Teatro e Musical > Les Misérables
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Autore: Christine Enjolras    30/04/2017    1 recensioni
Marius Pontmercy, sedici anni, ha perso il padre e, nel giro di tre mesi, è andato a vivere con il nonno materno, ora suo tutore, che lo ha iscritto alla scuola privata di Saint-Denis, a nord di Parigi. Ora Marius, oltre a dover superare il lutto, si trova a dover cambiare tutto: casa, scuola, amici... Ma non tutti i mali vengono per nuocere: nella residenza Musain, dove suo nonno ha affittato una stanza per lui dai signori Thénardier, Marius conoscerà un eccentrico gruppo di amici che sarà per lui come una strampalata, ma affettuosa famiglia e non solo loro...
"Les amis de la Saint-Denis" è una storia divisa in cinque libri che ripercorre alcune tappe fondamentali del romanzo e del musical, ma ambientate in epoca contemporanea lungo l'arco di tutto un anno scolastico. Ritroverete tutti i personaggi principali del musical e molti dei personaggi del romanzo, in una lunga successione di eventi divisa in cinque libri, con paragrafi scritti alla G.R.R. Martin, così da poter vivere il racconto dagli occhi di dodici giovanissimi personaggi diversi. questo primo libro è per lo più introduttivo, ma già si ritrovano alcuni fatti importanti per gli altri libri.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Combeferre

“Conosco quella faccia: per cosa manifesteremo, stavolta?” Nemmeno avevano fatto a tempo a dirgli ‘Ciao’ che Feuilly, arrivando con il suo vassoio al tavolo a cui erano seduti gli altri ragazzi, aveva guardato Enjolras negli occhi, si era fermato immediatamente davanti a loro e aveva pronunciato queste parole. Combeferre se lo aspettava: lo sguardo del biondo leader era ancora così pieno di fervore che Feuilly non avrebbe potuto non percepirlo.

“Chi ti dice che abbia in programma una manifestazione?” gli chiese Enjolras guardando il ragazzo avvicinarsi. Joly spostò lo zaino e lasciò libero il posto che avevano tenuto apposta per Feuilly.

“Dunque, vediamo…” iniziò Feuilly alzando lo sguardo verso il soffitto e portandosi una mano al viso, caricaturando un pensatore. Si tastò il mento con le dita e poi constatò: “Eri sull’attenti come se stessi giusto aspettando il mio arrivo, torturando con la forchetta quella povera quiche; avete tenuto per me proprio il posto al centro davanti a te, nonostante sarebbe stato più comodo farmi sedere a lato…” Feuilly si interruppe, poi abbassò lo sguardo verso Enjolras, sorrise e indicandolo con l’indice, terminò: “…e conosco troppo bene quello sguardo per non capire che stai pianificando qualcosa.” Combeferre si voltò e vide che Enjolras stava rispondendo con un sorriso compiaciuto sul viso. “Quindi, ti ripongo la mia domanda:” riprese Feuilly sedendosi tra Joly e Bahorel, “per cosa vuoi manifestare questa volta?”

Enjolras gli porse il volantino contenente la notizia della cancellazione delle attività extrascolastiche: lui e Combeferre lo avevano trovato appeso alla bacheca del primo piano e lo avevano staccato perché gli altri studenti ancora non lo leggessero. Per lo stesso motivo, prima di trovarsi per pranzo, gli altri ragazzi erano corsi in giro per la scuola a cercare eventuali copie e le avevano rimosse tutte: l’unica copia che loro non avevano sequestrato era rimasta quella in mano al professor Valjean, ma Combeferre era sicuro che l’insegnante l’avrebbe gettata. Feuilly lesse il foglio, apparentemente con molta attenzione, e sembrò quasi rimanere senza parole.

“Dunque qual è il piano?” chiese Feuilly ad Enjolras, restituendogli il foglio.

“Come dicevo a Combeferre e Courfeyrac,” cominciò il giovane leader mettendosi in tasca il foglio, “stavo pensando che dovremmo fare un volantino sulla manifestazione e sul motivo per cui la faremo.”

“Aspetta un attimo!” lo interruppe confuso Bahorel. “Perché ci hai fatto togliere tutti i volantini, allora?”

“Perché dobbiamo fare in modo che gli studenti non vadano a lamentarsi con Javert o con il preside come abbiamo fatto noi” rispose tranquillamente Combeferre. “Se lo facessero non otterremmo l’effetto voluto.”

“L-l’effetto?” chiese Jehan ancora più confuso di quanto non fosse Bahorel prima di lui, voltandosi alla sua destra dov’era seduto Combeferre. “Che cosa intendi?”

Stavolta fu Courfeyrac a prendere la parola: “Pensaci: se gli studenti andassero da Javert a poco a poco lui farebbe in tempo a capire che qualcosa non va e a pensare a come calmare le acque.”

“Noi, invece, non dobbiamo dargli questa possibilità” proseguì Combeferre.

“Dobbiamo lasciare che pensi che vada tutto bene per poi coglierlo di sorpresa tutti assieme” terminò Enjolras. “Oggi gli abbiamo dato un avvertimento, ma la vera azione arriverà quando meno se lo aspetta.”

“Proprio come il rombo del tuono dopo il bagliore del fulmine!” disse Courfeyrac esaltato. Poi balzò in piedi e gridò, alzando le braccia: “BOOM!”

“Esatto: boom!” gli diede corda Enjolras. Combeferre notò che gli altri ragazzi sembravano sorpresi che Enjolras si fosse fatto trascinare da Courfeyrac, mentre lui se lo aspettava: il suo biondo amico doveva essere davvero su di giri, quindi non gli parve affatto strano che si lasciasse andare così.

“Mi sembra che abbia un senso” disse Bossuet appoggiandosi allo schienale e portando un braccio su quello della sedia di Joly. “Dopo come ci muoviamo?”

Enjolras si poggiò allo schienale e incrociò le braccia. “Del volantino che prepareremo dovremo fare solo poche copie e non le appenderemo in giro per la scuola. Dovremo usarle più come una specie di passaparola, da lasciare agli altri studenti in modo che se li passino di classe in classe. Se li appendessimo in giro, rischieremmo che Javert o gli altri professori li vedano.”

“Il nostro compito, quindi, è solo portarli alla nostra classe e lasciare che gli altri facciano il resto?” chiese Bahorel deluso. “Hai avuto idee più esaltanti!”

“Non ti preoccupare!” disse Enjolras. “Avrai tutto il tempo per far casino il giorno in cui ci apposteremo fuori da scuola a manifestare!” Combeferre guardò il viso di Bahorel: non gli parve che il ragazzone fosse convinto del tutto, ma forse un po’ più rassicurato rispetto a prima sì. “Inoltre cercheremo di venire la mattina presto, in modo da essere certi che tutti i ragazzi della scuola siano al corrente della nostra iniziativa e per renderci effettivamente conto su quanta gente possiamo contare.”

“Dobbiamo approfittare dei momenti in cui Javert non può riprenderci, giusto?” chiese Jehan sporgendosi in avanti sul tavolo per poter vedere Enjolras.

“Esatto, Jehan” gli rispose Enjolras con un sorriso. “E qui entri in gioco tu” disse a Feuilly, appoggiandosi coi gomiti al tavolo e indicandolo.

“Io?”

“Tu controlli sempre il portone d’ingresso” gli spiegò Enjolras tirandosi ancora più in avanti. “Dovresti farci da palo, informarci se arriva qualche professore o monsieur Fauchelevent in modo da non farci scoprire.” Feuilly sembrò esitante per un attimo, allora Enjolras allungò una mano sulla sua e aggiunse, guardandolo dritto negli occhi: “Non voglio mettere a rischio il tuo posto di lavoro, perciò sentiti pure libero di rifiutare.”

Feuilly restò a guardarlo per un po’, poi sorrise e disse: “Non ci saranno problemi… signore!”

Enjolras sorrise e si allontanò, rivolgendosi anche agli altri. “Voi che dite?” chiese guardandoli uno ad uno.

“Io ci sto!” disse per primo Jehan, senza esitazione. Nessuna sorpresa: quel minuto ragazzo possedeva più ardore e coraggio di quanto si potesse immaginare guardandolo, Combeferre lo sapeva bene, oramai.

“A me non devi neanche chiederlo!” disse Bahorel. “È ovvio che ci stia!”

“Ti ho seguito in guai peggiori” cominciò Bossuet. “Io ci sto!”

Joly sembrò rifletterci un attimo, poi abbassò lo sguardo e disse: “Bossuet ha ragione: abbiamo fatto di peggio. Conta pure su di me!”

“E tu che dici, Marius?” gli chiese Courfeyrac. Gli occhi verdi del ragazzo si spalancarono per lo stupore di essere stato interpellato. “Capisco che probabilmente non te lo aspettavi da noi, specie da quel finto angioletto biondo lì” disse indicando Enjolras, facendo sì che al biondino sfuggisse un risolino. “Ma noi siamo fatti così: se qualcosa non ci sta bene vogliamo farci sentire.”

“Non sei costretto a farlo” gli disse subito Combeferre sporgendosi in avanti per poterlo vedere. “È il tuo primo anno e sei nella classe di Javert: ti capiremo se non te la sentirai di partecipare.”

Marius distolse lo sguardo e sembrò riflettere. Dopo qualche istante, si sporse in avanti per guardare Enjolras oltre Courfeyrac e gli chiese: “Lo fai per fare la cosa giusta, non è vero?”

“Lo faccio per difendere delle attività che sono nostre di diritto” spiegò Enjolras.

Marius gli sorrise, fece cenno di sì con la testa e poi disse: “Allora sono dei vostri!”

Combeferre si girò istintivamente a guardare Grantaire: era l’unico a non essersi espresso e sembrava triste, stando lì seduto con sguardo mesto a tartassare la sua quiche con la forchetta. “E tu?” gli chiese Bahorel. “Ci abbandonerai anche stavolta?”

Grantaire non alzò nemmeno lo sguardo: fece spallucce, scosse leggermente la testa e disse: “Lo sai che per me questo genere di cose serve a poco: se uno ha le sue idee e non vuole ascoltare c’è poco da fare!”

“Perché non provarci, scusa?!” gli chiese subito Enjolras, visibilmente irritato dal suo cinismo. Combeferre si aspettava che reagisse così: non era la prima volta che lo faceva e certamente non sarebbe stata l’ultima. Da circa un anno Enjolras e Grantaire passavano molto tempo a discutere: c’era sempre qualcosa su cui erano in disaccordo, soprattutto su questioni ideologiche. A Combeferre dispiacque ammetterlo, ma oramai ci aveva fatto l’abitudine e non se ne sorprendeva più. “Arrendersi prima ancora di averci provato non ci porterà comunque da nessuna parte!” aggiunse il biondo leader del gruppo.

“Rischiare di farti cacciar via per niente è da sciocchi!” Questa volta, Grantaire aveva alzato gli occhi dal suo piatto e anche il tono della voce. “Ti farai espellere solo perché sei troppo testardo per accettare il fatto che è inutile!”

“È inutile solo se non ci provi!”

“Perché devi essere così dannatamente orgoglioso?!” disse Grantaire lanciando la forchetta nel piatto. “Perché non ammetti che puoi sbagliarti?! Che non puoi fare tutto?!”

Combeferre notò che attorno a loro, gli altri membri del gruppo sembravano leggermente imbarazzati dalla scena, e come biasimarli? C’era una tale tensione che si sarebbe potuta tagliare con un coltello. “Ragazzi…” tentò di fermarli il ragazzo dai capelli biondo rame. Sapeva già che non si sarebbero calmati, ma volle provarci comunque, se non altro per evitare che arrivassero al punto di dire cose di cui poi si sarebbero sicuramente pentiti. “Non mi sembra il caso di…”

“E tu perché devi essere sempre tanto cinico?!” disse Enjolras alzandosi in piedi e sbattendo le mani sul tavolo, appoggiandovisi. “Accidenti a te, Grantaire! Perché non provi a credere in qualcosa, ogni tanto, invece che cercare sempre di demolire le speranze altrui?!”

“Smettila di fare la parte dell’ingenuo, Enjolras!” controbatté Grantaire, alzandosi a sua volta e sporgendosi verso di lui. “Sei molto più sveglio di così! Apri gli occhi e piantala di sognare!”

“Non sono sogni: sono speranze!” ripeté Enjolras sottolineando la cosa. “Se sperare di poter far la differenza anche solo nelle piccole cose è un crimine, allora fammi sbattere in galera, perché non smetterò mai di farlo!” Combeferre sentì un leggero risolino e spostò subito lo sguardo verso il punto da cui lo aveva sentito: Bahorel aveva il braccio appoggiato allo schienale della sedia e stava guardando Enjolras con occhi orgogliosi. D’istinto, passò lo sguardo su tutti gli altri ragazzi e notò che anche loro sembravano compiaciuti di sentire il loro leader pronunciare quelle parole, anche se Marius sembrava ancora un po’ stordito da quella discussione: del resto, era la prima volta che Enjolras e Grantaire discutevano davanti a lui, senza contare che era già il terzo confronto a cui assisteva quel giorno. In cuor suo, anche Combeferre dovette ammettere di essere fiero dei nobili sentimenti di Enjolras, seppure un po’ preoccupato che si potesse cacciare in guai troppo seri: condivideva la causa, ma, non trattandosi di una questione di vita o di morte, pensava che fosse meglio agire comunque con una certa prudenza. Non poteva certo lamentarsi ora visto che l’idea di organizzare una manifestazione era stata sua: se avessero fallito, sicuramente Javert non avrebbe potuto espellere l’intera scuola, quindi con tutta probabilità la punizione sarebbe stata più lieve.

“Ti stai illudendo, Enjolras: è ben diversa la questione!” disse Grantaire scandendo bene le parole, riportando l’attenzione di Combeferre su di sé. Il ragazzo era sicuro di non avergli mai sentito usare un tono tanto severo: eppure c’era qualcosa di più che traspariva dalla sua voce, come se con quel discorso Grantaire stesse cercando si proteggere Enjolras, e questo al ragazzo dai capelli biondo rame non sfuggì. “Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire! Chiamala tranquillamente frase fatta, se vuoi, e urlami pure in faccia che non so elaborare un pensiero mio! Ma è così! JAVERT è così… e tu lo sai: lo sai meglio di chiunque altro!”

Enjolras rimase a fissarlo in silenzio per qualche secondo e Combeferre per un attimo sperò… o meglio, si illuse che il suo amico stesse cercando di ragionare e di calmarsi. Il biondino, come si aspettava, deluse del tutto le sue illusioni. Si sporse ancora di più verso Grantaire, lo guardò con occhi pieni di glaciale severità e disse, abbassando il tono della voce: “Tu credi di sapere sempre tutto, vero? Credi di poter venire qui a dirmi cosa devo o non devo fare perché sei convinto di conoscermi alla perfezione. Beh, indovina, Grantaire: tu non mi conosci per niente. L’unico a illudersi qui sei tu, che pensi di essere in una posizione tale per me da potermi davvero fermare.” Seguì un breve silenzio, nel quale Combeferre appoggiò il viso sulle nocche della sua mano lasciandosi sfuggire un sospiro: come aveva previsto, eccoli arrivati al punto in cui si dicono cose di ci si pente. Quando Enjolras e Grantaire litigavano per qualcosa che per il biondino era importante arrivavano sempre a non ragionare più: era così ogni volta. Poi, Combeferre alzò subito lo sguardo verso Grantaire: sembrava che le parole di Enjolras non lo avessero nemmeno scalfito, ma si riusciva a percepire che, in realtà, quella frase lo aveva ferito parecchio. “Io andrò fino in fondo a questa storia” riprese Enjolras, recuperando il suo zaino, “che a te piaccia oppure no: me ne frego.” Pronunciate questo parole, il biondo ragazzo se ne andò senza aggiungere altro.

Tutti lo guardarono andare via, ma non Combeferre: lui rimase in silenzio ad occhi chiusi, quasi esasperato. Accidenti ad Enjolras e al suo orgoglio rivoluzionario! Combeferre si lasciò scappare un sospiro lungo e poi aprì gli occhi. Tutti lo stavano guardando senza parole tranne Grantaire. Combeferre guardò gli altri ragazzi e poi portò i suoi dolci occhi verdi sul ragazzo dai ricci neri: lo vide restare ancora lì immobile a fissare Enjolras allontanarsi tra la folla, gli occhi azzurri pieni di tristezza e rabbia, prima di sedersi lentamente e posare lo sguardo sul tavolo. Tutti si girarono a fissarlo e Combeferre fu certo di vedere Bahorel guardare il suo amico con un’espressione seriamente dispiaciuta. Il ragazzo allungò un braccio sulla spalla di Grantaire e gli disse, con una dolcezza che Combeferre non gli aveva mai sentito usare: “R… va tutto bene?” Grantaire non rispose: aggrottò la fronte, chiuse gli occhi, respinse il braccio di Bahorel, prese il suo borsone e si allontanò nella direzione opposta a quella dove si era diretto Enjolras prima di lui: sembrava sul punto di esplodere, forse anche di piangere.

Bahorel sembrò scioccato: aveva due occhi pieni di sorpresa. Tuttavia si riprese presto: mise in bocca quello che restava del suo pranzo, recuperò lo zaino e, alzandosi in piedi, disse a Combeferre: “Fammi sapere se Enjolras dà indicazioni sul da farsi!” Poi salutò tutti con un cenno della testa e corse dietro a Grantaire.

Seguì una lunga pausa di imbarazzato silenzio, durante la quale Courfeyrac e Combeferre si girarono a guardarsi: lessero il dispiacere l’uno dell’altro e Combeferre fu certo che Courfeyrac avesse capito che voleva che si recasse con lui da Enjolras. Si alzarono entrambi e, mentre Courfeyrac prendeva lo zaino, Combeferre disse ai membri del gruppo rimasti: “Mi spiace di avervi rovinato il pranzo: avrei preferito una riunione pacifica e non una guerra.” Combeferre si sentiva davvero in colpa: aveva suggerito lui ad Enjolras di fare una riunione organizzativa a pranzo ed ora questa scelta gli si era ritorta contro.

“Non è colpa tua” gli disse Joly dispiaciuto. “Non potevi prevederlo!”

“Invece sì” disse Combeferre. “Sapevo che Grantaire non ne avrebbe voluto sapere e che avrebbero discusso…”

“Esatto: discusso, non litigato!” gli fece notare Bossuet. “Nessuno di noi avrebbe potuto mai immaginare che perdessero la calma così... e mi riferisco ad entrambi.”

“Stai tranquillo, Combeferre” lo rassicurò Feuilly, assieme ad uno dei suoi sorrisi dolci e rasserenanti. “Anzi: se avrete bisogno una mano per calmare Enjolras, fatemi sapere.”

“Grazie ragazzi…” disse Combeferre ancora dispiaciuto. Sapeva che si sarebbe sentito tranquillo solo quando Enjolras avrebbe chiesto scusa, certo che quel momento sarebbe arrivato presto, ma sentire che i suoi amici lo sostenevano lo fece sentire un po’ meglio. “Ah… Marius…” disse Combeferre al loro nuovo amico voltandosi verso di lui: era ancora sconvolto, glielo si poteva leggere sul viso lentigginoso. “Mi dispiace moltissimo che tu abbia dovuto assistere a tutto ciò. Prima o poi sarebbe successo comunque, ne sono certo. Però speravo… speravo che sarebbe accaduto più avanti, ecco…”

“Non preoccuparti, davvero…” disse lui, sforzandosi di sorridere. “Ho più tempo per abituarmici!” Combeferre lesse il disagio nei suoi occhi, ma apprezzò molto lo sforzo e non poté fare a meno di sorridergli.

“E tu, Jehan?” chiese infine, voltandosi verso di lui. “Tutto a posto?”

“Sì…” disse esitante il minuto ragazzino. “Ci sono abituato, oramai. Ma non mi piace quando litigano… non mi piace veder nessuno di voi litigare. Siamo amici… non dovremmo farlo…” Combeferre lo guardò dritto negli occhi azzurri, lasciò che sul suo viso trasparissero tutta la tenerezza e la tristezza che quella frase gli aveva suscitato e gli passò una mano fra i capelli.

“Aggiusteremo tutto, vedrai” disse Courfeyrac avvicinandosi a lui.

“Sì, insomma…” gli diede man forte Bossuet. “Non è la prima volta che litigano e hanno sempre fatto pace: finché non volano coltelli io starei tranquillo! Il che è facile: dobbiamo solo tenerli lontani dalla cucina!” aggiunse poi ridendo. Fortuna che c’era lui: persino la cosa più stupida, detta dall’ottimismo di Bossuet, riusciva a risollevare il morale a tutti.

“Andiamo?” chiese Courfeyrac a Combeferre.

“Certo.”

   
 
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