Anime & Manga > Daiku Maryu Gaiking
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Autore: BrizMariluna    28/04/2017    5 recensioni
Il Gaiking, il Drago Spaziale e il loro equipaggio vagamente multietnico, erano i protagonisti di un anime degli anni settanta che guardavo da ragazzina. Ho leggermente (okay, molto più che leggermente...) adattato la trama alle mie esigenze, con momenti ispirati ad alcuni episodi e altri partoriti dai miei deliri. E' una storia d'amore con incursioni nell'avventura. Una ragazza italiana entra a far parte dell'equipaggio e darà filo da torcere allo scontroso capitano Richardson, pilota del Drago Spaziale. Prendetela com'è, con tutte le incongruenze e assurdità tipiche dei robottoni, e sappiate che io amo dialoghi, aforismi, schermaglie verbali e sono romantica da fare schifo. Tra dramma, azione e commedia, mi piace anche tirarla moooolto per le lunghe. Lettore avvisato...
Il rating arancione è per stare dal canto del sicuro per alcune tematiche trattate e perché la mia protagonista è un po' colorita nell'esprimersi, ed è assolutamente meno seria di come potrebbe apparire dal prologo.
Potete leggerla tranquillamente come una storia originale :)
Con FANART: mie e di Morghana
Nel 2022/23 la storia è stata revisionata e corretta, con aggiunta di nuove fanart; il capitolo 19 è stato spezzato in due capitoli che risultano così (secondo me) più arricchiti e chiari
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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~ 26 ~ 
CIUFFO DI NEVE
 
 
Lentamente come si era voltata all'indietro, Briz tornò a girarsi verso la vetrata per affrontare Zhora. Pete la sentì mormorare alcune parole tra sé: – Lo spettacolo ha inizio: si va in scena. 
 
Fabrizia decise che la miglior difesa fosse l'attacco e, senza dare al mostro il tempo di avvicinarsi ulteriormente, urlò in sequenza i nomi dei raggi laser e dei boomerang luminosi che, gli uni dopo gli altri, colsero di sorpresa la comandante zelana. Zhora però, accusati i colpi, ci mise un niente a rispondere con missili e raggi scagliati con una ferocia devastante.
La battaglia proseguì per alcuni interminabili minuti mentre Pete, reggendosi come poteva allo schienale del sedile per resistere alle botte e agli scossoni, assisteva allibito al modo di combattere di Fabrizia, che coniugava ordini mentali e vocali, a gesti che sembravano accompagnare i colpi, come se fosse davvero lei a sferrarli. La sua mente tornò al giorno in cui si erano conosciuti, quando lei gli aveva detto: "Io non guido Balthazar, io sono Balthazar!”
Bene, aveva appena avuto la risposta a cosa significasse davvero quella frase sibillina, alla quale da più di un anno cercava di dare una spiegazione.
Faticava a pensare che dietro a quel muso metallico dall'aspetto felino ci fosse la sua fanciullina. Sì, sua, vabbè Ci si era già soffermato a suo tempo, su quell’aggettivo possessivo; Briz non era sua, anzi non sarebbe mai stata proprietà di nessuno, questo era chiaro. Ma poi… cosa andava pensando, proprio in mezzo all’infuriare di una battaglia?
La voce di Zhora si fece sentire furibonda: Briz le stava dando troppo filo da torcere, per i suoi gusti, non era riuscita a liberarsi di lei nemmeno facendo saltare l'astronave con l'autodistruzione!
– Hai finito di umiliarmi, maledetta, insulsa ragazzina! Non sarò riuscita a realizzare il piano iniziale, ma se ucciderò i piloti di Balthazar e del Drago Spaziale, Darius me ne sarà sicuramente riconoscente! – ringhiò.
Briz, nemmeno troppo sorprendentemente, le rise in faccia.
– Certo, come no! Baciami il culo, puttana!
Oh, sì, eccola! Sotto quella corazza di metallo bianco e oro, a comandare con la mente l'immenso gattone, Pete riconobbe davvero la fanciullina! Sua o meno, non aveva importanza!
Briz spinse Balthazar contro il robot di Zhora, affondandogli i denti acuminati in una spalla. Attraverso i vetri dei due abitacoli, le due donne si squadrarono per alcuni istanti, e Pete ebbe la netta sensazione che Zhora fosse rimasta alquanto sconvolta nel vedere l'aspetto della pilota di Balthazar.
Fabrizia approfittò immediatamente del momento di smarrimento della zelana: il leone sfoderò gli artigli luminosi e li piantò nel petto del robot nemico, dai cui occhi partì una coppia di raggi verdastri che colpì in pieno la carlinga e i due giovani, facendoli finire a terra travolti dall'orribile sensazione di una scossa elettrica. Briz fu costretta a mollare la nemica, poi, visto come aveva funzionato bene nell'hangar, sparò un'Ondata Congelante che ricoprì il mostro di una spessa crosta di ghiaccio.
Briz si preparò ad attaccarla nuovamente, ma il robot nemico sembrò cambiare colore, un alone rossastro lo circondò e la crosta di ghiaccio si sciolse in pochi secondi. Una palla di fuoco, partita dal centro del suo petto, rischiò di colpire in pieno Balthazar, ma fu solo per un attimo. Togliendosi abilmente dalla traiettoria infuocata, per non finire cotti al forno, Briz si ritrovò per un attimo indecisa: ci voleva qualcosa di drastico, e sapeva che il Thunderbolt molto spesso non perdonava, ma era anche vero che le portava via una percentuale importante di energie. Se non avesse funzionato, non avrebbe avuto più forze sufficienti per continuare a combattere, e non aveva il Gaiking e il Drago Spaziale a pararle le chiappe: era consapevole che i compagni avrebbero impiegato ancora un po' per arrivare, ma non poteva di nuovo ingaggiare battaglia per un tempo interminabile.
Fu a quel punto che la voce famigliare, che spesso le veniva in aiuto nei momenti difficili, si fece sentire.
"Fallo, gnappetta. Andrà bene, tranquilla!"
– Se lo dici tu, Ale… – sussurrò, incurante del fatto che Pete potesse sentirla e prenderla per pazza.
Senza pensarci un istante di più, Briz riuscì a immobilizzare, per pochi, preziosi secondi, il robot di Zhora con un Ruggito Paralizzante; poi sollevò il braccio destro e lo mosse repentinamente, prima in cerchio e poi in avanti, come se stesse usando una lunga frusta, e urlò il nome della sua arma più potente.
La coda di Balthazar raccolse il fulmine prodotto dalle proprie ali e lo lanciò contro il mostro nemico: le saette gli si avvolsero intorno, ricoprendolo di una rete luminosa e letale. Le urla di Zhora rimbombarono nelle orecchie di Briz e Pete, finché un boato e un lampo accecante le spensero.
Fumo, scintille e schegge metalliche investirono Balthazar, scagliandolo nel vuoto per qualche centinaio di metri; Fabrizia faticò non poco a riprendere il controllo e, quando ci riuscì, il primo pensiero coerente fu solo uno: "Come sta Pete?" 
Si voltò per guardarlo, mentre con un rapido gesto della mano sollevava la celata dell'elmo felino, scoprendosi il volto lucido di sudore. Lui la guardò a sua volta, affascinato, e a lei sfuggì un mezzo sorriso: Pete era in ginocchio, praticamente abbracciato alla poltroncina, però sembrava stare bene… compatibilmente con la situazione. Infatti lo vide mollare la presa e afferrarsi il braccio sinistro che aveva ricominciato a sanguinare, anche se non a fiotti come prima; lui la guardò nuovamente, mentre si rialzava faticosamente in piedi, con una domanda inespressa negli occhi che era più che ovvia: "Stai bene?"
Briz, ansante e sfinita, assentì in silenzio e sollevò appena una mano ricoperta di acciaio bianco, per fargli capire di non avvicinarsi. Tutto quello che lui riuscì a fare, fu obbedire e crollare seduto sulla poltroncina, tenendosi il braccio.
A quel punto dovevano solo incontrarsi con il Drago Spaziale, a cui avevano trasmesso le coordinate; meglio non spostarsi, ci avrebbero pensato Sakon e Daimonji a raggiungerli.
Briz disse qualcosa, che alle orecchie di Pete suonò come Ancoraggio, e riprese posto al centro della carlinga: il leone si immobilizzò, mantenendo la posizione nel vuoto dello spazio, senza più spostarsi. Le botole attorno a lei si riaprirono e Briz spinse di nuovo il pulsante luminoso: in un solo attimo i pezzi dell'armatura si staccarono dalle sue membra con la stessa violenza con cui ne erano stati attratti. Ancora una volta il suo corpo si contrasse e si inarcò, mentre un grido soffocato le usciva dalle labbra; le ferite all'avambraccio destro e alla coscia sinistra sanguinavano ancora.
A Pete venne spontaneo alzarsi di scatto e avvicinarsi alle sue spalle, e tutto sommato fece bene, perché, nel momento in cui le botole si richiusero dopo aver riaccolto i pezzi dell'armatura, Briz barcollò all'indietro e perse l'equilibrio, finendogli tra le braccia a peso morto, stremata come non le era mai capitato. Piombarono pesantemente sulla poltroncina, che si era riavvicinata al posto di guida, una addosso all'altro.
La ragazza fece per rialzarsi, ma non ci riuscì, un po' perché non ne aveva la forza, un po' perché Pete la trattenne, nonostante una fitta di dolore al braccio ferito. La vide annaspare e ansimare, come se non riuscisse più a respirare, per alcuni terrorizzanti momenti; poi, finalmente, un fiotto di aria le si riversò nei polmoni e, lentamente, il respiro le tornò regolare.
– Briz, ce la fai? Ma che cosa… cosa ti succede? – le chiese, sconvolto.
Anche la ragazza era stupita: una crisi respiratoria di quel genere non le era mai capitata, aveva davvero creduto di soffocare! Fu assalita da un forte attacco di nausea, che la fece di nuovo boccheggiare per qualche istante e ringraziare di avere lo stomaco vuoto; le sembrò che tutto, attorno a lei, girasse come una giostra impazzita, dalla quale non poteva scendere. Il mondo cominciò a fermarsi con una lentezza esasperante e la nausea si placò. Non ebbe nemmeno il tempo di provare sollievo, che la temperatura le salì repentinamente, superando i quaranta gradi. Scossa da violenti brividi, con la pelle d'oca e l’epidermide in fiamme e ipersensibile, le venne spontaneo raggomitolarsi su sé stessa, esattamente come a Pete venne spontaneo raccogliersela tra le braccia, nei limiti delle sue possibilità, stringendola e tentando di trasmetterle un minimo di calore. Nonostante la ragazza tremasse per il freddo, Pete sentì contro la guancia la sua fronte rovente: era pallida come la luna, salvo per due pomelli arrossati sulle gote.
– Mio Dio, Briz, ma è sempre così, quando ti disconnetti?
La ragazza non rispose subito, si sforzò di fare qualche lungo respiro, cercando di dominare il tremito che non accennava a diminuire.
– N-Non so perché… qu-questa volta è molto p-peggio… non d-dura mai così t-tanto e… non è mai così f-forte – riuscì ad articolare, benché i denti le battessero incontrollabilmente.
Nemmeno lei capiva: quando si era disconnessa la prima volta, dopo aver congelato l'hangar dell'astronave di Zhora, i disturbi erano stati lievissimi, tanto da non crearle quasi nessun fastidio.
Ora, la sensazione di gelo nelle vene e di vuoto sia mentale che fisico stava diventando insopportabile: le sfuggì un gemito spezzato, lungo e straziante, che a Pete fece accapponare la pelle.
– Briz… ? – mormorò, impotente e disperato.
– Sto male… è come una mano… di nebbia gelata… che mi strappa qualcosa… dentro…
– Da… dentro…?
– D… dall’anima… ahaaa…
Pete avrebbe voluto avvolgerla meglio tra le braccia, ma il braccio sinistro quasi inservibile glielo impediva. Col destro attorno alle sue spalle la premette di più contro di sé, cullandola appena, tenendole le labbra schiacciate sulla fronte bollente e il volto tra i capelli scompigliati.   
Finalmente il calore che irradiava dal corpo di Pete cominciò a pervaderla: lentamente i brividi calarono di intensità fino a fermarsi e per Briz fu come se il buio si dissipasse dal suo animo. Si lasciò sfuggire un lungo sospiro e il giovane la sentì abbandonarsi tra le sue braccia per poi stringersi più forte a lui.
 
Briz-in-braccio-a-Pete
 
Le ferite all'avambraccio e alla gamba di Briz non sanguinavano quasi più, e anche il suo volto riprese un po' di colore.
– Va meglio? – le chiese accarezzandole un braccio, sentendo che stava tornando alla temperatura normale e che la pelle d'oca si era attenuata.
– Sì, solo… ti dispiace… tenermi così ancora per un po'?
– Insomma, se proprio devo… Abbracciare una bella ragazza è un sacrificio mica da poco – scherzò Pete, rilassandosi a sua volta.
Si rese conto che quello appena passato era stato, probabilmente, il momento più terrorizzante di quella brutta avventura, perché lui non aveva saputo, nel modo più assoluto, cosa fare per affrontarlo. In realtà, anche se non se ne rendeva conto, ciò che aveva fatto era tutto quello di cui Briz aveva avuto effettivamente bisogno: che lui fosse lì, semplicemente.
La ragazza soffocò un lieve sorriso contro la sua spalla e pensò che, nonostante la posizione sacrificata in cui si trovavano, non si sarebbe mossa di lì per niente al mondo. Poi la consapevolezza di ciò a cui l'amico aveva appena assistito si palesò e, senza volerlo, sentì tutti i muscoli tendersi nuovamente.
– Che c'è, fanciullina?
– Hai… visto il mostro?
– Sì, e sei anche stata molto brava: l'hai fatto fuori da sola, senza l'aiuto di nessuno.
– No, Pete, non hai capito: io non intendevo il Mostro Nero, ma quello in cui mi trasformo io, quando combatto. Adesso capisci perché non ho mai voluto dirlo, né a te, né agli altri?
– Per quale motivo dovresti sentirti mostruosa? Non lo capisco.
– Te ne sei accorto, no? A volte io non sono… sola, mentre combatto.
Effettivamente, poco prima che lanciasse l’arma con cui aveva sconfitto Zhora, gli era sembrato che Briz parlasse con… qualcuno? Quella strana faccenda gli riportò alla mente il giorno in cui la ragazza aveva scoperto il Thunderbolt e alla spiegazione che Daimonji aveva dato, relativa al DNA di suo fratello ancora presente nei connettori neurali di Balthazar. Non erano argomenti in cui lui fosse particolarmente ferrato, ma era sottinteso che fosse Alessandro, la presenza che lei avvertiva durante le battaglie e con cui pareva, in qualche modo, interagire. E a dire il vero, considerato il modo in cui lei la presentava, la cosa lo inquietava, persino; ma di certo non gli faceva vedere Briz come una creatura orrenda e disumana. Pensò che a volte, in momenti difficili e complessi, la mente avesse bisogno di aggrapparsi a qualcosa, per non vacillare; quella di Briz aveva, semplicemente, scelto il ricordo del suo amato gemello.
– Io non ho visto nessun mostro, – le ribadì, sottovoce – ma solo una tizia dannatamente forte e coraggiosa. E vuoi sapere una cosa? Quella cavolo di armatura ha persino un certo fascino, su di te.
A quelle parole, Pete la sentì ammorbidirsi di nuovo e persino lasciarsi sfuggire una risatina nervosa.
– Ah-ah, ma certo! – commentò ironica – Sembro un incrocio tra ser Lancillotto e un Power Ranger! 
– Beh, io adoro il personaggio di Lancillotto – disse Pete; poi aggiunse, con tono da cospiratore: – E se mi prometti di non dirlo a nessuno, ti confesso anche che quando avevo undici anni andavo matto per i Power Rangers!1
– 'cidenti! A saperlo prima, quante paturnie mi sarei risparmiata!
Sentendola scherzare, anche Pete si sentì un po' meglio.
Briz teneva il capo chinato in avanti, e lui le sollevò i capelli sulla nuca, scoprendo il tatuaggio e osservandolo in silenzio.
Aveva visto bene: rappresentava davvero il leone con la criniera di fuoco. Attorno ad esso, con i bordi parzialmente coperti dalle fiamme, si vedeva bene la forma di un cuore rosso stilizzato, disegnato con due semplici tratti curvi asimmetrici.
Briz capì benissimo cosa stesse guardando Pete, e si concentrò su quello per non pensare a quanto le piacesse sentire le sue dita tra i capelli.
– Alla fine l'hai visto, eh? – disse rassegnata.
– Perché, era un segreto di stato?
– Ah, no no… prima o poi doveva accadere.
– L'hai fatto la vigilia di Natale, vero? Era questo che quella sera ti faceva male.
– Hm-mm. Una delle mie ultime cazzate.
– E perché? Non mi pare una cosa così strana, di questi tempi.
– Non pensi che sia una frivolezza?
– Non particolarmente, è una voglia che ho avuto anch'io, quella del tatuaggio – confessò Pete.
– Davvero? E dove te lo sei fatto?
– Ah, sentila, la curiosona! Ti piacerebbe vederlo, eh? – la provocò, sfoggiando un sorrisetto malizioso e vagamente diabolico.
Briz avvampò al punto di sentirsi le guance bruciare, ma non si lasciò prendere in giro.
– Sì, mi piacerebbe, a meno che non sia in un posto… che so, dove non batte il sole. Nel qual caso, passo.
– Beh, la verità è che alla fine… non l'ho fatto, perché quando ci pensavo non mi veniva in mente niente, scritta o disegno che fosse, che volessi davvero portarmi addosso per tutta la vita. Ma il tuo ha un senso: tu sei Cuordileone, e lo sarai per sempre.
Briz non trovò nulla con cui ribattere a quel complimento sottinteso; lui lasciò che i capelli le ricadessero sulle spalle e tacquero, cercando di rilassare le membra provate dalla fatica e dal dolore, traendo conforto, nonostante la scomodità, dalla stretta vicinanza dei loro corpi; un po’ come la notte che avevano passato insieme durante la prigionia nel sottosuolo del Sahara.
– Stai meglio, ora? – le chiese dopo un po’.
– Sì, è passato – rispose Briz.
Pete la scostò appena per guardarla in viso.
– No, non è passato – disse piano, vedendole una piccola goccia scarlatta appena sotto la narice sinistra.
– Che cosa c'è? – chiese Briz preoccupata.
Pete riuscì, nonostante il braccio quasi fuori uso, a toglierle dalla cintura dei jeans i resti strappati della camicia; fu sollevato dal fatto di riuscire a muoverlo un po’.
– Niente di grave, direi: ti sanguina il naso – le disse asciugandoglielo.
Briz si ritrasse, disgustata.
– Bleah, ma che schifo! – brontolò, girando la testa per non farsi guardare.
– Briz, non è niente, solo un po' di sangue dal naso. Messi come siamo, goccia più, goccia meno…! Guarda, ha già smesso… Non ti è mai capitato da ragazzina? A me sì, qualche volta – la rassicurò Pete, girandola di nuovo verso di lui e finendo di ripulirle il viso.
Si bloccò di colpo, guardandola a occhi sgranati.
– Che altro c'è? – esclamò lei, agitata.
Pete fissava, allibito, il ciuffo di capelli che le incorniciava il lato destro del viso e che le scendeva poi lungo la spalla. Si arrotolò la lunga ciocca attorno alle dita e gliela mostrò: la ragazza vide, inorridita, che i capelli, da castani, diventavano lentamente bianchi come la neve. 
Le venne voglia di urlare e si impose di tacere premendosi un pugno sulla bocca, ma non riuscì a trattenere un gemito soffocato. Nessuno dei due fu capace di proferire parola.
Nell'arco di un minuto la ciocca, larga diversi centimetri, era diventata candida, partendo dalle radici fino ad arrivare alle punte, spiccando con il resto della chioma scura.2 
Briz alzò gli occhi in quelli di Pete, lasciando che due lacrime le rotolassero silenziose sulle guance.
– Che cosa… mi sta succedendo? – disse a voce bassa, con le labbra che tremavano e un tono a metà tra il rassegnato e il disperato.
– Io… non ne ho la più pallida idea, credimi – le rispose, non meno confuso di lei.
– Cosa! Stracavolo! Mi sta! Succedendo?! – reiterò Briz urlando, afferrandogli e stringendo fra le dita contratte la stoffa macchiata di sangue della sua maglia e scrollandolo, praticamente in preda a una crisi isterica; Pete le afferrò la mano e le diede a sua volta uno scrollone.
– Calmati! – le ordinò in tono perentorio, con uno sguardo duro come l'acciaio.
Lei si immobilizzò, come se avesse preso uno schiaffo, e lo guardò smarrita; la stretta sulla sua mano si allentò e gli occhi di Pete tornarono a essere solo preoccupati.
– Okay, fantastico – commentò Pete, come a sé stesso – Ho imparato cosa fare con una ragazza isterica, oltre che con una che piange. Avanti, adesso prendi un paio di bei respiri e tranquillizzati – le disse con calma.
Lei annuì e respirò, poi abbassò gli occhi e crollò il capo in avanti, sentendosi completamente avvilita.
– Fabrizia Cuordileone, guardami – le disse Pete, sollevandole il viso con una mano – Io non so cosa ti stia succedendo, e finché non saremo a casa e Doc, Toshiro e Yumiko non ti avranno visitata, non potremo saperlo. So solo che io non posso farci niente, e nemmeno tu: è un dato di fatto. Mi hai ascoltato? – le chiese, pratico come sempre.
– Sì – mormorò lei, vagamente apatica.
– Dimmi come ti senti.
– Come mi sento, dici? – gli gridò, ritrovando la parola – A parte sfinita, lercia e sanguinante, vuoi dire?
– Oh, bene, riesci a fare del sarcasmo, vuol dire che sei tornata in te! Per la cronaca, anch'io mi sento esattamente così: sfinito, lercio e sanguinante! Il braccio mi fa male, molto! E anche la testa! – poi, vedendola così pallida, con le labbra tremanti e quella ciocca di capelli color della neve, smorzò i toni e proseguì – Ma passerà anche questa e andrà tutto bene, fanciullina: i nostri amici stanno arrivando. E adesso dammi quel braccio – le ordinò dolcemente.
Briz raddrizzò leggermente il capo e la schiena e obbedì; con calma e delicatezza, ignorando la posizione scomoda e il braccio sinistro dolorante e intorpidito, Pete riuscì a fasciarle alla bell'e meglio, con i resti della camicia, sia l'avambraccio che la coscia. Briz guardava affascinata i suoi movimenti, lenti e impacciati ma rassicuranti; respirando a fondo, come lui le aveva consigliato, cominciò a sciogliersi un po'. Gli sollevò il ciuffo dalla fronte e lui la guardò.
– Oh, Pete… il tuo occhio – sospirò scuotendo la testa, osservando la ferita al sopracciglio e il livido che stava diventando violaceo.
– Ah, non dirmelo… Me lo sento gonfio come quello di un rospo, credo sia un miracolo se ci vedo ancora qualcosa – rispose lui, chinando la testa e appoggiando la fronte sulla spalla di Briz.
Era sfinito anche lui, ma la carezza delle dita della ragazza fra i capelli gli diede un meraviglioso senso di pace e rilassatezza.
– Tranquillo, non è poi così gonfio; è solo molto… non so… nero? E viola… con sfumature di blu – gli disse, tentando di scherzare.
Proprio in quel momento il canale delle comunicazioni si aprì: la voce del dottor Daimonji riempì l'abitacolo e il suo viso barbuto apparve nel piccolo monitor, a destra della cloche.
– Pete! Fabrizia! Ci siete, state bene? Si può sapere che diavolo avete combinato stavolta? – chiese, ansioso e preoccupato.
Pete sollevò piano la testa dalla spalla di Briz, guardò verso il monitor e le disse: – Coraggio, rispondi, sei tu il comandante, qui.
Briz gli fece un breve sorrisetto nervoso e si chinò appena in avanti, ripristinando i contatti.
– Presenti, Doc. Per esserci, ci siamo, quanto allo stare bene… ci stiamo lavorando, ma avremo bisogno di Toshiro e Yumiko, e di lei. Abbiamo preso una discreta strapazzata.
– Santo Cielo – commentò Sanshiro, apparendo in una metà del monitor – mi sembrate usciti da un libro di Stephen King! Briz, che ti è accaduto ai capelli? E perché ve ne state abbracciati una addosso all'altro? 
– Ma grazie! – rispose Pete – Tu sì che sai come tirare su il morale agli amici! Ti dispiace se vi raccontiamo le nostre disavventure più tardi? Sparisci! – concluse in tono leggero.
Sanshiro, sollevato nel sentire l'amico scherzare, gli obbedì e scomparve dal monitor e, al suo posto, apparve Sakon ai comandi del Drago: anche lui fece una faccia stupita, nel vederli.
– Beh, Sanshiro non ha tutti i torti, circa il vostro aspetto; ne avrete un bel po', di cose da dirci, appena vi sarete ripresi. Stiamo per entrare in contatto visivo reale, riuscite a vederci?
Briz e Pete alzarono lo sguardo oltre la vetrata e il Drago Spaziale apparve in tutta la sua possente mole.
– Non avevo mai visto il Drago da lontano, nello spazio – disse Pete a bassa voce; poi aggiunse perplesso: – È per via della botta in testa che ho preso, o è davvero sempre stato così brutto?
– Ebbene sì, mio Capitano – confessò Fabrizia, mentre lo guardavano avvicinarsi a loro – Sono dispiaciuta di dirti che il Drago Spaziale è sempre stato orrendo, sgraziato e pancione. Ma ti giuro che in questo momento è la visione più bella che io abbia mai avuto… Devo riprendere i comandi e rimettere a cuccia il micione! – annunciò poi, riscuotendosi all’improvviso.
Con cautela si alzò, cercando di non far caso al dolore, e gli si tolse di dosso.
Nel separarsi ci fu un istante, che nessuno dei due avrebbe mai rivelato all'altro, in cui sentirono come un'inspiegabile sensazione di freddo: come se, tutto a un tratto, mancasse loro qualcosa.
Anche Pete si rialzò, dolorante quanto lei, e si posizionò a fianco della poltroncina, mentre la ragazza riprendeva posto e avviava le manovre di rientro. Al momento di infilare l’entrata tra i pannelli aperti sul petto del Drago, il braccio ferito e informicolito le tremò, facendole perdere per un attimo il controllo. Pete fu lesto a sporgersi in avanti e la sua mano destra si posò sicura sopra quella di Briz, rimettendo il leone in assetto, fino a riportarlo nell’hangar.
– Grazie – sospirò lei con un’occhiata ansiosa, sentendosi quasi inetta, per poi spegnere tutto.
Nell'auricolare le risuonò la voce di Sanshiro: – Senza scherzi, mi siete sembrati davvero messi maluccio, ragazzi! Abbiamo già allertato l'infermeria, veniamo a prendervi all'hangar.
– Apprezziamo molto, a fra poco – rispose Briz grata, ma stancamente, mentre Pete faceva un passo indietro, con un’espressione sofferente sul viso.
Briz lo vide barcollare e si alzò di scatto, nonostante la debolezza e il dolore alla gamba, affrettandosi a sostenerlo.
– Pete! Stai bene?
– Mmm, no, non proprio – rispose lui, appoggiandosi alla parete di fondo della carlinga – Comincio a pensare che nelle mie vene ci sia rimasto giusto mezzo litro d'acqua con qualche globulo rosso disperso…
– Andiamo, forza, prima che mi svieni come una donnetta! Dov'è finito il mio macho tosto e cattivo?
A coronamento di quella frase, fu lei quella a cui si annebbiò di nuovo la vista, e perse l'equilibrio finendogli addosso; nemmeno a farlo apposta, sarebbe potuto venire così bene.
– Scusami, non sono messa molto meglio di te – sussurrò appena, scuotendo la testa e rimanendo lì, appoggiata contro di lui.
Sollevò lo sguardo nel suo e si disse, con un certo orgoglio, che era riuscita nella sua temeraria missione: lo aveva riportato a casa vivo; massacrato, ma vivo. Pensò di meritare una ricompensa… Dopotutto gli aveva salvato la vita, e quella specie di patto che c’era tra loro – o gioco, o scherzo, o quel che fosse – consisteva ancora nel fatto che… "Se lei avesse avuto voglia di un bacio, se lo sarebbe preso".
Così chiuse gli occhi e appoggiò le labbra appena dischiuse a quelle di Pete, accorgendosi subito che quel lieve, innocente contatto, non le sarebbe bastato. Premette un po' di più la bocca, muovendola piano, mordicchiandogli dolcemente il labbro inferiore, indecisa se concedersi o meno qualcosa di più profondo. Il fatto che lui non la stesse respingendo, ma stesse ricambiando quel timido approccio, la fece decidere in un attimo e, con il cuore in tumulto e le guance in fiamme, gli sfiorò con la punta della lingua il labbro superiore.
“Oh, andiamo, ma che stai facendo, stupidona!” si disse staccandosi in fretta, con la precisa impressione, però, che a Pete, questa mossa imprevista, non fosse proprio dispiaciuta: sembrava più che altro sorpreso.
– Briz… ma che ti prende? – le chiese infatti, con un sorriso incerto e cercando il suo sguardo.
Lei tenne la testa bassa e non rispose, così lui gliela sollevò, con un dito sotto al mento, ma Briz tenne gli occhi chiusi. Sentì che la fronte di Pete toccava la sua, e anche il suo naso sfiorava la punta del suo.
– Allora? Che succede? – insistette lui sottovoce.
Briz aprì appena i occhi e si morse un labbro.
– Ma… niente… A-avevo bisogno di… f-fare qualcosa che mi convincesse che… ne s-siamo usciti vivi – balbettò confusa.
Ma che cavolo…! Solo lui riusciva ad essere attraente con addosso più sangue di un vampiro alle tre di notte e con un occhio nero e pesto! Si scostò e accennò un passo indietro, verso la piccola piattaforma dell'ascensore.
– Ehi, ehi! Dove credi di andare? – esclamò Pete, trattenendola per il braccio sano e riaccostandola a sé.
Le spostò una ciocca di capelli dal viso, gliela passò dietro l'orecchio e, guardandola intensamente, disse:
– A te è bastato così poco? Perché io… non sono mica ancora convinto, di esserne uscito vivo.
Briz si sentiva agitata e frastornata, ma il senso di quella frase non le sfuggì; mentre chiudeva gli occhi decise che, accidenti, andava bene così! No, andava più che bene: andava benissimo!
Ecco, magari non si era aspettata che Pete si sarebbe preso un bacio così prepotente, tenendole una mano dietro la testa e le dita intrecciate ai suoi capelli in modo quasi sgarbato, quasi avesse paura che lei volesse staccarsi; eventualità lontana anni luce, ovviamente. Pete sentì Fabrizia lasciarsi andare contro di lui, la sua mano risalirgli lungo il petto fino ad accarezzargli il collo e la guancia e intrufolarglisi tra i capelli, e la sua bocca cedere, tenera e calda, contro la sua.
Il bacio perse tutta la prepotenza e la furia iniziali, le loro labbra si schiusero morbidamente e il sapore del sangue e della paura si stemperò in una meraviglia di passione e dolcezza.
A entrambi venne spontaneo tentare di sollevare anche gli arti feriti per abbracciarsi e, a quel movimento dettato dall’istinto, ambedue avvertirono le labbra dell’altro contrarsi in una smorfia di dolore che li fece staccare, ma fu solo un attimo. Le loro bocche si fusero nuovamente, mentre le braccia sanguinanti rimasero lungo i fianchi, accontentandosi di afferrarsi le mani e stringersi le dita.
Briz lo spinse contro la parete, ed entrambi avvertirono un brivido quando il seno di lei si schiacciò sui pettorali di Pete, facendo quasi rimbalzare i loro cuori sulle costole. Dopo aver visto la morte così da vicino, quel bacio stava togliendo loro il fiato ed era, allo stesso tempo, una boccata di aria limpida: un lungo respiro di vita che, brioso e frizzante, gli serpeggiò felice tra le vene.
 
Briz-Pete-Bacio

Ormai appurato che la ragazza non si sarebbe staccata sdegnata – anzi, che non si sarebbe staccata affatto – la presa di Pete fra i suoi capelli si allentò, trasformandosi in una lenta carezza sulla nuca, scendendo lungo il collo e scivolando sulle spalle scoperte, stringendola poi in un abbraccio il cui unico rimpianto, avendo un braccio a testa fuori uso, era quello di non poter essere più completo e avvolgente. Dimenticarono completamente i loro abiti strappati e macchiati di sangue e di essere sfiniti, sporchi, doloranti e feriti. Il tempo dei bacetti da asilo d’infanzia era decisamente andato: in un attimo erano finiti in quinta liceo con tanto di esame di maturità; oltretutto, a quel che pareva, superato a pieni voti!  
Da quanto tempo ci giravano intorno, al desiderio di un bacio come quello? Mesi!  
Il pensiero che, forse, avrebbero dovuto smetterla, poiché giù li aspettavano, li sfiorò appena. Per tre o quattro volte accadde che, nel momento in cui uno dei due accennava a staccarsi, l'altro faceva in modo che le loro bocche si raggiungessero e si trovassero nuovamente, perdendosi una nell’altra.
La realtà tardò ancora un po’, a farsi strada nei loro pensieri; e quando, con riluttanza, le loro labbra si separarono definitivamente, non riuscirono ad allontanarsi l'uno dall'altra, ma nemmeno a guardarsi in faccia: rimasero lì, lei con la fronte contro il collo di Pete, lui con la guancia appoggiata ai suoi capelli, con gli occhi chiusi, tutti e due ansanti come dopo una corsa, i cuori che continuavano a battere impazziti uno contro l'altro. E con tutto il sangue che avevano perso, era tutto dire.
– Uoh… – sospirò Briz, restando morbidamente abbandonata contro di lui – Delinquente… avrai anche il cuore di ghiaccio… ma baci che è uno spettacolo!
Pete si accorse, dal tono di voce, che la ragazza stava ridacchiando, così le passò le dita nei capelli, scostandola un po' da lui e osservandole il volto pallido e gli occhi segnati.
– Anche tu, per essere solo una fanciullina ingenua; comincio a credere di non aver mai capito niente di te.
Briz gli sorrise: un sorriso stanco, sul volto provato dalla paura e dal dolore, ma che le illuminò gli occhi di una luce birichina e che le ridiede la sua solita spavalderia.
– Ma… seriamente, Pete? Non ho più tredici anni, anche se ho l'impressione che tu continui a pensarlo!
– Non è che pensassi… che tu non avessi mai baciato nessuno, prima… è solo che… – rispose lui, incerto.
– Senti, ne avevamo voglia tutti e due, lo sai! Anzi, ne avevamo… bisogno! Questo non significa che sarai costretto a regalarmi quel famoso anello che abbiamo visto in vetrina, con tutto ciò che ne consegue. Per quanto notevole, era un bacio. No, vabbè, forse erano anche quattro-cinque… Ma suvvia, non facciamocene un problema… non mi sono mica infilata tra le tue lenzuola!
Pete si sforzò di scacciare dalla sua mente la sconvolgente immagine di questa ragazza nel suo letto. Le sorrise, un po’ intenerito da quel tentativo di ridimensionare ciò che era appena accaduto.
– Briz, a volte sei davvero…
 – …sciroccata, delirante, fusa…? – suggerì lei – Sì, devi avermelo già detto.
– Già, ma è un concetto che ogni tanto è bene ribadire, no? Tranquilla, allora, non ti chiederò di sposarmi. Ma hai ragione: avevamo davvero bisogno di qualcosa di bello, dopo questo casino – concordò lui, con un’ultima stretta attorno alle spalle di lei e schioccandole un bacio sulla tempia.
Briz si staccò da lui e fece un passo indietro, sulla piattaforma dell'ascensore trasparente; pur suo malgrado, Pete la lasciò andare e la seguì.
La piccola piattaforma circolare si mosse verso il basso e lui approfittò del poco spazio per avvicinarla di nuovo a sé. Era sfinito, debole e, soprattutto a livello emotivo, confuso quanto lei, ma non riusciva ad allontanarsene. La ragazza gli appoggiò la guancia alla spalla, sentendosi non meno stremata e turbata di lui: quei baci, come abili e imprevedibili ladri, li avevano privati delle ultime energie rimaste.
Proprio ora che erano giunti alla fine di quell’avventura pazzesca e quasi surreale, e l’adrenalina cominciava a scemare e dissiparsi dai loro corpi, il dolore delle ferite si riacutizzò per entrambi: Briz si sentì improvvisamente le gambe molli e formicolanti e si aggrappò improvvisamente a lui, pallidissima e faticando a respirare.
– Pete… tienimi… – ansimò.
– Cosa c’è? Cos…
– Tienimi, sto per…
Non arrivò nemmeno a finire che si afflosciò tra le sue braccia, perdendo i sensi. Pete si chinò, passandole il braccio sinistro dietro alle ginocchia per sollevarla, preoccupato a morte; ma quel gesto istintivo, fatto senza pensare, fu troppo per lui: sentì distintamente la ferita riaprirsi e il sangue ricominciare a fluire copiosamente, penetrando la fasciatura di fortuna. Il dolore lo colpì come una violenta e improvvisa staffilata, costringendolo a crollare in ginocchio e ad appoggiare la schiena della ragazza svenuta alle proprie gambe per non lasciarla cadere; si ritrovò col respiro mozzato e, per un attimo, faticò a ritrovare l’aria.
– Briz! Che ti succede? – riuscì ad articolare, quando riprese fiato.
Continuò a chiamarla, tenendole il braccio sano attorno alle spalle, ma lei rimase inerte, con la testa reclinata all’indietro, le labbra livide e screpolate e gli occhi chiusi, le cui lunghe ciglia non riuscivano a celare le occhiaie violacee. Di nuovo, un filo scarlatto stillò da una narice e le colò lungo la guancia contusa. E quella ciocca bianca che risaltava tra i capelli scuri…
Oh, Dio! Pete non si era mai sentito così disperato, inutile e spossato: il suo braccio ferito continuava a sanguinare e a pulsare, in fitte lancinanti, all’unisono con il cuore, la testa e l’occhio, mentre si costringeva a sostenere come poteva il corpo di Briz, tentando di non svenire per il dolore. 
 
 
Briz-Pete-feriti
 
La porta dell'ascensore si aprì e Pete, sfiancato e pallido almeno quanto Fabrizia, si trovò davanti Sanshiro e Bunta che misero a fuoco la situazione in un attimo.
Sanshiro si chinò davanti all’amico inginocchiato e, presa in braccio la ragazza esanime, la adagiò su una delle due attrezzate barelle, pronte per portarli alla stanza di primo soccorso. Bunta aiutò Pete a rialzarsi, sostenendolo per condurlo all'altra lettiga.
– Pensate… prima a Briz. È ferita…
– Perché tu no, invece? Non preoccuparti, Sanshiro la sta già portando da Doc, all'infermeria: starà bene.
– Bunta, mi è svenuta fra le braccia! La NGC… Ha combattuto… Non… – Pete non riuscì a finire la frase: la vista gli si offuscò, i rumori si attutirono…
Fu un attimo… e anche per lui, il mondo scomparve.
 
 
> Continua…
 
 
 
Note:

1 I Power Rangers erano una serie di telefilm (18 stagioni!!!) andate in onda a partire dal 1993, della Saban Entertainment, che racconta le avventure di gruppi di teenager che diventano supereroi e si avvalgono anche dell'aiuto di vari robot. Una robetta ridicola, ma ricordo che a mio figlio piacevano un botto! 
                                                                    
2 Mi è stato detto che i capelli, dopo uno stress o uno spavento, possono davvero imbiancarsi (la chiamano “Sindrome di Maria Antonietta”, poiché pare che alla regina sia accaduto davvero, durante la vana fuga a Varenne della famiglia reale, durante la Rivoluzione Francese) ma comunque non imbiancano tutti di colpo: cominciano dalla radice e diventano bianchi man mano che crescono. Effettivamente è logico, ma a me piaceva che questa cosa avvenisse così, in modo repentino. Quindi, perdonatemi la licenza un po’ favolistica che mi sono presa.


Uhm uhm… state dicendo che è successo qualcosa, oltre alla sconfitta di Zhora e alla ciocca di capelli bianchi?
Eh? Che cosa? Dite che si sono baciati? Cioè baciati davvero con la lingua? No, ma dai... e io dov'ero quando è successo??? 

Eh, beh, insomma, 26 capitoli per una pomiciata decente… magari era pure ora... peccato che siano entrambi un po’acciaccati, ma pare che loro abbiano gradito lo stesso ^^'  Voi non so… Perché… avete visto che lo hanno preso come l’ennesimo gioco, vero?
Ed ecco che mi arriva addosso il Thunderbolt... 

No, dai... bastano i disegni per farmi perdonare?  Sapete, vi dirò che ne sono piuttosto fiera, io che di solito mi sminuisco sempre. 
Però... non è che vi dà fastidio il sangue, vero? Perché ammetto che mi sono divertita ad abbondare... sadikona, io! 
(E pensare che a me fa pure impressione!
)
  
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