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Autore: Vago    07/04/2017    4 recensioni
Libro Secondo.
Dall'ultimo capitolo:
"È passato qualche anno, e, di nuovo, non so come cominciare se non come un “Che schifo”.
Questa volta non mi sono divertito, per niente. Non mi sono seduto ad ammirare guerre tra draghi e demoni, incantesimi complessi e meraviglie di un mondo nuovo.
No…
Ho visto la morte, la sconfitta, sono stato sconfitto e privato di una parte di me. Ancora, l’unico modo che ho per descrivere questo viaggio è con le parole “Che schifo”.
Te lo avevo detto, l’ultima volta. La magia non sarebbe rimasta per aspettarti e manca poco alla sua completa sparizione.
Gli dei minori hanno finalmente smesso di giocare a fare gli irresponsabili, o forse sono stati costretti. Anche loro si sono scelti dei templi, o meglio, degli araldi, come li chiamano loro.
[...]
L’ultima volta che arrivai qui davanti a raccontarti le mie avventure, mi ricordai solo dopo di essere in forma di fumo e quindi non visibile, beh, per un po’ non avremo questo problema.
[...]
Sai, nostro padre non ci sa fare per niente.
Non ci guarda per degli anni, [...] poi decide che gli servi ancora, quindi ti salva, ma solo per metterti in situazioni peggiori."
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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 Sassi e pietruzze si strinsero attorno al pulviscolo vorticante, formando man mano che salivano un perfetto scheletro di, almeno, due metri d’altezza.
La sabbia turbinante si addensò su di questo, ricoprendo ogni osso roccioso che trovava sul suo percorso e accrescendo la massa di quel corpo in formazione.
Infine, le rocce più grosse, i pezzi di mattone rotti, le tegole spaccate e i calcinacci che ancora portavano con sé rimanenze di cardini di ferro si incastrarono gli uni con gli altri per formare una corazza in grado di proteggere il friabile interno.
Due dardi, rossi come l’incandescente lava di un vulcano, si accesero nelle due piccole fessure che erano rimaste scoperte sul volto.
La creatura piegò la testa di lato, facendo scricchiolare e frantumando i pezzi del suo guscio che si frapponevano al completamento di quel movimento.
Una crepa nacque sotto un abbozzo di naso, allargandosi e richiudendosi un paio di volte.
Le dieci dita delle mani si piegarono più e più volte, facendo cadere a terra schegge di pietra miste a sabbia e polvere.
Hile si sentì mancare, ma non seppe dire se la causa fosse la creatura che si muoveva davanti a lui o l’incantesimo che continuava a richiedergli energie.


Un grosso volatile dal nero piumaggio cadde a terra rovinosamente. Una benda insudiciata gli fasciava la vita, mentre a tracolla portava una scura borsa di pelle consumata, che produsse un vibrante rumore metallico non appena toccò il suolo.

Questo non va per niente bene.
Proprio per niente.
Non sentivo la Trama del Reale vibrare così violentemente da… dalla mia nascita.
Neppure quando il mondo rischiò il collasso per via della morte di Terra, le ripercussioni sulla Trama furono così violente.
Cosa sta succedendo lassù?
Spero non sia Follia, altrimenti non ho idea di come fronteggiare un potere del genere.
Quei mocciosi possono aver sbloccato i loro poteri? No, non è possibile. Cioè, non è possibile che siano quei poteri la causa di tutto questo casino. Gli dei minori non hanno neanche assieme tutto questo potere, figuratevi i loro araldi sul piano materiale.
Il mondo non sta nemmeno finendo, solo in quel caso gli dei possono palesarsi fisicamente, come successe alla fine della guerra.
Io non capisco, non capisco proprio per niente cosa possa produrre una simile vibrazione di energia.
So solamente che se non è dalla mia parte, io me ne scappo il più lontano possibile.


L’uccello scuro si rimise faticosamente in piedi sulle zampe, per poi spiccare nuovamente il volo con un paio di possenti colpi delle ali.


L’essere di pietra aprì un’ultima volta la bocca, per poi portare il suo sguardo penetrante sulla maga che gli stava di fronte, con i palmi sudati ben premuti sulla terra.
- Sei sicura di quello che mi stai chiedendo di fare? – La voce della creatura era tonante, possente, rude come una frana montana.
Gli occhi viola della mezzelfa si alzarono dall’incantesimo, fissando direttamente quelli rossi di fronte a sé. – Si, non vedo altra soluzione. –
L’essere roccioso parve sospirare, mentre i suoi occhi si adombrarono un attimo quando si voltarono verso oriente. Fece qualche passo avanti, dirigendosi verso il limitare del cerchio di evocazione, per poi fermarsi di colpo arrivato alla sua fine.
- Giusto. Sono stato evocato. Non posso uscire dai limiti del cerchio. – Borbottò la creatura scuotendo le spalle.
- Ti chiederei… di fare in fretta. – gli disse Mea incespicando sulle parole – Non potrò mantenere l’incantesimo attivo ancora per molto. –
- Oh, certo. Ti chiedo scusa. –
L’essere portò una mano parallela al terreno, dal quale sorse prima un’asta rocciosa, poi la testa di una pesante mazza.
La mano destra si strinse sull’impugnatura, per poi essere raggiunta dalla sinistra.
La terra tremò all’abbattersi della testa del martello. Una crepa nacque là dove le rocce erano state colpite per poi proseguire e allargarsi verso nord e verso sud.
La frattura cominciò a correre lungo la cresta dei Monti Muraglia, tanto veloce quanto violentemente si scuoteva il terreno.
Un rumore profondo si levò dalle viscere dei monti, un boato simile al gorgoglio di gola di una bestia mastodontica riempì l’aria e si propagò per tutte le Terre.
Hile si portò le mani alle orecchie, mentre le lacrime riempirono i suoi occhi.
Si sentiva privo di ogni forza. L’aria entrava a fatica nei suoi polmoni, la  sua vista era offuscata, come se un velo di nebbia fosse calato sulle sue iridi.
Di fianco a loro, gli edifici cominciarono a crollare uno dopo l’altro. Prima le case già intaccate dal tempo, poi le robuste mura del Palazzo della Mezzanotte e del Mezzogiorno. Infine, con un rombo, il bianco palazzo del governo collassò su se stesso.
La terra si spaccò definitivamente, i Monti Muraglia vennero percorsi da un’ultima, impetuosa scossa di terremoto, prima di cominciare a franare all’interno di una frattura sempre più larga.
Il Lupo alzò lo sguardo a fatica, sentendo la presa della magia allentarsi sul suo torace.
– Non ancora! Posso resistere ancora un po’! – urlò con quanto fiato aveva in corpo in direzione della maga.
Il terremoto diminuì di intensità e la crepa che divideva la catena montuosa ridusse drasticamente la velocità con la quale si allargava, per poi quasi fermarsi all’ampiezza di circa cinque metri.
Un’ultima onda di energia riverberò negli incantesimi che collegavano i quattro assassini a Mea. La terra sobbalzò con una violenza inaudita e il versante occidentale delle Terre fu spinto con forza verso oriente, simile a una gigantesca nave che prende il largo, lasciandosi cadere alle spalle decine di macerie che finirono sul lontano fondale marino.
Un paio di centinaia di metri più in basso, il sole tramontante fece splendere una parte del dorato serpente d’oro che coronava la nanica Izivay Magnea, ora divisa sui due versanti del crepaccio.
La mazza della creatura si sollevò da terra, mentre i suoi occhi dardeggianti guardavano intristiti l’enorme porzione di terra che si allontanava nel mare, lasciando dietro di sé una scia di acqua ribollente illuminata dalla rossa lava sgorgante dalle profondità della terra.
- Spero che tu abbia ragione, giovane maga. – disse l’essere roccioso voltandosi verso la mezzelfa.
- Era l’unica soluzione che sono riuscita a trovare, Codero. –
La creatura si irrigidì.
- Non Codero. Lui è morto il giorno in cui io sono rinato. Sono Terra e lo rimarrò fino alla fine dei tempi. Ora congedami, i tuoi compagni non riusciranno a mantenermi su questo piano ancora per molto. –
Nel momento esatto in cui le mani sporche della maga lasciarono il terreno, il colosso di sabbia e roccia rovinò a terra in frantumi, riducendosi a un mucchio di macerie.
Hile si lasciò cadere indietro, assaporando l’aria che, finalmente, ritornava ad entrare facilmente nel suo corpo.
- Invocare Terra. – disse con voce rotta dalla stanchezza Nirghe – Ovvio, perché non ci abbiamo pensato prima? –
- Non ho evocato Terra, – rispose Mea senza voltarsi – non esiste un incantesimo così tanto potente. Ho chiesto il suo potere in prestito per separare i versanti dei Monti Muraglia, in modo che l’esercito del demone non potesse arrivare nelle Terre a ovest. –
- Certo, non si può evocare un dio. – proseguì il Gatto, sorridendo – Però si riesce benissimo a modificare un continente. –
- Si sta facendo buio. – disse la mezzelfa rialzandosi – Dobbiamo cercare un posto per la notte… Jasno! Che cosa hai fatto!? –
Il Lupo si rialzò di scatto, voltandosi, pronto al peggio.
A terra, disteso con le braccia larghe, il petto ricoperto di piume bronzee di Jasno si alzava ed abbassava freneticamente.
- Perché lo hai fatto? Vi avevo detto chiaramente quello che sarebbe successo! –
- È piacevole il sole sul viso… - rispose la creatura.
- Sai cos’hai appena fatto? Ti sei maledetto da solo! – continuò la maga, disperata.
- Avevo già deciso che cosa avrei fatto. – Le rispose l’Aquila portandosi il posizione seduta – Io sono maledetto da quando sono nato, costretto ad aver paura del sole e del suo tepore. Ho deciso quando ci hai detto quale sarebbe stato il prezzo da pagare per quell’energia in più, cosa avrei fatto. È vero, non avrò mai più la mia vecchia vita, il mio vecchio corpo e la mia vecchia malattia, ma ho saputo dalla prima volta che ho provato il mio potere, che il cielo mi avrebbe reclamato. Ho solo deciso che la mia scelta sarebbe dovuta essere anche un vantaggio per voi. –
Passi lenti e regolari interruppero la discussione.
La stessa creatura fumosa che aveva affrontato il demone stava avanzando sulla Terra degli Eroi, dirigendosi con gli occhi trasognati verso il precipizio che ora segnava il confine delle terre abitate.
La cortina di pulviscolo scuro che circondava il corpo color pece era pesante, quasi melmosa, come se quel fumo faticasse a levarsi in aria.
Sulla spalla sinistra portava una grossa e consumata sacca in pelle marrone, su cui si potevano riconoscere le forme rigide degli oggetti al suo interno.
Il servitore del Fato si fermò su ciglio del dirupo, facendo spaziare il suo sguardo sul mare dinnanzi a lui e sul profilo delle terre che si stavano allontanando.
La sacca cadde a terra con un rumore metallico, mentre la mano destra della creatura passò sul suo capo, in un gesto di incredulità.
- Davvero? – domandò ad alta voce il servitore, senza voltarsi verso i suoi interlocutori – Davvero, con i poteri dei sei dei minori a disposizione, avete chiesto a Terra, il dio Terra, quel Terra di spaccare a metà questo continente per bloccare l’esercito? Voi siete matti. Pazzi da legare. –
La creatura si voltò di scatto, fissando con i suoi gialli occhi splendenti i cinque assassini.
- Sapete, vero, che questo non farà altro che rallentarli? Probabilmente già ora Follia sarà al lavoro per creare qualcosa in grado di trasportare il suo esercito. –
- L’ultima volta tu l’hai quasi battuto, magari se adesso… - Provò a dire Keria, ma venne prontamente fermata dalla mano dello spettro.
- Non ci sarà un secondo duello, per me. Follia ha vinto l’ultima volta, si è preso parte dei miei poteri. Inoltre, senza il sigillo con cui lo avevate affrontato l’ultima volta, non ho nessun modo per fermarlo davvero. Forse, però, voi potreste esserne in grado, se non vi uccidete da soli prima. Dopotutto siete predestinati, no? –
Il servitore prese da terra la sacca, rovesciandone il contenuto sui resti dell’incantesimo di Mea. - Io, ad ogni modo, vi ho portato delle armi. Starà a voi decidere cosa farne. –

Per una volta sono stato quasi completamente sincero.
Sono sicuro di non essere minimamente in grado di uccidere Follia.
Sono certo che quel demone fuori di testa stia già costruendo con sé stesso come materia prima o esseri volanti o navi per trasportare il suo esercito.
E sono dannatamente convinto che quei cinque siano più matti di me.
Non sono però convintissimo che il loro destino sia quello di uccidere Follia. Non sono nemmeno sicuro che l’influenza che il Fato ha sui mortali possa avere ripercussioni anche su di coloro che non sono legati al suo libro.


- Tu cosa farai, ora? – chiese Nirghe facendo qualche passo verso il dirupo.
- Ho ancora dei compiti su queste Terre, quando Follia tornerà ad essere una minaccia imminente mi andrò a suicidare cercando di far scappare più gente possibile. –
Il servitore fece un passo nel vuoto, cominciando a cadere verticalmente lungo il costone di roccia. Quando, però, Hile raggiunse il ciglio del dirupo, di quell’essere non vi era più traccia.

Detesto questa mia nuova condizione.
Adoravo potermi dileguare diventando fumo, era comodo, pratico e soprattutto non richiedeva un precipizio dal quale gettarsi.
Rivoglio i miei poteri e voglio prendere a calci in culo Follia.
Per ora, l’importante è che quei mocciosi pensino di non avere supporto. Questo darà più spazio di manovra a me e loro saranno invogliati a fare le cose ragionandoci prima sopra.


La notte calò gelida sulla vetta mozzata, ora disseminata di macerie sparse.
Nulla era rimasto in piedi. Non un edificio, non un palazzo, nemmeno le mura scure che avevano separato gli assassini dal resto del mondo per anni.
Hile sentì Keria accostarglisi ancor più, nel tentativo di scaldarsi con la pelliccia grigia che ricopriva il suo corpo.
Cosa doveva pensare di lei?
Per ora, quella, era ancora una domanda superflua, dato che le loro vite erano appese alla tela di un ragno sconquassata da folate tempestose.
Si sarebbe preoccupato della sua vita quando sarebbe stato certo di averne ancora una negli anni a venire.
Il Lupo chiuse nuovamente gli occhi, cercando di trovare una posizione comoda per riposare contro il ventre freddo del drago cristallino, che li riparava con la sua mole dal vento battente che si era levato.
Poche ore dopo, il sole sorse lontano, combattendo per superare in altezza l’enorme isola che ora si stagliava in lontananza. I suoi raggi caldi si infransero sulle squame trasparenti del rettile volante, generando una moltitudine di punti luminosi sui corpi rannicchiati dei cinque assassini, svegliandoli.

Hile ricontrollò un’ultima volta il filo di ognuno dei suoi nuovi coltelli, lanciandone ognuno un paio di volte in aria in modo da abituarsi al bilanciamento che gli era stato dato, così diverso da quelli che lo avevano accompagnato durante tutto il suo viaggio.
Tredici coltelli.
Dodici donatogli dal Servitore del Fato e quello incantato che anni addietro gli aveva donato Renèz.
Guardò poi il suo abito stracciato in più punti. Solamente quattro tasche erano rimaste sufficientemente intatte per poter essere ancora in grado di contenere qualcosa.
Buio lo fissava da poco lontano con i suoi occhi neri, quasi curioso di vedere cosa il suo compagno avrebbe fatto.
Alla fine, Mea raggiunse il gruppo che la stava aspettando, il suo corvo guardava davanti a sé dal suo trespolo sulla spalla della maga.
- Siete sicuri di volerlo fare? – chiese di nuovo la mezzelfa, gettando verso est uno sguardo fugace.
- Non importa quante volte lo chiederai, ormai è troppo tardi per tornare indietro. – le rispose Nirghe, con i palmi felini appoggiati sulle else delle spade appese ai suoi fianchi.
Jasno, intanto, si continuava a fissare le braccia e le gambe con una mutezza triste, stringendo più volte quelle dita nascoste dalle piume che non riusciva a riconoscere pienamente come sue.
- Va bene. – disse infine la maga prendendo un profondo respiro.
Volse poi il suo sguardo al suo compagno, appollaiato sugli ultimi brandelli rimasti di quello che fu il suo mantello di piume nere alchemiche.
Il corvo si dissolse in una nuvola di polviscolo, avvolgendo ed assediando il corpo della mezzelfa per permetterle di mutare.
- Io sono pronta. – la voce di Mea uscì gracchiante dal becco color pece che le occupava quasi interamente la metà inferiore del suo volto – Jasno, te la senti di venire? Tu sei l’unico che ha consumato anche le energie del suo compagno durante l’incantesimo, dopotutto… -
- Si, sto bene. Voglio arrivare fino alla fine. – le rispose L’Aquila, alzandosi in piedi lentamente per poi avvicinarsi maggiormente ai suoi compagni facendo attenzione a non sbattere contro le imponenti ali traslucide che nascevano dalle scapole del corpo cristallizzato di Keria.
- D’accordo. Speriamo che il servitore abbia ragione su di noi. –
La sensazione di essere trafitti da migliaia di spilli roventi ricomparve, durando ancor meno, però, dell’ultima volta, come se la maga si impratichisse sempre più con quel potere ogni volta che lo sfruttava.
I cinque esseri dai tratti animaleschi scomparvero, facendo calare un silenzio tombale su quella terra spaccata dal potere degli dei e costellata dai resti ormai decaduti di storie passate. 

   
 
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