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Autore: AlenGarou    18/06/2017    0 recensioni
Pennington Mansion era buia e derelitta; una costruzione ormai morta da tempo, soffocata dal sangue e dalle ceneri del suo stesso passato. Del suo florido corpo non rimaneva altro che un labirinto di corridoi silenziosi e decadenti, marciti dal tempo e dall’usura. Ogni tanto la dimora gemeva, emanando qualche tetro scricchiolio; assestava le sue stanche e logore membra ricercando un riposo a lei proibito. Nonostante la misera fine che l’aveva soggiogata, all’interno delle sue ossa rimbombavano ancora i loro mormorii; flebili, infidi… supplichevoli. Malgrado i numerosi ospiti che ancora ricevevano, nessuno era stato in grado di dar loro una risposta, di dar loro una voce. Esseri senza guscio e senza alcun potere, venivano semplicemente ignorati.
Anno dopo anno, la loro agonia continuava inesorabile. Quell’incubo perdurava, mascherato da innocente gioco di un’infanzia a loro rubata. Fino a quel giorno. Fino alla notte di Samhain.
Fino a che lei non arrivò.
La casa si ridestò dal suo sogno; loro si risvegliarono e il male, che assopito aveva pazientemente atteso nel cuore oscuro di quella dimora, ritornò alla vita.
Eppure lei non gli diede alcun credito. Perché mai avrebbe dovuto temere quel male?
Genere: Dark, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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9.

 

 

S

e essere bloccati in una villa abbandonata e infestata dai fantasmi poteva apparire come un funesto scenario, essere bloccati in una villa abbandonata e infestata dai fantasmi e andarsene in giro da soli era indubbiamente peggio. Ma non si trattava né di un atto di coraggio o d’incoscienza. Era una necessità. Almeno per quanto la riguardava. Certo, i pericoli erano dietro ogni angolo. Se l’entità richiamata dal suo sonno l’avesse trovata e attaccata, Alex avrebbe dovuto contare sulle sue sole forze per uscirne vittoriosa. Nessuno avrebbe potuto difenderla, rassicurarla o, semplicemente, disturbarla. Per questo saltellava in modo allegro, canticchiando tra sé e sé una canzone come se stesse andando al parco vicino casa. A volte si ritrovò addirittura a fischiettare, in modo da coprire le parti musicali. Eh già. Si stava cacciando in un mare di guai e la cosa la divertiva. Perché mai avrebbe dovuto aspettare il bel tenebroso di turno -demone, angelo, Taddeo¹, Hagrid², le era indifferente- per far sì che le incasinasse la vita quando poteva provvedere da sé? Oltre che a incasinarla a lui, sia chiaro. Al ricordo dell’espressione sconvolta di Ren le venne da ridere. In quel momento il bel tenebroso di turno stava probabilmente perendo a causa di un embolo provocato dalla sua fuga. E se ne prendeva tutto il merito.

 

«A bullet for them/A bullet for you/A bullet for everybody in this room…³»

 

Le ombre la seguivano. Le percepiva vicine, nascoste negli angoli più bui e remoti, in attesa. I loro occhi erano concentrati su di lei, eppure non sembravano intenzionate ad avvicinarsi per instaurare un contatto. Almeno non ancora. Non faticava a immaginarne il motivo. Nemmeno lei avrebbe voluto invitarle a bere un tè per le opportune presentazioni, ma la timidezza si rivelava un problema alla luce dei fatti. Già, gli agglomerati di ectoplasma esistevano sul serio, chi l’avrebbe mai detto? Ma il suo quasi stupore non cambiava il piano. Doveva trovare il modo di convincerle a uscire allo scoperto e, a parte disegnarsi addosso un bersaglio gigante completo di led, non sapeva che altro fare. Forse doveva semplicemente stendersi a terra e fingersi morta?

 

«…Metaphorically I'm the man/But literally I don't know what I'd do…»

 

Si ritrovò a sospirare dalla frustrazione. Ormai era a corto di idee. Persino la sua mente claudicava nel tentativo di elaborare una strategia di riserva, ma nel mentre riportò alla luce la bislacca idea di Emily e con essa tutta la disapprovazione provata al riguardo. Non che la sua si stesse rivelando geniale alla luce dei fatti, ma andiamo… Un piano basato sulla messa in pratica di superstizioni popolari mai verificate prima in senso logistico era del tutto fallimentare, oltre che uno spreco di risorse e tempo. Inoltre, se mai fosse stato realizzabile e concreto, sarebbe andato a ostacolare il suo tentativo di mettersi in contatto con le entità che si aggiravano per quei corridoi, il che era del tutto controproducente. Affidarsi poi alla sua esperienza nella pratica di una lingua morta per purificare quel luogo tramite il nome di Dio, era l’equivalente di un suicidio. E mai avrebbe evocato quell’entità suprema nel pieno delle sue facoltà mentali, figuriamoci richiedere il suo aiuto. Non c’era posto per Dio nelle attività del Diavolo. Così come non c’era posto per il Diavolo nelle sue attività extracurriculari. In fondo era giusto rispettare lo spazio altrui per un mondo civile.

 

«…All these questions they’re for real/Like who would you live for? Who would you die for?/And would you ever kill?...»

 

Stette per passare al ritornello quando una forza esterna la costrinse a fare una pausa. Si bloccò. Con una mossa infastidita arricciò il naso e, camminando all’indietro, ritornò nel punto in cui aveva visto il bambino scomparire. O meglio, credeva di averlo visto, dato che aveva solo percepito un movimento con la coda dell’occhio. Tuttavia vi era una prova inconfutabile; una delle lampade collocate nel corridoio laterale aveva incominciato a emanare una lieve luce intermittente e tanto bastava a segnalare la presenza di qualche entità ultraterrena. O almeno, così dicevano i film.

Sia ringraziato Hollywood e le sue pellicole didattiche su cosa non fare mai e poi mai in una casa stregata. Anche se poi le faceva comunque, giusto per godere appieno dell’esperienza. Altrimenti che divertimento c’era? Il reparto souvenir prevedeva solo sangue dal naso, maschere di pessimo gusto, armi di plastica e vomito verde: sai che bei regali!

 

«…Oh, oh/I'm falling so I'm taking my time on my ride…»

 

Decisa a indagare, Alex s’inoltrò in quella direzione, provando a ignorare il fastidioso lampeggio che le feriva le retine a ogni battito di ciglia. Le bastarono solo pochi passi per comprendere di aver compiuto un’infausta scelta. La sensazione di essere osservata ritornò, questa volta più intensa. Più vicina. Esattamente quello che voleva. Sperando di cogliere in flagrante uno spirito, si voltò all’improvviso, il corpo pronto a scattare all’occorrenza, ma finì col l’incrociare il proprio sguardo riflesso in uno specchio.

«Oh» mormorò, sentendosi stupida. Si ricompose, fronteggiando la superficie resa opaca dal tempo. Esaminò pigramente la cornice, prima di soffermarsi sulla propria immagine riflessa. Forse aveva capito il motivo per cui nessuno fantasma aveva provato ad abbordarla: con il cappuccio rosso calato sul volto e le labbra corrugate in un broncio esasperato, chiunque l’avrebbe scambiata per l’assassino di turno. Beh, a questo poteva facilmente porvi rimedio, dato che la sua frustrazione stava filtrando senza ritegno con il nervosismo, rendendo la loro relazione esplosiva e pornografica. Desolata per quel contrattempo, fece per ritornare al punto di partenza, quando si rese conto che qualcuno le stava sorridendo. E lei non ricambiava.

Si pietrificò.

Ritornò a fronteggiare lo specchio. Il luccichio emanato da quegli occhi famigliari risplendeva attraverso la patina di sporco con un’incauta malizia. Il suo riflesso le rivolse un sorriso tirato, spietato, che le procurò una stretta allo stomaco. Eppure, nonostante il suo istinto le gridasse di reagire e scappare, Alex non riuscì a muoversi. Nel notare la sua espressione sconcertata, la smorfia della sua immagine si allargò sempre più, fino a risultare contorta e disumana. Ma il ghigno che tanto la stava inquietando all’improvviso si spalancò, trasformandosi in un orrendo e silente grido. Gli occhi del riflesso si rovesciarono all’indietro mostrando la sclera percorsa da capillari, mentre due mani nere, comparse dalle tenebre alle sue spalle, l’afferrarono per il collo, scivolando lungo le spalle, il petto finché…

Il pugno di Alex sfondò lo specchio con una precisione millimetrica, anticipando qualsiasi conclusione.

«Oh…» Battendo le palpebre come se si fosse appena risvegliata da uno stato d’apatia, Alex ritrasse lentamente il braccio, facendo cadere a terra diversi frammenti di vetro. Quando posò lo sguardo sul pugno ancora serrato, storse il naso nel vedere i piccoli tagli comparsi sulle sue nocche. Alcune gocce di sangue le scivolarono lungo la pelle, finendo miseramente a far compagnia a ciò che rimaneva dello specchio.

«Perfetto» sbottò, scuotendo la mano prima di portarsela verso le labbra. «Stupidi fantasmi.»

Succhiò le piccole ferite riportate, sentendo il sapore del sangue sulla lingua. Stette per controllare di nuovo le nocche provate nella speranza di vederle rimarginate, quando un ringhio la fece scattare in allerta. Dimenticò il bruciore, i fantasmi, il piano… Il suo sguardo si concentrò sul resto del corridoio, cercando di capire l’origine di quel suono così fuori luogo. Ma la fortuna non venne in suo aiuto. La lampada a muro emise un ultimo sfarfallio e si spense, facendo piombare i dintorni nella penombra. Il ringhio risuonò più vicino.

Tutto ciò che le uscì dalle labbra fu una simpatica, quanto innocente, esclamazione: «Merda!»

La luce si riaccese di colpo nell’udire la parola magica, facendola sussultare. Alex si voltò di scatto, ritrovandosi a faccia a faccia con un bambino dall’espressione irrequieta quanto la sua. Il piccolo spalancò gli occhi scuri per la sorpresa quando si rese conto di poter essere visto e, prima di permetterle di riesumare l’intero catalogo delle parole magiche, si girò e incominciò a correre come un razzo nella direzione opposta.

«Ehi!» urlò Alex, partendo all’inseguimento. Per quanto potesse essere veloce, nel giro di pochi istanti perse di vista la sua preda. Cercando di trattenere l’urlo di frustrazione che le salì lungo la gola, non si diede per vinta e continuò la sua ricerca, facendo capolino nell’androne. I volti dei bambini dipinti sul quadro sopra lo scalone sembravano deriderla per il suo fallimento. Desiderò tanto avere un pennarello a portata di mano.

Alex riprese fiato, chiudendo gli occhi nel tentativo di calmarsi. Al diavolo gli specchi spiritosi, gli animali da compagnia idrofobi e i figli illegittimi di Usain Bolt. Quella caccia al tesoro non la stava portando da nessuna parte; doveva provare un approccio più diretto. Dopotutto i suoi genitori le avevano regalato un libro sulla comunicazione e, sebbene l’avesse letto per solo metà dato che non le interessava l’argomento, era ben consapevole della sua importanza. Doveva essere diretta, concreta e per nulla intimorita. Ecco perché enunciò senza alcun preavviso: «So che siete qui, nei dintorni, a spiarmi come dei piccoli stalker depravati. Vi conviene ascoltarmi attentamente perché non mi ripeterò. Vi farò molto male, se me ne darete motivo. E no, la vostra condizione non è un’attenuante. Cerchiamo dunque di andare tutti d’accordo fin da subito. Non sono una minaccia per voi, così come sono sicura che voi non siate una minaccia per me. Voglio solo andarmene da qui e immagino che tale desiderio sia reciproco. Per cui vi propongo quest’accordo: voi aiutate me e io tenterò di aiutare voi a passare oltre. Dopotutto non credo abbiate chissà quali questioni in sospeso; siete solo…» deglutì, cercando in non far trasparire il suo disgusto «…bambini. E ora forza. Uscite fuori.»

Contò mentalmente fino a dieci, battendo un piede per terra per scandire il tempo. Al nono secondo, quello che assomigliava di più a un ragazzo che a un infante comparve dalle ombre, avvicinandosi. Era alto e dinoccolato; sulla sua pallida faccia erano ancora visibili le lentiggini che gli chiazzavano le guance e il lungo naso. Doveva essere il capo della banda a giudicare dallo sguardo fiero che le rivolse. Poco dopo, anche gli altri bambini seguirono il suo esempio. Alcuni la guardarono con timore, altri invece ostentarono una sicurezza che poco si addiceva ai loro occhi spaventati. Avevano paura di lei, il che era un bene.

«Ottimo. Sono felice che siate piccole persone giudiziose» sentenziò, studiandoli con attenzione. Il gruppetto che aveva davanti era composto da sette bambini di età compresa tra gli otto e i dodici anni nel constatare la presenza del loro capo. Nonostante l’apparenza slavata, i loro tratti caratteristici erano ancora visibili, rendendole più facile avere un riscontro con il quadro, unico suo punto di partenza. Nel notare i loro sguardi indagatori dovette trattenersi dal ridere.

«Oh, non guardatemi così. Ho avuto tutto il tempo di metabolizzare la vostra triste esistenza. In fondo mi hanno solo rinchiusa in una fo…» si bloccò appena in tempo, ricordandosi all’improvviso le buone maniere. E poi non poteva certo irretire fin da subito quelle povere anime. «… folle stanza. A parte pensare alla remota quanto irreale possibilità di una vita dopo la morte e alle tragiche macchinazioni che mi hanno condotta qui, non avevo niente di meglio da fare» concluse in tono frivolo.

Il bambino più piccolo, una cosina bionda e paffuta che fino a quel momento l’aveva studiata da dietro uno dei suoi compagni più grandi, scoppiò in una risata silenziosa. Il ragazzino che lo stava schermando gli rivolse uno sguardo irritato e gli diede un buffetto sulla testa, facendolo ricomporre all’istante.

Annuì soddisfatta. «A quanto pare riuscite a capirmi, risparmiandomi così tempo e bestemmie preziose. Dunque, prima domanda: perché i gemelli non sono con voi?»

Accadde tutto in un istante. Il ragazzo dalle lentiggini e i capelli rossi la fronteggiò senza darle il tempo di battere ciglio. Il suo sguardo era furente, carico dell’odio che avrebbe riversato su di lei se non si fosse spostata in tempo, vanificando così il suo tentativo di spingerla all’indietro. Ma Alex non si preoccupò di quella reazione violenta. L’aveva ipotizzata e ora aveva la prova che le serviva. Dunque i gemelli inquietanti e il resto dei bambini sperduti formavano due gruppi distinti. Buono a sapersi.

«Provaci ancora e ti farò pentire di non essere all’Inferno» mormorò al giovane, prima che si allontanasse da lei. Una volta fuori dalla sua portata, l’espressione di Alex mutò, perdendo la malevola luce che le aveva illuminato lo sguardo. Ritornò a rivolgere ai bambini un’espressione leggera, un po’ seccata. «Molto bene. Ora che abbiamo messo in chiaro che quei due non si uniranno a noi nel prossimo futuro, direi d’iniziare a darci da fare. Punto uno: ho bisogno di una mappa. Non conosco il posto e di certo non posso mettermi a girare alla cieca; devo sapere dove andare. Ma per mia fortuna questa residenza è stata ristrutturata qualche decennio fa, seppur in modo parziale. Ragion per cui, da qualche parte, dovrà pur esserci una planimetria o dei progetti originali…» Nel notare gli sguardi confusi dei bambini non riuscì a trattenere un sospiro. «Un foglio con sopra disegnate le varie stanze della casa» spiegò.

I piccoli si guardarono l’un l’altro. Se per decidere di aiutarla o di ignorare la sua richiesta era un mistero, ma non le scappò lo sguardo furbo che i due mocciosi dai capelli castani si scambiarono; probabilmente fratelli data l’assomiglianza, avrebbero passato un brutto quarto d’ora se avessero provato a combinarle qualche scherzo.  

Dopo qualche tentennamento, uno dei ragazzini più grandi si fece avanti.

«Tu sai dove trovare ciò che mi serve?» gli chiese.

Lui annuì e, sotto lo sguardo scrutatore dei suoi compagni, la precedette verso la giusta direzione.

«Certo che prima eravate più loquaci» borbottò Alex, ignorando gli sguardi confusi dei bambini nell’udire quella constatazione. Seguì il biondino verso quello che a una prima occhiata sembrava uno sgabuzzino. La maniglia fece una debole resistenza quando provò a girarla ma, con una delicata mossa definita in un calcio, alla fine la porta si aprì, andando a sbattere contro gli scatoloni disposti sulla sua scia.

«Oh, perfetto» sospirò Alex nel vedere le caotiche condizioni in qui versava quella minuscola stanza. Non solo era gremita fino al soffitto, ma non sembrava esserci alcun ordine nella disposizione del suo contenuto. Davvero allentante. «Spero che siate bravi negli scavi archeologici perché…»

Non completò la frase. Una forza misteriosa la spinse all’interno del cubicolo, mandandola a sbattere contro i contenitori stipati sul fondo. La porta si richiuse alle sue spalle con un botto deciso, bloccando così la luce proveniente dal corridoio e lasciandola nell’oscurità totale. Supina, dolorante e scocciata da quel trattamento, Alex provò a rimettersi in piedi ma, prima di poter esclamare un’imprecazione liberatoria, la mano gelida di uno dei bambini le coprì la bocca. Rivolse al ragazzino uno sguardo irato, tuttavia lui si limitò a portarsi un dito davanti alle labbra, intimandole di tacere. Poi con un cenno del capo le indicò la porta chiusa. Attese qualche istante. Nel silenzio, udì chiaramente dei passi risuonare all’esterno. Passi pesanti, dalla cadenza calma e dalla falcata troppo ampia per poter appartenere a uno dei bambini. No, quello che si stava avvicinando era qualcos’altro. Un’ombra distorse la luce proveniente dallo spiraglio inferiore della porta, decretando che, effettivamente, qualcuno la stava cercando. Alex trattenette il fiato e, seppur non gli servisse, fu certa che il bambino al suo fianco fece altrettanto. Non osarono muovere un muscolo mentre l’entità si fermava davanti la soglia, in attesa. Rimase lì per attimi che parvero infiniti, scomparendo all’improvviso quando un rumore lontano attirò la sua attenzione. Alex, che non si fidava di se stessa, stette in silenzio ancora per qualche momento, per poi raddrizzarsi con un sospiro.

«Gallivan?» chiese, cercando una conferma alle sue supposizioni, ma non ottenne alcuna risposta; il bambino era scomparso. E ti pareva… «Dovete proprio rivedere le vostre buone maniere» sbottò, cercando di togliersi quanta più polvere possibile dalla mantella. Impazientita, riaprì la porta con un calcio, in modo da far entrare abbastanza luce da poter distinguere gli oggetti stipati in quell’ambiente minuscolo. Si ritrovò così -davanti a uno scaffale posato lungo la parete, quasi del tutto invisibile a causa della mole di arnesi e scatole che sorreggeva. Grattandosi il naso e lasciandovi sopra una macchia di sporco, Alex si preparò a passare in rassegna ogni centimetro di quell’ambiente, sperando in cuor suo che i bambini non l’avessero presa in giro. In tal caso avrebbe dovuto rivedere il suo piano, perché li avrebbe esorcizzati seduta stante.

Si mise al lavoro senza indugiare oltre. Nonostante la propria impazienza, controllò meticolosamente ogni ripiano finché, spostando l’ennesima scatola, notò dei tubi portadisegni stipati sull’ultimo scomparto. Esattamente il sogno di tutte le persone provviste di gambe da lillipuziano. Mettendosi sulle punte, Alex si sbracciò cercando di raggiungere l’oggetto dei suoi desideri, riuscendo solamente a sfiorarlo con la punta delle dita. Dopo diversi tentativi, dovette arrendersi.

«Un aiuto sarebbe gradito!» chiocciò al nulla.

Silenzio.

Stette per enunciare l’ennesima minaccia, quando una vibrazione improvvisa fece sussultare gli oggetti sullo scaffale, avvicinandoli al bordo. Impressionata, non riuscì a complimentarsi di quell’aiuto eccezionale perché vi fu un altro colpo, e un altro ancora… finché l’intero ripiano non tremò e s’inclinò pericolosamente, incombendo su di lei. I tubi scivolarono, rimbalzandole sulla testa, ma si ritrovò troppo impegnata a reggere l’intero scaffale con entrambe le mani per preoccuparsi di recuperarli dal pavimento sudicio.

«Oh, grazie. Così va molto meglio!» ringhiò, mentre il peso che sopportava diveniva sempre più ingestibile. Digrignando i denti, cercò di far scivolare la tracolla dei tubi su un piede, in modo da calciarli verso la porta. Inutile dire che quell’attimo di distrazione le costò caro. Sempre più schiacciata contro gli scatoloni alle sue spalle, Alex decise di tentare il tutto per tutto. Con fatica riuscì a spostare i tubi e a tirarli lungo la giusta traiettoria. Una volta al sicuro, mollò la presa e si tuffò verso l’esterno prima di finire schiacciata, chiudendo la porta dietro di sé. Un frastuono soffocato risuonò alle sue orecchie, ma liquidò il tutto con un’alzata di spalle, dato che aveva recuperato ciò che le serviva. Svitò il tappo e osservò con un sorriso il contenuto dei tubi. Ora non le serviva altro che un posto dove poterli esaminare con tranquillità.

 

 

Il posto in questione si rivelò un piccolo studio al primo piano. Nonostante non fosse illuminato e l’aria all’interno fosse avvizzita a livelli quasi irrespirabili, si trovava in una posizione ideale per continuare le sue attività senza visite sgradite. Ormai poteva percepirli: i suoi sventurati compagni d’avventura avevano lasciato il salotto per esplorare meglio la villa in cerca di ciò che li serviva per fare… chissà cosa. E non era ancora pronta a tornare tra loro. Non prima di aver ottenuto le informazioni che le servivano.

Senza indugio, liberò la scrivania sul fondo della stanza dal telo che la tappezzava, sollevando una nuvola di polvere che la fece tossire. Una volta esposto il piano, vi rovesciò senza troppi complimenti il contenuto dei tubi, dispiegandoli al meglio. Diede poi qualche colpetto alla piccola lampada posata su un angolo, sebbene fosse del tutto inutilizzabile.

«Vi dispiace?» chiese, nonostante al suo fianco non ci fosse nessuno. Come per magia, la lampada riprese vita, emanando una lieve e calda luce che illuminò i dintorni.

«Grazie!» esclamò Alex, senza alzare la testa dalle carte che aveva davanti. La planimetria era consunta e macchiata dal tempo, ma ricca di note e informazioni utili. Il tutto era a nome di un certo Gilman; il suo collegamento con i Pennington le era del tutto sconosciuto, ma forse si trattava di una povera anima che aveva deciso di tentare la sorte comprando la proprietà a poco prezzo in modo da rimodernarla. L’uomo però le risultò di grande aiuto. Aveva appuntato ogni dettaglio, riportando sia le modifiche, sia la conformazione originale delle varie stanze. Il pian terreno aveva una pianta piuttosto semplice. Composto principalmente da stanze di varia grandezza trasformate in aule per i bambini, possedeva la cucina -orientata verso nord rispetto all’androne- con accanto la lavanderia, una grande sala da pranzo probabilmente riutilizzata come salone da ballo durante gli eventi mondani, un paio di salotti, una biblioteca e tre bagni: uno per ogni ala e quello destinato alla servitù. Le varie aree erano collegate da diversi corridoi principali, ma ve ne erano alcuni più piccoli e stretti, utilizzati dai domestici per le varie mansioni. Con sua grande sorpresa, vicino al salotto che avevano utilizzato come base operativa vi era pure un’aula di musica. I suoi occhi sondarono la pianta con attenzione, finché non fu certa di aver memorizzato ogni più piccolo particolare. Una volta finito, distese sulla scrivania il progetto del primo piano. Questo, a differenza del precedente, era per di più organizzato per scopi abitativi. Vi erano gli uffici personali di Mrs. Pennington e i suoi appartamenti privati. Il resto era suddiviso in varie stanze degli ospiti e aree relax; la sezione dormitorio utilizzata dalla servitù era orientata verso l’ala est, mentre quella destinata a ospitare i bambini era…

Il suo istinto agì per lei. Prima ancora di capire quale fosse la minaccia, Alex scattò all’indietro, evitando per un pelo la lama del coltello che andò a conficcarsi nella pianta, esattamente nel punto che stava analizzando. Se non si fosse spostata in tempo… Scrollandosi di dosso lo stupore, alzò gli occhi verso la porta. Ebbe solo un momento, ma riuscì a scorgere i due fratelli scomparire oltre la soglia. Rimase immobile, cercando di assimilare quello che era appena accaduto. Poi la sua mano scattò, estraendo il coltello dal legno con uno strattone e riponendolo nella sua borsa, il posto dove era stato collocato precedentemente.

«Stupidi fantasmi» bofonchiò nuovamente, ritornando a osservare la planimetria ormai rovinata. Si accorse subito che il foro lasciato dalla lama indicava un punto ben preciso: il dormitorio dei bambini, il luogo dove era avvenuta la carneficina. Inclinando il capo vi passò sopra un dito, domandandosi se quell’attentato alla propria vita non fosse in realtà un avvertimento. Ma quando mai aveva dato retta a qualcuno che non fosse la fastidiosa vocina nella sua testa? Inoltre, il fatto che avessero reagito in modo così drastico, le diede da pensare. Forse avrebbe potuto trovare lì le informazioni che le servivano. Come punto di partenza era l’ideale, considerando gli eventi che vi si erano verificati.

Decisa ad arrivare al fondo della questione, arrotolò nuovamente i fogli e li depose al sicuro all’interno dei tubi, preparandosi al punto successivo della sua lista delle cose da fare. Fece per fare il giro della scrivania quando il bambino più piccolo le comparve davanti, guardandola con i suoi grandi occhioni insicuri.

«Che cosa c’è?» chiese seccata, cercando di non essere troppo brusca. Il piccolo rimase in silenzio, per poi afferrare un lembo della sua mantella. La costrinse a indietreggiare, allontanandola così dalla porta. Quando Alex cercò di liberarsi dalla sua presa, lui s’impuntò, gonfiando le guance e mettendo il broncio.

«Oh, smettetela di fare i…» Finì la frase con un sospiro desolato. «Ascoltate. Vi ringrazio della preoccupazione e apprezzo il vostro aiuto, per quanto possa essere discutibile. Sebbene siate dei fantasmi e per di più dei bambini, in quest’avversità mi risultate più utili di quei sacchi di carne dei miei compagni. E poi non posso certo biasimarvi per le vostre condizioni: nessuno è perfetto. Tuttavia dovete capire che sono io a decidere quando e cosa fare e in questo momento desidero perlustrare il vostro dormitorio.»

Dall’ombra comparvero gli altri ragazzi. Si guardarono nervosi, incerti sul da farsi, a eccezione del più grande. Il suo sguardo continuava a sfidarla e ciò le piacque, anche se non poteva attendere oltre; più aspettava, più le possibilità di passare inosservata svanivano nel nulla.

Sbuffò. «Ok, datemi una buona ragione per non farlo. E questa volta senza usare i coltelli altrui» esclamò, incrociando le braccia al petto.

Quello che seguì, fu uno dei silenzi più irritanti al mondo. Non solo i piccoli aprirono la bocca all’unisono come tanti pulcini affamanti, ma dalle loro labbra non uscì una singola parola, nemmeno il più piccolo singulto. Si ritrovò a sospirare dalla frustrazione. Di nuovo. A quanto pareva, c’erano dei limiti ben precisi su cosa uno spirito poteva fare e non sul piano dei vivi.

«Ci serve un modo migliore per comunicare» sbottò, stropicciandosi il volto con una mano. «Non ho la pazienza necessaria per giocare a indovina indovinello con voi. Se avessi almeno una ouja, una lavagna… i dadi che Emily ha bruciato. Grazie tante…» sospirò Alex, in preda allo sconforto. Dato che il suo piano stava procedendo a rilento a causa di complicazioni tecniche che andavano oltre le sue competenze, non le rimaneva altro da fare che provare a giocarsela con l’astuzia. Era riuscita a instaurare quel primo contatto e, sebbene le avversità, si era dimostrato alquanto fruttuoso. Forse poteva incanalare l’attenzione dei suoi nuovi aiutanti in qualcosa che avrebbe potuto avvantaggiarla, oltre che darle il tempo necessario di sgattaiolare via da loro. Ma cosa? Iniziò a giocherellare con la catenina che portava al collo, decidendo il da farsi. Le informazioni in suo possesso erano troppo frammentarie per poter fare un quadro generale. Non sapeva il motivo del gesto di Gallivan, né il ruolo dei gemelli in tutta quella faccenda e tanto meno come annullare la barriera che li teneva imprigionati in quel rudere. Oltretutto le risposte che le servivano erano a pochi passi da lei, inutilizzabili, e questo rischiava di sviarla dalla rabbia. Finché non avrebbe trovato un modo per comunicare con i bambini, avrebbe dovuto provvedere da sé. Ordinaria amministrazione. Fu allora che si bloccò, ricordandosi un dettaglio che il suo subconscio aveva decretato futile fino a quel momento. Un sorriso le distorse il volto. Forse c’era qualcosa che quei demonietti potevano fare per lei nel frattempo.

«Ho un nuovo compito per voi» sentenziò, attirando la loro attenzione. «Nulla di strano o pericoloso, s’intende. Credo che abbiate già avuto l’occasione di farlo questa sera, dato che sono piuttosto sicura che dietro a tutto questo ci sia il vostro zampino. Vi andrebbe di giocare un po’?»

 

 

 

Fortunatamente, tale proposta ebbe fin da subito dei risvolti positivi.

Non solo era uscita senza altre complicazioni dallo studio, aveva evitato Dakota e scansato per un pelo Gregory e John mentre controllavano le stanze, ma i bambini se ne andarono per la loro strada senza disturbarla oltre, probabilmente eccitati per il compito che li aveva affidato. Una tale vivacità l’aveva presa in contropiede, ma ciò che sarebbe accaduto non sarebbe stato un suo problema. Anzi, tutto l’opposto.

Approfittando di quell’attimo di distrazione da parte dei suoi ospiti, decise di passare al successivo punto della sua lista mentale. Ora che aveva memorizzato la pianta dell’abitazione, muoversi si stava rivelando piuttosto semplice, fatta eccezione per la polvere che continuava a caderle in testa. Dopo l’ennesimo starnuto, Alex sollevò il capo, osservando rabbiosa il soffitto. Una lieve cadenza di passi tamburellava contro il pavimento sovrastante, mettendo a dura prova la sua pazienza. Quando al concerto di scricchiolii se ne aggiunse un’altra, dovette raccogliere tutta la sua determinazione. Forse la fortuna avrebbe continuato a sorriderle e sia Dakota che Ren sarebbero precipitati in un buco, mettendo fine a quella sofferenza; la sua.

Scuotendo il capo e stringendo più forte la torcia tra le mani, ritornò a concentrarsi sulla sua missione. Non doveva distrarsi. Camminò per un po’ e, una volta svoltato l’ennesimo angolo, Alex rallentò, improvvisamente a disagio. Non era il genere di persona che si lasciava intimorire dai pettegolezzi e le superstizioni, ma quando mise piede nel dormitorio, incominciò ad avvertire un’opprimente sensazione sulla pelle. Si fermò al centro del corridoio, osservando l’ambiente tetro che la circondava. Su entrambi i lati, spiccavano quattro porte chiuse; porte che conducevano alle stanze un tempo appartenute ai bambini. Illuminandole con la torcia, notò che erano state sostituite. Il legno era meno consumato e danneggiato rispetto al resto della dimora e ciò non lasciava presupporre a nulla di buono. Ma sapeva in cuor suo che non era l’aspetto desolato di quel luogo ad angustiarla. L’oscurità che vi aleggiava era più densa, l’aria rarefatta e malsana; l’atmosfera era pesante, quasi soffocante, come se la strage avvenuta tra quelle mura avesse lasciato un segno indelebile e perpetuo. Non si era sbagliata quando aveva ipotizzato che fosse quello il centro del loro piccolo inferno casalingo. Iniziava persino a comprendere il motivo per cui i bambini lo evitavano.

Per un attimo il suo coraggio venne meno. Sapeva che una volta superato quell’ambiente avrebbe potuto raggiungere lo studio di Mrs. Pennington, eppure qualcosa la frenava. Si sentiva le membra intorpidite, ma ciò che serpeggiava dentro di lei era ben peggiore. Risultava quasi terrificante nella sua contraddizione. Si era già sentita in quello stato, per l’esattezza poco prima dell’attacco che era venuto all’interno del suo corpo. E, anche il quel momento, la medesima sensazione minava la sua sicurezza: conforto. Era strano. Avrebbe dovuto essere inorridita o per lo meno cauta, e invece il suo corpo era invaso da un tepore confortevole. Era proprio questa sensazione a spaventarla a dispetto dell’ambiente in cui si trovava.

Socchiuse gli occhi, inclinando il capo. «Sì, lo so» mormorò. «Non dipende da me. Non adesso, almeno.» I sussurri si acquietarono.

Si fece coraggio e avanzò di un passo. E poi un altro ancora. Aveva quasi raggiunto la metà del corridoio quando si bloccò di nuovo, la fronte corrugata dall’incertezza. L’aveva percepito solo per un istante, ma ne era certa: qualcosa di fronte a lei si era mosso e non si trattava di un nanerottolo. Sollevò la torcia, puntandola contro il muro in lontananza. Nulla avrebbe potuto prepararla a tale visione. Sebbene il fascio di luce, le tenebre che scivolavano sulla parete formavano un agglomerato talmente denso da resistere a quel contrasto. Fluide e viscide come tentacoli, si contorsero sotto i suoi occhi, finché non si schiusero nel punto in cui la torcia le feriva. E fu da lì che eruppe una sagoma umana forgiata negli incubi. Nera, ricoperta da una sostanza oleosa, emise un sibilo graffiante. E si accorse della sua presenza. Il volto privo di dettagli dell’ombra si focalizzò su di lei, puntandola come una fiera pronta a colpire. Alex non ebbe nemmeno il tempo di reagire. L’ombra alzò un braccio e la sollevò in aria, scaraventandola all’indietro come una bambola. Cozzò duramente contro il pavimento, lampi bianchi di dolore le distorsero la vista. La torcia le sfuggì di mano, rotolando lontano da lei e illuminando la figura che l’aveva attaccata. Sollevandosi sui gomiti, Alex non perse tempo e provò ad allontanarsi dall’essere che, con grandi falciate, incombeva su di lei sempre più minaccioso. La sua corsa ebbe però vita breve: finì per sbattere la schiena contro la parete opposta. Il suo aggressore si fermò a pochi passi da lei, consapevole di averla alla sua mercé. Ormai in trappola, Alex si rialzò con difficoltà, fronteggiando il suo avversario a testa alta. Questo tuonò in un grido profondo che la fece rabbrividire fino alle ossa e le si scagliò contro. Ma lei non si spostò. Attese fino all’ultimo istante prima di gettarsi a terra, lontana dalla portata di quelle nerborute mani pronte a ghermirla. Ricominciò a respirare solo nel momento in cui ebbe la conferma che quella cosa era sprofondata nel muro, scomparendoci dentro.

Con i polmoni in fiamme, il corpo dolorante e la mente colma di domande, Alex incominciò a comprendere la gravità della situazione. L’anima che l’aveva attaccata era corrotta o in qualche modo occultata. Era forse Gallivan? Era a causa delle sue azioni che si era ridotto in quello stato, a dispetto degli altri spiriti che aleggiavano in quella dimora? Era davvero così perverso da voler perdurare il gioco iniziato un secolo prima?

Confusa, fece per rialzarsi, quando dall’intonaco rovinato fuoriuscì una mano che provò ad agguantarla. Il suo corpo questa volta fu pronto. Scattò in piedi come una molla e corse via, in direzione delle scale. Con la coda dell’occhio, percepì altre due sagome scomparire nelle ombre poco lontano da lei; minute, silenziose, imperscrutabili. Qualcuno a lei famigliare.

Ma non fece in tempo a formulare alcun pensiero. Girò l’angolo, finalmente giunta all’androne, e si scontrò con un essere vivente. Eh già, aveva quasi dimenticato che in quella casa vi era ancora qualcuno a sangue caldo. Colta alla sprovvista, lanciò un urlo di sorpresa, imitata poco dopo da John, che esplose in un grido di puro terrore degno di un Oscar. Entrambi caddero a terra in un intrico di arti e lamenti.

«Ma che cazz…» imprecò il giovane, massaggiandosi la schiena. Quando la vide, la sua espressione mutò del tutto. Ma non durò. Non appena Alex incrociò il suo sguardo, scorse la meraviglia nei suoi occhi sparire per lasciare posto al disagio. Repentinamente, si toccò la testa, accorgendosi di non essere più riparata dal cappuccio. Altra parola magica!

«Alex!» Gregory comparve al suo fianco, aiutandola a rimettersi in piedi con delicatezza. Ignorò John completamente. «Grazie al cielo, stai bene? Che cosa è successo?» La esaminò accuratamente in cerca di ferite. Quando la felicità nel ritrovarla sana e salva fu superata, l’amico cambiò rotta e la guardò iracondo. «Ma ti rendi conto di quanto ci hai spaventato? Andartene via così, senza nemmeno una spiegazione! Aspetta di vedertela con Emily e rimpiangerai quello che hai fatto!»

«Sì, Gregory. Ti trovo bene anch’io» commentò Alex in risposta, seppur a disagio. L’amico però non le lasciò scampo: continuò a osservarla con le braccia conserte finché non ottenne una risposta sensata. «E va bene, ti chiedo scusa. Sto bene, solo un po’ ammaccata e ho perso la mia torcia. Quello che è successo non lo vuoi sapere, fidati.»

Si allontanò da loro di qualche passo, rimettendosi sul capo il cappuccio. Stette per stringere il nodo della mantella, quando qualcuno alle sue spalle vanificò il suo operato. Stupita e ignorando i capelli che le ricoprirono la faccia, Alex si voltò, incrociando lo sguardo di Ren. Perfetto. Perché non era rimasta nel dormitorio a farsi smembrare da quella cosa?

L’espressione del ragazzo fu così indecifrabile da mettere a tacere sul nascere le lamentele di Gregory, il quale, capendo di essere di troppo, si prodigò a dare una mano a John a raccogliere gli attizzatoi che gli erano sfuggiti di mano durante l’impatto. Ah, quindi a loro era toccato il ferro.

Alex si guardò nervosamente in giro, cercando una via di fuga, ma non poté evitare di squadrarlo incuriosita. Perché non le aveva ancora gridato contro?

«Non sei arrabbiato.» Non era una domanda.

«Servirebbe a qualcosa?» le domandò semplicemente, senza abbandonare quell’espressione imperscrutabile che incominciava a metterla a disagio.

Scosse la testa.

Il giovane sospirò. «Esattamente come immaginavo. Ecco perché ho deciso di sprecare il fiato per altro.»

A quel punto Alex si bloccò, intimorita. «Sai, credo di preferire la parte dove mi sbraiti addosso senza riserbo. Mi spaventa quello che tu possa intendere per “altro”.»

Ren rimase in silenzio per qualche istante. Decine di emozioni turbinarono nei suoi occhi, scurendoli in un modo così profondo da inquietarla. Alla fine sbuffò. «Se non vivessimo in una società basata sul perbenismo e l’ipocrisia, in questo momento ti picchierei senza riserbo. E no, questo non è sessismo» mormorò serio.

Alex sollevò un sopracciglio. «Sono più che sicura che lo sia, dato che non hai contemplato la possibilità di perdere qualche dito nel tentativo di sfiorarmi.»

«Ti piacerebbe…»

«Ma non dovevi recuperare Campanellino idrofobo?» gli domandò allora a tradimento, mettendo fine a quel confronto verbale. Tuttavia Ren non fece una piega. Si limitò a farle cenno di anticiparlo giù per le scale, come se preferisse non averla alle spalle. Mossa furba. Alex accettò il suo invito e lo precedette, ignorando le occhiate indagatrici che Gregory continuava a lanciarle.

«Ci raggiungerà a momenti» esclamò Ren, lo sguardo puntato sulla sua schiena. Alex fece per rimettersi il cappuccio, ma si bloccò appena in tempo: sarebbe stata solo fatica sprecata. Si limitò quindi a voltarsi per lanciare al ragazzo un’occhiataccia.

«Oh, certo. Prima deve sistemarsi…» S’interruppe.

«Alex?»

Non gli rispose. Scese l’ultimo gradino e si bloccò, i suoi occhi che scrutavano febbrili i dintorni. «L’avete sentito?» mormorò a nessuno in particolare.

«Che cosa?» le chiese Gregory, preoccupato dalla sua reazione.

Alex aprì la bocca nel tentativo di rispondere a quella domanda, quando una scheggia di legno le cadde davanti al viso. Si spostò appena in tempo. Uno schianto agghiacciante echeggiò nei dintorni. Qualcosa precipitò dal soffitto, interrompendo la sua rocambolesca caduta cozzando contro il pavimento. Alex si ritrovò sballottata all’indietro, cadendo malamente su un fianco, circondata da una miriade di pezzi di legno e intonaco. Quando sollevò lo sguardo per capire che cosa fosse la sagoma responsabile di un tale disastro, incrociò il volto cereo di Dakota. Come una bambola di pezza, riposava a terra con gli arti ripiegati in angolazioni disumane, il bianco dei frammenti ossei che rilucevano al chiarore delle lampade.

Trattenendo il fiato, Alex rimase immobile, osservando la luce svanire dagli occhi della ragazza.

«Avevi ragione…. Ci ha raggiunti» ansimò, rimettendosi in piedi. John e Gregory erano pietrificati dallo shock. Ren, dal canto suo, era sbiancato così tanto da poter far concorrenza alla ragazza che giaceva morta ai suoi piedi.

Dei passi frenetici risuonarono nella loro direzione. Poco dopo, il resto della banda fece la sua apparizione nell’androne. Il viso di Emily s’illuminò di gioia nel scorgere la figura di Alex davanti a lei, ma quando si accorse di ciò che giaceva a terra s’immobilizzò. Il suo urlo rimbombò nei meandri della villa, fino al suo cuore oscuro.

 

 

 

 

 

 

¹ Personaggio dei Looney Tunes

² Personaggio di Harry Potter.

³ Testo di “Ride” dei Twenty One Pistols

⁴ Famoso velocista giamaicano.

⁵ Tributo a Walter Gilman, protagonista de I sogni della Casa Stregata di H. P. Lovecraft.

 

 

 

 

 

 

Eccomi qui, finalmente con un nuovo capitolo. Ammetto di non essere pienamente soddisfatta di tale cosa: un po' perché ho tentato di essere sintetica (sì, non sembra), un po’ perché Alex sta ai guai come Ryan Reynolds sta a DeadPool e un po’ perché volevo concludere il prima possibile…

E sì, mi sa che lo riprenderò in mano.

Comunque, ringrazio le povere anime che sono riuscite a sopravvivere fin qui. Porterò un cero in chiesa per voi, promesso! Ridendo e scherzando… grazie, sul serio. So di dover riprendere il ritmo, ma vi prometto che i prossimi capitoli saranno molto più contenuti… almeno credo.

Grazie a tutti quelli che, nel bene e nel male sopportano me e questa storia e che si prendono il disturbo di lasciare un commento… E non so più cosa dire senza sembrare una ruffiana di quattro soldi.

Beh, spero che tale capitolo non sia del tutto un disastro.

Alla prossima :3

 

  
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