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Autore: Caroline94    15/05/2017    1 recensioni
Manami Okuda si ritrova a frequentare il suo ultimo anno nella Scuola di Magia e Stregoneria del Kunugigaoka ma con qualche complicazione: a causa di alcuni eventi verificatisi alla fine dell’anno precedente si è allontana da quelli che una volta erano i suoi più cari amici, i cosiddetti “ragazzi della E”.
Tra gite, esami, nuove conoscenze e promesse che rischiano di non essere mantenute, i ragazzi dovranno sopravvivere ad un anno all’insegna del mistero nella scuola più magica e famosa del Giappone…
[Coppie: Karma/Okuda, Nagisa/Kayano, Kataoka/Isogai, Nakamura/Sugaya, Karasuma/Irina, Korosensei/Yukimura, altre coppie che ora non ho in mente – Presenze OC – Okuda potrebbe essere OOC – Angst, Sentimentale, Fantasy]
{Ispirato all’opera di J. K. Rowling: Harry Potter}
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Karma Akabane, Koro Sensei, Manami Okuda, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Okuda faticava ancora a crederci.
Prima. Si era classificata prima nella Classifica Generale all’Esame di Fine Trimestre.
Insieme alla lettera, consegnatagli da Korosensei (il Direttore della sua Casa) quella mattina con una strizzatina d’occhio, c’era anche il biglietto della nave che l’avrebbe portata ad Okinawa, di lì a pochi giorni.
Fissò la lettera per qualche istante poi si voltò verso la ragazza seduta al suo fianco, china sulla stessa lettera posizionata sopra un pesante volume di alchimia greca preso dal Reparto Proibito della biblioteca. Le due ragazze si guardarono poi scoppiarono a ridere e Ritsu si gettò su di lei, strillando dalla gioia.
“SHH!” sibilò Itona, tirandole giù per i vestiti “Volete che ci scoprano?” chiese, guardandosi furtivamente alle spalle: ma il Reparto Proibito era vuoto, non tutti avevano il permesso di andarci.
“Non posso crederci… ottava” sussurrò Ritsu, guardando la lettera, aveva quasi le lacrime agli occhi.
“Io sono uscito sesto” rispose Itona, guardando con indifferenza la propria lettera con il biglietto allegato.
Io non posso credere di essere arrivata prima” rispose Okuda, attonita “Il mio massimo è stato classificarmi ventiseiesima. Allora tutte le ore passate sui libri non sono state inutili!” esclamò, sorridendo, felice e un po’ incredula.
“Devo essere sincero: pensavo che si sarebbe classificato Karma al primo posto. L’anno scorso è arrivato quarto” rispose Itona. Okuda annuì.
“Lo pensavo anche io” rispose, schiettamente, poi lanciò un’occhiata furtiva oltre gli scaffali.
“Vuoi andare a chiedere ai ragazzi quanto hanno preso?” chiese Ritsu, ma Okuda scosse la testa.
“No. Adesso questo ha la priorità” disse, indicando il tavolo a cui si erano seduti, circondati da pergamene, quaderni e pesanti volumi di alchimia, pozioni e medicina delle civiltà più antiche. I due annuirono e si rimisero a lavoro.
 
 
“Oh, mio Dio! Oh, mio Dio! Oh, mio Dio!”
“Sacha… ti stai ripetendo” le fece notare Jun.
“Oh, mio Dio!” urlò lei “Sono arrivata quattordicesima!” gridò, saltando sulla propria poltrona.
“Come non detto” sospirò lui, osservando la sua lettera: dodicesimo nella Classifica Generale.
“Io non posso credere di essere arrivato ventesimo” Newt si abbandonò nella poltrona con un sospiro liberatorio, sorridendo felice.
Atsuko sembrava aver perso l’uso della parola: era arrivata settima, esattamente tra Ritsu e Itona.
“Vado a preparare le valigie!” urlò Sacha, saltando dalla poltrona e salendo a rotta di collo le scale al Dormitorio Femminile di Grifondoro. Quasi tutti i ragazzi parlavano allegramente del Test e pochi avevano ricevuto il biglietto per l’isola, tra questi Okuda scorse Kayano, Kanzaki, Nagisa, Sugino, Nakamura e Maehara. Karma se ne stava seduto nell’angolo più remoto della Sala Comune, stringendo la sua lettera fino a farla diventare un ventaglio deformato di carta e inchiostro; da lì, la ragazza riusciva a scorgere il biglietto azzurro della nave, e si chiese come mai il proprietario sembrasse volerlo gettare dalla finestra.
“È arrivato decimo” sussurrò Atsuko, vedendo il suo sguardo corrugato “La cosa non gli è andata molto giù: era così sicuro agli esami”
“Effettivamente, non che l’abbia visto studiare molto” constatò Newt.
“Era troppo sicuro di sé” tagliò corto Jun “Uno dei difatti fatali di molti dei migliori: si montano la testa e credono di non aver bisogno di studiare” scrollò le spalle.
“Penso che abbia imparato la lezione” aggiunse Sacha, raggiungendoli con calma, il sorriso sulle labbra “Korosensei glielo aveva detto”
“Così come aveva detto che lo avrebbe capito solo una volta arrivati al dunque” concluse Atsuko.
Okuda non poté trovarsi che d’accordo.
 
I giorni seguenti furono tra i più movimentati che il Kunugigaoka avesse mai avuto. Okuda preparò una borsa con tutto l’occorrente: una busta di denaro Babbano, un sacchetto di Galeoni per evenienza, tre cambi di vestiti e di intimo più due di scorta, la spazzola, lo spazzolino e il dentifricio, un paio di teli mare, le pantofole, due pigiami, il costume da bagno… eppure era sicura che mancasse qualcosa. Per sicurezza infilò nella borsa anche la tuta ma non riusciva a scrollarsi di dosso quella sensazione. Un libro? Ne avevi presi tre: uno sulla medicina egizia e due di svago, che aveva infilato nella tasca davanti.
La bacchetta la teneva infilata nella cintura dei jeans, coperta dalla maglietta.
“Costume?” domandò Ritsu, facendo la sua.
“Preso” rispose lei, frugando nella propria “Spazzola?”
“Presa” annuì la ragazza “Ciabatte?”
“Uso le pantofole: in spiaggia cammino con i sandali o scalza” rispose “Pigiama?”
“Pre…” Ritsu scavò nella borsa, non trovandolo “Ecco cosa stavo dimenticando!” esclamò, battendosi una mano in fronte, correndo verso il baule.
“Un abito da sera?” domandò Sacha, stesa nel letto di Okuda a sgranocchiare Calderotti.
“Che me ne faccio di un abito da sera?” chiese Okuda. La ragazza alzò le spalle.
“Io e Atsuko lo abbiamo messo” rispose. Okuda aprì il proprio baule, trovando il vestito ancora impacchettato che sua madre le aveva mandato quando aveva saputo del ballo di fine anno. Non lo aveva ancora aperto, quindi lo infilò nella borsa così com’era.
“Bene” decretò Ritsu “Credo che ci sia tutto. Pronte a partire?” chiese, sorridendo.
“Puoi contarci” risposero le due ragazze, all’unisono: non stavano più nella pelle.
 
 
Cielo azzurro, aria fresca, profumo di salsedine e mormorio delle onde: cosa poteva andare storto?
Un suono simile al rigurgito di uno sciacquone le attraversò la schiena con un brivido: ecco cosa. Korosensei era piegato oltre la balaustra della nave di prua, a rimettere solo lui sapeva cosa.
“Su, Korosensei… forza e coraggio” lo spronò Sacha, battendogli colpetti sulla spalla.
“Grazie, Sato-san, sto bene” mugugnò lui, raddrizzandosi: aveva uno strano colorito misto tra blu e verde sulla fronte, mentre per il resto era pallido e sudato. Vedere il proprio insegnante di Trasfigurazione in quelle condizioni le fece provare un moto di compassione e di gratitudine al tempo stesso: fortunatamente non aveva mai avuto problemi con i mezzi di trasporto, al contrario di lui che pativa treno, autobus e nave.
“Quasi sei ore di viaggio ma finalmente ci siamo!” esclamò Isogai, guardando il profilo dell’isola che si stagliava all’orizzonte.
“L’Isola di Okinawa!” esclamò Hinano, sporgendosi dalla balaustra: finalmente erano arrivati!
Korosensei fu il primo a scendere dalla nave e sembrava quasi sul punto di baciare il terreno, i ragazzi lo seguirono eccitati scortati da Irina (l’insegnante di Incantesimi nonché Direttrice di Tassorosso) e Karasuma (l’insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure e Direttore dei Serpeverde). All’appello mancava solo Yukimura, la Direttrice di Grifondoro e insegnante di Pozioni, che si era presa una brutta febbre proprio in quei giorni (alcuni ragazzi vociferavano che aveva inalato i fumi di una Pozione Corroborante andata male durante la lezione e che ora era ricoverata al San Mungo, ma molti di loro speravano di no).
“Ah, ragazzi, questa sì che è vita!” esclamò Nakamura, sorseggiando un drink offerto dall’albergo ad un tavolo fuori il ristorante, mentre Korosensei si riprendeva abbandonato su un altro tavolo, poco distante.
Okuda osservava la sua bibita, dubbiosa: sentiva qualcosa di strano in quel succo d’arancia.
Sacha e Newt, invece, lo sorseggiavano tranquillamente; Atsuko e Jun avevano bevuto abbastanza spremute sulla nave quindi si astennero.
Attesero pazientemente che Korosensei riuscisse a rimettersi in piedi, poi andarono a posare le loro cose nelle camere e si divisero in gruppi: alcuni ragazzi andarono a noleggiare degli eliplani con Korosensei, Karasuma portò un altro gruppo a fare sub mentre un terzo visitava le grotte.
Atsuko, Jun, Sacha, Newt, Okuda, Ritsu e Itona vennero trascinati nel bosco da Irina. Newt conosceva una grande quantità di piante e insetti, alcuni anche rari, e mostrò loro diversi animali magici che si confondevano con quelli non-magici restando nascosti o scambiati per qualcos’altro. Un Billywig nascosto su un albero si insinuò addirittura sotto la gonna di Irina, facendola arrossire; i ragazzi la presero in giro a morte: lei non arrossiva mai se si parlavano di cose sconce!
Nel pomeriggio andarono tutti in spiaggia.
Partiamo col dire che Okuda era sempre stata timida ed impacciata quando si trattava del proprio corpo. Il suo nuovo carattere freddo e tranquillo vacillava in quel frangente, e il solo pensiero di doversi mostrare in costume davanti a tutti quei ragazzi le fece venire voglia di scavare una buca nella sabbia e sotterrarvisi per sempre.
Fortunatamente aveva il suo costume anti-stupro (come lo aveva definito sua madre) ovvero simile a quello che portavano i ragazzi nelle scuole pubbliche: una specie di canotta blu con delle mutande nere.
Sacha glielo aveva visto sfilare dalla borsa con aria critica.
Quello cosa sarebbe?” chiese, scettica “Neanche mia nonna li porta più così!” aveva protestato. Okuda era arrossita fino alla punta dei capelli.
“È… i-il mio costume” aveva balbettato, rossissima.
“Non pensare neanche di scendere in spiaggia con quel coso!” la rimbrottò lei, togliendoglielo di mano “Per fortuna porto sempre un costume di riserva” constatò, ghignando, e Okuda si convinse che fosse venuto il momento di avere paura.
 
Quando Atsuko era scesa in spiaggia indossava un costume semplice a due pezzi, con una gonnellina azzurra attaccata all’estremità delle mutande e un reggiseno che si chiudeva con un fiocco sul davanti. Nel complesso era molto carina, si era anche legata i capelli in una lunga coda. Sacha indossava un bikini rosa con due fiori rossi sulla coppa sinistra del reggiseno e su un angolo delle mutande.
Okuda il telo mare di Paperino.
“E dai, levatelo!” esclamò Sacha “Ti ho detto che ci stai benissimo!”
La ragazza scosse la testa con forza, rossissima. “Io non mi faccio vedere in giro così!” esclamò, rannicchiata per terra, a dare le spalle ai ragazzi.
“Suvvia, non essere timida!” la ripescò Atsuko, avvicinandosi: Sacha le aveva sciolto i capelli, che le ricadevano sulla schiena, e li aveva adornati con un grande fiore bianco sul lato sinistro, per tenerli indietro.
Nessuno si accorse di Ritsu che sgattaiolava verso di lei, silenziosa, avvolta in un bikini arancione. Afferrò un lembo dell’asciugamano e tirò.
Okuda, presa alla sprovvista, si alzò di scatto e l’asciugamano le scivolò di dosso. Sulla spiaggia scese il silenzio.
Newt riemerse sputando l’acqua in faccia a Jun, tanto fu la sorpresa: Sacha aveva infilato la ragazza in un bikini decisamente troppo… ini.
Le coppe erano blu oltremare con disegnati dei grandi fiori bianchi coperti di perline, che si chiudeva con dei fili di stoffa dietro il collo e la schiena. Il pezzo di sotto era identico a quello di sopra, con due allegri fiocchettini sui fianchi che lo tenevano fermo.
“Dove le tenevi nascoste, quelle?” chiese Newt, stupito, indicando la quarta abbondante che la ragazza si affrettò a coprire con le braccia.
“Zitto! Taci!” urlò, raggiungendo gradazioni di rosso sulla soglia del pericolo.
Tu dove tenevi nascosto questo” aggiunse Atsuko, rivolta a Sacha.
“È il mio costume di riserva” rispose allegramente lei.
“Hai un costume del genere sempre dietro?” chiese Jun, aggrottando le sopracciglia.
“Per questo è di riserva” dileguò il discorso lei “Dovevate vedere il suo, neanche la mia pro-zia metteva certe cose”
“Un motivo c’è, no?” chiese lei, ora arrabbiata, non accorgendosi che oramai tutti stavano guardando la scenetta “E poi mi spieghi perché hai un costume del genere?”
“Me lo hanno regalato” alzò le spalle lei “Era carino ma mi sembrava sfacciato usarlo, così lo tenevo per le emergenze. E questa era un’emergenza” aggiunse, per mettere in chiaro le cose.
“Oh, quante storie per un costume!” esclamò Irina, arrivando alle loro spalle “Se non sfoggi ora quel tuo bel corpicino mi spieghi quando lo farai?” domandò, tirandosi indietro i capelli. Tutti si voltarono verso di lei e persero letteralmente l’uso della parola: la donna indossava il più provocante costume che avessero mai visto! Interamente fatto di fiori (letteralmente), bastava a stento a coprirle il seno e si agganciava al pezzo di sotto formando una X sul ventre. In confronto, persino a Okuda il proprio costume parve un normalissimo bikini.
“Ma che cavolo si è messa, Bitch-sensei!” esclamò Maehara. In risposta la donna ridacchiò.
“Uno dei miei costumi più belli” rispose lei, altezzosa.
“Perché ne ha altri così?” domandò Ritsu.
“Anche migliori” rispose lei, facendosi largo verso una sdraio.
“Chissà perché non voglio immaginarli” commentò Okuda, senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso.
“Nemmeno io” rispose Atsuko, accanto a lei, nello stesso stato di trance.
“Io si!” saltò su, Sacha.
Come non detto.
Mentre Irina passò il resto del pomeriggio a prendere il sole con una rivista di gossip in mano, i ragazzi si diedero alla pazza gioia sul fondale marino: Atsuko riusciva a trattenere il fiato per tre minuti di fila, battendo più volte Newt. Sacha si divertiva a spuzzare l’acqua addosso a tutti o indire vere e proprie battaglie di gavettoni, mentre Jun, Okuda, Ritsu e Itona giocavano ad una sorta di pallavolo in mare.
Una battuta particolarmente violenta centrò Itona in piena faccia, rischiando di mandarlo a fondo, tra le risate generali.
Insomma una giornata perfetta per rilassarsi e dimenticare tutto lo stress accumulato durante gli esami; tuttavia, ogni tanto Okuda provava una forte sensazione di disagio come se si stesse dimenticando qualcosa di molto importante.
In un certo senso, fu Sacha a ricordarglielo quando, all’improvviso, cominciò a tossire convulsamente cadendo in ginocchio nell’acqua. Atsuko e Okuda corsero immediatamente a controllare, ma lei le liquidò dicendo che le era solo finita un po’ d’acqua nel naso, anche se era molto pallida. Anche alcuni ragazzi accusarono mal di testa, evidentemente dovuto al sole, quindi rientrarono per farsi una doccia e cenare; ma la ragazza non era tranquilla: il ricordo della visione era tornato prepotente dentro di lei e il fatto che Okinawa somigliasse molto all’isola vista nella sfera non giovava il suo umore.
Tuttavia la cena andò per il meglio. Dopo si ritirarono in una saletta a parte per vedere un film e infine scesero al bar, dove ordinarono da bere.
Okuda era molto distratta quella sera ma non tanto da accorgersi che c’era qualcosa che non andava: erano tutti troppo stanchi. Persino Sacha sembrava aver perso vitalità, e l’ansia attanagliò il suo stomaco… ansia che si trasformò in panico quando la ragazza cadde dalla sedia, semisvenuta.
“Sacha!” urlò Atsuko, alzandosi. Okuda scattò giù dalla sedia, essendo la più vicina, e posò una mano sulla sua fronte: era bollente.
Un gemito le fece voltare: Newt se ne stava riverso sul tavolo, che si teneva la testa, pallido e sudato, con Jun che tentava di sostenerlo.
Poi il caos. Uno dopo l’altro, i ragazzi iniziarono a sentirsi male: Hara, Hazama, Mimura, Okajima, Maehara, Muramatsu, Kanzaki, Sugino, Kurahashi, Itona…
“Nakamura” sussurrò Okuda, comprendendo. Atsuko la guardò, interrogativa, poi sussultò quando, con un tonfo secco, un corpo cadde a terra.
“Nakamura!” urlò Nagisa, correndo in aiuto della ragazza. Atsuko guardò la scena poi si voltò verso di lei, una luce di comprensione e sbigottimento negli occhi.
“Kami…” mormorò, quando capì; era impallidita.
“Che sta succedendo?” esclamò Karasuma spalancando la porta, con al seguito Irina e Korosensei.
“I ragazzi… stanno male!” esclamò Kayano, seduta accanto a Kanzaki.
“Ma… scottate!” esclamò Nagisa, toccando la fronte di Nakamura “Dobbiamo portarli in ospedale!”
Karasuma si fiondò alla reception ma non ottenne le risposte sperate: Okinawa era un’isola, non c’erano ospedali e l’unico ambulatorio era chiuso la sera, il medico tornava sull’isola principale fino al mattino dopo.
“Che cosa facciamo adesso?” chiese Irina, seria ma con un velo di preoccupazione nella voce. Poi uno strillo fece sobbalzare tutti.
“Tu!” urlò Kayano, come folgorata. Seguendo il suo dito tutti si voltarono verso Okuda, seduta per terra e con la testa di Sacha sulle gambe; la ragazza non mosse un muscolo. “Tu lo sapevi!” esclamò Kayano, era sconvolta “L’Isola, l’albergo, i ragazzi che stavano male… lo hai visto nella sfera di cristallo, a Divinazione!”
Nella stanza scese il silenzio, tutti fissavano la ragazza che rimase cupa.
“Si, l’ho visto” rispose, scura in volto tanto da fare quasi paura “Ho visto un albergo su di un’isola e…” deglutì “Nakamura, Maehara, Kimura e Hazama stesi sul pavimento di una camera. Era evidente che stavano male” confessò: non aveva mai detto a nessuno di aver riconosciuto i ragazzi malati ma, d’altronde, chi l’avrebbe presa sul serio? Quasi non ci credeva nemmeno lei, ma ora…
“Tu… hai visto il futuro?” domandò Isogai, d’un tratto sbiancato, dimenticandosi anche del voto di silenzio nei suoi confronti.
“Immagino che questo non sia il problema maggiore, al momento” decretò Korosensei, nel silenzio generale “Dobbiamo capire cosa sta succedendo ai ragazzi, poi ci occuperemo del resto…”
S’interruppe di colpo quando il suono di un cellullare riecheggiò nel silenzio, tutti si voltarono verso Karasuma che estrasse il telefono dalla tasca: numero sconosciuto. Pigiò il pulsante e se lo portò all’orecchio.
In genere, i maghi e le streghe non usavano gli apparecchi elettronici quando erano a scuola poiché la loro magia li faceva impazzire, ma in quel frangente non c’era pericolo.
“Pronto?”
Non riuscirono a sentire quello che dicevano dall’altro lato ma Karasuma impallidiva ogni secondo di più, credettero che stesse per avere un colpo da un momento all’altro. Infine riagganciò e prese un respiro profondo.
“Irina. Koro. Ritsu. Itona, se ce la fai, e anche tu Okuda” elencò “Venite con me” disse, prima di uscire dalla sala. Ritsu e Okuda si scambiarono un’occhiata significativa e si alzarono, aiutarono Itona a mettersi in piedi e lo accompagnarono dietro gli insegnanti.
La porta si chiuse nel silenzio.
 
 
Stettero via più di mezz’ora. Quando rientrarono erano tutti pallidi e tirati, Itona più di chiunque altro e si reggeva a Korosensei che lo depositò su una sedia.
“Che cosa succede?” domandò Isogai, avevano sgombrato la stanza dai tavoli e vi avevano depositato i compagni malati, sopra cuscini e sacche del ghiaccio. Era proprio come l’aveva visto Okuda nella sfera di cristallo ma al momento avevano cose più urgenti di cui preoccuparsi.
“Non mi resta che andare” sospirò Korosensei.
“Ne abbiamo già parlato” protestò Irina “Non puoi davvero…” ma venne fermata da un cenno di Karasuma.
“Purtroppo non abbiamo scelta” sospirò l’insegnante.
“Si può sapere che succede?” chiese Okano. Ritsu e Okuda distolsero lo sguardo, cupo e triste. Irina sembrava sul punto di prendere a calci qualcosa ma Karasuma restava serio e impassibile.
Sospirò.
“Non possiamo dirvi tutto però… hanno infettato i vostri compagni” disse “Abbiamo contrattato, riusciremo ad avere l’antidoto entro domattina. Koro farà da tramite”
Scese il gelo.
“Che significa? Chi li ha infettati?” domandò Kayano.
“Non possiamo dirvi…” ripeté Karasuma ma Korosensei alzò il braccio per fermarlo.
“Vogliono una cosa che solo io posso dargli. Avrei dovuto aspettarmelo dopo quello che è successo di recente” rispose, con calma “Mi dispiace ragazzi, non avrei mai voluto coinvolgervi in questa storia: ci sono già troppe persone dentro” sospirò.
“Non possiamo fare proprio niente?” domandò Jun, ad alta voce “Se sono persone capaci di fare una cosa del genere a dei ragazzi cosa vi fa credere che ci daranno l’antidoto?” chiese “Non mi interessa cosa vogliono o cosa stia succedendo, qui ci sono in gioco delle vite umane!”
Tutti si voltarono verso gli insegnanti e Itona prese la parola, un po’ a fatica: “Le ho detto come la penso, Korosensei” mormorò, faticando a respirare “Noi possiamo farlo.”
Ritsu e Okuda annuirono, decise, rivolte agli insegnanti.
“Fare cosa?” domandò Atsuko.
“Quelli con cui dovremmo contrattare alloggiano al Fukuma Palace, un albergo sulla montagna qui dietro” informò Irina.
“Io posso… infiltrarmi nel sistema di sicurezza dell’Hotel” ansimò Itona “Loro si sono offerte per andare a riprendere l’antidoto. Non possiamo dargli quello che chiedono, Korosensei” aggiunse, guardando l’insegnante “Lei sa che non possiamo.”
“È troppo pericoloso!” esclamò Karasuma, autoritario “Non vi lasceremo rischiare la vita lì dentro da sole…”
“Allora andrò con loro!” lo interruppe Irina, infuriata “Non insegno Incantesimi per nulla!”
Karasuma fece per ribattere ma Isogai lo precedette: “Allora verremo anche noi!”
Tutti si voltarono verso di lui che sembrò imbarazzato: “Insomma, se voi volete. Io voglio” aggiunse.
“Sono d’accordo” esclamò Kataoka “Qualunque cosa vogliano sembra importante, quindi non possiamo dargliela. E poi ci sono di mezzo le vite dei nostri compagni!”
Tutti annuirono.
“Ma…” cercò di ribattere Karasuma.
“Andiamo, abbiamo fatto di peggio!” esclamò Terasaka.
“C’è un motivo se abbiamo rischiato l’espulsione più volte noi in un anno che un singolo studente in tutta la sua carriera scolastica” aggiunse Karma.
“Quelli che hanno passato due mesi nel Labirinto eravamo noi, eh” fece notare Atsuko.
L’insegnante li guardò tutti, poi sospirò: “Non sappiamo nemmeno come arrivarci, quell’Hotel è tenuto sotto stretta sorveglianza sia interna che esterna.”
“Salendo la montagna” rispose Itona, guardando il proprio cellullare “È l’unico punto privo di sorveglianza e dà direttamene su una porta di servizio nell’atrio. Io posso controllare e disattivare le telecamere ma la sorveglianza interna dovrete aggirarla voi, vi passerò la mappa interna e le informazioni tramite Ritsu” spiegò, appoggiandosi ad una parete con l’aiuto di Chiba.
“Bene” esclamò Isogai “Quindi si può fare!”, ma Karasuma sembrava avere ancora qualche dubbio. Infine si arrese, abbassando le spalle.
“Ok” sospirò, aprendo la porta che dava sulla spiaggia “Andiamo a farci ammazzare.”
   
 
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