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Autore: Sarija    30/04/2017    7 recensioni
Lei Angelica.
Lui Angelo della Morte.
Legati da un filo rosso, rosso come il sangue.
[Altair x Nuovo Personaggio. OOC --> Malik]
STORIA COMPLETA. PUBBLICAZIONE SETTIMANALE.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Al Mualim, Altaïr Ibn-La Ahad, Malik Al-Sayf, Nuovo personaggio, Roberto di Sable
Note: OOC, Otherverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Amore e sangue'
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​Buongiorno! Ho deciso di pubblicare oggi anzichè martedì per la poca disponibilità di tempo durante la settimana (Università portami via e.e).
ATTENZIONE: I fatti narrati nei capitoli centrali della storia sono POV ALTAIR e ricordo che questa long è una OTHERVERSE.
Detto questo, buona lettura ^^
​CAPITOLO 1

La sensazione di una dolce carezza mi destò dal sonno leggero e con un sospiro amaro mi ricordai di essere in realtà solamente in compagnia di me stesso.
Passai la mano sulla guancia ispida dove ancora sentivo quel contatto mai avvenuto e con uno sguardo veloce guardai la parte vuota del giaciglio di paglia, che lei era solita occupare.
Inspirai profondamente, sentendo mille piccole lame conficcarsi nel cuore.
Avevo finto la mia morte per poter tenere sotto controllo senza scocciature – chi avrebbe mai tenuto d'occhio un uomo morto?- sia i Templari che Al Mualim.
Lo avevo fatto a fin di bene, per il Credo.
Eppure non mi perdonavo affatto il suo pianto.
Non ero molto distante dalla Dimora e quando l'orgoglio e la mia sconsideratezza me lo permettevano, mi intrufolavo nella residenza, silenzioso come un'ombra, e la guardavo dormire con il cuscino fradicio di lacrime.
Non avevo neanche il coraggio di sfiorarla o di scriverle.
Mentendo a me stesso potrei dire che lo facevo per non essere scoperto, ma sapevo bene  che non era questo a bloccarmi o almeno non era il motivo principale.
Temevo mi odiasse per quanto avessi fatto.
Mi passai una mano sul volto, scacciando sotto un masso d'orgoglio quei pensieri e riorganizzai la mente.
Qualche giorno prima avevo avuto la possibilità di girovagare per la città senza problemi a causa della sommossa popolare e, nascondendomi fra la folla, avevo potuto parlare tranquillamente con il mio contatto. Il suo resoconto mi fu utile: i Templari erano a conoscenza del fatto che la Mela si trovasse nella Dimore di Gerusalemme.
Anch'io lo sapevo, persino da chi fosse costudita, ma non la avevo mai vista materialmente. Il suo detentore la teneva al sicuro e lontano dal mio sguardo.
Un bussare deciso alla porta mi fece raddrizzare sul posto, pronto ad agire, la mano sull'elsa della spada legata fedelmente al mio fianco.
“È pronto!” una voce gracchiante mi giunse attutita a causa del legno spesso e pensante della porta.
“Arrivo fra un momento” dissi a denti stretti con tono acido e sentii i suoi passi scendere le scale borbottando qualcosa sul fatto che fossi sempre scorbutico di prima mattina.
Effettivamente aveva ragione.
Amani era una donna sulla sessantina che mi aveva accolto senza fare domande nella sua casa, appena io le chiesi asilo quasi due mesi prima. Io le garantivo protezione e materie prime per i pasti che lei pazientemente mi preparava ogni volta che potessi mangiare, mentre lei mi offriva in cambio un tetto sotto cui dormire tranquillo.
Ma ciò che preferivo di quella donna era ben altro.
Scesi le scale con passo felpato e la osservai sistemare la tavola finché non incontrai il suo sguardo vacuo e vitreo.
Amani era completamente cieca.
“Avanti giovanotto, non rimanere sull'uscio”.
Feci una smorfia contrariata: in qualche modo riusciva a percepire la mia presenza, nonostante gli anni di allenamento a cui ero stato sottoposto per essere il più silenzioso possibile.
Amani ridacchiò, probabilmente intuendo i miei pensieri e con un sospiro mi sedetti a capotavola davanti ad una pagnotta appena sfornata e una piccola ciotola di latte. Bevvi tutto d'un fiato il liquido biancastro dopo un’improvvisa arsura e mi gustai metà del pane.
Amani riusciva sempre a renderlo morbido all'interno e croccante all'esterno.
Alzandomi da tavola incrociai il viso corrucciato della donna che con le braccia incrociate  mi guardava irritata dritto negli occhi, come se potesse vedermi.
Sospirai sconfitto “Il resto lo mangerò durante la mattinata …” dissi mettendo ciò che rimaneva della pagnotta in una tasca della tunica bianca.
“Sarà meglio per te, giovanotto!” disse con una sicurezza che avrebbe fatto invidia a certi soldati novizi che sfortunatamente incrociavano la mia lama.
Uscii di casa senza aggiungere altro e mi arrampicai sul muro che si innalzava lungo una stradina senza uscita. Conoscendo a memoria gli appigli, raggiunsi il tetto in pochi secondi e osservai l'orizzonte lontano.
Ero stato inattivo per molto tempo lasciando che fossero i miei contatti a fare il lavoro - per poter dare peso alla notizia della mia morte – e ora era giunto il momento che tornassi sul campo.
Velocemente passai da un tetto all'altro, stando attendo alla possibile presenza di guardie cittadine e sentinelle, ma di loro non vi era alcuna traccia.
Dovevano ancora rintegrare le perdite subite in seguito alla sommossa. Ottimo.
Passai quatto quatto sul tetto di una casa che si affacciava sul mercato e il mio sguardo venne attirato da qualcosa.
Il mio cuore ebbe un sussulto e guardai la sua chioma bionda che si muoveva veloce e con sicurezza tra la folla mora, finché non si bloccò davanti ad un banchetto che vendeva stoffe colorate.
Mi fermai ad osservarla, mentre soppesava con sguardo critico un foulard color smeraldo.
Lei adorava il verde.
Ero troppo lontano per poter sentire quanto le diceva il venditore, ma dopo poco lei lasciò cadere la stoffa sul bancone e se ne andò imboccando la via più breve per la Dimora, ma anche la più pericolosa.
Corrucciai lo sguardo: le avevo sempre detto di evitare quella strada.
Veloce la inseguii e feci appena in tempo a sentire delle voci balorde.
“Ehi … dolcezza!”. Era stato un uomo sulla quarantina a parlare e, spalleggiato da altri due ubriaconi, le si avvicinò barcollando.
Misi mano sui miei coltelli da lancio, pronto ad intervenire mentre un ringhio profondo e sordo mi percorreva la gola.
“Non voglio scocciature”.
Inspirai profondamente sentendo la sua voce cristallina e sicura dopo così tanto tempo.
“Oh andiamo …”.
L'uomo allungò una mano verso il suo viso e in un lampo lei gliela torse in una posizione innaturale facendolo gemere dal dolore. Lo scintillio di una lama si riflesse fino al mio sguardo attento e nel lasso di tempo di un battito la sua mano armata del mio pugnale si abbatté lesta sul volto dell'uomo. La via si liberò nel giro di pochi secondi e l'aria parve fermarsi al suo passaggio, mentre ancora impugnava con sicurezza la lama sporca di sangue.
Rilassai i muscoli delle spalle e stirai le labbra in un sorriso mesto: me lo sarei dovuto aspettare da uno spirito combattivo come il suo.
Angelica …”.
Assaporai il suono del suo nome sulle labbra, come se stessi assaggiando il frutto più dolce della Madre Terra e scuotendo la testa tornai con lo sguardo in direzione opposta.
Saltando da un tetto all'altro ripassai mentalmente la strada che dovevo percorrere per giungere al più vicino accampamento dove si erano stabiliti i Crociati.
Arrivato nei pressi del campo principale mi accorsi della presenza di una sentinella che imbracciava inesperta una balestra. Si guardava intorno in modo nervoso e cambiava costantemente il soggetto della propria attenzione, ma fortunatamente mi dava le spalle ed ero persino controvento.
Mi avvicinai di soppiatto e veloce gli coprii la bocca con la destra mentre feci scattare la lama celata, tagliandogli la gola in modo netto.
Ascoltando i suoi mugolii indistinti, mi abbassai lentamente accompagnando la caduta dell'ormai cadavere che tenevo tra le braccia e con due dita gli chiusi gli occhi, ancora spalancati per la sorpresa.
Nascosto dal muro che faceva da parapetto, mi sporsi per osservare i movimenti dei soldati e notai con interesse che tutti sembravano in visibilio per un evento imminente. I Crociati con rango maggiore erano in attesa appena fuori l'entrata principale e vestivano le loro armature migliori, rigorosamente lucidate da qualche scudiero minuzioso. I cavalli si agitavano di continuo insieme ai propri cavalieri, ma allo stesso tempo c'era un generale senso di contentezza.
Il che non era affatto un bene.
 
˜”*°•.˜”*°• --- •°*”˜.•°*”˜
 
Con un agile salto rientrai in quella che ormai consideravo camera mia mentre mi lasciavo il tramonto alle spalle.
Il giro di ricognizione che avevo deciso di intraprendere non risultò inutile, anzi, tutt'altro. Avevo scoperto dell'arrivo di un personaggio importante, molto probabilmente uno stratega dalle abilità più che ottime. Ascoltando varie conversazioni, alcune reclute si erano lasciate sfuggire che presto quel qualcuno, De Sable, avrebbe preso in mano la situazione, succedendo nel comando all'attuale Templare che regolava le azioni dei propri sottoposti.
Ricordavo bene quel nome. Ricordavo bene la mia arroganza e tutto il sangue che ne derivò.
Mi lasciai cadere sul letto con un tonfo sordo e mi rigirai tra le mani il pezzo di stoffa dal color verde brillante che ero riuscito a recuperare qualche minuto prima. Il mercante aveva già riorganizzato la sua merce nelle casse, pronto per andarsene, e quando gli avevo chiesto di vendermi quel foulard lui mi aveva subito risposto contrariato, ma con qualche moneta tintinnante in più ero riuscito a convincerlo.
Esasperato mi coprii il volto con una mano e strinsi con forza fino a farmi male.
Cosa pensavo di fare!?
Ridacchiando mi risposi da solo: sapevo esattamente cosa fare.
La porta si socchiuse cigolando, ma avendo sentito i suoi passi sulle scale non mi allarmai.
“Hai mangiato qualcosa, giovanotto?”.
Amani si preoccupava eccessivamente per il sottoscritto.
“No, ma sto bene così”.
La prospettiva di vederla mi aveva chiuso lo stomaco in una morsa micidiale.
Lei disse qualcosa, contrariata e con un sospiro uscì, ma mentre la porta si richiudeva potei sentire le sue parole: “Al cuore non si comanda” intuendo cosa mi stava sconvolgendo nell’animo.
Mi coprii gli occhi con il braccio e ripensai a quanto avesse detto.
Nemmeno io, Altaïr Ibn-La'Ahad, riuscivo a dimenticare quella donna.
Aspettai con impazienza l'arrivo della notte e sotto lo sguardo delle stelle mi avviai verso la Dimora, con il foulard stretto tra le dita come se fosse il più prezioso dei tesori.
Arrivato nei pressi della residenza notai un maggiore via vai di Assassini, soprattutto novizi.
Probabilmente erano anche loro a conoscenza dell'arrivo in città del nuovo stratega Templare.
Corrucciai lo sguardo: dovevo prestare maggiore attenzione questa volta.
Superai facilmente il primo ostacolo confondendomi tra i novizi, non avendo portato con me la spada in quanto fin troppo distintiva e le cinque placche metalliche che mi identificavano come Maestro Assassino. Il problema maggiore era dunque arrampicarmi fino al piano superiore, dove si trovava la nostra stanza, senza essere visto.
Mi acquattai vicino alla parete che avrei dovuto scalare e mi nascosi dallo sguardo altrui utilizzando il grande albero che si innalzava fino al tetto della Dimora: lo avevo utilizzato spesso nei mesi ed anni addietro.
Mi arrampicai sul muro lentamente per fare il meno rumore possibile e conoscendo ogni anfratto di quella parete, mi fu facile giungere al balconcino dove a volte sostavo osservandola dormire. Questa volta entrai nella camera immediatamente per timore di essere visto e la mia ombra si proiettò sul suo volto, come avvolto da una lucentezza degna delle stelle del firmamento. Abbracciava con forza il cuscino che ero solito usare e teneva le gambe strette al proprio corpo, in posizione fetale.
Mi avvicinai lentamente e ammirando ogni suo piccolo dettaglio, ammisi a me stesso che in quel momento era ancora più bella di quando la incontrai per la prima volta.
Lasciai cadere il foulard sul suo ventre e mi beai quando la sentii sussurrare il mio nome mentre si stringeva con più forza su se stessa, come se avesse percepito la mia presenza.
Mi voltai verso il piccolo tavolino di fronte al letto e individuai il quadernetto su cui annotava qualsiasi cosa: nuove cure, nuovi metodi e dettagli di malattie che non aveva mai incontrato.
Quel libro era la sua mente.
Spostandomi alla luce della Luna aprii a caso su una pagina scritta in modo ordinato e minuzioso in un idioma a me completamente sconosciuto: probabilmente si trattava della sua lingua natia. Guardando con più attenzione vidi un appunto scritto a lato non da molto, in arabo: Sindrome del cuore spezzato.
Dubbioso sfogliai le pagine, ma andando avanti lessi un elenco di date e le ultime mi colpirono particolarmente: erano recenti e a fianco vi era scritto nausea mattutina.
   
 
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