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Autore: LadyLicionda    05/06/2017    0 recensioni
Eiko Wadsworth scopre improvvisamente di soffrire di Disturbo Dissociativo dell'Identità, ovvero personalità multipla. I suoi problemi iniziano quando realizza che ogni personalità è dotata di una volontà propria, di desideri propri e di ambizioni uniche. Come se non fosse abbastanza, ognuna di loro si scopre ben presto innamorata di una persona diversa. Riuscirà Eiko a mantenere il suo segreto e a destreggiarsi fra le attenzioni romantiche di sette irresistibili ragazzi senza soccombere ai capricci delle sue eccentriche personalità? NOTA BENE: Per questa versione è previsto un finale multiplo (uno per ognuno dei ragazzi di KNB). Il rating potrebbe cambiare con il progredire della storia. I personaggi di KNB appartengono all'autore originale Tadatoshi Fujimaki, tutti gli altri sono personaggi creati da me.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kiseki No Sedai, Nuovo personaggio, Taiga Kagami, Yukio Kasamatsu
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 15

“Non distruggerai il mio sogno d’amore ”

 

 

 

 

 

Oggi è domenica e mio cugino Seiichi ha insistito perché lo accompagnassi in centro, in un negozio di musica in cui lavora un famoso liutaio italiano. Quando abbiamo lasciato la villa, Seiichi sembrava particolarmente di buon umore, non che non lo sia normalmente, ma è chiaro che questo piccolo viaggio sia legato a un evento importante. Quello che mi ha sorpresa, però, è stato ricevere un invito diretto da lui. Di solito non ama avere compagnia quando si reca in città per qualche commissione particolare. Non perché non sopporti di portare con sé qualcuno della famiglia, quanto per una “dimostrazione di riguardo”, come dice lui. Seiichi è consapevole di isolarsi completamente dal mondo quando trova qualcosa di suo interesse, soprattutto se si parla di arte o di musica. Mio cugino non è un genio solo col pennello, ma anche con l’archetto. È infatti un “violinista raffinato e di carattere”, come lo ha definito qualcuno. Ora, io non sono un’esperta del settore, ma non posso negare il suo talento musicale.

«Non mi hai ancora detto dove stiamo andando», pronuncio iniziando così una breve conversazione che possa allietare il viaggio.

«Ritengo che mantenere il segreto renderà la sorpresa maggiormente gradita», ribatte Seiichi, scansando elegantemente la questione.

«Dimmi almeno perché hai voluto che ti accompagnassi», insisto io, decisa a vedere soddisfatta almeno una delle mie curiosità.

Per qualche istante Seiichi mi osserva con una gentile premura negli occhi, quindi risponde: «Ho il sospetto che qualcosa ti turbi profondamente».

Con uno scatto abbasso la testa per interrompere il contatto visivo. Le mie mani si chiudono sulle mie ginocchia e le mie spalle si irrigidiscono.

«Non temere, mia cara, non ho in me di persuaderti a condividere le tue angosce, dal momento che non lo desideri».

Le parole di Seiichi sono strane come al solito, ma ho capito che non mi costringerà a parlare, a meno che non sia io a volerlo fare. È una grande consolazione per me, poiché non saprei cosa dire. Ma adesso mi è finalmente chiaro per quale motivo mi ha chiesto di accompagnarlo: vuole farmi distrarre in modo che non mi tormenti con le mie preoccupazioni. Sono felice di avere accettato il suo invito, perché non sono molte le occasioni per trascorrere del tempo insieme a lui. E poi, desidero davvero conoscere meglio il suo mondo. Seiichi è molto saggio e sono sicura di poter imparare qualcosa di utile stando al suo fianco.

Il negozio si trova ad Asakusa, un quartiere del distretto speciale di Taitō, nella parte nord-est di Tōkyō. È una struttura che non passa inosservata, non tanto per le dimensioni, quanto per l’aspetto. La sua architettura, infatti, non ha nulla dello stile tradizionale giapponese, bensì rimanda chiaramente al gusto italiano del XVI secolo. 

«Non sapevo che in Giappone ci fossero negozi come questo», pronuncio, osservando meravigliata l’edificio a due piani in pietre e mattoni. «Sembra una vecchia bottega italiana del Tardo Rinascimento».

«In vero lo è», risponde Seiichi. «O almeno lo è la sede originaria che si trova in Italia. Ma vieni, entriamo».

L’interno del negozio mi lascia assolutamente a bocca aperta. Un piccolo mondo antico sembra aprirsi davanti ai miei occhi. Avevo visto luoghi simili solo nelle vecchie pitture dei libri di mia madre e mai avrei creduto di mettere un giorno piede in una vera bottega di liutai. La stanza è avvolta in una calda luce color fiamma, che conferisce alle pareti, rivestite di pannelli di legno, e al pavimento, in mattonelle di terracotta rossa, un velo di antichità. Il soffitto, in legno più scuro e incredibilmente basso rispetto agli standard moderni, è a cassettoni e in ogni quadrato è scolpito un piccolo fiore in bassorilievo. L’ambiente è pervaso da un profumo silvestre e dalle note classiche di un allegro motivetto barocco. Ai muri della sala e al centro sono posizione delle bacheche all’interno delle quali fanno bella mostra di sé decine di strumenti, dai violini ai violoncelli, alle chitarre. Mentre mi guardo intorno con occhi colmi di meraviglia, un uomo emerge dalla porta che dà probabilmente sul laboratorio vero e proprio. Cammina con passo lento e claudicante. Il suo corpo rotondo mortifica un’altezza per natura non eccezionale. Ma sono i tratti del suo viso a catturare il mio maggiore interesse e a suggerirmi che non si tratta di un uomo asiatico.  

«Seiichi, figliolo!», esordisce abbracciando mio cugino.

«Mastro Rampini, mi permetta di ringraziarla ancora», risponde Seiichi, piegandosi subito dopo in un profondo inchino ossequioso.

«Su, su ragazzo, conserva queste formalità per i signori locali. Io sono solo un umile liutaio venuto anni or sono dall’Italia per onorare la richiesta di un amico».

L’anziano artigiano sorride imbarazzato. I suoi occhi sono gentili e pieni di vita, non sembrano affatto quelli di un uomo che ha superato il mezzo secolo di vita. In compenso gli occhiali appoggiati sul naso curvo tradiscono qualche acciacco dovuto all’età e ai numerosi anni di lavoro.

«Chi è questa adorabile signorina?», le attenzioni dell’uomo si spostano all’improvviso su di me.

«E’ mia cugina», risponde Seiichi, incoraggiandomi a presentarmi.

«Mi chiamo Eiko Wadsworth e sono onorata di conoscerla, Mastro Rampini».

«Ah, ah. Non seguire il cattivo esempio di tuo cugino. Puoi chiamarmi tranquillamente Luigi».

«Oh, non potrei mai mancarle di rispetto».

«Vedo che sei testarda quanto Seiichi, ah, ah! Ma puoi tralasciare tranquillamente il Mastro. Per i miei affezionati clienti sono semplicemente il signor Rampini». Il buon uomo torna dunque a rivolgersi a Seiichi. «Concedimi qualche minuto, ragazzo mio. Voglio controllare un’ultima volta che il tuo nuovo violino sia perfetto».

«Nuovo?», ripeto guardando mio cugino.

«Qualche mese fa ho commissionato un nuovo strumento all’illustrissimo Mastro Rampini. L’abilità delle sue dita e la solidità della sua esperienza non conoscono pari in tutto il Giappone».

«Così mi fai arrossire», commenta il signor Rampini. «Sarà meglio che vada a ultimare il lavoro, adesso». Quindi si ferma un attimo per consultare il grande orologio a pendolo. «Tra poco dovrebbe arrivare anche lui».

«Si riferisce al giovane chitarrista?», lo interroga Seiichi.

«E’ qualcuno che conosci?», gli chiedo a mia volta, curiosa.

«Non particolarmente. È anche egli un cliente fedele del negozio».

«Dovrebbe avere più o meno la tua età», aggiunge il signor Rampini. «Viene tutte le settimane per controllare se è arrivato qualche nuovo cd. È un ragazzo molto disciplinato e ben educato. Inoltre è anche un bel giovanotto», conclude il signor Rampini con un occhiolino allusivo.

Il cigolio della porta del negozio interrompe la conversazione. Con un impeccabile sincronismo, ci voltiamo tutti e tre verso l’ingresso della bottega attendendo che il nuovo cliente si riveli. Quando la sua figura entra infine nella stanza, i miei occhi si allargano, increduli.

«Sei puntuale come al solito, figliolo!», sorride il signor Rampini, accogliendo il ragazzo.

«E’ un po’ imbarazzante sapere che mi stava aspettando», risponde il nuovo arrivato, portando una mano dietro la testa. Quindi, i suoi bellissimi occhi grigio-azzurri scivolano su Seiichi.

«Buongiorno», pronuncia mio cugino, ricambiando le attenzioni.

Ancora sorpresa, dimentico di rivolgere il mio saluto al giovane. Il mio sguardo rimane invece immobile su di lui. Nonostante sia consapevole che il mio comportamento sia inappropriato, non posso fare a meno di fissare con insistenza il suo volto.

Al contrario, il ragazzo rifiuta di incontrare i miei occhi, mostrandosi evidentemente a disagio.

Il signor Rampini si piega verso di me per sussurrarmi all’orecchio: «Te l’avevo detto che era un bel giovanotto, ma è piuttosto timido con le ragazze. Forse non dovresti fissarlo in quel modo».

«Cos…io…mi…mi dispiace è solo che…non mi aspettavo di incontrare qui il capitano del Kaijō», confesso infine, provando a mascherare l’imbarazzo come meglio posso.

«Kasamatsu-san è dunque una tua conoscenza», osserva Seiichi, sorpreso almeno quanto me.

«L’ho incontrato l’altro giorno, durante l’amichevole contro la scuola Kaijō, ma non ci siamo mai presentati ufficialmente», quindi, ricordando le buone maniere, rivolgo finalmente il mio saluto al ragazzo. «Mi chiamo Eiko Wadsworth. Io e Kise eravamo compagni di classe alla Teikō. Piacere di conoscerti».

«Ah…Ehm…Io…io sono…Ka-Kasamatsu Yu-Yukio. Pi-Piacere mio».

Non credo di esagerare se dico che il ragazzo che ho ora davanti a me non ha nulla in comune con il capitano della squadra che, l’anno scorso, si è dimostrata degna di partecipare ai campionati dell’Inter High. Se non fosse per il meraviglioso colore dei suoi occhi, che è rimasto impresso nella mia memoria come una macchia di inchiostro indelebile, e il suono della sua voce, penserei di trovarmi in presenza di una persona completamente diversa. Il balbettio nervoso della sua presentazione non ricorda in alcun modo il tono sicuro e deciso con cui, solo l’altro giorno, spronava i suoi compagni di squadra sul campo di gioco.

«Du-dunque, Eiko, sei…un…un’amica di Ki-Kise?».

«E-Eiko? Mi…Mi hai chiamata per nome?».

Contagiata forse da Kasamatsu, non passa molto tempo prima che anche io inizi a balbettare. La mia osservazione, tuttavia, provoca l’immediata reazione del capitano.

«Per-perdonami!!! Non…non so come mi sia ve-venuto in mente. Non avevo intenzione di…di offenderti», in balia del proprio imbarazzo, Kasamatsu compie un paio di passi all’indietro urtando un piccolo scaffale sul quale sono esposti, in modo molto ordinato, diversi spartiti. L’impatto improvviso dapprima fa oscillare il mobiletto che infine cade a terra con un tonfo sordo, sparpagliando sul pavimento di terracotta i numerosi fascicoletti. Senza pensare, mi inginocchio a raccoglierli. Il mio corpo si muove prima del mio cervello e quando finalmente realizzo che la reazione di Kasamatsu è stata tanto rapida quanto la mia è ormai troppo tardi. Le nostre teste cozzano l’una contro l’altra con una forza tale da far ricadere entrambi all’indietro sul fondoschiena.

«Oh caspita! State bene ragazzi?», il signor Rampini si prodiga immediatamente per aiutarmi a rimettermi in piedi.

«Si, credo di si», rispondo accettando il suo aiuto.

«So-sono mortificato! Ti sei fatta male?», nonostante anche lui sia una vittima del buffo incidente, Kasamatsu non sembra avere accusato minimamente il colpo. Al contrario si rialza immediatamente solo per implorare il mio perdono con una serie di profondissimi inchini.

«Sto…sto bene. Dico davvero. Ecco, guarda!», sperando di convincere il capitano a rialzare la testa, mi sporgo in avanti e scopro la fronte alzando la frangia con una mano. «Visto? È solo un piccolo bernocc…».

Ancora una volta agisco senza pensare. Prima di riuscire a terminare la frase, il volto di Kasamatsu si solleva alla stessa altezza del mio. La distanza tra di noi è ora talmente ridotta che, nel momento in cui i nostri sguardi si incontrano, i nostri nasi si sfiorano. Il lievissimo contatto fisico ammutolisce entrambi e le guance del capitano si colorano rapidamente di un intenso colorito roseo. Sospettando che la stessa cosa stia accadendo anche a me, compio un passo all’indietro per allontanarmi, ma il mio piede si posa sulla copertina plastificata di uno spartito facendomi perdere così l’equilibrio. Mentre precipito all’indietro, agguanto, d’istinto, il filo delle grandi cuffie posizionate attorno al collo di Kasamatsu, trascinando anche lui con me nella rovinosa caduta. Preparandomi all’impatto con il pavimento, chiudo infine gli occhi.

Il freddo delle mattonelle di terracotta trapassa i miei vestiti e si diffonde su tutta la mia schiena. Tuttavia, due punti del mio corpo emanano un vivido calore. Il retro della mia testa, che dovrebbe giacere sul gelido pavimento e dolere per la collisione con la dura superficie,  è invece illeso. Durante la caduta, la mano del capitano è rapidamente scivolata dietro la mia nuca per proteggerla. I suoi riflessi mi hanno salvato la vita. Mentre penso che dovrò assolutamente sdebitarmi con lui, riapro gli occhi e quello che vedo quasi mi strappa il respiro dalla gola. Il volto di Kasamatsu copre interamente la mia visuale. I suoi occhi sono così vicini che riesco a vedere la mia immagine riflessa nelle sue pupille. Ma, soprattutto, le sue labbra sono ora premute sulle mie in quello che a chiunque apparirebbe come un bacio. Il mio primo bacio.

«Però, sei più audace di quello che sembri, figliolo», chiaramente divertito dalla situazione, il signor Rampini spezza l’imbarazzante silenzio con la sua gioiosa risata.

Risvegliato dal commento dell’anziano artigiano, il capitano torna finalmente in sé e si allontana da me, liberandomi dal peso del suo corpo e premettendomi di rialzarmi. Il mio cuore galoppa come un cavallo selvatico, senza redini né freni. Le mie orecchie catturano appena la voce lontana e ovattata di Kasamatsu che ancora una volta implora il mio perdono e mi basta uno sguardo per capire che, grazie a questo incidente, il suo livello di mortificazione ha infine raggiunto il picco. Non sono nemmeno sicura che in questo momento stia pronunciando parole di senso compiuto, quanto piuttosto una serie di sillabe incompiute e totalmente scollegate fra di loro. Probabilmente si aspetta che io dica qualcosa, o reagisca comunque in qualche modo. Invece resto completamente immobile, con lo sguardo vago e la mente incapace di formulare anche il più semplice dei pensieri. La verità è che, se ora decidessi di aprire bocca, tutto ciò che ne uscirebbe sarebbe solo una successione di mugugni indecifrabili, versi primitivi e suoni ben lontani dal definirsi umani.

«È meglio che me ne vada! Rampini-san, la prossima volta la ripagherò per lo scaffale».

«Non è necessario, figliolo. Piuttosto, sei sicuro di stare bene?».

«S-si, sto benissimo, ma ora devo proprio andare. A-Arivederci!!!».

Il saluto disperato di Kasamatsu spezza la trance in cui ero caduta e per la terza volta il mio corpo agisce prima di ricevere il comando dal cervello. La mia mano cattura la felpa del capitano, impedendogli di fuggire. «Aspetta!». I miei occhi scendono quindi sulla sua mano. Le nocche delle dita sono ricoperte di numerosi graffi. Dalle piccole ma profonde ferite, il sangue scorre, disegnando sulla pelle tanti sottili ruscelli che gocciolano sul pavimento creando una densa macchia rossa. Consapevole che tutto questo sia successo nell’attimo in cui la sua mano ha protetto la mia testa e mettendo da parte l’imbarazzo per un attimo, mi faccio coraggio.

«Per favore, lascia almeno che mi prenda cura della tua mano».

«No, non…non serve».

«Ti prego».

La mia supplica sincera mi guadagna il consenso del capitano il quale, dopo aver preso un lungo respiro ed essersi calmato, chiude la porta del negozio e rivolge la propria richiesta al signor Rampini.

«Possiamo usare il suo kit del pronto soccorso?».

«Non devi neanche chiederlo, figliolo. Corro subito a prenderlo».

Lesto come una lepre, seppur zoppicante, il signor Rampini scompare nel retro della bottega per ricomparire pochi minuti dopo con una cassetta bianca tra le mani.

«La ringrazio», prendo con me la scatoletta e raggiungo Kasamatsu nella sezione dei cd.

Il capitano siede su una poltrona antica, usata probabilmente per la consultazione delle riviste musicali che si trovano nella saletta accanto. Il suo profilo per un momento mi lascia senza fiato. I gomiti appoggiati sulle ginocchia sorreggono il busto completamente rilassato. La mano sinistra stringe quella gemella e ferita, in un pugno gentile, che non impedisce però al sangue di infilarsi nelle sottili fessure tra un dito e l’altro e gocciolare sul pavimento. Gli occhi, sormontati da due sopracciglia corrucciate e scure come l’espressione nello sguardo di Kasamatsu, fissano un punto indefinito davanti a loro, inducendomi, per la loro intensità e bellezza, ad ammirarli in segreto. Il mio vagheggiamento dura però poco. Ricordando il vero motivo per cui mi trovo qui, annuncio infine la mia presenza.

«Ho portato la cassetta del pronto soccorso».

Distratto dalla mia voce, Kasamatsu riemerge dalle sue riflessioni per accogliere il mio arrivo con un improvviso rossore sulle guance. Le sue pupille vagano sulla mia figura senza però salire mai all’altezza dei miei occhi.

«Non dovevi disturbarti, sono solo graffi», pronuncia balbettando ogni singola sillaba.

«È solo colpa mia se ti sei ferito. Permettimi almeno di rimediare».

Mi avvicino quindi tenendo ben stretta la cassetta al petto, immaginando che sia un potente talismano capace di tramutare il mio imbarazzo in spavalda sicurezza. Contagiata dal disagio del capitano, avverto a mia volta l’agitazione crescere dentro di me. Mi inginocchio di fronte al mio salvatore osservando la piccola pozza di sangue ai suoi piedi. Usando diversi fazzoletti di carta, la ripulisco, incolpandomi per l’accaduto. Il silenzio assoluto scandisce ogni mio gesto mentre cospargo l’unguento sulle ferite aperte, mentre ripongo il tubetto nella cassetta e mentre avvolgo in bende pulite la mano del capitano. L’imbarazzo che ho provato poco prima ha ora lasciato il posto al rimpianto e al senso di colpa. Kasamatsu è proprio qui, davanti a me, eppure non ho il coraggio di alzare lo sguardo sul suo volto. Se ora incontrassi i suoi meravigliosi occhi non riuscirei più a trattenere le lacrime. Mentre mi prendo cura delle sue ferite, penso a come la mano che sto tenendo in questo momento tra le mie appartenga allo stesso ragazzo che senza esitazione mi ha protetta mettendo a repentaglio la sua stessa incolumità. Mi sento così sciocca e incapace. Come è potuto succedere?

«Mi…mi dispiace», Kasamatsu prende timidamente la parola.

«Perché ti scusi con me? Sono io a doverti chiedere perdono», confesso assicurando l’estremità del bendaggio con un piccolo nodo sul dorso della mano. «Se cadendo non ti avessi trascinato con me, non ti saresti fatto male».

La mia voce è fioca, ridotta quasi ad un soffio di rimpianto, mentre mi accingo a rimettere in ordine, assicurandomi di mantenere lo sguardo basso, come un servitore alla presenza del suo signore.

«Mi dispiace…averti chiamata per nome», dichiara Kasamatsu. Per un ragazzo rispettoso come lui, è sicuramente una mancanza imperdonabile nei miei confronti.

«Non preoccuparti, ci sono abituata. Le persone mi chiamano sempre per nome la prima volta. A quanto pare è un riflesso incondizionato e a me non dà fastidio».         

In verità, mi ha fatto piacere sentirlo pronunciare il mio nome con tanta naturalezza. Anche se solo per un breve attimo, mi ha fatto credere che fossimo amici.

«Puoi continuare a chiamarmi per nome, se vuoi», aggiungo sperando in una risposta positiva. Ma come avevo immaginato, Kasamatsu è troppo legato alle regole per infrangerle una seconda volta intenzionalmente.

«Anche se sei amica di Kise, non posso prendermi questa libertà. Non dopo quello che ho fatto prima».

«Prima? Intendi salvarmi la vita?», domando confusa, sollevando la testa.

I nostri occhi si incontrano in un nuovo silenzio. Dall’espressione imbarazzata di Kasamatsu capisco che i suoi pensieri sono diversi dai miei, fino al momento in cui un’intuizione si accende nella mia mente. Porto allora entrambe le mani alla bocca ricordando la sensazione delle sue labbra sulle mie. Il mio primo bacio è avvenuto per sbaglio, con un ragazzo incontrato per caso. Per fortuna non ho vissuto la mia vita credendo al principe azzurro e attendendo che arrivasse in sella al suo cavallo bianco. Sarebbe comunque normale se ora mi sentissi triste o arrabbiata o delusa. Non solo il mio primo bacio è stato un imprevisto, ma è stato preso praticamente da uno sconosciuto.

Eppure è strano. A parte un enorme senso di vergogna, non mi sembra di provare rabbia, né tristezza, né delusione. Forse è perché non ho mai fantasticato sul mio primo bacio. Se non fosse stato per le parole di Kasamatsu non me ne sarei neanche ricordata. Del resto, tutti i miei pensieri erano solo per la sua mano ferita e sanguinante. Ma adesso che la reazione del ragazzo davanti a me ha riportato in vita il ricordo che sembrava sepolto in profondità, non posso ignorare che sia successo. In fondo me ne sono accorta fin dal primo istante in cui i miei occhi si sono posati sul capitano del Kaijō: lui mi piace. Magari sarebbe più giusto dire che qualcosa di lui mi piace. Di sicuro mi ha lasciato una forte impressione il nostro incontro e non penso sia solo per il colore dei suoi bellissimi occhi. Inoltre, dopo il piccolo incidente, sono decisamente più consapevole della sua presenza, soprattutto in questo momento. È vero, sono a disagio, ma non è quel tipo di situazione dalla quale, solitamente, cercherei di fuggire. Al contrario, vorrei che il tempo rallentasse per darmi l’opportunità di approfondire questi miei sentimenti. Per la prima volta, ho il desiderio di conoscere davvero qualcuno, di guardarlo negli occhi e di essere guardata a mia volta. Chiacchierare scegliendo gli argomenti più quotidiani, senza pretese, senza aspettative. Semplicemente chiacchierare per scoprire la persona che ho davanti. Provare una curiosità tanto genuina e incondizionata verso qualcuno è per me una gradevole novità. L’anno scorso non mi sarei mai immaginata così. Che stia cambiando? Se questo cambiamento è il risultato della terapia, non mi dispiace.

«Ti ringrazio. Per avermi protetta».

Il mio animo è sereno, come il sorriso sulle mie labbra.

«Fi-figurati».

Impacciato, Kasamatsu continua a parlarmi tenendo lo sguardo su un punto vago della stanza. Non importa se i suoi occhi non sono ancora pronti per incontrare i miei, poiché non ho fretta. La sua timidezza è solo un altro richiamo per la mi curiosità.

 Questo incontro è forse l’indizio che stavo aspettando per ritrovare me stessa, per riscoprire chi sono veramente ed esserne grata. Se la vera Eiko è capace di provare simili emozioni, vale la pena darle un’opportunità. Fino ad oggi ho vissuto senza propositi né ambizioni, ma l’avere incontrato questo ragazzo potrebbe finalmente avere acceso dentro di me una fiamma, piccola, è vero, ma viva. Se voglio capire chi sono ed evitare che altre entità si impadroniscano del mio tempo, devo imparare ad essere abbastanza egoista da non volerlo dividere con nessun altro. Devo imparare ad assecondare questo nuovo desiderio, questa nuova voglia di conoscere e scoprire, di confrontarmi sinceramente con chi è riuscito ad risvegliare in me emozioni che credevo di non possedere.

 

***

 

Il tempo insieme a Kasamatsu vola e, prima che me ne accorga, Seiichi esce dal retrobottega stringendo tra le mani un violino nuovo di zecca. L’adorazione che luccica nei suoi occhi mentre contempla lo strumento è stata sufficiente a descrivermi quanta ammirazione mio cugino nutra nei confronti del signor Rampini.

«Spero che tornerai a trovarmi», confessa infine l’abile artigiano, porgendomi un vasetto di vetro.

«Che cos’è?».

«Solo una pomata per bernoccoli», mi sorride gentile, indicando la mia fronte.

«La ringrazio e mi dispiace tanto per quello che è successo».

«Al contrario, è stato molto divertente. Non vedevo quel ragazzo così agitato dalla prima e unica volta che ha parlato con Maria», dal fondo della sala una ragazza, intenta a riordinare le riviste sullo scaffale, sentendo pronunciare il proprio nome, accenna un saluto.

«Sono felice che l’abbia presa così bene», rispondo, imbarazzata.

«Yukio è un bravo ragazzo, ma ha poca esperienza con il gentil sesso perciò sii paziente con lui».

«Neanche io sono un’esperta quando si tratta di ragazzi».

«Meglio così. Avrete modo di imparare insieme, l’uno dall’altra».

«I-insieme? No, aspetti, non è come crede».

«E perché no? Non c’è nulla di male. Siete giovani, divertenti e, da quanto ho visto, avete una splendida intesa».

«È stato solo un incidente e sono certa che non vorrà rivedermi tanto presto».

«Di questo non ne sarei tanto sicuro», dichiara il signor Rampini, nutrendo le mie speranze.

Dopo essermi scusata un’ultima volta, io e Seiichi lasciamo infine le atmosfere rinascimentali della bottega per ritornare alla modernità del Giappone. Arrivati a casa, corro in camera mia, per trascrivere sulle pagine del mio diario gli avvenimenti di questo incredibile giorno, anticipando con trepidazione il mio prossimo incontro con il capitano del Kaijō.

 

***

 

L’indomani mattina, al mio risveglio, cerco il mio diario per rileggere quanto vi ho scritto la sera prima. Le emozioni sono ancora vivide dentro di me e ho bisogno di vedere con i miei occhi l’inchiostro nero sulla carta, per assicurarmi che non sia stato un sogno, che il mio incontro con Kasamatsu non sia stato solo il frutto di una mia fantasia.

Per fortuna la mia confessione è ancora immortalata tra le preziose pagine del diario, come l’imbarazzante ma divertente descrizione del mio primo bacio. Tuttavia, proprio mentre sto per richiudere il quaderno, mi accorgo di una nuova pagina subito dopo quella che ho compilato di mio pugno. Nonostante mi sforzi di ricordare, sono certa di non aver parlato d’altro all’infuori della mia visita al negozio del signor Rampini. Dunque chi può avere aggiornato il mio diario senza che me ne accorgessi? Nessun membro della mia famiglia oserebbe violare la mia privacy sapendo quanto questo quaderno sia importante per me. E comunque, l’unica persona che ha accesso alle sue pagine sono io. Possibile che ieri abbia scritto qualcos’altro dopo essere tornata  a casa? No, non lo è. Ricordo perfettamente quali sono state le mie ultime parole su questo diario e chiunque abbia avuto il coraggio di scrivere sul mio diario senza il mio permesso sapeva dove trovarlo. Ma l’unica a conoscere la combinazione per aprire il lucchetto sono io, dunque vuol dire che sono stata io a scrivere? Allora perché non lo ricordo? Questo aggiornamento è stato aggiunto alle 03:27. Perché mai mi sarei svegliata nel cuore della notte per scrivere nel mio diario? Dal momento che non ricordo, non mi resta che leggere per scoprire la verità.

 

Lunedì, 8 maggio 03:27

È notte fonda e non c’è nessuno sveglio a darmi il benvenuto. Non sopporto di essere sola, circondata dal silenzio e dalle ombre: è deprimente. Io sono una ragazza solare e gioiosa. La notte non mi si addice per nulla. Avevo così tanti progetti per il mio primo giorno qui fuori: andare a fare shopping, visitare un centro estetico, cambiare colore di capelli, fare colazione in centro e, naturalmente, incontrare il mio bellissimo Ryōcchi. Non riesco a togliermi dalla testa il suo volto perfetto, le sue lunghe ciglia, quei luminosi occhi d’ambra. Darei qualsiasi cosa per averlo qui, tra le mie braccia. Se solo non fossi costretta a dividere questo corpo. Come se non bastasse Eiko sembra essersi presa una bella cotta per quell’insopportabile capitano. Come si è permesso di prendere a calci il mio Ryōcchi? Non lo sa che per un modello il corpo è tutto? Un ragazzo tanto violento e rozzo starebbe meglio in uno zoo. Come ha fatto Eiko ad innamorarsi di lui?

Leggi bene queste righe, Eiko: se pensi che ti lascerò frequentare quell’incapace di un capitano con la fobia del sesso femminile ti sbagli di grosso. Ha già commesso un imperdonabile peccato: come ha osato prendersi il mio primo bacio prima di Ryōcchi? Solo perché per un po’ dovremo dividerci questo corpo, non significa che puoi fare quello che vuoi, hai capito? Queste labbra appartengono solo a Ryōcchi! Una principessa dovrebbe essere toccata solo da un principe. Non dimenticartelo mai più!!!

Adesso che so che sei una traditrice, non posso fidarmi di te. Ti sei schierata con Tecchi e per colpa sua Ryōcchi è stato umiliato. Nessuno osa far piangere il mio principe senza pagarne le conseguenze. E pensare che Ryōcchi è stato così generoso con te da concederti una seconda possibilità. Tu non meriti affatto di essere sua amica. Quando lo incontrerò, gli racconterò di persona del tuo tradimento e alla fine ti odierà.

Ma perché sto scrivendo in un diario? Siamo nel XXI secolo e nessuno usa più carta e penna per comunicare!! Mi verranno i calli alle dita se scrivo un’altra parola! Per questa notte mi ritiro, ma sappi che la prossima volta che abbasserai la guardia, Eiko, prenderò il tuo posto e andrò ad un appuntamento con Ryōcchi. Ho aspettato troppo per lasciarti rovinare tutto con la tua stupida cotta per quel capitano da strapazzo. Non distruggerai il mio sogno d’amore.

♥SEIKO ♥

°°°

 

Buona settimana, ragazzi! È comparsa una nuova personalità che farà di tutto per complicare la vita della povera Eiko. Se siete arrivati fino a questo punto, grazie! >_<

Come sempre, se questa storia vi sta piacendo, sarei felice di leggere qualche vostro commento. Intanto vi lascio un abbraccio e vi aspetto al prossimo capitolo. ^^

 Lady L.

 

   
 
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