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Autore: Andy Black    29/03/2017    0 recensioni
Un uomo senza scrupoli dona ad un altro uomo senza scrupoli l'opportunità di tornare nel suo tempo, dal quale era stato bandito, imprigionato ed incatenato in una cella d'un tempio di mille anni prima. Lionell Weaves tornerà nel presente carico d'odio, pronto per consumare la vendetta che bramava da tempo nei confronti della figlia, oracolo e cristallo di Arceus, secondo le sue fonti. Il suo obiettivo è sempre lo stesso: uccidere sua figlia Rachel e recuperare il cristallo di Arceus, da consegnare al malvagio Xavier Solomon. Tuttavia l'intera Unione Lega Pokémon avrà qualcosa in contrario e farà di tutto per fronteggiare la minaccia di un mondo senza un dio.
[Diversi personaggi][OldrivalShipping, CandleShipping, SpecialJewelShipping e tanto altro][Storia con linguaggio volgare e parti violente];
Buona lettura;
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Green, N, Nuovo personaggio, Silver, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pokémon Courage'
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19. Claustrophobia
 
 
Johto, Amarantopoli, Casa di Angelo
 
Come un pugno nello stomaco.
Angelo osservava quella scena, con quei due che dormivano l’uno accanto all’altra, e qualcosa di insano cominciò a passargli per la mente. Xavier era lì, immobile, con gli occhi chiusi.
Vulnerabile.
Portò il braccio, quello sano, al fianco e sbuffò, con la televisione che ancora continuava a raccontargli, inutilmente, ciò che era successo quella notte. La spense e vide Xavier aprire gli occhi; dal canto suo, l’inventore non aveva programmato nulla di tutta quella situazione.
Non che fosse successo qualcosa.
Lo vide, cercò di fare mente locale, di capire dove si trovasse e perché quello lo stesse guardando con tutta quell’acredine. Sentì il profumo dei capelli di Cindy e ricordò rapidamente tutto, e in testa gli balzò l’immagine di quel bacio, interrotto dal fischio della teiera.
Ritornò a fissare il volto di Angelo, col braccio rotto e il petto nudo.
“Credo mi spetti una spiegazione” tuonò quello, sbattendo le palpebre un paio di volte. Xavier riusciva a sentire sotto lo sguardo la quantità di stanchezza che quell’uomo provava in quel momento.
“Stai bene?” gli domandò.
“Non tanto. Ora anche peggio”.
Xavier sorrise e annuì. “Touché… Ma non è niente di ciò che pensi. Parliamone in cucina, Cindy ha preso sonno pochi minuti fa…”.
“E tu hai aspettato che si addormentasse…”.
Xavier scivolò lentamente di lato, lasciando che la donna sprofondasse comoda tra i cuscini del divano. Andarono assieme nell’altra stanza, con Xavier che precedeva il padrone di casa.
Angelo si pose davanti alla porta, come per non farlo scappare. Xavier sospirò, cercando di far trasparire dalla sua espressione il candore della sua innocenza. Fu lui il primo a parlare.
“Ti sei fatto male al braccio, stanotte?”.
Angelo parve non sentirlo.
“Vuoi spiegarmi per quale motivo stavi dormendo accanto a mia moglie?”.
Xavier sospirò, sorridendo amareggiato. “Si dà il caso che tua moglie sia anche mia amica e...”.
“Xavier. Xavier Solomon...” sussurrò Angelo, avanzando lentamente verso di lui. “Non vi siete parlati per anni. L’hai odiata perché l’ho rubata dalle tue braccia e tu ce l’hai avuta con lei per tutto questo tempo. Invece ora vuoi farmi credere che sei qui perché sei suo amico? A te piace mia moglie. A te Cindy è sempre piaciuta”.
Gli occhi dell’ultimo arrivato erano sempre distesi, calmi. Quelli di Xavier invece erano spalancati, increduli di ciò che vedevano, con le sclere arrossate per il sonno.
“Non è così, Angelo. Nonostante tra noi non corra buon sangue (me e te, intendo) non mi ha lasciato indifferente saperti coinvolto in un affare pericoloso. E conoscendo Cindy immaginavo si fosse lasciata prendere dal panico. Tutto qui”.
“E che avete fatto?”.
“Abbiamo bevuto un tè e guardato il telegiornale. Poi mi sono addormentato e mi sono svegliato un minuto fa, con lei che mi dormiva addosso e tu che volevi uccidermi”.
“Voglio ancora ucciderti”.
“Appunto”.
Gli occhi di Angelo ben interpretavano l’espressione rocciosa che aveva assunto il suo viso. Xavier guardò per un attimo i pettorali ben scolpiti dell’uomo, seguendo la linea degli addominali.
Era bello, muscoloso, famoso e ricco.
Era quasi giusto che fosse così arrogante.
“Io non voglio più vederti. Neppure al locale, da nessuna parte. E voglio che tu dica a Cindy che non vuoi più avere nulla a che fare con lei”.
“Guarda che io già gliel’ho detto!” urlò Xavier.
“Ecco perché stanotte sei corso qui... Perché non volevi avere nulla a che fare con lei... giusto?” replicò il Capopalestra. “Amico, sii onesto con te stesso... e anche con me e, per favore, con Cindy. Tu sei ancora innamorato di lei ma lei è per me che piangeva, stanotte. Ti reputa soltanto un amico”.
“Io non sono innamorato di lei...” replicò l’altro, abbassando lo sguardo e sospirando.
“Devi uscire da casa mia”.
Xavier non se lo lasciò ripetere due volte, avanzò e tornò nel salotto a prendere il suo giubbino.
Poi si voltò e lasciò la casa di Angelo.
Tuttavia non si accorse del fatto che gli occhi di Cindy fossero spalancati. Aveva sentito tutto e il cuore le batteva duramente nel petto.
 
 
Kanto, Aranciopoli, Ospedale Civile
 
Erano passate le dodici da un paio di minuti quando Marina s’era svegliata. Si era lavata rapidamente e aveva addentato un croissant mentre infilava la giacca a vento, dopodiché si era immersa nella fiumana di persone che ogni giorno viveva tranquillamente la propria vita.
Pensava, lei. Credeva che nessuno di quegli individui immaginasse minimamente la paura che stesse provando nell’animo, in quel momento.
Sapeva di per certo che a nessuno interessasse. Sapeva che la gente si facesse gli affari propri a ogni costo, specialmente in una città grande come quella, una metropoli che conteneva milioni di teste, che contenevano miliardi di pensieri.
E tra tutti quei pensieri c’erano anche i suoi, intangibili desideri che cominciavano a rasentare il limite accettabile della speranza. Sì, perché lei, in quel preciso momento, stretta nella sua giacca nera, col vento che le arruffava i capelli castani, sperava vivamente che Gold quella notte avesse riaperto gli occhi. Sorrise, immaginando la prima battuta stupida che avrebbe pronunciato una volta risvegliatosi, in stile scusate il ritardo oppure sono stato lontano per poco e ti ritrovo già con la faccia da funerale. Ci vuole più di una vecchia lamiera arrugginita per mettere fuori gioco Gold. Ce ne vogliono almeno due. Poi sorrise di nuovo, soltanto pensando al fatto che ormai aveva capito quale fosse lo standard delle sue battute. Ormai lo conosceva da tanto, troppo tempo, e il fatto che in quel momento non fosse al suo fianco le riempiva la testa di continue domande e lo stomaco di una paura continua e dolorosa, sottoforma d’ansia armata di coltello a serramanico.
Era appena entrata in centro quando i suoi occhi color nocciola si scontrarono contro i titoli dei giornali dell’edicola vicina al porto, che enunciavano:
 
ROVINE D’ALFA SACCHEGGIATE, MORTI TRE CAPIPALESTRA
Nella notte il raid di un team criminale ha messo a ferro e fuoco i resti delle antiche civiltà di Johto. Pag.2
 
Sospirò, pensando al fatto che in quei giorni  la criminalità fosse aumentata in maniera esponenziale. Pensò alla morte di Rafan a Unima, oltre alla rapina proprio lì ad Aranciopoli; bisognava infine aggiungere gli avvenimenti di quella notte. Cercò di capire cosa potesse essere realmente accaduto ma convenne con se stessa sul fatto che dovesse essere qualcosa di parecchio importante per aver causato la morte di tre Capipalestra.
Sperò vivamente che non fosse coinvolto Angelo. Non aveva dimenticato di quando aiutò Gold con la maledizione che quell’Idrotenente gli aveva lanciato a Hoenn, nei giorni in cui si erano conosciuti.
Ricordava con passione il ricordo di quei giorni, assieme
Ricordava col sorriso di quando si ritrovò innamorata di lui.
E non sarebbe potuto finire lì. Non in quel modo.
Entrò nell’ospedale e salì al piano dove il suo fidanzato riposava. La porta era chiusa e lei l’aprì, bussando lentamente.
Vide Martino poggiato al muro accanto alla finestra, che aveva lasciato il posto accanto a Gold ad Altea, seduta in religioso silenzio con un libro tra le mani. Entrambi si voltarono quando la videro entrare.
“Hey...” disse suo fratello, guardando gli occhi di quella infrangersi sulla figura del suo uomo, ancora immobile.
“Martino, Altea... ciao” disse. Poi si girò verso la donna. “Come ti senti?”.
“Tutto bene, grazie” rispose quella, passando una mano nei lunghi capelli corvini.
“Ci sono novità, con Gold?”.
Fu Martino a rispondere. “Nulla. Nel modo più assoluto, nulla. Il respiratore ha fatto su e giù per tutta la notte ma non è successo nulla, né nel bene né nel male”.
Marina gli si avvicinò, levando il soprabito e poggiandolo sulle gambe del degente. Si abbassò su di lui e gli diede un leggero bacio sulle labbra.
“Buongiorno, amore” disse. Infine alzò gli occhi, guardando suo fratello. “Puoi andare a riposare... Quando sarai pronto andrai a fare rapporto nel mio ufficio, a Violapoli. Infine potrai tornare a Oblivia”.
“Non se ne parla” ribatté Martino. Guardò Altea negli occhi per un istante prima di continuare. “Non posso lasciarti da sola con Gold in queste condizioni”.
Poi sentirono bussare alla porta e Red e Yellow fecero il proprio ingresso.
Il primo fece un sorriso leggero e stentato guardando Marina, che fissò la propria attenzione sulla grande medicazione che l’uomo aveva sulla guancia.
“Che hai combinato?” chiese la Ranger.
Lui si avvicinò al letto e guardò Gold, carezzandogli la fronte. Poi si voltò verso di lei.
“Hai saputo di stanotte?”.
“Ho letto qualcosa sul giornale” disse, prendendo la mano di Gold. “Ma non ho ben capito”.
“L’obiettivo erano i mosaici” s’inserì Yellow, con la voce limpida. “Hanno distrutto quattro sale. Noi di Kanto abbiamo lottato accanto ai Capipalestra di Johto ma…”. Poi ebbe difficoltà a continuare.
“Non è andata bene. Abbiamo salvato soltanto un mosaico. E la cosa peggiore è che sono morte delle persone e dei Pokémon” concluse Red.
“Chi… chi è morto?” domandò la Ranger.
“Raffaello e Furio. E Chiara, questa mattina…”.
Marina spalancò gli occhi, all’ultimo nome. Sapeva che Gold avesse avuto un debole per lei, in passato, ma ora non c’era più. Abbassò lo sguardo e sospirò, dispiaciuta.
“Due erano parecchio giovani...” sussurrò Altea, abbassando lo sguardo.
Il silenzio si sedimentò per qualche secondo, diventò un minuto e i sospiri lo sostituirono immediatamente. Quella discussione aveva congelato gli animi, e in un contesto del genere, dove la speranza doveva ardere viva, non era il caso.
“Beh... noi andiamo a riposare” sospirò Martino, aiutando Altea ad alzarsi e dando un bacio sulla guancia di sua sorella.
“Ci becchiamo dopo”.
“Ciao a tutti” salutò la Kimono Girl, abbandonando la camera e lasciando la coppia di Dexholder con la Ranger.
Red si sedette accanto al ragazzo e sospirò.
“A breve ci sarà una riunione per conoscere le sorti della Lega Unificata di Kanto e Johto. In questa regione mancano cinque Capipalestra. Ed è una vergogna che qualcuno abbia causato la morte di uomini e Pokémon...” continuò Red.
Yellow abbassò lo sguardo, prima di osservare l’espressione estremamente stranita di Marina.
“I Pokémon non dovrebbero mai morire. Li usiamo come mezzi per raggiungere degli scopi, degli scudi, delle spade. Dimentichiamo che dovrebbero essere amici” fece l’ultima. Le parole della Ranger costrinsero i due Dexholder ad abbassare il capo.
“Hai ragione” rispose la bionda.
Guardarono tutti Gold quando sentirono poi bussare alla porta. Si voltarono e Sandra fece il suo ingresso.
“Buongiorno a tutti”.
Indossava un bomber nero e un jeans aderente sulle cosce. Si avvicinò a Yellow e le diede un bacio sulla guancia, poi strinse la mano a Red. Infine alzò lo sguardo, tutto sommato timidamente, verso Marina. Lei la fissava immobile, quasi incredula nel vederla nuovamente lì.
“Ciao” fece la Capopalestra di Ebanopoli.
“Che ci fai qui?”.
Gli occhi della Ranger si scontrarono con quelli della donna dai capelli turchesi, stranamente sciolti quel giorno. Sandra in borghese era una normalissima, bellissima donna qualunque.
Yellow s’intromise. “Le ho chiesto io di venire”.
Marina si voltò immediatamente verso la Dexholder. “Non mi piace che sia qui”.
Sandra sbuffò, girando la testa di lato. Il tatuaggio che aveva sul collo, a rappresentare la testa di un dragone stilizzato, era nascosto dalla lunga chioma. Ritornò a fissare gli occhi rancorosi della Ranger e inarcò le spalle per qualche secondo, prima di dare fuoco alle polveri.
“Sono stanca di questo comportamento...”.
“Tu!” replicò immediatamente Marina. “Se non avessi tentennato... Se non ti fossi bloccata, impaurita... Non avresti avuto bisogno di Gold!”.
Le urla riverberarono nella stanza, riempita soltanto dai respiri dei presenti e dai bip dei macchinari.
Sandra spalancò occhi e bocca, incredula. “Marina! C’erano più di trenta nemici e io ero l’unica persona all’interno della banca in grado di poter dare una mano ai Dexholder fuori!”.
A Red sembrò opportuno intromettersi.
“Del resto anche Gold è un Dexholder... E se Oak ha pensato bene di consegnargli un Pokédex è perché ha visto in lui delle capacità al di sopra della norma”.
“Il nonnino non è uno sprovveduto” aggiunse Yellow.
Red annuì e continuò. “Noi abbiamo l’obbligo morale di dare una mano, se vediamo qualcuno in difficoltà. A maggior ragione se è un’operazione unificata, in cui diversi Capipalestra e persone rischiano di rimetterci la pelle”.
“Avrei preferito rimanere a Ebanopoli e continuare i miei allenamenti, piuttosto che passare quel brutto quarto d’ora. E se sono qui è soltanto perché Gold mi ha salvato la vita, e gli sono riconoscente... Solo questo”.
Marina faceva segno di no con la testa, col sorriso stampato a mo’ di adesivo sul volto.
“Lui ha protetto te...” disse, quando una lacrima le attraversò il viso. “Ti ha protetto ed è stato quasi ammazzato...”.
“Questo fa di lui un eroe” le rispose Red, con Yellow e Sandra che gli facevano da coro. “E nulla potrà mai cambiare questa cosa”.
Marina non riuscì più a trattenere le lacrime e sospirò, pulendosi dal trucco sciolto che le macchiava il volto.
“Io volevo soltanto vivere in pace!” urlò, straziando i presenti nel profondo. Riusciva a trasmettere il dolore che provava in maniera impeccabile, tanto che Yellow rapprese le labbra. “Volevo stare bene... stare bene qui, con lui. Crearmi una nuova vita, lavorare. Volevo che stesse lontano dai guai...”.
“Abbiamo avuto bisogno di lui” aggiunse Sandra. “Perché è un grande Allenatore. E mi ha aiutato personalmente...”.
“Zitti!” urlò quella. “Andate via! Lasciateci in pace!”.
Sandra e Yellow inarcarono le sopracciglia e sospirarono. Si alzarono e uscirono rapidamente, seguiti da Red, che carezzò la mano dell’amico e fece per andarsene, prima di fermarsi sulla porta.
Guardò gli occhi di Marina e annuì.
“È un guerriero. Ce la farà”.
 
*
 
Yellow e Sandra si erano avviate verso la fine del corridoio. Sostarono davanti a un grosso finestrone ormai opaco, in cui la luce filtrava sporca e poco invadente.
“Allora? Perché mi hai chiesto di venire proprio qui?” domandò la Capopalestra di Ebanopoli. “Marina vuole uccidermi, e non mi sembrava il caso di presentarmi davanti a lei”.
Yellow annuì. Il modo di fare di Sandra era sempre lo stesso, diretto e sintetico. Abbassò il volto e sospirò, unendo le mani davanti al bacino.
“Avevo bisogno di chiederti una cosa. Una cosa molto importante...” disse quest’ultima.
“C’era bisogno di farlo di persona?”.
“Beh, sì. Si tratta di Lance”.
Sandra aggrottò le sopracciglia e inclinò la testa.
“Che intendi?”.
“Ho bisogno di parlare con lui di una cosa assai delicata, Sandra”.
“Che cosa?”.
“Mi serve solo il suo numero. È privata. Personale”.
“Oh...”. Sandra storse le labbra e sospirò.
“Neppure Red ne sa nulla... Perdonami...”.
La donna prese il Pokégear e prese a digitare qualcosa sulla tastiera.
“Te l’ho inviato. Tranquilla. Ma è grave?”.
“No, no” sorrise poi Yellow, con la solita e involontaria dolcezza. “Devo solo chiedergli alcune cose... Non ha fatto nulla di male”.
“Beh, okay... Non c’è problema...”.
“Grazie” disse la Dexholder, chinando il capo in segno di ringraziamento. “Credo che sia il caso per te di stare lontana per un po’ da Marina e Gold...”.
“Decisamente. Lei oggi ha avuto un brutto crollo...”.
 
 
Johto, Amarantopoli, Rainbow Hotel
 
Yellow era rientrata in albergo da sola. Red aveva deciso di sottoporsi a una seduta di allenamento e lei aveva finalmente avuto l’opportunità di potersi rilassare un po’. Da quando quella brutta faccenda del Cristallo del Caos era cominciata s’erano ritrovati invischiati in qualcosa di così difficile decifrazione da bloccarli, letteralmente, in quel limbo confusionario di eventi.
Lei stessa era stata gettata tra le fauci della paranoia, proprio la notte precedente.
Lance era suo fratello.
O almeno così aveva capito, in quell’illusione così vivida da averla resa totalmente paranoica.
Aveva conosciuto sua madre, aveva capito perché era stata abbandonata in quel bosco.
Aveva capito il motivo dei suoi speciali poteri.
Quella visione strana cambiava tutto; sì, perché era cresciuta per quasi trent’anni con la convinzione di essere sola al mondo, con soltanto i suoi amici Pokémon. I concetti di mamma e papà mancavano, quello di famiglia era limitato e circoscritto alla fauna del Bosco Smeraldo che l’aveva aiutata a crescere  e a quel vecchio pescatore di Smeraldopoli che chiamava zio.
E per quel fatto era sconvolta.
Certo, si era interrogata per anni su come fosse potuta essere possibile la sua esistenza senza dei genitori. Tuttavia, con la maturità e la vicinanza a Red aveva imparato che, certe volte, le persone possono scambiarsi i ruoli, e che gli amici possono diventare la tua famiglia.
Perché è famiglia chi ti dà amore, chi ti protegge.
Aveva scoperto, forse, che la sua famiglia, quella originaria, fosse una delle più importanti e rappresentative di Johto.
Avrebbe dovuto indagare.
Sandra le aveva inviato il numero personale di suo cugino Lance e lei aveva tutte le intenzioni di chiamarlo e indagare su quella che aveva l’aria di essere assolutamente un condizionamento mentale ingiustificato.
Il Pokégear era davanti a lei, poggiato sul letto. Yellow era seduta tra i cuscini e guardava l’apparecchio con insistenza, quasi a costringerlo ad avvicinarsi da solo. Pensò per un attimo al fatto che le lenzuola fossero veramente ben tirate e che il servizio di pulizia delle camere fosse molto efficiente.
C’era un profumo di fresie fresche, nell’aria.
Le piacevano, quei fiori.
Pensò al fatto che nel bosco crescevano allo stato selvatico e che, ogni volta che passava davanti al grande albero a nord, era solita raccoglierne un mazzolino. Sciolse i lunghi capelli e abbassò il volto, trovando finalmente il coraggio di afferrare tra le mani l’apparecchio telefonico. Aprì il menù e vide il numero di Lance, già salvato in rubrica. Lo selezionò, varando un piano d’azione in cui non sarebbe sembrata una stramba che voleva soltanto disturbare il Campione della Lega Pokémon.
Mise in vivavoce e poggiò l’apparecchio sul materasso. Il suo respiro si frammentava ogni volta che il segnale di occupato squillava, fino a interrompersi totalmente quando l’uomo rispose.
Pronto?”.
“Ehm... Lance?”.
Chi è? E come hai avuto questo numero?”.
“Lance, ciao, sono... sono Yellow. Yellow del Bosco Smeraldo. La Dexholder...”.
L’ansia  le stava facendo esplodere il cuore; sentiva le tempie pulsare.
“Oh... Ciao Yellow”.
“È stata Sandra a darmi il tuo numero”.
“Cos’altro è successo? Novità per quanto riguarda le Rovine d’Alfa?” domandò.
“No, no, in realtà volevo chiederti una cosa... è molto importante, per me”.
“Certo”.
“Tuo... tuo padre... si chiama Donald?”
Sentì l’uomo dall’altra parte del telefono tentennare. “Beh, sì... Ma tu che ne sai?”.
“È un uomo non molto alto, ti assomiglia...”.
“Hai visto mio padre?”.
“Ha una cicatrice sulla guancia?”.
“Sì, Yellow, ma stai cominciando a spaventarmi...” ridacchiò leggermente quello.
“E... che tu sappia... a Ebanopoli vive una donna di nome Diana?” ribatté famelica la bionda, piegandosi verso il Pokégear.
Passò qualche secondo prima che l’interlocutore rispondesse. “Possibile. Non ricordo con perfezione. Bisognerebbe andare negli archivi della Palestra di Sandra per vedere se ci sono dei riferimenti. Ma perché? E che c’entra con mio padre?”.
“No, nulla... è una cosa personale”.
“No, ferma” rispose Lance. “Che diamine significa?! Tu non hai nulla di personale con mio padre!”.
“No, no, assolutamente... è che...” doveva trovare una scusa, e in fretta. “È che forse tuo padre, essendo uno degli anziani del villaggio, forse poteva conoscere questa donna”.
“Glielo domanderò. Ora, se permetti, avrei da fare. Se trovate informazioni utili sulla rapina alle rovine chiamami... Possibilmente non sul mio numero privato”.
“Sì!” avvampò violentemente la bionda. “Scusami, mi spiace tanto!”.
“Sì, ciao...” concluse quello, attaccando.
Yellow si lasciò andare, rilasciando la tensione in eccesso nell’unico modo che soleva utilizzare: cominciò a piangere.
Si stese di fianco e si abbandonò alla frustrazione di non essere mai stata a capo dei propri desideri.
Non aveva mai avuto in mano le redini della propria vita.
   
 
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