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Autore: Elayne_1812    10/04/2017    3 recensioni
Non solo Kim Kibum era in grado di destreggiarsi con l’energia pura, un’abilità innata estremamente rara, ma era anche la chiave d’accesso al trono di Chosun. Cose che un ambizioso e scaltro come Heechul non poteva ignorare.
(dal prologo)
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- Io…mi sento vuoto. – disse semplicemente.
Vuoto? Non c’era niente di vuoto in quello sguardo ammaliante, in quelle labbra del colore dei fiori di ciliegio, in quegli sguardi decisi e al contempo imbarazzati. Come poteva essere vuoto, Key, quando era tutto il suo mondo?
Sopra di loro le nubi si stavano aprendo, rivelando sprazzi di un cielo puntellato di stelle. Jonghyun fissò gli occhi neri e profondi di Key, insondabili e affascinanti quanto la notte più misteriosa. Così belli che anche le stelle avevano decisi di specchiarvisi.
-Tu non sei vuoto, Key - disse Jonghyun, -io vedo l'universo nei tuoi occhi. - (dal capitolo 9)
jongkey, accenni 2min
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jonghyun, Key, Minho, Onew, Taemin
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti!
Sono stata molto indecisa su se, come e quando tagliare questo capitolo, se fossi arrivata dove volevo sarebbe uscito lungo di trenta pagine e, come dico sempre, i capitoli lunghi sono belli ma quando è troppo è troppo. Spero che il taglio che ho deciso di fare vi piaccia così come l’effetto generale. Scrivere questo capitolo non è stato facile, ho riletto, aggiunto e tolto frasi mille volte e alla fine ho deciso di puntare sull’effetto emotivo generale di una situazione così complessa e per qualcuno improvvisa. Mi sembrava la soluzione più sensata e realistica. Ovviamente la jongkey ha ancora molto da dire sul perché delle proprie azioni, ma voglio riservarmi di affrontare ogni aspetto nei capitoli successivi, mi sembra più sensato che i ragionamenti più profondi e logici emergano pian piano dopo lo shock iniziale (soprattutto se devono venire dalla testa di Jonghyun XD).
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite, ricordate, seguite e ovviamente tutti i lettori. Un grazie particolare a chi mi ha lasciato i suoi commenti: Blugioiel, Chocolat95, DreamsCatcher, Ghira_, Gonzy_10, Jae_Hwa, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, Saranghae_JongKey e vanefreya.
Ringrazio anche chi mi ha mostrato il suo apprezzamento ed interesse per il mio lavoro tramite mp: K_POPforlife, horansfaith, Gonzy_10 e TheMazeRunner.
Grazie per il vostro sostegno ^^
 
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Vi lascio una comunicazione di servizio poi giuro che chiudo con i miei sproloqui. Ho creato una pagina twitter unicamente per efp in modo da lasciarvi anticipazioni e farvi sapere quando aggiornerò. Spero vi faccia piacere visto che è una cosa che faccio esclusivamente nel vostro interesse. Se volete potete cercarmi come @blueorchad_90
Spero di essere riuscita a correggere tutti gli errori o quasi.
Buona lettura!
 
 
 
 
Capitolo 29
Our lonely season faded
 
 


“Our love faded like the waning moon
With cruel words of poison that we didn’t mean
We hurt each other
In the thickly stacked disinterest
Our love grew miserable like a withered flower
We didn’t know how precious each other was
Our lonely season faded”

Shinee, An Encore
 
 
 
 
Jonghyun sorrise e sfregò il naso sulla guancia di Key, il cui corpo s’alzava a s’abbassava tra le sue braccia. Si chiese come il più piccolo facesse ad agognare il calore del suo corpo quando dormiva beatamente stretto a lui, seppellito tra coperte e cuscini. Lo strinse a sé. Era caldo il corpo di Kibum ed emanava il tipico profumo dolce e delicato, i suoi capelli corvini rilucevano scomposti sulla sua fronte, qualche ciocca fuggiva sui cuscini colorati e dalle sue labbra a cuore fuoriuscivano sospiri lievi. Jonghyun scostò una ciocca di capelli dal viso dell’altro e lo accarezzò con il dorso della mano, felice di scoprire che non si era dissolto in mille petali nella notte.
Era felice, Jonghyun, lui e Key avevano passato una notte splendida ricca di effusioni appassionate e dolcezza. Tuttavia corrugò la fronte e la sua bocca carnosa si contorse in una smorfia, riconoscendo una crepa sul viso di porcellana di Key. S’adombrò. Perché era tutto perfetto, eppure percepiva che qualcosa non andava? Vedeva ed aveva visto quella stessa ruga sottile la notte precedente, con orrore l’aveva osservata di sottecchi come se il viso del più piccolo dovesse infrangersi da un momento all’altro e, allo stesso tempo, aveva deciso d’ignorarla. Per tutto il tempo, nonostante la notte d’amore che avevano passato, l’impressione che una crepa si stesse aprendo tra loro non l’aveva mai abbandonato, come non l’aveva abbandonato la sensazione che Key tentasse disperatamente di colmarla con ogni carezza, ogni bacio…
Scosse il capo nel tentativo di disperdere quei pensieri molesti. Forse non era semplicemente abituato a tanta felicità.
Baciò la guancia di Key come a risanare quella ferita e a tratti immaginaria, poi tornò a sorridere.
Kibum mugugnò nel sonno e, lentamente, sollevò le palpebre. Il principe si strinse ancora di più all’altro alla ricerca della certezza della sua presenza. Il corpo di Jonghyun risultò caldo sotto il suo tatto ed i suoi occhi, quando l’incontrò, luminosi. Nascose il viso sul petto del più grande fin troppo consapevole delle sue colpe, del suo egoismo e della sua avidità. Gli aveva donato tutto di sé e ora gli portava via ogni cosa.
-Buongiorno- fece la voce calda di Jonghyun.
-Ciao – rispose lui, flebile, alzando appena lo sguardo. Voleva guardare gli occhi dell’altro ancora una volta, ma temeva che Jonghyun potesse leggere la verità nei suoi con tutto il senso di colpa che, in quel momento, gli pareva un pozzo senza fondo.
Jonghyun gli schioccò un bacio sulla guancia e s’alzò avviandosi verso il bagno. Kibum si rizzò a sedere di scatto.
-Dove vai? – domandò allarmato.
Jonghyun rise. – Non preoccuparti, continua a dormire -, disse facendogli l’occhiolino.
Kibum osservò l’altro sparire nella stanza da bagno e si passò una mano sul viso assonnato. Tornò a sdraiarsi allungando le mani sul posto lasciato vuoto da Jonghyun. Era ancora caldo. Rotolò sul materasso e si raggomitolò nello stesso punto sprofondando nelle tracce di profumo del più grande. Chiuse gli occhi e le immagini della notte precedente gli passarono rapide nella mente accompagnate del ricordo delle emozioni intense che aveva provato, come se le percepisse di nuovo sulla sua pelle.
Per quanto se avesse potuto tornare indietro non avrebbe mai rinunciato a quella notte perfetta, il senso di colpa che provava era palpabile e lo respirava sulle stesse lenzuola che l’avvolgevano ed impregnavano il materasso. I profumi di quella notte d’amore stavano acquistando il tanfo dei fiori che marciscono.
Che cosa ho fatto?, pensò avvertendo in petto fitte stilettate. Ho inferto ad entrambi un’altra ferita.
Strinse le mani al petto, udendo nella propria mente il suono di vetri infranti.
Scattò a sedersi quando una mano gli passò giocosa tra i capelli.
-Ti ho spaventato?– domandò Jonghyun con un sorriso divertito.
Kibum si strinse tra le coperte e scosse il capo, lasciando balenare un sorriso simile al timido incresparsi dell’acqua alla brezza leggera.
-No -, disse.
Jonghyun era già vestito, indossava dei pantaloni marroni, una camicia morbida dalle maniche a sbuffo con del leggero merletto sui polsi, simile a quella del giorno prima, dei comodi stivali che gli ricadevano molli alle caviglie e intorno a lui aleggiava l’odore di pulito e degli oli profumati che aveva usato per lavarsi. Il viso di Jonghyun sembrava rilassato, ma allo stesso tempo scrutava il più piccolo con interesse.
-Tutto bene? Ti ho lasciato l’acqua calda -, fece Jonghyun.
Kibum si puntellò sulle ginocchia, posò le mani sul petto dell’altro e baciò il neo tra le clavicole che la camicia aperte sino a quel punto lasciva intravedere. Alzò gli occhi sul più grande e si umettò le labbra.
Jonghyun sorrise dandogli un buffetto sulla punta del naso.
-Devo parlarti – disse il principe.
Il sorriso sul viso di Jonghyun s’incrinò, mentre quelle parole lasciavano trapelare, di nuovo, la sensazione molesta di quella fenditura sottile prossima ad allargarsi.
-Dopo -, disse.
Jonghyun si sentiva a disagio, non sapeva perché, non sapeva come, ma più guardava Key e più percepiva che nonostante tutta la perfezione qualcosa stava per rompersi. Era assurdo. Si rese conto che, come la mattina precedente, desiderava fuggire da quella stanza come se il solo abbandonarla potesse permettergli di tornare a respirare. Allo stesso tempo staccare gli occhi dall’altro e pensare di rinunciare alla sua presenza, anche per poco, lo affliggeva. Non aveva senso.
Accarezzò con i polpastrelli il viso candido di Key che lo fissava con una strana luce negli occhi.
 – Vado a prendere la colazione -, disse.
Kibum si mordicchiò l’angolo della bocca e strinse la camicia dell’altro tra le dita sottili, infine annuì rilassandosi di nuovo tra le lenzuola. Guardò Jonghyun abbandonare la stanza e fu colto da un sospiro di sollievo, subito smorzato da un crescente nervosismo. Desiderava piangere, rannicchiarsi tra quelle coperte e respirare il profumo di quella notte d’amore ormai svanita, trascinata via dalla corrente degli eventi. Si portò una mano alla bocca reprimendo un impellente senso di nausea.
Senza rendersene conto si ritrovò sprofondato nella vasca. Come era arrivato lì? Non ne aveva idea e tanto meno gl’importava. Ciò che gl’importava era come fosse arrivato a quel punto, come aveva potuto permettere che la paura lo bloccasse sino all’inevitabile? Aveva avuto mille occasioni e ogni volta aveva cercato scuse. Affondò nell’acqua ancora calda ed annusò, di nuovo, il profumo lasciato dal più grande, desiderando esserne assuefatto ed imprimerlo sulla sua stessa pelle. Voleva lavare ogni traccia delle sue colpe e del suo egoismo. Aveva agognato così tanto la felicità, bevuto ogni goccia di essa sino ad esserne ebbro, diventando così incapace di porsi un freno.
Riemerse dall’acqua, s’asciugò e scivolò dietro al paravento per vestirsi, fuggendo dagli occhietti luccicanti del grosso pavone che decorava il mobilio, quasi riuscissero a scrutarlo dentro. Si vestì come se dovesse partire da un momento all’altro, dopotutto era inutile continuare a fingere. Indossò dei pantaloni blu notte, una camicia uguale a quella di Jonghyun ma senza merletto e recuperò un mantello da viaggio. Con bassi stivaletti ai piedi tornò in stanza e attese.
Ecco, gli sembrava di essere tornato alla sera precedente, nervoso e seduto nel medesimo punto a stropicciarsi le mani in attesa di Jonghyun o, con maggior probabilità, del suo coraggio. Ma vi era una differenza fondamentale, se la notte scorsa il tempo si stava assottigliando ora era totalmente sfumato e, incalzato da questa consapevolezza, il principe incrociò le braccia e si morse il labbro. Non poteva più scappare.   
In quel momento Jonghyun rientrò reggendo il vassoio della colazione colmo di cibo ed un paio di tazze fumanti. Il profumo del tè e dei dolcetti di riso si diffuse subito nella stanza.
Jonghyun corrugo la fronte mentre riponeva il vassoio sul letto. -Stai bene? -, domandò. Key era immobile e lo fissava come un gatto diffidente in attesa del momento propizio per darsi alla fuga.
Kibum deglutì. Doveva farlo ora, non aveva scelta. Si domandò cosa dire, da dove iniziare e soprattutto come rendere il tutto meno doloroso. Si sentì la gola secca. Non aveva preparato alcun discorso.
Forse non sarebbe servito, pensò.
Avrebbe comunque scordato ogni cosa nel momento stesso in cui avesse aperto bocca.
Ormai è tardi, girarci intorno non servirà a niente e non salverà né me né lui, rifletté.
Guardò Jonghyun che lo fissava, serio, lasciando trapelare un crescente disagio. Kibum si rese conto che era già una tortura per entrambi.
-Devo parlarti -, disse in un soffio.
Quante volte aveva ripetuto quella frase nelle ultime ore senza darle alcun seguito? Infinite, forse.
Jonghyun si sedette sul letto e con voce incrinata disse: -Certo, intanto mangiamo. - 
Il più grande prese un dolcetto di riso e lo avvicinò alle labbra di Key che, con un gesto delicato ma deciso, scostò il viso di lato e gli prese la mano invitandolo ad abbassarla.
-Devo parlarti – ripeté di nuovo.
Kibum era come un kayagun[1] dalle corde spezzate, capace unicamente di emettere suoni distorti. Qualunque melodia avesse prodotto in passato ora era svanita.
Prese le mani di Jonghyun accarezzandone i palmi ed intrecciando le loro dita nella sciocca speranza di trattenerlo a sé. Si umettò le labbra e rimase lì, a fissare quelle dita intrecciante, avvertendo il peso di ogni cosa soffocarlo e rendendosi conto di non riuscire a guardare Jonghyun negli occhi. I suoi pizzicarono.
Jonghyun s’irrigidì e fu percorso da un brivido, guardò le loro mani intrecciate percependo in esse il desiderio di creare un ponte tra due argini di un fiume che si era scavato un letto troppo profondo. Si rese conto di sudare freddo.
-Mi stai spaventando – disse, incapace di trattenersi oltre. Poi rise. –Deve essere importante se metti in secondo piano dei dolci. –
Jonghyun abbassò il viso cercando d’incontrare quello di Key, ma vide solo ombre.
-Dobbiamo separarci per un po'-, disse ad un tratto Kibum.
-Separarci? – ripeté Jonghyun corrugando la fronte. Inarcò le sopracciglia alla ricerca di un senso, oltre a quello fin troppo palese, di quella semplice parola.
Separarsi, perché mai avrebbero dovuto? Che motivo c’era?
-Vedi -, tentò di proseguire Kibum, - devo tornare al palazzo della mia famiglia per sistemare alcune cose, ma ti prometto che sarà solo per poco. –
Il principe si stropicciò le mani tra quelle dell’altro rendendosi conto di aver detto tutto ma, in realtà, di non aver detto assolutamente nulla. Non erano che parole vuote, un alito di vento che soffia in una casa vuota.
Di fronte a quel semplice gesto nervoso che conosceva fin troppo bene, Jonghyun riconobbe una patina falsa e scivolosa ed ebbe paura. Se davvero era per poco che cosa turbava tanto il più piccolo? Il timore che lo trattenessero alla sua vecchia casa, che il suo promesso non lo lasciasse andare? Dopotutto quel tizio si era adoperato parecchio nei mesi addietro per riprendersi Key; non era forse quasi riuscito a strapparlo dalle sue braccia? Jonghyun strinse le mani di Key.
-Che cosa vuoi dire? –
Jonghyun non riusciva a capire, dopo tanto fuggire nessuna delle parole di Key avevano senso alle sue orecchie.
-Quello che ho detto – rispose Kibum, flebile, tenendo lo sguardo basso. Non sapeva cosa dire, cosa fare e intanto continuava a non dire e fare niente. Stava solo prolungando un’agonia.
Jonghyun s’irrigidì ed il suo sguardo si fece duro. Key gli stava nascondendo qualcosa e a giudicare dall’espressione colpevole non era qualcosa da poco, ormai non aveva dubbi.  Oltre al timore in lui iniziò ad insinuarsi anche la rabbia.
-Non hai detto niente, stai solo emettendo dei suoni – disse con voce dura ed alterata.
L’aria iniziò a farsi calda.
-Jongie…-
La voce di Kibum fuoriuscì dalle sue labbra a cuore quasi lamentosa e a Jonghyun parve una vuota supplica.
Una supplica per cosa? Che cos’hai fatto, Key, che cosa ci stai facendo?, si domandò il più grande con orrore.
Jonghyun desiderò passarsi le mani tra i capelli, sul viso, come a lavarsi dagli strascichi di un incubo annunciato e svegliarsi prima che fosse troppo tardi. Ma non stava dormendo, era sveglio e ne era anche troppo consapevole. Le sue mani rimasero legate a quelle dell’altro, bollenti.
-Perché, cosa ti costringe a tornare in un posto che odi e dal quale scappi da mesi? –, sbottò.
Kibum deglutì e si umettò le labbra sempre più secche. Le sue mani scottavano tra quelle di Jonghyun ma, per quando spaventato, non le lasciò andare.
Basta, si disse.
-Ti ho sempre detto che la mia famiglia aveva dei possedimenti vicino a Soul…non è esattamente vero. –
Il principe si stupì dell’estrema tranquillità con cui riuscì a pronunciare questa frase e, per una frazione di secondi, fu anche in grado di alzare lo sguardò prima di tornare ad abbassarlo.
-La mia famiglia governa quella città. Ora che…lui è morto, bhe, devo tornare in quel posto per sistemare alcune cose. –
Si strinse nelle spalle. –Ma ti prometto che noi…-
Jonghyun fremette. Il cuore gli si strinse in petto come se delle mani invisibili si stessero dilettando a torturalo, ed una terribile consapevolezza si fece spazio in lui, suscitandogli una paura viscerale.
La mia famiglia governa quella città, ripeté nella sua mente, Soul. Lui è morto…
Poche parole, apparentemente insensate, ma chiare. Tanti piccoli sassolini gettati alla rinfusa su un limpido stagno, generando milioni d’increspature.
Prese il mento del più piccolo con una mano e lo sollevò. Oh, ora ne vedeva mille di quelle crepe sottili.
Key mugugnò sotto la sua presa ferrea, così diversa dalla consueta tenerezza.
A Jonghyun non importò. Sentiva che si stava infrangendo, traballava come il vetro di una finestra tormentata da venti violenti.
-Lui, quel posto. Perché non mi fai la grazia di chiamarli con il proprio nome? Non sto capendo nulla di quello che farfugli, Key. –
La voce di Jonghyun era sempre più alterata, simile alle scosse di un terremoto prima dell’eruzione di un vulcano rimasto dormiente troppo a lungo. Non era vero che non aveva capito, lo sapeva Jonghyun e lo sapeva Kibum. Ormai, anche con quelle poche parole, la verità era trasparente quanto le stesse colpe e bugie di Key.
-Allora? – fece duro.
Silenzio.
Kibum boccheggiò. Faceva troppo caldo e la stessa aria bruciava.
Jonghyun sciolse definitivamente le loro mani e lo prese per le spalle, scuotendolo ed urlandogli in viso tutta la propria umiliazione.
 -Chi diamine sei? –
-Jongie…-
Kibum guardò il più grande con occhi umidi, poi li abbassò e strizzò per allontanare il pizzicore delle lacrime che premevano prepotenti. Non poteva più tornare indietro, eppure non riusciva a fare quell’ultimo passo e gettarsi definitivamente nel vuoto.
-Chi sei? – ripeté Jonghyun, scuotendolo di nuovo.
Il più grande voleva sentirlo dalle sue labbra, doveva avere quella conferma per quanto futile. Solo questo avrebbe reso l’orrore definitivamente reale. Jonghyun emise un sospirò rauco e frustrato.
 -Dimmi il tuo nome –, disse quasi in un sibilo.
Prese di nuovo il viso di Key costringendolo a guardarlo, ma Kibum tenne le palpebre basse.
-Dimmelo. –
Il principe fu attraversato da un brivido. La presa di Jonghyun sul suo viso gli faceva male ma sentiva di meritarsela. Non era nulla confrontata al dolore che provava in petto e che, in quel momento, lo legava a Jonghyun più di qualunque altra cosa.
-Kibum –
Il suo nome uscì dalle sue labbra come un soffio.
Jonghyun udì il vetro di quella traballante finestra infrangersi. Sorrise amaro. – Non ho sentito. Guardarmi negli occhi mentre lo dici. -
Alla fine, Kibum alzò gli occhi per incontrare quelli di Jonghyun, quelli che per mesi l’avevano spaventato impedendogli di trovare il coraggio. Non erano più animati da riflessi ambrati, ma freddi e neri come tagliente ossidiana e sotto di essi fiamme più scure e pericolose erano pronte a divampare.
-Kim Kibum -, ripeté chiaro. Sospirò. –Sono il principe ereditario di Chosun. –
Jonghyun lo fissò inespressivo. Ma era solo la calma piatta prima dell’esplosione del vulcano. Il silenzio che precede il boato.
Con il medesimo movimento repentino con cui aveva afferrato il mento del più piccolo, Jonghyun lo lasciò a andare e mosse dei passi lunghi e nervosi sui tappeti, portandosi le mani tra i capelli.
Seduto sul bordo del letto, Kibum si sentì abbandonato, persino la presa ferrea del più grande era stata una rassicurazione in confronto a quel gesto quasi disgustato che era seguito. Artigliò le lenzuola e tirò su col naso. Non voleva piangere. Doveva recuperare ciò che poteva anche se, temeva, vi fosse ben poco.
S’alzò e scivolo dietro a Jonghyun, deciso ad ignorare la sua rabbia ed incurante di ciò che poteva scatenare. Lo abbracciò da dietro ed appoggiò la guancia sulla sua schiena, ma fu come abbracciare un blocco di marmo. Lo strinse più forte.
-Jong, non devi preoccuparti, ci separeremo solo per poco. –
Era così, vero?
Jonghyun rimase immobile.
-Te lo prometto-, aggiunse, continuando a stringersi al più grande.
Doveva credere almeno in questo, ma sapeva che quella promessa suonava inconsistente, c’erano troppi se, troppi forse…e in parte dipendevano dallo stesso Jonghyun.
Alla fine, Jonghyun gli perse i polsi costringendolo a staccarsi, si voltò verso di lui e l’afferrò per le spalle.
Kibum deglutì. In quegli occhi tanto ardenti quanto freddi non vi era solo odio, l’odio non era che una fiamma flebile, ciò che davvero bruciava sotto quei carboni ardenti era anche peggio. C’era rabbia, delusione ed umiliazione. L’odio era qualcosa che Kibum poteva gestire. Forse. Dopotutto aveva passato mesi a torturarsi con quell’eventualità che era quasi una certezza. Ma questo andava oltre. Era da lui che il più grande era deluso e da lui che si sentiva umiliato.
Jonghyun continuò a fissarlo, rigido e duro come un blocco di granito, e Kibum desiderò che urlasse. Tutto era preferibile a quella finta calma.
Jonghyun gli prese di nuovo il mento con forza.
-Che cosa sei venuto a fare qui, sei una spia? Facevi il lavoro sporco per quell’uomo? –
Guardò il viso di Key, Kibum, cercando di capire cosa nascondesse. Dietro quel nome doveva pur nascondersi qualcosa, delle macchie indelebili che nella sua ingenuità non aveva visto e che segnavo i petali di quel fiore che aveva giudicato tanto trasparente al punto di temere potesse divenire invisibile e dissolversi al vento. Bhe, dopotutto non si stava disfacendo proprio ora tra le sue stesse mani?
Così trasparente e sottile che non esiste, pensò.
Jonghyun aveva l’impressione che il pavimento avesse perso consistenza sotto i suoi piedi. Stava galleggiando nel nulla. Aveva creato un mondo intorno a lui, intorno a loro, solo per scoprire che nulla era reale.
Il più piccolo aveva gli occhi umidi, il viso pallido e le sue labbra tremavano appena.
-No –, rispose Kibum.
-Che cosa sei venuto a fare qui? –
-Lo sai, ci sono finito per caso. –
Kibum si mordicchiò il labbro inferiore mentre l’altro lo tratteneva con forza e lo fissava con durezza.
-Jinki è stato gentile-, iniziò Kibum, - mi ha permesso di restare.-
-Jinki? Lui lo sa?- domandò Jonghyun con espressione impassibile.
Kibum annuì. –Taemin lo sapeva dall’inizio e…Minho, lui l’ha saputo a Seungil e Jinki gli chiesto tenere nascosta la cosa. –
I muscoli sul viso di Jonghyun si contrassero in una smorfia. Evidentemente tutti sapeva tranne lui. Allontanò questo pensiero; al momento era il minore dei mali.
-Perché mi hai mentito?-
Jonghyun si chiese chi fosse, cosa fosse davvero Key, ma soprattutto cosa fosse stato lui per l’altro. Non riusciva e non voleva credere di non essere stato niente, eppure ai suoi occhi quella sembrava la risposta più sensata. Le carezze, i baci, l’amore…era stato tutto falso o c’era qualcosa di vero?
-Io non ti ho mentito. Tutto ciò che sai di me è vero, ho solo tenuto nascosto il mio nome. –
Jonghyun mollò la presa e nella stanza risuonò una risata metallica. Il più grande mosse dei passi indietro e si passò una mano tra i capelli, infine incrociò le braccia e spostò il peso da una gamba all’altra.
-Allora mettiamola così, Kibum -, disse sibilando il nome del più piccolo, -perché non mi hai detto la verità?
-Jinki ha detto che era più sicuro se…-
Jonghyun fremette di fronte a quelle parole che sembravano solo una vuota scusa. L’aveva trattato, l’avevano trattato, come un’idiota per mesi ed ora era stufo di essere preso in giro. Voleva la verità e la voleva tutta. Era umiliante. Umiliante essere stato preso in giro, umiliante essersi legato a qualcuno come Kibum. Come appariva ai suoi occhi, che cos’era davanti a lui, quanto doveva essergli sembrato troppo semplice, troppo ignorante, troppo nessuno?
-Smettila di prenderti gioco di me!- tuonò Jonghyun.
Kibum sobbalzò. Fece un passo indietro e guardò Jonghyun i cui occhi erano acciaio prossimo a fondersi.
-Avevo paura…- 
Si massaggiò una tempia. –Di cosa?-
Kibum non rispose, limitandosi semplicemente a torturarsi le mani. Come spiegare che era di lui che aveva paura, del suo odio per i Kim, così palese in quegli occhi di fuoco? Dopotutto non era l’ammissione di una mancanza di fiducia che non avrebbe dovuto esserci?
-Tu non sei fidato di me, non ti sei fidato di noi – fece Jonghyun.
-Jong…-
Kibum tornò ad avvicinarsi al più grande tentando di stringersi a lui, ma Jonghyun lo respinse con un gesto fulmino. Il principe abbracciò il vuoto.
-Ti ho donato il mio cuore e tu l’hai fatto a pezzi per poi gettarlo in un angolo. Che cosa sono stato per te, eh? Un passatempo, un gioco? –
Jonghyun iniziò ad avanzare, incalzandolo, e Kibum indietreggiò travolto dagli occhi furenti del più grande e da quel fiume di parole che ferivano entrambi.
-Una cotta passeggera, un amante da prendere gettare a tuo piacimento? C’è qualcosa di vero in te o sei solo una maschera che hai creato per gioco eh? Rispondimi! -
-I miei sentimenti per te sono sempre stati veri, credimi. –
Kibum scosse il capo e strizzò gli occhi cercando d’aggrapparsi al petto dell’altro, ma Jonghyun gli afferrò le mani staccandolo da sé in malo modo. Il principe barcollò all’indietro.
Come temeva tutto stava inevitabilmente crollando. Credeva, credevano, d’aver costruito qualcosa di solido ed intaccabile, ma strati di bugie, di cose non dette, avevano sedimentato sopra quella struttura intoccabile strati su strati e ora che l’acqua vi si stava infiltrando le murature crollavano. Gli stessi sogni che avevano dipinto sulle pareti di quel progetto maestoso si stavano sgretolando e marcendo.
Jonghyun lo guardò sprezzante misto ad un crescente stato di delusione.
–Crederti? Hai un gran coraggio. -
-Come puoi pensare che non abbia mai provato niente per te? –, rispose Kibum con voce rotta.
-Come? Io non so più niente! Mi hai riempito di bugie, non so chi tu sia e fino a poco fa non sapevo nemmeno il tuo nome.–
-Non è importante…-
-Cosa-, lo incalzò Jonghyun senza dargli il tempo di parlare, - il tuo nome o il fatto che tu mi abbia mentito? –
Kibum boccheggiò. Non sapeva cosa rispondere perché non sapeva cosa contasse di più per Jonghyun. Lo odiava ed era deluso per ciò che era o per le sue bugie? Non capiva, se era solo per le bugie perché non poteva arrabbiarsi e poi stringerlo semplicemente a sé dicendogli che presto sarebbero stati di nuovo insieme? I loro sentimenti non erano forse abbastanza forti per questo?
-Ti sei divertito alle mie spalle per mesi, non è così? –
-Ho sofferto ogni giorno all’idea di mentirti –
-Eppure non hai fatto nulla per rimediare! – tuonò il più grande.
Jonghyun incrociò le braccia e sogghignò. - Oppure è quello che hai tentato di fare la notte scorsa?-
-Smettila -, sibilò Kibum, questa volta rivolgendo all’altro uno sguardo iroso.
Non intendeva permettere al più grande di ridurre a brandelli tutto ciò che c’era stato e che, ne era sicuro, poteva esserci ancora. In quei mesi si era sentito libero e amato e Jonghyun stava trasformando tutto in qualcosa di squallido, dimentico o ignorando volontariamente le parole e le carezze che si erano scambiati. In tutto questo non riusciva a leggere quali fossero le reali intenzioni del più grande. Era la pura verità ciò che usciva dalle sue labbra o il tentativo disperato di lasciarlo andare di fronte a quel futuro incerto? Stava proteggendo sé stesso?
-Voi altri pensate sempre di ottenere tutto ciò che desiderate, non è vero? Prendete tutto ciò che volete e poi lo gettate a vostro piacimento! -, proseguì Jonghyun.
Quelle parole dure, quelle insinuazione di cui loro stessi a stento ne comprendevano il senso reale stavano facendo soffrire entrambi. Erano come le gocce di un veleno che aveva iniziato ad insinuarsi tra loro da molto tempo.
Kibum non desiderava separarsi così, ma parte di lui sentiva che solo in questo modo sarebbe stato in grado di volgere definitivamente lo sguardo a Soul. Forse era lo stesso per Jonghyun.
-Smettila! – urlò Kibum portandosi le mani alle orecchie.
Jonghyun lo ignorò e sorrise sghembo - Spero che tu ti sia divertito in questi mesi, sicuramente ti sei divertito la scorsa notte.–
Kibum si mosse di scatto, quasi senza riflettere, colpendo la guancia del più grande con il proprio palmo. Jonghyun abbassò il capo e si massaggiò la guancia arrossata, poi tornò a fissare il più piccolo rivolgendo un sorriso amaro a quel viso pallido e delicato, aspettandosi e desiderando di vedere la sua maschera crollare, ma nulla mutò.
Kibum fremette e strinse i pugni di fronte a quel sorriso volutamente provocatorio. Era stanco, ferito e a pezzi.
-Che cosa vuoi sentirti dire, Kim Jonghyun? – sbottò esasperato, gli occhi umidi ma decisi a non lasciar trapelare alcuna lacrima, - che per me non sei mai stato niente, che non mi è mai importato di te? Che sei stato solo uno svago? Ti sentiresti meglio se ti dicessi che è così?! E’ questo che vuoi?!-
Il principe dovette urlarle perché si ritrovò con il fiato corto e la gola secca.
Jonghyun era immobile, apparentemente impassibile, ma sotto quel viso granitico i muscoli si contraevano e fremevano, mentre i suoi occhi palpitavano come carboni ardenti.
-Vattene – disse tagliente.
Kibum non si mosse.
-Vattene! – ringhiò Jonghyun.
Kibum sobbalzò e sgranò gli occhi. Sotto gli occhi fiammeggianti del più grande abbandonò la stanza, lasciando dietro di sé solo il profumo delicato dei fiori di ciliegio. Quello di una primavera annunciata, ma mai arrivata o morta troppo in fretta.
 
 
 
***
 
 
-Me ne voglio andare –
Nonostante la frase fosse uscita come un oscuro mugugno dalle labbra di Kibum, Taemin non ebbe difficoltà ad interpretarla. Dopotutto era da quella mattina, quando il principe si era presentato davanti alla sua stanza tremante e con gli occhi arrossati, che non diceva altro.
Taemin gli circondò la schiena con un braccio, massaggiandogliela.
-Non fare così umma, mi rendi ancora più triste. -
Kibum rimase immobile rannicchiato su sé stesso con le ginocchia strette al petto ed il capo seppellito tra esse. Taemin valutò la non reazione dell’amico e si rabbuiò. Il principe si trovava in quello stato di totale apatia da ore e sedeva per terra sul pavimento della camera del più piccolo con  la schiena appoggiata al letto.
Taemin arricciò il labbro inferiore continuando a massaggiare protettivo la schiena di Kibum.
Solo ridotto ad uno stato pietoso Kim Kibum poteva decidere volontariamente di sedersi in mezzo a tutto quel caos indefinito.
Maledetto Kim Jonghyun, imprecò tra sé Taemin, è tutto colpa tua se la mia umma sta seduto in una fogna! Stupida scimmia, non può pensare di gongolare per un casco di banane e poi gettarlo via solo perché una è marcia!
Taemin agitò il pugno libero. Quanto gli sarebbe piaciuto prendere a pugni quella testa di rapa!
-Jinki aveva detto che aveva bisogno di qualche ora per organizzare tutto, vedrai che partiremo tra poco, ormai è passato un po'. –
Kibum emise un verso incomprensibile e Taemin lo interpretò come un assenso. I minuti successivi passarono in totale silenzio, finché non apparve Minho.
-E’ tutto pronto – esordì Minho.
Kibum alzò finalmente il capo e, come mosso da una forza invisibile, si alzò emettendo un sospiro, subito imitato da Taemin.
-Bene – disse il principe.
Kibum s’aggiustò gli abiti con dei semplici gesti e recuperò il mantello da viaggio abbandonato in un angolo.
Taemin corrugò la fronte. Il cambiamento repentino di Kibum era decisamente notevole, ma lui sapeva bene che la sua umma stava solo cercando di essere forte.
E’ tutta colpa di Kim Jonghyun! Si lamentò tra sé trattenendo a stento uno sbuffo all’indirizzo dell’assente scimmia cappuccina.
Minho s’avvicinò a Kibum mettendogli le mani sulle spalle. Minho si aspettava tutto questo, lo temeva da tempo ormai e, davvero, aveva sperato finisse diversamente. Non gli era piaciuto mentire al suo migliore amico, ma allo stesso tempo l’idea di mettere a repentaglio la sicurezza di Kibum e tradire la sua fiducia e quella di Jinki non l’aveva mai sfiorato. Era un disastro annunciato e lo sapevano tutti.
-Andrà bene -, disse.
Kibum sorrise e scosse il capo. –No. Avrei dovuto dirgli la verità o respingerlo fin dall’inizio, invece non sono riuscito a resistere. Perché è così difficile?-
Minho gli strinse più forte le spalle e lesse negli occhi umidi del principe tutto ciò che l’aveva tormentato in quei mesi.
-A volte è più difficile dire ciò che proviamo proprio alle petsone che amiamo di più. –
Per un attimo gli occhi di Minho deviarono in direzioni di Taemin, fu solo la frazione di un secondo ma al più piccolo dei fratelli Lee non sfuggì quello sguardo triste e serio che sembrava parlare più a lui che a Kibum. Taemin si chiese cosa significasse, poi scosse la chioma biondiccia.
Minho tornò a rivolgere la propria attenzione a Kibum. –Lui ti ama, vedrai che capirà. –
-Lui è tutto per me. –
-Lui non ti merita – sbottò Taemin. –Stupida scimmia…-
 
 
 
***
 
 
 
 
Jonghyun era sdraiato sul letto, le gambe ed un braccio distesi ed un avambraccio a coprigli metà viso. Da quando il più piccolo aveva abbandonato la stanza era scivolato sul letto ancora sfatto e d’allora non si era mosso. I profumi che aleggiavano all’intorno e che ancora impregnavano i cuscini erano troppo intensi, al punto di fargli credere che Key, anzi Kibum, si trovasse ancora lì. Ma non era così. Non era lì, non avrebbe mai dovuto esserci e presto avrebbe lasciato quel luogo per tornare a Soul.
Forse se n’è già andato, rifletté.
Jonghyun desiderava alzarsi, scaraventare a terra tutto ciò che avrebbe incontrato sul suo cammino, prendere a pugni e a calci i muri e urlare, ma non aveva la forza mentale per farlo. Poteva solo rimanere immobile nella speranza di sprofondare nel vuoto assoluto, dopotutto il vuoto non si stava già aprendo un varco intorno a lui come un grosso buco nero? Prima o poi l’avrebbe raggiunto inghiottendolo e tramutandolo in niente.
Gli sembrava di essere caduto tra i gelidi flutti dell’Han e sballottato tra le rapide, finché non era stato trasportato alla deriva. Si sentiva frastornato al punto da non essere in grado di formulare alcun pensiero di senso compiuto, né mettere davanti a sé poche e semplici idee in grado di portarlo, anche in un secondo momento, a ragionare. Era totalmente perso in un mondo che stava sbiadendo.
In quelle ore aveva cercato d’imporsi di odiare il più piccolo, ma ogni tentativo si era rivelato confuso e inconsistente. Più la sua mente cercava di odiarlo, più il suo cuore soffriva.
Si portò la mano al petto stringendosi la camicia.
Forse mi sto solo svegliando da un sogno che poi è mutato in un incubo spaventoso e quando aprirò gli occhi sarà ancora estate, pensò.
Quei mesi non erano mai esistiti e quindi non potevano svanire come fiori delicati trasportati dal vento. Ma sogno o meno aveva messo radici troppo profonde, crescendo splendido e solitario. Riuscire a vivere ignorandolo sarebbe stato come respirare la primavera e non percepirne il profumo.
Forse per un attimo l’aveva odiato, quel semplice nome aveva risvegliato in lui i suoi istinti peggiori, ma non era stato che è un momento. Un lampo che s’accende nella notte per poi svanire. Gli era bastato guardare il viso provato dell’altro per capire che tutto ciò che aveva creduto, nel bene e nel male, non era che cenere tra le sue mani. Sul viso del principe si era aspettato di trovare i tratti di un ragazzo viziato, capriccioso, arrogante e pieno di sé, incurante di tutto e di tutti, ma non aveva visto nulla di tutto ciò. Davanti a lui Key rimaneva il fiore innocente che era sempre stato, pungente e delicato. Ma non aveva importanza. Jonghyun aveva capito che il loro tempo stava svanendo nel momento stesso in cui aveva udito il nome di Kibum e, ora, doveva trovare il coraggio di lasciarlo andare. Dopotutto non avevamo mai fatto parte dello stesso mondo ed era tempo che ognuno tornasse nel proprio. Era stato un sogno troppo reale, ma null’altro che un sogno.
Così si era imposto di trovare ciò che non c’era e allo stesso tempo aveva respinto il più piccolo con gesti e parole terribili. Credere che fosse tutto falso, forse, poteva rendere il distacco più facile.
Allo stesso tempo la rabbia e la delusione non l’avevano abbandonato, anche ora ribollivano in lui con prepotenza e il suo orgoglio si sentiva umiliato.
Jonghyun cercò d’ignorare il profumo dolce dell’altro tra i cuscini.
Quanto era stato profondo l’amore del più piccolo se non era stato in grado di rivelargli la sua vera identità? Era una maschera Key, così solida che nemmeno la verità lampante era riuscita ad estirpare, o era vero, reale come le coperte ancora impregnate di loro? Quanto poteva essere labile il confine tra una solida maschera e ciò che nascondeva?
Non mi ha detto la verità, pensò, non si è fidato di me.
Dei tocchi leggeri rimbombarono nella sua testa. Che cos’era? Forse era solo la sua immaginazione. Risuonarono ancora, poi si smorzarono sostituiti da passi circospetti sui tappeti.
Jonghyun represse un sorriso amaro. Conosceva quella camminata felina, non poteva che essere lui.
-Me ne sto andando. –
La voce di Kibum risuonò ferma, appena tradita da un leggero tremore.
Jonghyun non si mosse, rimase disteso sul letto con un braccio a coprirgli il viso.
Non aveva il coraggio di parlargli. Non si fidava né della sua rabbia, né del suo orgoglio ferito e, soprattutto, non era certo di riuscire a guardarlo ed avere la forza di staccarsi completamente da lui.
Passarono i secondi, i minuti, forse le ore, Jonghyun non ne aveva la più pallida idea, e tutto rimase avvolto nel silenzio.
Jonghyun sapeva che l’altro era ancora lì, giacché non aveva udito i suoi passi allontanarsi, e si chiese per quanto tempo fosse disposto a sostenere quel silenzio. Lo stesso, pensò amaro, che infondo c’era sempre stato tra noi.
-Avevo paura di perderti – disse Kibum ad un tratto, spezzando quel silenzio che pesava come un macigno.
–Mi hai perso comunque –, rispose Jonghyun senza muoversi o degnarlo di uno sguardo.
Quella semplice frase, che suonava come una sentenza terribile e definitiva, uscì dalla bocca carnosa del più grande senza che lui stesso se ne rendesse conto e risuonò alle sue orecchie distante e metallica.
Perderlo…
Jonghyun sogghignò amaro. Chi fosse davvero Key, infondo, non aveva alcuna importanza. In quelle poche ore aveva capito che Kibum non era suo, non lo era mai stato, né poteva esserlo. Credevano di far parte dello stesso universo, ma tra loro vi erano milioni di anni luce.
Fece scorrere lo sguardo sul corpo aggraziato del principe che solo poche ore prima aveva stretto tra le braccia respirando il suo profumo dolce e credendo, scioccamente, di portelo fare in eterno.
Strinse i pugni focalizzandosi sulla rabbia e sull’umiliazione che lo dilaniavano prima che un profondo senso di tristezza lo sopraffacesse.
Mosse un passò verso il più piccolo ma subito si fermò. Desiderava posare un’ultima volta un bacio leggero su quelle guance candide, su quelle labbra rosate e specchiarsi in quegli occhi felini e magnetici, ma doveva lasciarlo andare per continuare a vivere.
-Vattene, Kibum. Tornatene a Soul è quello il tuo posto, là e con il tuo promesso, è a lui che appartieni. -
 
 
 
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Se vorrete lasciarmi un commento vi ricordo che sono sempre graditi^^
 
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Alla prossima!
 
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[1] Strumento tradizionale. 
   
 
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