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Autore: Elison95    10/06/2017    1 recensioni
‘ 𝓅𝑒𝓇 𝓅𝓊𝓃𝒾𝓇𝑒 𝑔𝓁𝒾 𝓊𝑜𝓂𝒾𝓃𝒾 𝒹𝑒𝒾 𝓁𝑜𝓇𝑜 𝓅𝑒𝒸𝒸𝒶𝓉𝒾 𝒾𝓃𝒻𝒾𝓃𝒾𝓉𝒾
𝒹𝒾𝑜 𝓂𝒾 𝒽𝒶 𝒹𝒶𝓉𝑜 𝓆𝓊𝑒𝓈𝓉𝒶 𝓅𝑒𝓁𝓁𝑒 𝒸𝒽𝒾𝒶𝓇𝒶,
𝓆𝓊𝑒𝓈𝓉𝒾 𝓁𝓊𝓃𝑔𝒽𝒾 𝒸𝒶𝓅𝑒𝓁𝓁𝒾 𝓇𝒶𝓇𝒾
𝒸𝒽𝑒 𝑒𝓈𝓈𝑒𝓇𝑒 𝓊𝓂𝒶𝓃𝑜 𝓅𝑜𝓉𝓇𝑒𝒷𝒷𝑒 𝓅𝓊𝓃𝒾𝓇𝓂𝒾?
𝓂𝑒𝓏𝓏𝑜 𝓋𝑒𝓈𝓉𝒾𝓉𝒶 𝒹𝒾 𝓆𝓊𝑒𝓈𝓉𝒾 𝒸𝒶𝓅𝑒𝓁𝓁𝒾
𝒹𝒶𝓁 𝒸𝑜𝓁𝑜𝓇𝑒 𝓇𝑜𝓈𝓈𝑜 𝓅𝒶𝓁𝓁𝒾𝒹𝑜,
𝒹𝒶𝓁 𝓉𝑒𝓉𝓉𝑜 𝒹𝑒𝓁𝓁𝒶 𝓅𝒶𝑔𝑜𝒹𝒶 𝓋𝑒𝒹𝑜 𝒾 𝓅𝑒𝓉𝒶𝓁𝒾 𝒹𝑒𝒾 𝒸𝒾𝓁𝒾𝑒𝑔𝒾,
𝒸𝒶𝒹𝑜𝓃𝑜 𝓃𝑒𝓁 𝓋𝑒𝓃𝓉𝑜 𝒹𝒾 𝓅𝓇𝒾𝓂𝒶𝓋𝑒𝓇𝒶.
𝓈𝒸𝓇𝒾𝓋𝑒𝓇𝑜' 𝓁𝒶 𝓂𝒾𝒶 𝒸𝒶𝓃𝓏𝑜𝓃𝑒 𝓈𝓊𝓁𝓁𝑒 𝓁𝑜𝓇𝑜 𝒶𝓁𝒾.
𝒾𝓃𝑔𝒶𝓃𝓃𝑒𝓇𝑜' 𝒾 𝓋𝒾𝓋𝒾 𝑒 𝒹𝑒𝓈𝓉𝑒𝓇𝑜' 𝓈𝒸𝑜𝓂𝓅𝒾𝑔𝓁𝒾𝑜 𝓉𝓇𝒶 𝒾 𝓂𝑜𝓇𝓉𝒾.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Scolastico, Sovrannaturale
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ACT II ; Hidden Demons.

La mia nuova divisa scolastica era di colore beige e verde scuro, ma mi accorsi che rispetto a quella di Dorothée era diversa… per i colori più che altro, la sua per l’appunto era beige ed arancione.  Dovevo dire però che mi piaceva più di quella che ero solita indossare nella vecchia scuola, alla Saint Bàra infatti, era costituita da una gonna a pieghe beige e giacca dello stesso colore ma dai bordi verdi, e sul braccio destro lo stemma della scuola; una croce dorata con al centro un triangolo simile a quello del mio bracciale, solo che all’interno vi erano le iniziali della prestigiosa scuola. Camicia bianca e fiocchetto sottile verde, sistemato sul colletto della camicia. Mi sembrò più raffinato ed inquietante di tutte le scuole che avevo frequentato sino ad allora, persino le parigine che indossai erano bianche e con i bordi verdi, arrivavano fino a sopra le ginocchia, erano graziose e comode.
   «Perché anche se andiamo nella stessa accademia, le nostre divise sono di colore diverso?» Una volta infilate anche le scarpe, mi rivolsi a guardare Dorothée che invece era intenta ad acconciarsi in qualche modo i capelli mori e ribelli allo specchio.
    «Oh, non te l’ho detto? Qui ogni razza ha colori diversi. Le creature leggendarie sono verdi, le streghe arancioni, le creature mannare gialle ed i vampiri rossi. I colori di base però sono tutti uguali, donne beige e uomini neri. Figo vero?»
  «Almeno in questo modo saprò chi è chi…» Borbottai annodandomi il fiocchetto, dopo aver sospirato un po’ più del dovuto, Dorothée mi prese il polso per trascinarmi fuori dalla stanza, a suo dire eravamo in gran ritardo, ma io ancora non avevo saputo quale sarebbe stata la punizione per quel tipo di infrazione.
Per fortuna però, arrivammo in classe giusto un secondo prima che la campanella suonasse. Guardandomi attorno mi resi conto per la prima volta forse, che avrei diviso i banchi di scuola con creature abbastanza pericolose. Mi accorsi inoltre che ogni banco era condiviso da tre persone, Dorothée lo divideva con Richard, che salutai, e con una ragazza dalla divisa bianca e rossa – era ovviamente un vampiro ed era anche impossibile non notare che la sua era una rara bellezza, sembrava d’obbligo fermarsi a guardarla. Probabilmente era un vampiro di razza Aswang, Dorothée me ne aveva parlato quella notte. Possedeva una bellezza unica durante il giorno, ma la notte invece si tramutava in uno spaventoso e disgustoso demone in cerca delle sue prede, di notte infatti viene guidato nelle case delle vittime da stormi di uccelli notturni. Il suo nutrimento è sempre il sangue, e di norma preferisce i bambini; Dorothée mi aveva detto che la si poteva riconoscere grazie all’aspetto gonfio che assumeva dopo essersi nutrita, facendola sembrare incinta. Si diceva inoltre che se l’Aswang sfiorava l’ombra di qualcuno, questi sarebbe morto a breve. Smisi di guardarla subito dopo mentre un brivido di raccapriccio mi fece venire la pelle d’oca.
“Fiutai” l’unico posto libero che era vuoto insieme a tutto il banco, sistemai lì le mie cose.
   «…Cosa ci fai qui?» Un rimprovero improvviso mi sorprese e sobbalzai all’istante. Di fronte a me un ragazzo alto dalla pelle olivastra, la divisa parlava chiaro; nera e rossa. Era un vampiro.
   «Uhm… scusami non volevo invadere lo spazio di nessuno, ma questo era l’unico posto libero e allora…» Mi grattai la nuca guardando le due sedie vuote ai miei lati.
    «Signor Vanhomrigh, le consiglio di fare meno storie e sedersi prima che la lezione cominci.» Quello che parlò fu il professor Alais. Dorothée mi aveva parlato anche di lui e lo seppi riconoscere dalla barba ed i capelli bianchi sfumati in un monotono grigio. Insegnava astronomia, filosofia, logica, retorica, chiromanzia e piromanzia, che a quanto pareva era la materia che spiegava delle pratiche antiche col fuoco, per buoni auspici e malocchi. Insomma, in quel posto era una vera e propria enciclopedia umana. Aveva una fascia verde sul braccio destro, a conferma del fatto che fosse una creatura leggendaria proprio come me, la cosa avrebbe dovuto rendermi fiera o qualcosa di simile, ma ciò non mi scaturì alcuna emozione. Per la precisione comunque, era un Furcas. Dorothée mi aveva spiegato che quello era un cavaliere dell’inferno che comandava venti legioni di demoni, ma non mi aveva detto nello specifico, in cosa gli impediva di trasformarsi il braccialetto. Il fatto che una creatura simile facesse da professore mi stranì e mi fece quasi ridere.
Il signor Vanomrigh, con tutta la sua aura nervosa e la cravatta annodata in modo scialbo, decise di sedersi alla mia destra dopo quel richiamo, senza dire più nulla in proposito alla mia posizione; guardandolo mi accorsi che aveva dei lineamenti veramente delicati, ma allo stesso tempo virili.
   «Si può sapere cos’hai da guardare?» Voltandosi scoprii di potermi riflettere perfettamente nei suoi occhi verdi, mi rimisi sull’attenti con aria vagamente sorpresa e ricominciai a grattarmi la nuca in evidente disagio.
    «In realtà ecco… io sono nuova e per me è ancora tutto un po’ strano.» La tirai giù senza pensarci troppo.
    «So che sei nuova, sono qui da diciassette anni e questa è la prima volta che ti vedo, dovrà pur significare qualcosa.» Brontolò guardando nuovamente dinanzi a sé, mentre il professore sistemava le sue cose sulla cattedra, attendendo gli ultimi due minuti prima della lezione.
    «Visto che saremo compagni di banco, io credo che dovremmo presentarci… Mi chiamo Eireen. Eireen Cester.» Formulai il mio nome quasi come se ne fossi soddisfatta. Lui sbuffò e mi guardò seccato per più di un secondo, notai per una breve frazione di attimo però, un lieve disagio da parte sua, questo prima che si voltò nuovamente e parlasse.
    «Uriel. Uriel Vanhomrigh.» Incrociò le braccia al petto e si rilassò contro la sedia chiudendo gli occhi in un sospiro.
Una lieve folata di vento mi fece però voltare dall’altra parte. Era Marek. Il ragazzo che Dorothée il giorno prima mi aveva consigliato di stare alla larga, lo stesso ragazzo che avevo urtato distrattamente. Si sedette in modo silenzioso alla mia sinistra e così mi ritrovai ben presto tra due esseri taciturni ed incredibilmente spaventosi quanto assurdamente belli.
Durante la lezione, mi schiarii la voce un paio di volte per parlare, ma mai lo feci. Ero l’unica a prendere appunti su appunti, mentre gli altri due non se ne interessavano minimamente. Uriel era probabilmente intento a dormire, mentre l’altro a fissare un punto indefinito dinanzi a lui, non lo sorpresi mai a battere le palpebre, mi accorsi solo più tardi della sua divisa dai bordi rossi.
    «Ecco… non dovremmo svegliare Uriel?» Bisbigliai con fare impacciato.
    «Credi sul serio che un essere simile possa dormire in pieno giorno?» Marek si voltò a guardarmi, sembrò chiamarmi stupida con quel solo sguardo.
    «Beh, le leggende non raccontano questo?»
    «Ti sembriamo una leggenda?» Intervenne Uriel sollevandosi dalla sua posizione mentre poggiava stancamente i gomiti sul piano del banco, le loro voci massicce se calate a quel tono mi sembravano troppo inquietanti.
    «Ecco io… no.» Ammisi.
    «Faresti meglio a stare attenta ragazzina, sei sul serio una kumiho? Non mi sembri poi tanto astuta, ciò che ti rispecchia è solo quest’incredibile bellezza, latticino.» Continuò Uriel.
    «Faresti meglio a stare zitto, razza di maggiordomo.» Marek ammonì l’altro subito dopo, i due si scambiarono ovvi sguardi di sfida, io cominciai ad agitarmi, quindi feci in modo che la visuale di entrambi fosse interrotta da me.
   «Io credo che lui non volesse offendermi.» Mi precipitai a dire, guardando Marrek; incredibile, la sua espressione non cambiava proprio mai.
   «Cosa potrebbe importarmi se lui ti offende o meno, volpe? Non sopporto la sua voce e basta.» Ringhiò.
   «Io credo che sopporteresti ancor di meno i miei pugni.» Fece l’altro e quasi mi sovrastò per mostrare la mano chiusa a pugno al compagno, aveva un aria minacciosa e qualsiasi essere umano vagamente normale, non si sarebbe mai permesso di replicare. Ma lì, non c’era proprio niente di normale.
Marek angolò un lato delle labbra in mezzo sorriso, poggiò la mano contro il mio petto ed io mi immobilizzai all’istante, mi spinse appena, quel tanto che bastava a farmi spostare ed avere completa visuale su Uriel. I due si fissarono per qualche secondo, erano così vicini che probabilmente l’uno sentiva il respiro dell’altro… semmai i vampiri respirassero, poi.
   «Ti senti così inutile da dovermi dimostrare il tuo minimo di forza, Uriel?» Marek in quel momento sembrò, probabilmente, la persona più spaventosa di tutto l’intero globo ma l’altro non fece in tempo a rispondere, che il professor Alais era già dinanzi a noi con un aria decisamente non attendibile. Mi vennero in mente le venti legioni di demoni e mi chiesi perché non me la fossi già data a gambe.
   «Sapete già cosa io stia per dire, vero ragazzi?» Introdusse poggiando i palmi ai fianchi, sembrava stanco. Poteva esserlo?
   «…Mi spiace per lei, signorina Cester. Come primo giorno non è proprio il massimo e visto che ha perso tutti questi anni, poi. Non credevo che una kumiho potesse realmente essere così disdicevole. Già ho dovuto sopportare il vostro ritardo senza dir nulla.» Scosse la testa ed andò poi verso la cattedra a riprendere ciò che stava scrivendo alla lavagna, non credette al fatto che si dispiacesse per me. Quei simboli che continuava a scivere in ogni caso, mi sembravano solo scarabocchi eppure li stavo ricopiando ugualmente sul quaderno. Sarà che era forza d’abitudine.
Nell’aula non volava una mosca, e quando Uriel e Marek si alzarono provocando quel rumore sordo con le sedie strusciate contro il pavimento che solo a me sembrò dar fastidio, nessuno fiatò ma io li guardai perplessa. Cosa stavano facendo esattamente?
   «Ti muovi o dobbiamo restare qui fino a stanotte? Sai com’è, di solito per quell’ora ho un po’ da fare.» Marek si era già avviato verso la porta, mentre Uriel aveva per lo meno speso quelle brevi parole per farmi capire che dovevo seguirli. Dove eravamo diretti esattamente?
Evitai di guardarmi attorno e quando uscii in modo precipitoso dall’aula sbattei ancora contro il petto di Marek, quella volta però sentii il suo braccio stringersi attorno la vita, in modo tale da evitare un mio possibile tonfo. Ci soppesammo per qualche istante e poi lui distolse lo sguardo lasciando anche me, in modo non proprio delicato.
Mi sentii stranamente in imbarazzo.
   «Dove siamo diretti esattamente?» Domandai seguendo i due nel lungo corridoio.
   «Direzione.» Rispose Marek secco.
   «Cosa? …Andremo dal preside solo per qualche parola in classe?» Ero decisamente sconvolta alla notizia. Ma ehi, magari mi avrebbero espulso in fretta da quel passo.
   «Preside? Nessuno ha mai visto il preside.» Rise appena Uriel. «E nemmeno stavolta lo vedremo. Ci penserà semplicemente la signorina Packard dopo che avrà discusso con lui della nostra punizione.»
   «Pu…nizione?» domandai ancor più interdetta. Insomma, io non avevo fatto nulla per cui essere punita e poi non osavo nemmeno immaginare che tipo di punizioni potessero esserci in un posto come quello.
   «Il preside di questa scuola è famoso per la sua rigidità, sembra si diverta a metterci in punizione anche se infrangiamo una sola di quelle assurde regole che trovi scritte ovunque.» Uriel sembrava più propenso alle spiegazioni ed al dialogo. Lo considerai un bene, ricordandomi che non avevo ancora letto tutto il regolamento.
   «Di solito di che tipo di punizioni si tratta?»
   «Le punizioni variano, a volte sembrano farlo persino da creatura a creatura. Non si sa mai cosa aspettarsi.»
   «Che scocciatura.» Mormorò Marek contrariato. Non fui in grado di percepire se si riferisse allo scambio di parole mio e di Uriel, o alla problematica delle assurde punizioni imposte in quel posto.
La sala d’attesa fuori la porta della direzione metteva abbastanza soggezione, c’erano sedie a circondare ogni angolo delle mura ed una cattedra al centro, che si scoprì essere di quella donna che mi aveva accolto il primo giorno. La chiamavano signorina Packard.
   «Di solito accoglie ogni nuovo studente…» Mi spiegò Uriel. «…Dimmi, qual è la prima impressione che ti ha dato?»
   «Mh… nonostante sembri giovane, la sua voce è molto roca e rugosa, mi chiedo quanti anni abbia. È incredibilmente alta e sarebbe una bella donna se non fosse per quel neo disgustosamente peloso.»
   «Sul serio, non riesco a capire cosa ci fai in questo posto.» Marek interruppe il mio pensiero col solito tono freddo ed irritante. «Sei sul serio una kumiho? Non ti sei accorta di niente. In realtà la signorina Packard è ultra centenaria. Ha un aspetto orribile.»
Sobbalzai nel momento in cui la porta dell’ufficio del preside si aprì, i due al mio fianco invece sembrarono non scomporsi, come al solito. Quella che uscì fu una smagliante signorina Packard. Marek diceva il vero? Non mi sembrava poi così orribile. Si avvicinò a noi e ci consegnò dei fogli con su scritto il regolamento da seguire mentre si era in classe, probabilmente come promemoria. Rimandai ancora una volta la lettura integrale del pezzo di carta.
   «Signorina Cester, non mi aspettavo di vederla qui così presto, mi sorprende.» Rimase perfettamente eretta con la sua cartellina rossa sotto braccio, aveva una espressione severa, ma non più inquietante di quella che emanava il professore. Per questo preferii non sapere di che razza era la “signorina”.
   «Mi scusi, noi stavamo solo scambiando qualche parola di conoscenza, come sa io sono nuova e loro cercavano solo…»
   «Il signor Vanomrigh ed il signor Kowalski cercavano solo di metterla nei pasticci, signorina Cester. D’altronde non è una delle loro prime punizioni. Vero signor Vanomrigh?» Mi interruppe bruscamente e ciò che riuscii a captare fu il cognome che m’era nuovo. A quanto pareva Marek aveva origini polacche o qualcosa di simile. «Per tanto, siete pregati di seguirmi.» Continuò e finì dandoci le spalle.
Mi alzai a mia volta dopo i due ragazzi ai miei fianchi, percorremmo i lunghi corridoi della scuola, alcuni ancora inesplorati per me e che dovevo ammettere in tutta quell’assurdità che lo stile barocco dava un aria lussuosa all’intero stabile – mi chiesi se avessi mai potuto visitarlo tutto, finimmo per uscirne da un grande portone con rifiniture in oro.
   «Dove stiamo andando esattamente?» Bisbigliai all’orecchio di Marek, o almeno tentai di avvicinarmi ad esso.
   «Lo saprà molto presto, signorina Cester.» Ed ancora una volta mi fece sobbalzare con la sua voce squillante e autoritaria. Camminammo per circa quindici minuti, forse percorrendo tutto il campus, ed invece eravamo solo usciti dal retro del palazzo in cui si tenevano le lezioni.
Fu allora che me ne accorsi; la signorina Packard si voltò verso di noi ed io cercai di trattenere il mio spavento. I nei pelosi apparirono persino più rialzati e la pelle costellata da rughe profonde, quasi gli copriva occhi e labbra. Era difficile distinguere mento e collo, mi sembrò ingrassata d’improvviso e decisamente più bassa. La voce rimase la stessa; ma forse era ciò che voleva dire Marek poco prima? Era il vero aspetto di quella sottospecie di demone vivente. Feci mezzo passo indietro, che sembrò essersi congelato sotto il suo sguardo vigile.
   «Come sapete, è proibito oltrepassare la Caed Dhu e difatti nemmeno voi lo farete. Per lo meno non del tutto.»
  «Cosa significa.» Mi voltai appena verso Marek, fu la prima volta che lo vidi con le sopracciglia aggrottate.
   «Che ci dovremmo fermare ai piedi della foresta per qualche motivo.» Uriel spezzò le parole alla signorina Packard, che accennò un sorrisetto compiaciuto, o almeno così sembrava. Non volevo guardarla a lungo – faceva quasi male.
   «Dovrete consegnare questo pacchetto al guardiano della foresta.» Porse l’oggetto, che sembrava anche troppo leggero, a Marek. Lui lo sistemò nella tasca interiore della giacca. «Bene, il mio lavoro è finito. Sono certa che la prossima volta ci penserete su due volte, prima di infrangere qualche regola.» Sebbene si stesse già avviando verso la scuola e parlasse con tono calmo e basso, riuscii a sentirla alla perfezione come se fosse a pochi centimetri di distanza da me. Diversi brividi mi scossero e purtroppo non riuscivo a nasconderlo.
   «Come tuo primo giorno non è il massimo.» Uriel avanzò qualche passo dopo quella frase, poi si voltò verso di noi e guardò Marek in modo diverso dal solito. Sembrarono capirsi senza dover parlare.
   «Anche per me è strano.» Disse l’altro infilando le mani nelle tasche, tuttavia entrambi avanzarono verso l’erba fresca del campus. Sentii del vento lieve dietro la schiena e ciò mi spinse a raggiungerli alla svelta.
   «Marek… cosa intendevi prima? C’è qualcosa che mi state nascondendo?»
   «Pensiamo semplicemente che sia strano, volpe. Questa foresta è invarcabile, persino fino al rifugio del guardiano che si trova proprio ai piedi di essa. Pensare che il preside abbia voluto mandarci qui solamente per qualche parola scambiata in classe, non mi sembra possibile.»
   «Cosa… cosa c’è in questa foresta? E perché è invarcabile?» Mentre la mia mente si riempiva di domande a cui poi davo voce poco dopo, mi voltai con lo sguardo verso il cielo, in prossimità di quella foresta sembrava non battervi mai sole, l’azzurro spiccato andava via via a sfumarsi in un blu sempre più tetro.
   «Ci sono i demoni disobbedienti, se vogliamo chiamarli in questo modo. Questa foresta è sigillata da una potente barriera che permette loro di essere rinchiusi qui in eterno. È una specie di inferno, mi spiego? Non possono nutrirsi e quindi patiscono la fame, sono assetati di sangue e di carne pregiata, per questo io e Marek non ci spieghiamo la cosa. Tu non dovresti essere qui
   «A noi è permesso venirci solo durante il campeggio che si tiene una volta al mese, ma quello è un altro discorso perché i demoni vengono neutralizzati dai professori… sei una kumiho Eireen, il tuo sangue emana un profumo estasiante per loro e la tua carne è una delle più pregiate, se non la prima. Quelle della tua razza si manifestano una volta ogni cento anni. Non è roba da poco.» Marek continuò il discorso di Uriel ed in poco tempo riuscirono a farmi comprendere la situazione in cui ci trovavamo. Diciamo che mi accorsi sin da subito che non erano bravi a far sentire qualcuno al sicuro.
   «E’ come essere gettati nella fossa del coccodrillo.» Dissi guardando nel vuoto, mi fermai senza rendermene conto. Cosa stava accadendo? Davvero gli apici di quella scuola erano così spietati? Non riuscivo a capacitarmene, sapevo già di non essere immortale come altre creature in quel posto e questo non era d’aiuto.
   «È già difficile per noi, resistere.» Uriel si voltò verso di me, aveva gli occhi tendenti al rosso e dopo avermi scrutato per qualche istante si voltò di scatto avanzando più velocemente. «Raggiungiamo quel cazzo di rifugio alla svelta.» Sembrò turbato tutto d’un tratto.
Con mia sorpresa Marek non obbiettò l’ordine, con lo sguardo mi fece intendere di stare al loro passo e mi posizionò tra lui ed Uriel, in modo tale che uno mi guardava le spalle e l’altro mi dirigesse.

 
A quel tempo non sapevo che quello sarebbe stato l’inizio di tutto.
 
   
 
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