del migliore amico.
 
 
07/09, Varadero, Cuba, ore 00:23
 
00:23
Immagine ricevuta.
00:24
“KEITH”
00:24
“KEITH SEI TU?”
00:25
“keITH AVEvo appena preso sonno ma quESTA COME ME LA SPIEGHI”
00:25
“Keith mioddio sei l’essere più meraviglioso che sia mai stato creato da quando sei così bello io non pensavo fossi così tanto bello io”
00:25
“Keith sto avendo un attacco di panico??”
00:28
“Lance, sono Shiro. Keith dice: ‘Finisco di ascoltare Super Bass e ti rispondo’.”
00:29
“Di’ a quel ragazzo che sono pazzo di lui”
00:30
“Keith dice: ‘E io sono pazzo di te’.”
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Voltron: Legendary Defender / Vai alla pagina dell'autore: nitin