Anime & Manga > Daiku Maryu Gaiking
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Autore: BrizMariluna    23/04/2017    4 recensioni
Il Gaiking, il Drago Spaziale e il loro equipaggio vagamente multietnico, erano i protagonisti di un anime degli anni settanta che guardavo da ragazzina. Ho leggermente (okay, molto più che leggermente...) adattato la trama alle mie esigenze, con momenti ispirati ad alcuni episodi e altri partoriti dai miei deliri. E' una storia d'amore con incursioni nell'avventura. Una ragazza italiana entra a far parte dell'equipaggio e darà filo da torcere allo scontroso capitano Richardson, pilota del Drago Spaziale. Prendetela com'è, con tutte le incongruenze e assurdità tipiche dei robottoni, e sappiate che io amo dialoghi, aforismi, schermaglie verbali e sono romantica da fare schifo. Tra dramma, azione e commedia, mi piace anche tirarla moooolto per le lunghe. Lettore avvisato...
Il rating arancione è per stare dal canto del sicuro per alcune tematiche trattate e perché la mia protagonista è un po' colorita nell'esprimersi, ed è assolutamente meno seria di come potrebbe apparire dal prologo.
Potete leggerla tranquillamente come una storia originale :)
Con FANART: mie e di Morghana
Nel 2022/23 la storia è stata revisionata e corretta, con aggiunta di nuove fanart; il capitolo 19 è stato spezzato in due capitoli che risultano così (secondo me) più arricchiti e chiari
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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~ 25 ~ 
SANGUE, SUDORE… E FIFA!

 
– Frena i bollori, diavolessa! O ti rimando all’inferno da cui sei scappata! 
La voce di Briz risuonò come un ringhio minaccioso, mentre pronunciava quella frase che non avrebbe stonato in una commedia avventurosa. La ragazza ne fu alquanto compiaciuta: se solo la situazione non fosse stata drammatica e pericolosa, avrebbe pensato che aveva sempre sognato di dire parole come quelle!
– Vieni con me fino a quell'aggeggio e disattiva la barriera! – ordinò a Zhora, infondendo nella voce tutta l’autorità che riuscì a mettere insieme.
– Preferisco morire! – fu la prevedibile risposta della zelana.
– Perfetto, niente di più facile! – ribatté Briz furibonda, premendole più forte la pistola nell’orecchio, strappandole un gemito di dolore e rabbia.
– Se mi uccidi, non potrai più aprire la barriera: non riuscirai a trascinarmi fin là e a sollevarmi per portare la mia mano a quell'altezza! – replicò Zhora, con un tono di sfida che Briz raccolse prontamente.
– Ma posso ucciderti e tagliarti la mano che mi serve, non ci vuole niente. Lo so, pensi che non ne abbia il coraggio, ma non ti consiglio di mettermi alla prova, sexy pantera da quattro soldi!
Zhora dovette riconoscere la determinazione dell'avversaria, perché si lasciò spingere fino allo scanner e vi posò sopra la mano. Il reticolato azzurro scomparve, mentre Pete guardava allibito Briz che spintonava e minacciava la zelana – che era alta quanto lei, se non qualcosa di più, e sicuramente più muscolosa – costringendola ad entrare nella stanza semicircolare. Non aveva mai visto Briz così fuori dai gangheri, eppure così fredda e padrona di sé; dov'era finita la fanciullina? Non che importasse: adesso andava benissimo questa pazza furiosa che ne aveva preso il posto.
– Apri quei ceppi e libera il capitano Richardson! – ordinò Briz perentoria.
– E perché dovrei?
– Sempre per il motivo di prima: sennò ti uccido. Sei dura di comprendonio, mangiauomini, o pare a me? Avanti, come si apre quella trappola?
La voce di Briz ebbe un lieve tremore: Pete si accorse che la ragazza stava per avere un momento di cedimento, dopotutto era ferita e la zelana sembrava un osso duro. Effettivamente il suo braccio sanguinante, che reggeva la pistola contro l'orecchio di Zhora, ebbe un improvviso sussulto involontario. Zhora se ne accorse e colse l'attimo, sfoderando con un movimento rapidissimo e quasi impercettibile, una lama nascosta che scattò in fuori dal bracciale di cuoio che teneva al polso sinistro.1
– Ha un pugnale! – gridò Pete.
L'avvertimento giunse con un istante di ritardo, ma non fu del tutto inutile: la lama saettò micidiale all'indietro ma, invece di colpire Fabrizia allo stomaco, lacerò la stoffa resistente dei jeans sulla coscia e aprì un taglio lungo almeno dieci centimetri nella pelle abbronzata. Il dolore fu improvviso e rovente e, nonostante la ferita non fosse troppo profonda, cominciò a sanguinare abbondantemente.
Colta alla sprovvista, Briz cadde all'indietro e la pistola le sfuggì dalla mano lievemente intorpidita e resa scivolosa dal sangue dell’altra ferita, finendo oltre la porta ad arco. Zhora sfilò del tutto il coltello dal bracciale e lo impugnò con la destra, ma Briz fu velocissima a rialzarsi e la fronteggiò, alzando nuovamente la guardia. Il prigioniero si agitò di nuovo,  inutilmente, non riuscendo a capacitarsi di essere del tutto impotente.
– Ma sei solo una bambina! – si stupì Zhora, quando la vide in faccia.
– Certo, in confronto a te anche Pete lo è, tardona! Forza, fatti sotto e leviamoci il pensiero, che voglio riportarmi a casa il mio Capitano! – brontolò Briz, facendo l'arrogante mentre in realtà si sentiva morire.
Era questo il coraggio? Crepare di fifa e far finta di niente? Le parole di Zhora sembrarono confermare la tesi.
– Non penserai di spaventarmi, piccoletta! Anche se devo ammettere che sei coraggiosa!
– Ancora col piccoletta? Avete proprio rotto l’anima tutti, amici e nemici, con le battutine sulla mia età! E poi, di cosa dovrei aver paura? Di una sottospecie di pornostar ninfomane con le poppe rifatte? – ribatté Briz con sarcasmo, ignorando il dolore e le gocce del proprio sangue che cadevano sul pavimento in piccole chiazze rotonde.
Guardando la sua nemica, notò anche lei il ciondolo che la donna portava al collo. Pete, nel sentire la frase provocatoria di Briz, non poté fare a meno di dirsi che in un’altra situazione sarebbe scoppiato a ridere, e si accorse che anche la sua amica aveva visto quel monile. Ebbe come un'illuminazione: guardando con la coda dell’occhio il pannello accanto a sé, dove si trovavano i comandi e la strumentazione per il condizionamento mentale, si avvide di una scanalatura della stessa forma del ciondolo.
Nel frattempo Zhora, pugnale spianato, studiava la ragazza ferita, eppure incredibilmente determinata, che la affrontava disarmata.
 
Briz-e-Zhora

– Non dirmi che è questa insulsa ragazzetta, a farti battere il cuore, Capitano Richardson! – lo provocò spavalda la zelana.
La risposta sarcastica di Pete fu degna del comandante Cuordileone.
– Dovresti farmelo battere tu, Zhora? Ma ti sei vista, con quella faccia da puttana in pensione?!
Zhora attaccò, offesa e furiosa, scagliandosi con il pugnale levato. Fabrizia, che non aspettava altro, si gettò in avanti e sollevò le braccia incrociate, bloccando il colpo e afferrando con entrambe le mani il braccio della donna, torcendoglielo dolorosamente. Con un unico, fluido movimento – mentre il coltello cadeva dalla mano di Zhora, scivolando sul pavimento lontano da loro – Briz la tirò con violenza verso di sé piantandole una ginocchiata micidiale nello stomaco scoperto, in una mossa di karate che Pete le aveva visto fare diverse volte, quando si allenava con Fan Lee. Non ancora paga, con un urlo feroce la ragazza piazzò una violenta gomitata sul lato del viso di Zhora, facendola piombare a terra con i sensi intorpiditi.
– Nessuno fa male ai miei amici, brutta stronza! – ringhiò Briz, strappandole dal collo il pendente.
Zhora tentò un gesto di ribellione e la ragazza le rifilò un pugno in faccia che la spedì del tutto nel mondo dei sogni, prima di dirigersi in due passi al pannello con i comandi.
– Sapevo che avevi capito anche tu, che quello non è un ciondolo: qui a sinistra c’è una fessura con quella forma – la avvertì Pete.
Briz schiaffò con impazienza il piccolo congegno nella scanalatura corrispondente: i quattro ceppi di acciaio si aprirono con uno scatto e Pete fu libero. Con un gemito il giovane abbassò le braccia doloranti e informicolite.
– Stai bene? – gli chiese Briz, veloce e pratica, mentre lui si massaggiava i polsi spellati per riattivare la circolazione.
– Sì… boh, nei limiti della situazione. Tu, piuttosto… – disse lanciando uno sguardo al suo braccio e alla sua gamba sanguinanti e al livido sullo zigomo.
– Sopravviverò. Andiamocene di qui, dai!
Pete lanciò un'occhiata a Zhora, chiedendosi fugacemente per quanto ancora sarebbe rimasta priva di sensi, e se non fosse il caso di imprigionarla a sua volta nei ceppi; ma pensò che fosse meglio non perdere altro tempo, e battersela prima che arrivassero altri Uomini Uccello.
Briz doveva aver pensato la stessa cosa, perché si avviò rapida per andarsene da quella sala delle torture. Raggiungendola, Pete la afferrò per una spalla e, d’improvviso, le schioccò un rapido bacio sulla bocca, prima di dirigersi veloce, a sua volta, verso l’uscita ad arco.
– Ma andiamo! Ti sembra il momento? – protestò lei, seguendolo e andando a recuperare la sua pistola.
– Scusami! Ma dopo le labbra di Lady Silicone, avevo bisogno di assaggiare qualcosa di buono – fu la spiazzante risposta del giovane, facendo spallucce mentre si armava di un fucile zelano, tolto a uno degli Uomini Uccello abbattuti.
Briz non rispose; scuotendo la testa alzò gli occhi al cielo e allungò una mano sul comando per aprire la porta obliqua che immetteva nel corridoio. Bah! Uomini!
Si infilarono per il lungo passaggio che costeggiava un lato esterno della nave, procedendo rapidi e silenziosi lungo la parete sulla quale si aprivano, a intervalli regolari, alcune rientranze; all'interno di queste erano incastonati degli oblò rettangolari da cui si vedeva lo spazio. Sembrava che in giro non ci fosse nessuno.
– Zhora è stata decisamente superficiale, ha peccato di presunzione – spiegò Briz a bassa voce – Non ho incontrato guardie, venendo in qua, e il ponte da cui sono entrata non è lontano di qui. Ma forse, ora, qualche stupido pennuto si sarà accorto del casino che abbiamo combinato.
A Pete sfuggì un sorriso, sentendo l'ennesimo soprannome che lei aveva trovato per gli Uomini Uccello.
– Come sei arrivata fin qui?
– Non lo avrei mai creduto, ma i nuovi congegni anti-rilevamento hanno funzionato fin sul ponte di atterraggio: i soldati alati non hanno visto Balthazar fino a quando… Beh, lo vedrai quando ci arriveremo.
La solita Briz, dai cento misteri e le mille sorprese.
– Lo avresti fatto davvero di… voglio dire… uccidere Zhora e tagliarle la mano?
– Ti prego… mi viene da vomitare solo al pensiero! Per quanto, – aggiunse dopo un istante di riflessione – se fosse stata l'unica soluzione per tirarti fuori di lì… sì, mi sarei risolta a farlo.
– Fra non molto, quel mostro dalle sembianze di donna riprenderà i sensi e farà suonare l’allarme; forse avresti dovuto davvero ucciderla.
– Se ci fossi riuscita mentre la affrontavo faccia a faccia, non mi sarei fatta scrupolo, credimi! Ma non posso sparare a una persona a sangue freddo, e per di più priva di sensi: non ce la faccio.
– Lo so, tranquilla, credo che nemmeno io potrei farlo. E comunque sappi che, quando ti ci metti, sei veramente strepitosa – commentò Pete.
– Vero? Me lo dico anch'io, certe volte – concluse Briz, cominciando ad accusare il dolore e sentendo che, nonostante la frase spavalda, la sicurezza cominciava a farle difetto.
Le ferite presero a farle un male del diavolo, e si sentiva stanca e indebolita anche psicologicamente. Le aveva quasi spese tutte: voleva andarsene di lì, e alla svelta!
Il corridoio girava a sinistra; si avvicinarono con circospezione e Pete sbirciò oltre l'angolo: senza voltarsi, le fece segno muovendo due dita sollevate.
– Okay: due pappagalli – sussurrò lei – Con i fucili?
– Ma certo che sì, li volevi anche disarmati? – ironizzò lui, continuando a studiare la situazione.
Briz gli si accostò.
– Mmm, sarebbe stato troppo bello. Che Dio ci protegga.
– Certo, e… “Che la Forza sia con noi”.
– E magari anche una botta di culo non guasterebbe – rincarò la ragazza.
– Effettivamente no.
Solo in quel momento Pete fece un passo indietro e si girò a guardarla, accorgendosi che Briz faceva la dura per nascondere la preoccupazione e la sofferenza: aveva il fiatone ed era pallida, con la parte destra del viso livida e contusa per il pugno che si era buscata; per non parlare delle le ferite da taglio, che, anche se lentamente, sanguinavano. Faceva di tutto per non farlo vedere, ma era spaventata a morte: era più che evidente che stesse per crollare. Anche lui si sentiva la testa dolorante e la ferita alla fronte che pulsava: avevano bisogno di un attimo di respiro… e non ce l'avevano, perché le voci dei due Uomini Uccello si fecero più distinte, avvicinandosi a loro.
Mise le mani sulle spalle della ragazza e la attirò a sé, tirandola bruscamente all'interno di una nicchia, dal cui oblò si vedeva l'esterno: un mare nero di stelle e altri corpi celesti che brillavano come diamanti sul velluto. La libertà era lì, a un passo, ma per conquistarla dovevano arrivare a Balthazar e affrontare un po' di soldati. Era già andata anche troppo bene fin lì, non sarebbe potuta durare.
Tenne Briz stretta contro di lui, sentendola tremare per la tensione e lo shock delle ferite, finché le voci dei due zelani si allontanarono, tornando nella direzione da cui erano venuti: non li avevano visti, né sentiti. Magari Zhora sarebbe rimasta fuori gioco tutto il tempo necessario…
Forse era il momento di crearlo, quell'attimo di respiro, si disse Pete. Sfiorò appena la guancia ferita della ragazza e le passò le dita tra i capelli, cercandole gli occhi con i suoi, vedendo che guardava fuori dall’oblò, come in trance.
Stava rischiando la pelle, e lo stava facendo per lui.
– Briz, guardami: hai paura? – le chiese a voce bassa.
Lei ricambiò quello sguardo intenso e annuì.
– Cazzarola, sì: ce l'ho, eccome – sussurrò con le labbra che le tremavano.
– Non mi era sembrato, poco fa.
– I-io… non so c-come ho fatto… M-ma non ce la f-faccio più.
– Certo che ce la fai: te lo dico io.
– Temo… di aver dato f-fondo alla scorta di coraggio.
– Mi dispiace dirtelo, ma ce ne servirà ancora, e non poco.
– Come cacchio fai a non aver paura?  
– E chi ti dice che non ce l’ho?
– Non sei d’aiuto, così, Pete: neanche un po’ – gli disse, col panico che balenava negli occhi spalancati.
– Ma come, non siete voi donne che ci volete con un lato tenero e vulnerabile?
– Questo solo se siamo in riva al laghetto di un parco! Quando dobbiamo scappare da una nave zelana, comandata da una vampirona malvagia, concupiscente e cornuta, ci piacete machi, tosti e cattivi!
– Macho, tosto e cattivo, eh? Nient'altro? Beh, proviamo… Pronta?
– Tsz! Sono nata pronta! – fece lei, tentando di mostrare un'arroganza che non aveva, e con una faccia che in realtà diceva:  “Neanche un po’!”
– Cuordileone, Briz, di nome e di fatto: so che lo sei! – la incoraggiò Pete, stringendola più forte per un attimo e ridandole, senza saperlo, tutta la sua determinazione. Poi aggiunse: – E, senti… in qualsiasi modo vada a finire… grazie! Sei stata comunque grandiosa! E adesso andiamo!
Briz assentì lievemente, allentando appena l'abbraccio:
– Andiamo! E facciamogli il cu… ehm… massacriamoli! – concluse, staccandosi da lui.
Lui le sorrise, contento che Briz fosse, in un certo senso, tornata.
Si avvicinarono all'angolo, presero un respiro e contarono fino a tre, poi, aprendo il fuoco senza tregua, si lanciarono contro i due soldati. Solo che, alla faccia della botta di culo, il fucile zelano di Pete fece cilecca!
Uno dei soldati alati era caduto sotto il laser di Briz, ma l'altro lo aveva schivato buttandosi a terra e si stava rialzando, spianando la propria arma. Per fortuna fu lento: Pete gli era già arrivato addosso e, brandendo il fucile difettoso per la canna, come un randello, lo colpì tra capo e collo, facendolo crollare a terra in un mucchietto disordinato di penne bianche, verdi e rosse, e stoffa grigia.
– Oh, sì! Così! Macho, tosto e cattivo! – esclamò Briz, riprendendo la fuga e cercando di ignorare il dolore al braccio e, soprattutto, alla gamba, che la faceva zoppicare vistosamente.
– Le armi zelane fanno davvero schifo! – commentò Pete, tirando via il fucile e seguendola.
– Prosegui, a destra c'è il ponte! – urlò Briz, senza fermarsi, mentre lui le passava davanti.
Improvvisamente, dall'angolo a destra, sbucò un soldato col fucile già imbracciato: Briz sparò, ma lo mancò. In pochi istanti di confusione, durante i quali non capì cosa accadde, si ritrovò con Pete che la afferrava per le spalle e la immobilizzava con la schiena al muro.
Uno schizzo di sangue le arrivò sul viso, caldo e vischioso: capì di essere stata colpita, anche se, lì per lì, non sentì dolore. Vide solo, oltre la spalla di Pete, il soldato che aveva sparato, e d’istinto, rapidissima, sollevò la pistola e gli sparò di nuovo con indicibile freddezza. Stavolta lo prese in pieno, ma nel momento in cui l’uomo alato stramazzava a terra, anche Pete crollò contro di lei e lentamente scivolò in ginocchio sul pavimento, tenendosi la parte superiore del braccio sinistro.
Merda! Era lui a essere stato colpito, non lei! Si inginocchiò accanto al giovane che, pallidissimo, la fissò per qualche secondo prima di perdere i sensi e rotolare a terra.
Briz fu colta per un attimo dal panico: era arrivata fin lì per salvargli la vita, e adesso era successo esattamente il contrario! Quel raggio tagliente si sarebbe piantato in mezzo ai suoi occhi, se Pete non si fosse messo in mezzo per proteggerla.
Respirò profondamente e si costrinse a ritrovare la lucidità, guardandosi attorno: non c'era nessuno in giro.
E in quel momento, giusto per non farsi mancare niente, risuonò un allarme; una voce femminile, impersonale e metallica, annunciò:
– Attenzione! Dieci minuti all'autodistruzione! Ripeto: dieci minuti all'autodistruzione!2
– Perfetto, Zhora si è ripresa prima del previsto… era da dire che la botta di culo si sarebbe fatta aspettare! Avevi ragione, Richardson, dovevo ammazzarla! Avanti, svegliati o finiamo fritti come le patatine di McDonald! – brontolò lei parlando all’aria, in tono vagamente isterico, cercando di valutare l’entità della ferita di Pete.
Sembrava profonda, e il sangue non accennava a fermarsi: una piccola pozza scarlatta si era già formata sotto di lui. Lo squarcio procurato da quel fucile micidiale andava, di traverso, dal muscolo deltoide fino al bicipite. Briz gli posò le dita sul collo, cercando il battito cardiaco; già era lento di suo, il cuore di Pete, figuriamoci adesso, col sangue che stava perdendo! Però, per quanto debole, Briz riuscì a percepirlo.
Rapidamente si tolse la camicia, la strappò facendone delle strisce a caso, e ne usò una parte per fasciare stretto il braccio dell'amico, sperando di fermare, o almeno rallentare, l'emorragia. Si infilò la stoffa restante nella cintura dei jeans, dopo averne usato un lembo per ripulirsi sommariamente il viso dal sangue che le aveva offuscato un occhio. Si alzò e tentò di trascinarlo, ottenendo solo una scia vischiosa, color rosso cupo, che si allungava per qualche metro sul pavimento; non sarebbero mai arrivati all'hangar in quel modo, oltretutto era ferita e sanguinava anche lei. Le sembrava passato un secolo, ma si accorse che in realtà erano trascorsi solo un paio di minuti; tuttavia, ciò non la consolò. Scoraggiata, tornò a inginocchiarsi e cominciò a scuoterlo.
– Non ce la posso fare, da sola, Pete! Andiamo, non mollarmi adesso, ti prego! Non farmi questo! Cazzocazzocazzo… non ho fatto tutta questa fatica solo perché tu mi muoia dissanguato fra le braccia!
– Briz… – gemette Pete, tentando di muoversi.
– Oh, Dio, ti ringrazio! Avanti, ho ancora bisogno del mio protettore macho e cattivo! Non mi morire adesso, Dragonheart!
– Non ne ho la minima intenzione, ma smetti di urlare, per piacere – si lamentò Pete, sollevandosi faticosamente a sedere.
Briz lo aiutò, e lui la squadrò confuso per qualche istante, lo sguardo perso, mentre lei cercava di tirarlo in piedi. Guardandogli il volto sporco di sangue, ricordò che aveva subito anche un notevole trauma cranico, prima di venire portato sull’astronave.
– Che fine ha fatto la tua camicia? – fu la sorprendente domanda che gli uscì di bocca, mentre si alzava faticosamente.
– Ma sarà possibile? – esclamò lei, sostenendolo e costringendolo a camminare – Abbiamo all'incirca sette minuti per raggiungere Balthazar, lasciare questo purgatorio e allontanarci prima che esploda; siamo feriti e sanguinanti e forse schiatteremo qui… e la prima cosa di cui ti accorgi… è che io non ho più la camicia! Non va bene, questa cosa! – concluse, ansante.
Pete si guardò la ferita, che ora sanguinava appena, notò la fasciatura di fortuna e si rese finalmente conto del pericolo che correvano: senza una parola, allungò il passo e si costrinse a correre verso il ponte.
Raggiunsero il portellone, al di là del quale li attendeva Balthazar: Briz lo aprì velocemente, premendo il comando sulla parete, e il pannello d'acciaio scivolò di lato rivelando, al di là di esso, un paesaggio irreale: nemmeno al Polo Nord poteva esserci tanto gelo!
L'hangar era stato trasformato in una scintillante caverna di ghiaccio, con stalattiti e stalagmiti lucide e trasparenti che pendevano dal soffitto e si ergevano dal pavimento: all'interno di alcune di queste ultime, c'erano almeno una dozzina di Uomini Uccello, imprigionati nel ghiaccio. Silenzioso e implacabile, Balthazar torreggiava immobile su quel glaciale monumento.
– Ma che ca… co-cosa diavolo è successo qui? – chiese Pete, senza fermarsi, col respiro corto che formava nuvolette nell'aria gelida e, nel frattempo, contemplando quello spettacolo.
La risposta di Briz trasudava compiacimento, mentre continuavano a correre faticosamente verso il grande leone.
– Bello, vero? Un bel Ruggito Paralizzante per immobilizzare tutti… e una bella passata di Onda di Ghiaccio… per cristallizzare nel tempo ogni cosa. E tutto… prima che riuscissero a far scattare un allarme. Sapevo che ti sarebbe piaciuto! – ansimò Briz, senza rinunciare alla sua ironia.
– Beh, non mi stupisce che in giro per la nave… abbiamo incontrato poche guardie: sono quasi tutte qui! – commentò Pete, ansante quanto lei.
– Visto? Pollo surgelato, un tanto al chilo! E nonostante questo, e il fatto che Zhora si sia scelta un equipaggio poco sveglio… non è che sia stata proprio una passeggiata… hanf, hanf…
– E, non per scoraggiarti, ma non è detto… che sia finita qui – disse Pete affannosamente, fermandosi di fronte al petto di Balthazar e stringendosi il braccio ferito.
Il passaggio situato sul diamante dell'Onda Congelante si aprì, e i due giovani entrarono: l'ascensore cilindrico li portò in un lampo in carlinga, dove Briz prese posto alla guida.
Pete si fermò dietro di lei, le mani posate sullo schienale della poltroncina di pilotaggio: era la prima volta che entrava nell'abitacolo di Balthazar ed ebbe la stranissima sensazione che, sulla consolle dei comandi, attorno alla cloche e al monitor, mancasse qualcosa, ma fu solo un attimo. Si concentrò sulla ragazza che, con gesti rapidi e precisi, attivò il leone in posizione di volo: Balthazar si sollevò e, velocissimo, schizzò fuori nello spazio, verso la salvezza.
La prima cosa che i due ragazzi fecero, fu di mandare le loro coordinate al Drago Spaziale perché venisse loro incontro.
La seconda fu aumentare la velocità, per non venire investiti dall'onda d'urto dell'esplosione dell'astronave nemica che avvenne, puntualmente, di lì a pochi secondi.
La terza fu inorridire quando videro sbucare, dalle nuvole rossastre e dal fumo, un Mostro Nero.
Merda! La botta di culo era decisamente in ritardo!
Però il mostro era lontano, ancora, forse avevano una speranza.
– Non guardare in qua, non guardare in qua… – pregò Briz sottovoce, rivolta idealmente al nemico, mentre si accingeva ad attivare i dispositivi antiradar e di mimetizzazione.
Ma una voce risuonò beffarda, dal piccolo altoparlante sulla consolle, proveniente, era chiaro, dal pilota zelano: – Credevate davvero che ve la sareste cavata con così poco?   
Briz chiuse gli occhi, sentendo il cuore affondare nel nulla: Zhora. Ancora lei!
– Se a te è sembrato poco! Speravo proprio di essermi liberata di te, panterona! – esclamò, cercando di farsi forza con l’arroganza.
– Avresti dovuto uccidermi quando ne hai avuto l’occasione, sciocca bambolina!
– Sì, avrei dovuto! Solo che io sono una guerriera, non un’assassina.
– Non sei una guerriera, sei una stupida!
– Vattene, Zhora! Se lo fai, giuro che non ti inseguirò, me ne andrò per la mia strada e mi dimenticherò di te!
– Non vuoi combattere, codarda? – la provocò la zelana.
– Non vuoi approfittare della mia generosità, cretina? – le rispose sullo stesso tono – Non voglio ammazzarti, chi te lo fa fare?
– L’Onnipotente Black Darius il Grande!
– Sì, sì, va bene: bla bla bla… non sia mai che lo deludiamo, The Big Boss, vero?
Briz aveva risposto con spavalderia, ma poi si sentì raggelare quando si rese conto della situazione: sarebbe stata costretta a combattere! E se già l’idea della battaglia in sé la spaventava non poco, visto che avrebbe dovuto affrontarla da sola, il fatto che avrebbe dovuto eseguire la NGC sotto agli occhi di Pete, aggiungeva un carico di ansia parecchio pesante.
Si guardarono per un paio di secondi: anche lui aveva capito ciò che la preoccupava, ma entrambi sapevano che non c'era una scelta. Fabrizia studiò per qualche istante il Mostro Nero, una specie di robot umanoide dalle sembianze vagamente femminili ma alquanto demoniache, che, pur essendo ancora piuttosto lontano, chiudeva rapidamente le distanze; fuggire non sarebbe servito.
La sensazione di Pete, che in quell'abitacolo mancasse qualcosa, si fece sempre più intensa.
– Come posso aiutarti, Briz? – le disse, sentendosi totalmente inutile, inginocchiandosi a fianco della poltroncina.
– Non puoi! – fu la sbrigativa risposta, prima che Briz addolcisse il tono e gli sorridesse fugacemente – Ma grazie del pensiero, lo apprezzo molto.
E in quel momento Pete, guardando nuovamente la consolle, capì cosa mancava.
– Briz, dove caspita sono i comandi per azionare le armi?
– Sono qui, Richardson: nella mia testa – disse lei, toccandosi appena la fronte.
Poi, con freddezza e determinazione, si alzò in piedi, mentre il giovane cercava di trovare un senso alle sue parole alzandosi a sua volta.
– Adesso è il mio turno, di essere tosta e cattiva. Non rimanere troppo scosso da ciò che stai per vedere, okay? 
Lui non rispose, limitandosi a un cenno di assenso con la testa, e si spostò istintivamente sul fondo del piccolo abitacolo.
Briz premette un pulsante luminoso e la poltroncina di pilotaggio scivolò all'indietro, verso di lui, che posò di nuovo le mani sullo schienale come cercando un appiglio, stringendolo tanto forte che le nocche gli diventarono bianche. Rimase a osservare la ragazza che prendeva posto al centro della carlinga e guardò, incuriosito e attonito, il cerchio formato dalle botole che si aprivano sul pavimento attorno a lei.
Non ci fu bisogno di escludere il contatto visivo e di attivare la visione virtuale per nascondersi; Briz lasciò che la vetrata le desse la visuale naturale, tanto l'unica persona che non avrebbe mai voluto venisse a conoscenza di questa cosa, era lì con lei, proprio alle sue spalle.
Pete vide degli strani oggetti uscire dalle botole e fermarsi a mezz'aria, tutt'intorno a Briz: sembravano i pezzi di un'armatura, si disse perplesso. Gli sembrava di vedere tutto al rallentatore, concentrato com'era su ogni piccolo particolare di quella scena irreale.
La ragazza si afferrò i lunghi capelli che le scendevano sulla schiena e se li portò tutti sul davanti, con un rapido movimento che le scoprì le spalle abbronzate, sulle quali spiccavano le spalline sottili della canotta turchese e, accanto ad esse, quelle rosa fluorescente del reggiseno.
A contrastare con la sua pelle dorata c'era anche un'altra cosa, alla base del collo: un disegno che lui non riuscì a vedere per più di un paio di attimi, ma che riconobbe immediatamente, e che gli fece ricordare la notte di Natale, quando lui l'aveva toccata proprio in quel punto, e lei si era lamentata per il dolore.
Era la testa di leone dalla criniera di fuoco.
 
Briz-tattoo
 
Pete si stupì di aver potuto notare tutte quelle cose e di aver fatto stare tutti quei pensieri in una manciata di secondi, e seguì affascinato le fasi della Connessione Neurogenetica.
Tutto a un tratto i pezzi dell'armatura furono attirati dal corpo di Briz, come se la ragazza fosse diventata una calamita umana: con un rumore metallico, si chiusero su di lei, incastrandosi l'uno con l'altro. Le ultime parti furono l'elmo felino bianco e oro che le imprigionò la testa, e una striscia metallica bianca, con i bordi a zig-zag, che si incastonò perfettamente nello spazio ancora libero lungo la sua spina dorsale.3 Inorridito, Pete vide l'estremità superiore di quella specie di serpente d'acciaio chiudersi per ultima alla base del collo di Briz, proprio sopra al tatuaggio, procurandole sicuramente uno spasmo doloroso, poiché la vide contrarsi e inarcarsi all'indietro per qualche istante, soffocando un gemito.
La connessione era completata.
Nonostante fosse rivestita dall'armatura, il ragazzo si avvide che Fabrizia aveva il respiro pesante.
La testa felina si voltò verso di lui, guardandolo con i due rombi orizzontali che aveva per occhi, verdi come smeraldi; ma, al di là di essi, Pete riuscì a scorgere, altrettanto verdi, i veri occhi della sua amica.
Lentamente come si era girata verso di lui, la ragazza tornò a voltarsi verso la vetrata e Pete la sentì mormorare qualcosa, come tra sé.
– Lo spettacolo ha inizio: si va in scena!
 
> Continua…                                                                 
 
 
 
 
Note:
Chi conosce la saga di videogames "Assassin’s Creed", (copyright Ubisoft Entertainment) non avrà faticato a riconoscere nell’arma di Zhora la Lama Celata, usata dai vari protagonisti dei videogiochi. Questa non è proprio identica, ma è lì che mi sono ispirata.
 

Forse ve lo siete chiesto: che Zhora parli la lingua dei nostri eroi potrebbe anche essere. Magari ha addosso (non so dove, visto gli abiti succinti, ma n’importa, piccolezze) una specie di traduttore simultaneo. Ma che le comunicazioni sull’astronave siano in una lingua terrestre, che Fabrizia comprende, ecco… Avete capito, vero? Sempre quelle famose dodici regole sui robottoni, di cui si parla alla fine del capitolo 3… XD
 
E questa, la striscia metallica dell’armatura che si incastra lungo la schiena, è copiata pari pari dal film "Pacific Rim" (già citato in precedenza).
 
Devo anche confessare che alcuni scambi di battute tra Briz e Pete durante la fuga, mi sono stati ispirati da un dialogo in una situazione avventurosa del film del 1998 "6 giorni 7 notti", di Ivan Reitman, con Harrison Ford e Anne Heche: mi sembrava doveroso riconoscerlo.
Invece c’è una frase che, lo giuro, è completamente mia, quella in cui Pete dice: “Che la Forza sia con noi”, e Briz risponde: “Sì, e magari anche una botta di culo non guasterebbe!”. Ci credete che tempo fa, sul web, ho trovato un meme in cui Yoda dice la stessa cosa?
Me l’hanno rubata! 
😭😱🤣
 
  
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