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Autore: Kim WinterNight    18/06/2017    2 recensioni
[Sequel di 'Alive'.]
«Siamo giunti all'ultimo campo per Laura.
Stavolta però si ritrova ad avere qualcuno al suo fianco, qualcuno che però non è Marco.
Forse questa è la volta buona, forse la ragazza riuscirà a superare l'attrazione che da sempre la lega a qualcuno che non la ama.
Lei ci proverà, supportata da sua sorella Tamara, dall'immancabile e storica amica Viola e da tutti i loro compagni di avventura, sotto la supervisione di educatori e istruttori che non rinunceranno a mettere i ragazzi alla prova e a combinare un bel po' di casini.»
Come per le due storie precedente, troverete una colonna sonora diversa per ogni capitolo. Vi basterà cliccare sul collegamento presente sul titolo per essere rimandati direttamene al brano su YouTube.
Inoltre, come di consueto, il titolo della storia porta il nome di una canzone dei P.O.D. intitolata proprio 'Boom': vi consiglio di andarla a sentire! ;)
Buon ascolto e buona lettura e, come sempre, non esitate a farmi sapere il vostro parere ♥
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Youth Of The Nation'
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ReggaeFamily

Capitolo nove: Life




Il locale in cui stazionavamo era estremamente piccolo e stretto; gli istruttori avevano fatto di tutto pur di far stare tutti noi ragazzi in un'unica tavolata, con il risultato di far sedere Tamara a capotavola. In questo modo, lei riusciva a stare a malapena seduta tranquillamente, dal momento che le persone che passavano di lì spesso la urtavano e in definitiva era davvero d'ingombro in quel punto.

Io ero riuscita a malapena a incastrarmi nel mio posto, seduta tra Gabriella e Giorgio.

«Qui dentro non ci stiamo, non capisco per quale motivo hanno insistito per farci sedere tutti insieme in due tavoli» si lamentò Viola, seduta alla sinistra di mia sorella.

Di fronte a me si trovava Marco, il quale a sua volta si era ritrovato tra Viola e Nicolò.

Ero già stanca di stare lì dentro, non mi piaceva il fatto che stessimo tutti appiccicati, tuttavia non potevo farci molto; mi limitai a ordinare qualcosa da mangiare – dei ravioli al pomodoro e una caprese – e ad attendere di ricevere il cibo.

Nel frattempo ci servirono, al posto del pane, una focaccia con sale e olio fatta con la pasta della pizza. Era buonissima, così ne mangiai diverse fette e sperai di riuscire a mandare giù anche il resto del cibo che avevo ordinato.

«Troppo buono, mangerei solo questo» osservai, continuando a mangiare quella prelibatezza.

Istruttori e educatori si erano sistemati in un altro tavolo e ogni tanto si avvicinavano per aiutare Simona a scegliere la sua cena o per supportare qualcun altro o accompagnare qualcuno in bagno.

«Non ci credo, anche oggi Simona ha fatto leggere dieci volte il menu prima di scegliere la sua solita pizza con le melanzane! Avrebbe potuto dirlo prima, no?» commentò Viola in tono esasperato.

«Lo sai com'è, che vuoi farci?» le fece notare Tamara, per poi sbuffare. «Ogni due secondi qualcuno passa e mi sbatte addosso! Che palle!» aggiunse poi.

«Per carità, avrebbero potuto portarci da un'altra parte...» borbottai.

Marco, ogni tanto, tirava qualche sospiro, poi all'improvviso chiamò Giovanna. Sembrava preoccupato, aveva un tono di voce strano, non riuscivo bene a definirlo, ma era come se avessi l'impressione che qualcosa non andasse.

Quella terribile giornata sembrava non avere più intenzione di concludersi.

Poco dopo Giovanna lo raggiunse e insieme uscirono dal locale. Inizialmente pensai che si fossero diretti a fumare, ma poi mi resi conto che erano usciti da un po' troppo tempo.

«Ma Marco che fine ha fatto?» chiesi a nessuno in particolare.

«Non lo so, sarà uscito a fumare...» osservò Tamara. «Ma mi sembra che stia passando troppo tempo, vero?» aggiunse.

«Appunto, per quello chiedevo...»

Il tempo trascorse e dopo circa venti minuti Marco e Giovanna rientrarono, seguiti da Marta.

«Che è successo?» chiese subito Tamara in tono leggermente apprensivo.

«Ha avuto un attacco di claustrofobia» spiegò Giovanna.

«Marco! E adesso come stai?» saltò su Viola allarmata.

Lui sospirò. «Sto meglio, tranquilla Vivi» rispose lui in tono piatto.

Mi venne in mente il giorno in cui, due anni prima, eravamo entrati nella grotta e lui si era sentito morire, tra vertigini e claustrofobia; era buffo pensare a quali fossero i nostri rapporti all'epoca, quanto fossi preoccupata per lui e quanto volessi stargli accanto e sostenerlo al meglio.

Ora parevano dei giorni lontani, ricordi sbiaditi, quasi come se non li avessi mai vissuti. Eppure sapevo che era tutto accaduto davvero, il che mi metteva addosso un senso di malinconia e divertimento insieme, una sensazione difficile da descrivere.

«In effetti qui c'è poca aria» mormorai.

Afferrai il cellulare e notai con disappunto che all'interno di quel buco non c'era campo. Avrei voluto rispondere a Danilo e Anna, i quali mi avevano spedito dei messaggi in risposta al mio racconto su quanto accaduto quel pomeriggio con gli istruttori, ma i messaggi non partivano. Sbuffai e nel frattempo arrivò la mia cena.

Mangiai senza troppo entusiasmo, non stavo molto bene quel giorno, mi sentivo stanca e spossata, volevo soltanto dimenticare tutto ciò che di negativo mi era successo. La bella esperienza a cavallo sembrava sbiadire se paragonata al malumore che ormai mi aveva avvolto da ore.

Finii in fretta di mangiare e cominciai a non poterne più di stare là dentro. Volevo andarmene, c'era troppa confusione per la mia mente annebbiata.

All'improvviso cominciai ad avvertire una sensazione d'ansia crescere all'interno del mio petto; si fece strada in fretta e mi attanagliò, impedendomi di compiere i movimenti o i gesti che avrei voluto. Questo non fece che amplificare il panico, facendomi sentire quasi paralizzata.

L'unica cosa che riuscii a fare fu allungare una mano sul tavolo, trovando quella di Marco. Gliela strinsi e avvertii immediatamente le lacrime invadermi gli occhi, rotolare sulle guance e bagnarmi il viso.

Ero completamente in panico e non sapevo come farlo capire a chi mi circondava, solo lui in quel momento era a mia disposizione, poteva in qualche modo comprendermi.

Cominciai a stringergli la mano con forza e a quel punto si rese conto che in me c'era qualcosa che non andava.

«Lau?» mi chiamò.

Ovviamente non fui in grado di rispondergli, mi limitai a tenergli forte la mano e a sperare che capisse che avevo bisogno di aiuto.

«Lau? Oh, cos'hai?» si preoccupò maggiormente. Rendendosi conto che non riuscivo a spiccicare parola, si voltò verso il tavolo degli educatori e istruttori. «Giovi? Vieni per favore? Lau sta piangendo» disse.

In pochi attimi Giovanna piombò accanto a me e cercò di capire cosa mi fosse preso, ma io le feci solo intendere che avevo bisogno di uscire dal locale e di prendere aria.

«Sta piangendo, la porto fuori» annunciò l'educatrice in tono pratico, senza lasciarsi prendere dal mio stesso panico.

«Giovi, ma Lau riesce a parlare?» chiese Tamara preoccupatissima.

Sapevo perché lo aveva detto: mia sorella aveva assistito a un altro di quegli strani attacchi di panico che si erano presentati negli ultimi anni, sapeva che quando ero in quelle condizioni, non riuscivo a parlare e trascorrevo almeno mezzora in silenzio, incapace di collegare gli impulsi del cervello alle mie labbra e alle corde vocali.

Avrei voluto rispondere, avrei voluto dirle che no, non riuscivo a parlare, ma mi limitai a rimanere in silenzio mentre mi alzavo dalla sedia e mi trovavo incerta sulle mie stesse gambe.

«Sì» replicò invece Giovanna.

«Sicura che parla?»

«Sì, sì» ripeté ancora l'educatrice, aiutandomi a uscire dallo stretto spazio in cui ero rimasta incastrata fino a poco prima.

Evidentemente, per Giovanna, i gesti che avevo compiuto per farle capire che volevo lasciare per un po' il locale, erano equivalsi al concetto di parlare, ma mi dispiaceva che mia sorella non avesse potuto sapere la verità.

Fui grata a Giovanna quando finalmente mi fece uscire all'aria aperta e mi condusse verso un muretto di cemento in cui potemmo sederci. Non avevo idea del luogo in cui ci trovavamo, non riuscivo a vedere niente e non ero nelle condizioni adatte per far affidamente su uno straccio di senso dell'orientamento. Immaginai che di fronte al locale ci fosse una piazza, la sensazione era quella di uno spazio ampio e aperto, e spesso si sentivano le grida e le risate di alcuni bambini che correvano a piedi o a bordo di una bicicletta.

«Lau, cosa è successo?» provò a chiedermi Giovanna.

Io non riuscivo ancora a parlare, mi limitavo a piangere come una stupida e mi sentivo davvero cretina in quel momento. Perché mi ero ritrovata ancora una volta in una situazione del genere? Perché non ero riuscita a controllare l'ansia?

Forse era colpa della stanchezza, del nervosismo e del malumore, ma sicuramente anche il mal di schiena faceva la sua parte. Mi sentivo una vera merda quel giorno, forse avevo toccato il fondo per quel campo. Questo significava forse che potevo soltanto risalire? Lo speravo, ma ancora dovevo riuscire a uscire da quella situazione.

Afferrai la mano di Giovanna e cercai di esprimermi utilizzando il suo palmo per scrivere. Non mi venne in mente niente di meglio, non sapevo come altro fare.

Le scrissi, lentamente, che non riuscivo a parlare.

«Come mai?»

Tracciai la parola panico sulla sua pelle e lei cercò di rassicurarmi più che poté.

«Vedi, secondo me è anche normale reagire così, non preoccuparti. Adesso cerca solo di rilassarti» disse con calma, accarezzandomi i capelli.

Poco dopo Lucrezia ci raggiunse e si posizionò in piedi di fronte a me; dopo aver chiesto a Giovanna cosa fosse capitato, cominciò a parlarmi a sua volta, in tono calmo e rassicurante.

«Laura, ascolta. Sicuramente sei molto stanca e non stai bene oggi, ma non devi preoccuparti. Passerà. Sai, io penso che tu sia una ragazza molto forte, ma anche le rocce a volte si sgretolano. Condurre una vita come la tua non è facile, io lo capisco benissimo e ti ammiro molto.» Lucrezia fece una pausa e io non capii appieno a cosa si riferisse, ma seppi con certezza che lei non si era arrabbiata con me per aver dato di matto in strada qualche ora prima. Forse non ce l'avevo con lei, forse mi ero incazzata più che altro con Lorenzo, ma a lei parve non importare più di tanto. Questo fece crescere in me una marea di sensi di colpa che infittirono le mie lacrime.

Giovanna, al mio fianco, mi abbracciò e mi accarezzò ancora i capelli. «Lucrezia ha ragione» concordò.

«Tu hai come una doppia vita: di giorno vivi in un modo, puoi fare un po' le cose che fanno tutti. Poi scende la notte e il tuo modo di vivere e percepire cambia, è come se diventassi quasi un'altra persona. Questo è straordinario, specialmente perché tu affronti tutto questo con il sorriso, senza mai arrenderti e con la giusta dose di ironia. Per me questa è la vera forza, io non ci riuscirei mai. Te lo dico perché ne sono certa, ed è normale che ogni tanto tu ceda a certi momenti. Devi solo affrontarli come fai sempre, capito?» concluse l'istruttrice, e io sentii un sorriso impregnarle il tono di voce.

Annuii senza ancora riuscire a replicare a voce. In quel momento mi sentivo debole e vulnerabile, non ero tanto certa che lei avesse ragione. Avrei tanto voluto una persona in particolare a tenermi compagnia, così afferrai ancora una volta la mano di Giovanna e la voltai col palmo all'insù.

Disegnai una G e rimasi immobile a riflettere.

Era l'iniziale del cognome di Danilo, ma anche di quello di Marco.

E non sapevo chi dei due avrei voluto mi abbracciasse in quell'istante, ero confusa e mi sentivo infinitamente triste.


Ripresi a parlare poco prima che tornassimo al residence, ma non fui granché loquace.

Tamara mi chiese, quando mi incontrò accanto al furgoncino che ci avrebbe riportato in struttura, cosa fosse successo.

«Ho avuto l'ansia per tutto il tempo, pensa che, per assurdo, Vivi era più tranquilla di me e ha dovuto pensare lei a rassicurare me!» spiegò mia sorella. «Riuscivi a parlare o no?» aggiunse.

«No» risposi stremata.

«Ecco lo sapevo! Cazzo, non ci voleva... come va adesso? Uff, volevo uscire da te, ma...» partì in quarta lei, agitatissima.

«Stai tranquilla, Tami. Ora sto bene» la rassicurai.

Trascorsi il tempo del ritorno quasi completamente in silenzio, finché non tornammo al residence.

«Ragazze, che ne dite di venire nella nostra stanza? Ho scorte di cibo per un mese!» propose Giovanna a me, Viola e Marta.

«Va bene, perché no?» accettò la mia amica. «Tu Lalli te la senti?»

«Ma certo, va benissimo anche per me!» risposi.

Mi sentivo decisamente meglio, forse piangere mi era stato utile e aveva fatto sì che scaricassi molta della mia ansia.

Raggiungemmo in poco tempo la camera di Giovanna, Tamara, Gabriella e Simona; entrando, avvertii un'orribile puzza indecifrabile e storsi il naso.

«Oddio, c'è ancora odore di maneggio qui, che schifo!» sbottò mia sorella, tappandosi teatralmente il naso.

«È vero, non vi invidio per niente...» osservai disgustata.

Ci accomodammo attorno al tavolo posto di fronte alla porta d'ingresso e Giovanna cominciò a sistemare varie confezioni di cibo sul ripiano in legno.

«Abbiamo gli arachidi salati, i Ringo, un po' di Canestrelli, delle patatine... servitevi pure!» esclamò l'educatrice, sedendosi a sua volta su una sedia.

Nel frattempo Gabriella e Simona si prepararono – non senza difficoltà – per andare a letto.

Poi finalmente noi potemmo chiacchierare in pace, anche se tenemmo un tono di voce basso e contenuto.

«Ieri Marco ha superato se stesso, voleva farci sedere su una cassettiera! O comunque non so cosa fosse, ma...» disse Tamara.

«Non ricordarmelo, che scena raccapricciante!» esclamai, sgranocchiando qualche patatina.

«Se volete ci sono anche questi biscotti dell'Eurospin» disse Giovanna, aprendo una nuova confezione di cibo.

«No grazie, mi bastano i Ringo!» replicò Tamara.

«Ma guarda, anche tu separi il biscotto dal ripieno quando mangi i Ringo? Anche io!» esclamò Marta, osservando mia sorella.

«Certo, altrimenti non c'è gusto!»

«Comunque, Marco secondo me sta peggiorando tanto» proferì Viola, facendosi un po' più seria.

«Sì. E poi ci prova spudoratamente con me...» bofonchiò mia sorella.

«Oddio» intervenne Giovanna. «Sul serio? E io che pensavo che farsi una famiglia avesse un altro significato...»

Calò per un attimo il silenzio, poi scoppiammo tutte a ridere.

«Questa è bellissima, Giovi!» commentai in tono divertito, non riuscendo più a contenere le risate.

In effetti non aveva tutti i torti, ma solo lei riusciva a portare fuori certe fesserie e a dirle in tono serio e divertente allo stesso tempo.

Quando quella sera arrivai in camera mia, non ebbi molto tempo per riflettere e pensare a ciò che era avvenuto durante la giornata; la stanchezza si impossessò di me e mi gettò immediatamente in un sonno profondo.

Mi resi soltanto conto di essere grata alle ragazze che avevano fatto di tutto per distrarmi quando eravamo tornate al residence, e ripensai con una nota di malinconia al fatto che Danilo non fosse ancora venuto a trovarmi.

Forse non sarebbe venuto per niente.

  
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