Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Elison95    12/06/2017    1 recensioni
‘ 𝓅𝑒𝓇 𝓅𝓊𝓃𝒾𝓇𝑒 𝑔𝓁𝒾 𝓊𝑜𝓂𝒾𝓃𝒾 𝒹𝑒𝒾 𝓁𝑜𝓇𝑜 𝓅𝑒𝒸𝒸𝒶𝓉𝒾 𝒾𝓃𝒻𝒾𝓃𝒾𝓉𝒾
𝒹𝒾𝑜 𝓂𝒾 𝒽𝒶 𝒹𝒶𝓉𝑜 𝓆𝓊𝑒𝓈𝓉𝒶 𝓅𝑒𝓁𝓁𝑒 𝒸𝒽𝒾𝒶𝓇𝒶,
𝓆𝓊𝑒𝓈𝓉𝒾 𝓁𝓊𝓃𝑔𝒽𝒾 𝒸𝒶𝓅𝑒𝓁𝓁𝒾 𝓇𝒶𝓇𝒾
𝒸𝒽𝑒 𝑒𝓈𝓈𝑒𝓇𝑒 𝓊𝓂𝒶𝓃𝑜 𝓅𝑜𝓉𝓇𝑒𝒷𝒷𝑒 𝓅𝓊𝓃𝒾𝓇𝓂𝒾?
𝓂𝑒𝓏𝓏𝑜 𝓋𝑒𝓈𝓉𝒾𝓉𝒶 𝒹𝒾 𝓆𝓊𝑒𝓈𝓉𝒾 𝒸𝒶𝓅𝑒𝓁𝓁𝒾
𝒹𝒶𝓁 𝒸𝑜𝓁𝑜𝓇𝑒 𝓇𝑜𝓈𝓈𝑜 𝓅𝒶𝓁𝓁𝒾𝒹𝑜,
𝒹𝒶𝓁 𝓉𝑒𝓉𝓉𝑜 𝒹𝑒𝓁𝓁𝒶 𝓅𝒶𝑔𝑜𝒹𝒶 𝓋𝑒𝒹𝑜 𝒾 𝓅𝑒𝓉𝒶𝓁𝒾 𝒹𝑒𝒾 𝒸𝒾𝓁𝒾𝑒𝑔𝒾,
𝒸𝒶𝒹𝑜𝓃𝑜 𝓃𝑒𝓁 𝓋𝑒𝓃𝓉𝑜 𝒹𝒾 𝓅𝓇𝒾𝓂𝒶𝓋𝑒𝓇𝒶.
𝓈𝒸𝓇𝒾𝓋𝑒𝓇𝑜' 𝓁𝒶 𝓂𝒾𝒶 𝒸𝒶𝓃𝓏𝑜𝓃𝑒 𝓈𝓊𝓁𝓁𝑒 𝓁𝑜𝓇𝑜 𝒶𝓁𝒾.
𝒾𝓃𝑔𝒶𝓃𝓃𝑒𝓇𝑜' 𝒾 𝓋𝒾𝓋𝒾 𝑒 𝒹𝑒𝓈𝓉𝑒𝓇𝑜' 𝓈𝒸𝑜𝓂𝓅𝒾𝑔𝓁𝒾𝑜 𝓉𝓇𝒶 𝒾 𝓂𝑜𝓇𝓉𝒾.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Scolastico, Sovrannaturale
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Act IV ; Shadows and darkness.


Mancavano ventiquattro giorni allo scadere quella tacita scommessa che Marek aveva deciso d’imporre, per quanto tentassi di non pensarci e fingere che la cosa non mi toccasse – c’era qualcos’altro che m’impediva la totale indifferenza sulla questione. Dopo aver raccontato a Dorothèe cos’era successo in mensa, lei aveva messo su un’espressione dubbiosa ed affranta, non ne conoscevo di preciso il motivo ma ormai per tutte le volte che mi aveva consigliato di star lontana sia a Marek che ad Uriel, avevo capito che non gli stessero molto simpatici. Eppure ogni qualvolta cercavo spiegazioni lei mi sorrideva carezzandomi la testa, il modo in cui lo faceva era così dolce e magnanimo che il cuore sembrava sciogliersi poggiandosi nelle sue mani. Di solito accostava la fronte contro la mia e cantava melodie per rassicurarmi o forse per trovare il modo giusto di sviare troppe domande, mi rilassavano la sua voce ed i suoi mugugni – tanto che ogni altra informazione mi pareva superflua, sul momento.
Ma Dorothèe quella sera non c’era in camera, doveva scontare una punizione di cui non aveva potuto dirmi nulla. Lo stesso pomeriggio come di suo solito si era spogliata restando completamente nuda ed aggirandosi per i corridoi del dormitorio toccando e dando vita ad ogni piantina appassita; a volte mi piaceva paragonarla a madre natura, era così bella e delicata, così libera e priva di barriere che le sue stramberie passavano in secondo piano ogni volta.
Mancavano quindici minuti all’inizio del coprifuoco notturno, decisi che il tempo era abbastanza per poter fare una passeggiata schiarendomi le idee e magari per trovare una soluzione per scoprire le razze dei due vampiri decidendo così da me se fosse il caso o meno di starne alla larga. Tutto quel mistero mi asfissiava, mi rendeva stanca, fiacca.
All’ennesimo sospiro alzai lo sguardo verso la lontana foresta che avevo visto da vicino qualche giorno prima, il raccapriccio invase la spina dorsale ed aggrottai la fronte sentendomi bruciare gli occhi a tenerci troppo su lo sguardo. Lo distolsi quanto prima, avanzando il passo a testa bassa fino a schiantarmi con la fronte contro qualcosa.
   «Accidenti!» Mi massaggiai il capo leggermente stordita, da quando ero lì avevo sbattuto contro Marek, contro la testiera del letto, lo stipite della porta, il professor Alais ed ora… ora cosa avevo colpito? …Per fortuna il sorriso mi tornò osservando una figura amica. Uriel mi guardava dall’alto con un’espressione che mi pareva diversa da quella che aveva durante il giorno. «Ah scusami… sembro avere la brutta abitudine di sbattere contro cose o persone.» Il mio piccolo riso apparì nervoso, non sapevo perché. Chinai appena il capo per congedarmi e superarlo – l’orologio al polso segnava meno cinque minuti all’inizio del coprifuoco.
I movimenti che seguirono furono rapidi, Uriel fece un passo verso di me e la mandritta raggiunse il mio braccio, cercò di avvolgerlo tramite una mano senza permettermi di fuggire da lui e ci riuscì senza ulteriori sforzi.
   «Ti sembra il modo di farti perdonare, latticino?»
La sua voce era leggermente diversa, roca, bassa. Mi strattonò con forza verso di sé.
   «Uriel… cosa ti prende? Lasciami subito.» Sbottai presa da un improvviso panico, mi tornarono in mente le parole di Dorothèe e chissà perché anche il viso di Marek.
Cercai di far del mio meglio per non guardarlo ancora una volta negli occhi, da quando l’avevo fatto uno strano senso di tristezza ed inquietudine mi avevano pervaso il petto, eppure la tentazione di fissarli era talmente grande che pareva impossibile non cedere.
   «Facciamo un gioco, che ne dici, latticino?... Fammi compagni per altri…» Ci fu un momento di pausa, l’altra mano recuperò il proprio cellulare e controllò su di esso l’orario tornandomi a guardare con un sorrisetto divertito. «…Due minuti?»
Sgranai gli occhi rendendomi conto che due minuti dopo sarebbe scattato il tanto odiato coprifuoco, cercai di divincolarmi dalla sua presa con scarso successo protestando in ogni modo a voce bassa e con qualche colpo che gli davo sulla schiena con la mano libera, Uriel aveva preso a trascinarmi all’interno dell’accademia ma eravamo troppo lontani per raggiungere i dormitori in due minuti.
   «Dovresti imparare a convivere con le stranezze di questo posto.»
   «Non è il momento giusto di inculcarmi lezioni su questo posto Uriel, mi spieghi che ti prende? …Pensavo fossi diverso, mio amico…» Si fermò di scatto, voltandosi verso di me e guardandomi in silenzio per qualche secondo.
   «Regola numero due: non fidarti di nessuno qui dentro, è un azione stupida e mi aspetto tu abbia un minimo di intelligenza.» Uriel sembrò cercare qualcosa con lo sguardo subito dopo, poi recuperò il telefono nuovamente, ghignò soddisfatto guardando lo schermo che gli illuminava il viso adesso. «Regola numero tre: dal momento in cui metti piede in questa accademia la tua vita dipende costantemente dal ticchettio di un orologio.» Sentimmo il bruscio dei passi di chi, a quell’ora, doveva controllare che nessuno fosse in giro, mi allarmai in brevissimo tempo cercando una soluzione che non arrivò. «Sta a te capire se vuoi essere condizionata fino a questo punto od opporti. Sono le dieci, latticino.» Le sue ultime parole furono accompagnate dal richiamo di due guardie notturne.
  «Ti sto dicendo che voglio decidere di non trovarmi di nuovo in un assurda punizione.» Lo guardai risentita ed accigliata, lui picchiettò la lingua sotto al palato e mi trascinò nella direzione opposta alle guardie. «Uriel che accidenti fai? Lasciami! Andiamo in segreteria prima che la punizione degeneri…» Afferrai con la mano libera il braccio con cui mi teneva, la sua sembrava un assurda tenaglia. Pareva imboccare i corridoi durante quella fuga senza riflettere, ma essi indirettamente ci portano verso i dormitori. Gli schiamazzi delle sentinelle erano forti e chiari, alle due iniziali se ne aggiunsero altre due davanti alle quali passammo davanti in un bivio,
   «Sei con me, la punizione sarà grave a prescindere.» Disse con tono quasi malinconico. Rallentò un momento la corsa imboccando un altro corridoio, ci fermammo davanti ad una colonna barocca, avvolse la mia vita per trascinarmi nell’angolo di essa, all’ombra di quelle luci fioche attaccate alle pareti. Mi si parò davanti, sfiorava i miei tratti per la vicinanza e le sue mani si poggiarono al muro alle mie spalle. «Fai silenzio.» La voce grave sembrò rallentare persino il mio respiro spaventato, portandomi ad un livello di terrore che non seppi catalogare. Si allontanò di poco, guardando il pavimento mi accorsi di un particolare agghiacciante. Ai piedi di Uriel vi erano due ombre, fu come se nel giro di un secondo esse prendessero sostanza, aprì gli occhi improvvisamente, iridi e pupille completamente candide, di un bianco ottico spaventoso – sentii le gambe cedere e senza rendermene conto chiamai Marek mentalmente.
Le ombre ai piedi di Uriel si sollevarono avvolgendoci del tutto, come se diventassimo una cosa sola con l’oscurità.
Le sentinelle passarono senza vederci, dopo pochi minuti abbandonarono il corridoio decidendo che non ci fosse nessuno – il mio cuore eppure palpitava talmente tanto che temevo potessero sentirlo da un momento all’altro. Quando fummo nuovamente soli, tutto tornò alla normalità, anche se Uriel aveva sempre due ombre ai suoi piedi. Che diavolo di razza era la sua? …Si allontanò di qualche passo da me, mi accorsi che evitata volutamente il mio sguardo.
   «Volevo solo farti capire quanto può essere inaffidabile questo posto. Tieni in considerazione le regole che ti ho detto.» Prese qualche momento di pausa, poi sospirò. «Riesci a muovere le gambe, vero?»
Annuii, ma non riuscii a parlare, restai con la schiena contro il muro e con la bocca impastata, le mani contro il petto a cercare invano di calmare i respiri affannosi. Uriel tentò di voltarsi verso di me, non ci riuscì. Il silenzio fu spezzato solo da quei passi che si allontanavano per conto loro.
Non seppi esattamente quanto tempo restai in quella posizione, non appena mossi un passo le gambe cedettero facendo rimbombare il tonfo del mio corpo verso terra, lungo tutto il corridoio deserto.
   «Dorothèe… devo andare da Dorothèe.» Biascicai, mandai giù il fastidioso e bruciante bolo di saliva e mi alzai reggendomi alla colonna, mossi passi lenti verso l’ingresso del dormitorio femminile e via via presi a correre fino ad arrivare alla mia stanza, aprii la porta richiudendola subito dopo alle mie spalle non preoccupandomi dello schianto che non fece sobbalzare nessuno. La mia compagna non era ancora rientrata in camera, che punizione stava scontando la mia Dorothèe?
Mi guardai attorno allarmata, andai verso la finestra aperta che lasciava oscillare la tenda lillà all’interno della stanza; ero sicura di averla lasciata chiusa prima di uscire, in un gesto veloce la calai verso il basso sentendo il tessuto violetto aderire alla mia schiena in mancanza di vento che lo facesse svolazzare. Sospirai di sollievo e tentai di liberar la mente dalle mille domande, mi chiesi se Dorothèe sapeva delle ombre di Uriel. Avevano sicuramente a che fare con la sua razza.
Mi misi sotto le coperte dopo una doccia fredda, guardai il letto vuoto della mia amica e le diedi mentalmente la buonanotte – non fu difficoltoso addormentarmi per fortuna.
 
Cominciai a sudare solo dopo diverse ore, il respiro divenne corto e sentivo un peso allo stomaco che mi rendeva impossibile il normale rigonfiamento della pancia che mi serviva a prender fiato. Gli occhi sembravano chiusi col cemento, feci una così grande fatica ad aprirli che temetti d’essermi privata di qualsiasi forza avessi. Le tenebre mi avvolgevano facendomi sentire claustrofobica, il senso di oppressione al petto non svaniva… vidi due occhi od almeno mi parve di vederli, erano dapprima distinti solo da qualche venatura dorata sospesa in mezzo a tutto quel nero, poi divenirono di un rosso accecante che sembrò illuminare anche il corpo della persona che mi stava accovacciata sulla pancia. Era un viso che conoscevo bene, Marek mi osservava bramando qualcosa che non riuscivo a capire, si era messo sul mio corpo concentrandone il peso proprio sul punto in cui avvertivo difficoltà, aveva il viso scarno e delle occhiaie violacee. Si leccò le labbra naturalmente rosse e ne avvicinò il viso al mio. Chiamai il suo nome mentalmente ancora una volta, siccome era impossibile per me prendere parola.
Lui non mi rispose, nemmeno allora.
Marek mi privò di tre respiri, lo sentii risucchiarli dalle mie labbra con eccessivo desiderio. Le mani, ora più calde rispetto a tutte le altre volte mi carezzarono la guancia in segno di scuse probabilmente.
Toccò la mia bocca con la sua, mi privò di altri due respiri ma stavolta fui io che non feci uscire il fiato – sospendendo ogni attività necessaria ed abituale che al mio corpo serviva per sopravvivere. Quando si staccò i suoi occhi si mischiarono di nuovo alla coltre della notte e la sua figura assunse un aspetto deforme, sino a disperdersi con l’ambiente circostante.
  
    «MAREK!» Esclamai mettendomi a sedere in mezzo al letto, mi toccai la gola cercando di regolarizzare il respiro con scarso successo inziale. Avevo la fronte imperlata di sudore ed un affaticamento improvviso mi premeva sulla schiena, voltandomi verso il letto di Dorothèe notai il bozzo di coperte che mi avvertiva fosse lì con me, finalmente.
   «Dorothèe…» Chiamai il suo nome una sola volta e con voce modulata, cauta, come se non volessi svegliarla sul serio… eppure lei si alzò subito mettendosi a sedere come me al centro del suo letto, mi guardò con un sorriso criptico dall’altro lato della stanza.
Allargò le braccia, invogliandomi ad andarle incontro e passare la notte con lei.

 
                                  
 
Marek special POV.
 
 

Aveva un profumo al quale non sapevo resistere. Ne ero rimasto catturato sin dal nostro primo incontro perché quel particolare odore era sopito tra i miei ricordi recenti. Se quindici anni possono effettivamente essere considerati tali, ma il tempo per un “non morto” è sempre una questione effimera e priva di sostanza. L’odore, quell’odore, era sempre provenuto da quei capelli color caramello, dalla pelle bianca ed il battito del cuore appena accelerato – ogni volta che i suoi occhi vispi incontravano i miei troppo cupi per tutta quella vita che si portava dietro. Riuscivo quasi a vedere attraverso le vene sottili del braccio, il flusso sanguigno che lento pompava fino al cuore.
Ciò che lei non poteva sapere, era che quello in accademia fu il nostro secondo incontro – ma non mi premurai di farglielo sapere, d’altronde perché dirle che quindici anni prima le avevo portato via il primo respiro?
Era la mia condizione di non vita, il modo in cui la notte amavo nutrirmi. Avevo due modi per farlo ed entrambi servivano a scopi diversi.
I canini da sempre, mi erano serviti per portar via il sangue dolce di persone pure e con esso me ne nutrivo e sopravvivevo, ma per tenere in vita la mia anima invece il sangue non bastava – era l’agonia della razza a cui appartenevo; ero un ALP, uno scomodo e lurido vampiro a caccia di sangue e respiri vivi. Di sogni e dormiveglia.
Ero l’essere coinvolto nelle paure della mente e del sonno, virtualmente impossibile da uccidere. Avrei potuto portar via venti o più respiri ai petti sui quali mi sedevo la notte sino ad ucciderli soffocandoli, tutto ciò solo per tenere sveglia la mia anima ed avere un giorno la speranza di non perdere totalmente i pochi stralci d’umanità che essa portava con sé.
Ma lei, lei era qualcosa che non potevo uccidere. Ad impedirlo un legame che nemmeno io a quel tempo sapevo spiegare, sulle prime pensai di starle alla larga, di ripudiarla ed evitare la vista di quei occhi che sembravano avere la costante necessità di tuffarsi nei miei come meglio credevano. Poi, l’averla accanto più di quanto volessi, cambiò leggermente le cose.
Come una falena dalla luce, la mia anima malridotta era attratta indissolubilmente dalla sua.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Elison95