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Autore: Erede    05/07/2017    2 recensioni
Quando è iniziata l'eternità? Le lancette girano ed il tempo scorre, inevitabilmente, per tutti. Il presente è già passato.
Genere: Dark, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avevo cavalcato per miglia e miglia verso orizzonti misteriosi, senza mai voltarmi a guardare indietro.

Il cavallo resistette per giorni anche quando l’acqua terminò, ma l’ultima volta che provai a salire sulla sella, cadde e non riuscì più a rialzarsi. Dovetti abbatterlo con gli ultimi colpi della mia pistola, stando attento a conservare una pallottola per me. Pensai di usarla subito e farla finita, ma la fame prevalse.
Macchiandomi le mani, il viso e i vestiti consumai il mio pasto. Chino sulla carcassa, masticavo la carne cruda e gommosa mentre il sangue gocciolava dal mio mento. La cottura avrebbe fatto evaporare i liquidi. Tutto ciò che c’era di umano in me era stato espulso insieme al sudore della mia pelle.
Caddi all’indietro sull’erba e rimasi steso in posizione supina per un tempo che la mia mente non riuscì a misurare. Avevo la nausea. L’idea di utilizzare l’ultimo proiettile mi stava passando per la testa quando sentii un galoppo lontano.

La tribù era in marcia e io dovevo stare al passo. Non so, forse mi avevano aiutato perché gli ero sembrato selvaggio come loro, ma sono sicuro che se avessero saputo quanto li odiavo mi avrebbero lasciato lì a morire.
Di indiani ne avevo visti (ed uccisi) tanti, ma come quelli non ne avevo mai incontrati.
Le mie conversazioni con loro erano brevi, essenziali e fatte di gesti. Tutto il tempo che trascorrevo da solo, lo impiegavo per osservarli e studiarli.
Indossavano tutti delle maschere colorate, alcune di pelle e piume, altre di legno e una sera avevo addirittura intravisto qualcuno che indossava il teschio di un bisonte. Io ero l’unico che stava a volto scoperto. Un altro dettaglio che mi sorprese fu che ognuno di loro possedeva un orologio da taschino, rubato da qualche carovana nelle praterie, eppure scoprii che nessuno di loro sapeva leggere l’ora. Alcune lancette, addirittura, mancavano o erano spezzate. L’unica che loro ritenevano indispensabile era quella dei secondi.

Solo quando decisero di accamparsi vicino un fiumiciattolo ebbi l’occasione di progettare la mia fuga. Da quel che ero riuscito a capire, il gruppo doveva ricongiungersi con altre tribù e poi ripartire verso “Mato Tipila”. Non potevo restare. Preferivo morire che vivere con gli indiani.

Sopra le colline calava la notte quando mi allontanai di corsa dal campo e risalii il fianco di un’altura ricoperta di alberi. Man mano che l’oscurità aumentava, le forme si distorcevano e le mie tracce sparivano. Un rivoltante fetore aleggiava per il bosco ma non me ne preoccupai finché non scoprii la sua natura: legati ai tronchi di alcuni alberi, seduti o in piedi, c’erano corpi in decomposizione. Per un attimo pensai di essermi suggestionato, che le ombre mi stessero giocando brutti scherzi, ma non era così. Mi chinai accanto ad un cadavere per esaminarlo e notai che indossava un abito da donna, ma quando mi rialzai di scatto, disgustato, vidi tutti loro: decine e decine di figure alte la metà di me che indossavano teschi rossi di bisonte.
Ero terrorizzato. Non era la morte a spaventarmi, ma le maschere, tutti quegli occhi vuoti che mi scrutavano in silenzio e si muovevano nell’oscurità e, in fondo al bosco, una figura alta con una grande gobba e due grosse corna avanzava impietosa verso di me. Distinguerla era impossibile.
I portatori delle maschere si scansavano in silenzio al suo passaggio. Scivolai contro un albero, il mio corpo si rifiutava di muoversi. Tremai e piansi e mi coprii il viso con le mani finché non sentii il suo respiro pesante e decine di piccole mani che mi trascinavano nell'oscurità.
   
 
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