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Autore: Mary P_Stark    12/07/2017    5 recensioni
1827. Andrew Spencer, erede del titolo degli Harford, parte per il Grand Tour europeo assieme ai suoi migliori amici, Keath e Leonard. Il viaggio ha sì lo scopo di fare nuove scoperte e conoscenze - come effettivamente avverrà - ma serve ad Andrew come via di fuga dal suo annoso, terribile problema. Il suo cuore sanguina per una donna che pensa di non poter avere.
Violet Phillips, al tempo stesso, è alle prese con un problema non dissimile: la Stagione a Londra, mille potenziali cavalieri e nessuno che realmente colpisca il suo cuore... poiché esso è già impegnato, e dall'uomo per lei più inavvicinabile di tutti.
Potrà il Grand Tour aiutare Andrew a chiarirsi le idee, e trovare il coraggio che ora gli manca per dare voce al suo cuore?
E potrà Lucius Bradbury, cugino di Alexander Chadwick, aiutare Violet nella riscoperta di se stessa e di una forza che non crede di avere? - SEGUITO DI "UNA PENNELLATA DI FELICITA'" e "SOTTO IL VELO DELLA NOTTE"
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo regency/Inghilterra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Serie Legacy'
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9.
 
 
 
 
E dire che si era ripromesso di essere più maturo di così, di prendere per buone le decisioni di Violet… qualsiasi fosse stata la sua scelta di vita.

Invece, cosa faceva?

Aggrediva il suo futuro marito al pari di un qualsiasi troglodita, dimostrando una volta di più di essere un ben misero uomo.

In primis, lo era stato sottovalutando sempre e comunque le capacità di Violet, ritenendo che lei non fosse in grado di cavarsela, senza il suo aiuto.

In seconda istanza, non accettando de facto ciò che il cuore le aveva detto di fare.

Era così che si comportava un vero uomo? Un vero amico? No di certo.

Suo padre si sarebbe sicuramente vergognato di lui.

Uscendo sulla terrazza, il vento gelido gli schiaffeggiò il viso, risvegliandolo almeno in parte da quei cupi pensieri e, torvo, osservò l’orizzonte plumbeo e ribollente.

Entro sera, si sarebbe scatenata una tempesta coi fiocchi, a giudicare da quelle nubi pigiate sul mare, pronte solo a scatenarsi al minimo accenno.

Ormai era diventato un esperto, nel leggere i segnali del cielo.

Peccato fosse ancora inesperto – e decisamente stupido – per quel che riguardava i fatti di cuore.

Sospirando sconfortato, Andrew prese dei gran respiri a pieni polmoni per darsi una calmata, così da rendersi presentabile per la sorella.

In seguito, si sarebbe scusato con Violet per il suo comportamento irriguardoso, e avrebbe fatto i suoi più sinceri auguri al suo futuro marito.

Beh, forse sinceri proprio no, ma sentiti sicuramente.

Desirava solo la più piena felicità, per Violet, e il sorriso sincero che le aveva scorto sul viso, gli era parso assai lieto.

“Andrew…” mormorò una voce alle sue spalle, a lui fin troppo familiare.

Non ora, non ora, Violet, pensò tra sé, stringendo convulsamente le mani sul parapetto di pietra nel tentativo di calmarsi.

Dei passi titubanti e, nuovamente, quella voce delicata come le ali di una farfalla.

“Andrew, ti prego, guardami…”

Lui infine si volse, cercò di stamparsi in viso un’espressione neutra ma, quando vide quegli occhi di cielo ricoperti da un velo di lacrime, si odiò con tutto se stesso.

E perse la battaglia contro il suo autocontrollo.

Reclinò colpevole il capo, sospirò e infine disse roco: “Ti chiedo umile perdono, Violet, per ciò che hai visto. Non avrei mai dovuto comportarmi a quel modo con il tuo futuro marito. Spero che, in cuor tuo, troverai il modo di perdonarmi.”

Violet scosse il capo, si terse gli occhi per impedire alle lacrime di scendere e, con tono più sicuro, replicò: “Lucius non è il mio futuro marito. Davvero.”

“Come?” esalò a quel punto Andrew, levando nuovamente il capo a fissarla con espressione stordita.

Accennando appena un sorriso, lei si strinse le braccia attorno al corpo, rabbrividendo e, subito, Andrew fece per ricondurla all’interno.

A metà di un passo, però, si bloccò, la fissò dubbioso e le domandò: “Se hai freddo, possiamo tornare dentro. O preferisci rimanere qui?”

Lei sorrise maggiormente, di fronte a quella domanda.

Era stato chiaro dal suo primo impulso, quale fosse la sua intenzione. Prendere l’iniziativa e trascinarla dentro per non farle prendere freddo.

Ma si era bloccato, si era imposto di non prendere alcuna decisione totalitaria e aveva chiesto a lei cosa ne pensasse.

Decisamente non da Andrew, che aveva sempre preso iniziative del genere, pur di proteggerla da qualsiasi cosa.

“Rientriamo pure. Ho già rischiato ieri, di buscarmi un’infreddatura, e non voglio fare il bis, oggi” lo informò lei, incuriosendolo.

“Come mai?”

“Io e Lucius siamo tornati tardi da una passeggiata a cavallo sulla spiaggia, e ci siamo bagnati fino all’osso…” cominciò a spiegargli, subito notando il suo cipiglio contrariato. “… e, prima che tu corri dabbasso per chiedere vendetta, sappi questo; eravamo lì assieme alla mia dama di compagnia… e guardavamo le navi.”

A quel punto, Andrew fece tanto d’occhi e Violet, sapendo di averlo chetato almeno in parte, proseguì dicendo: “Lucius vuole diventare armatore e, in questi mesi, siamo diventati molto amici. Abbiamo parlato spesso del mio interesse per l’ingegneria navale, e lui si è dimostrato molto interessato a vedere i miei disegni.”

Andrew assentì torvo, limitandosi a stringere al petto le grandi braccia e Violet, per un momento, si chiese cosa volesse dire farsi stringere da esse con passione.

Era abituata da una vita, agli abbracci di Andrew, ma erano sempre stati teneri e protettivi… mai dettati dal desiderio fisico.

Lappandosi nervosamente le labbra, dovette chiedere con tutta se stessa al proprio cuore di chetarsi, per non gettarsi contro di lui per baciarlo.

Sarebbe stato oltremodo sciocco, e prima voleva chiarirsi col suo migliore amico. Non voleva vi fossero dubbi, tra loro.

In seguito, avrebbe avuto tutto il tempo di rendersi stupida di fronte a lui.

“Desidera partire per le Americhe, e costruire lì il suo primo veliero. Proprio oggi, quando ci hai visti, mi ha riferito che suo padre ha acconsentito ad aiutarlo ad aprire il suo cantiere navale. Eravamo molto eccitati.”

“E vi siete abbracciati… amichevolmente…” brontolò Andrew, non sapendo bene che pensare.

Violet, a quel punto, rise divertita e asserì: “Lucius è molto fisico, te lo concedo. Non è esattamente quel che si definirebbe un gentiluomo ligio al Ton, ma posso assicurarti che lo fa con spontaneità, e non con secondi fini.”

“Ma tu ti trovi molto bene con lui, da quel che mi pare di capire…” sottolineò Andrew, ribollendo dentro a ogni parola. “… perché, quindi, non prenderlo come marito?”

Violet sospirò, di fronte a quella domanda e, lanciato uno sguardo all’esterno, oltre i vetri ora rigati di pioggia della finestra, mormorò: “Perché lo vedo solo come un amico.”

“E lui? Forse, a lui andrebbe bene comunque” indagò ulteriormente Andrew, preferendo non lasciarsi andare prematuramente alla speranza.

Un’amicizia poteva ben essere il fondamento di un matrimonio sano e felice, perciò perché rinunciarvi?

Lei tornò a guardarlo, quelle iridi di cielo percorse da una forza che, raramente, Andrew aveva scorto e, con voce solo un poco esitante, Violet mormorò: “Lucius non mi ama… non come potrebbe amare una moglie, per lo meno. Mi ha detto che avrebbe voluto una persona come me come sorella, che potesse capirlo come sembro fare io.”

“Tu sei sempre stata una brava ascoltatrice, e un’ottima amica, ma ribadisco… perché non provare? Partire da un’amicizia salda come, mi sembra, sia la vostra, potrebbe portare a un … un matrimonio felice.”

Andrew avrebbe voluto gettarsi dalla terrazza, mentre diceva quelle parole, ma si era imposto di pensare prima a lei, ai suoi desideri, prima che ai propri, e a questo si sarebbe attenuto.

Le avrebbe detto la verità, ma non si sarebbe imposto. Mai.

Violet storse la bocca sottile, a quelle parole e, con un mugugno, borbottò: “Vuoi che io lo sposi?”

Andrew imprecò, infischiandosene bellamente dell’etichetta, o del fatto che Violet non avrebbe mai dovuto sentire parole simili e, passandosi una mano tra i capelli, sbottò.

“No che non voglio! Ma ho sempre deciso io per te, anche quando avresti potuto tranquillamente cavartela con la tua sola testa. Te l’ho sempre impedito perché, da bravo maschio quale sono, ho sempre pensato che avessi bisogno di me, quando sei intelligente a sufficienza per prendere decisioni autonome e, sicuramente, per guidare anche un idiota come me verso un buco in cui sotterrarsi.”

“Come, prego? Perché dovresti sotterrarti?!” esalò lei, comprendendo sì e no la metà di quello che lui disse.

Le faceva piacere pensare che lui la ritenesse una persona in grado di agire consapevolmente anche da sola, ma non pensava che lui fosse un idiota, o un maschio dominante.

O meglio, forse un po’ lo era stato, un maschio dominante, ma non era mai stato un problema, per lei.

Non fino a quando aveva compreso di voler prendere da sola certe decisioni, e di sbagliare, se necessario.

“Dovrò farlo, perché non sopporterò di vederti con un uomo… con un uomo che non sia io! Ma mai più, nella vita, imporrò le mie scelte su di te, soprattutto una come questa!” ammise con veemenza Andrew, facendole sgranare gli occhi per la sorpresa.

Ormai senza freni, Andrew aggiunse roco: “Ti amo, e non negherò più questo sentimento, che mi ha divorato le viscere per anni, ma neanche ti obbligherò ad accettarlo, o apprezzarlo. Devi essere libera da qualsiasi vincolo, perché la tua felicità va oltre ogni mio desiderio, ogni desiderio di chi ti vuole bene. Tu sola puoi decidere per te stessa, e io…”

Violet non lo lasciò finire.

Allungò le mani per afferrargli il viso e, serrando gli occhi, lo attirò a sé per baciarlo.

Furono solo labbra contro labbra, premute le une sulle altre, ma fu tutto.

Andrew lanciò alle ortiche ogni pensiero coerente e la strinse a sé, quasi sollevandola da terra e Violet gli avvolse un braccio attorno al collo per premere con più forza sulla sua bocca.

Durò pochi attimi, o un’eternità, nessuno dei due avrebbe saputo dirlo con certezza ma, all’improvviso, Andrew si scostò da lei, la fissò sgomento ed esalò: “Lettie, ma cosa…”

Ansando senza forse, il cuore che minacciava di balzarle dal petto, lei gorgogliò: “Perché ti sei fermato?!”

“Perché… mi sono fermato?! E me lo chiedi anche?!” sbottò lui, appoggiando una mano al davanzale della finestra per sorreggersi. Le gambe lo tenevano in piedi a stento.

Violet non seppe se ridere o prenderlo a schiaffi.

Optò per la prima soluzione, perché mai si sarebbe permessa di fare del male a una creatura vivente, figurarsi ad Andrew e, ridendogli in faccia, esclamò: “Cosa, in quel bacio, non ti era chiaro?”

Andrew non le rispose e, afferratale una mano, la attirò a sé per un secondo bacio, stavolta più delicato e studiato e, come sperò, lei si sciolse letteralmente contro il suo petto.

Violet era alta, per essere una donna, ed era sottile come un giunco, dalle linee delicate e appena accennate.

Si era sempre lagnata di non aver sviluppato un corpo morbido come quello della madre, o di Lizzie ma, per lui, era voluttuosa e intrigante come una sirena.

E stava rischiando di farlo impazzire, mentre gli carezzava con dita lievi il collo e la nuca.

Si scostò da lei, la fissò in quegli occhi di cielo ora resi torbidi dalla passione appena risvegliata e, roco, mormorò: “Che stiamo facendo, Lettie?”

“Mi sembra ovvio. Stiamo esprimendo ciò che pensiamo e, quasi sicuramente, i nostri familiari impazziranno. Ma sono stanca di mentire” replicò lei, poggiando il capo contro la sua spalla, senza alcuna difficoltà.

Andrew la avvolse con le braccia, sentendola giusta e perfetta per lui e, con un sospiro, asserì: “Non stiamo facendo nulla di male, Lettie… dovranno capirlo.”

“Se prima non ti ammazzano…” ironizzò lei, scostandosi quel poco per sorridergli. “… mi stavo giusto chiedendo cosa si provasse a farsi abbracciare da te.”

“Ti ho abbracciata un sacco di volte” le ricordò lui.

Non così” sottolineò per contro la ragazza, avvolgendogli la vita con le braccia.

Lui inspirò con forza, avvertendo in ogni parte del suo corpo quel lento, gentile sfregamento e, poggiando il capo contro la sua spalla, mormorò: “Ti prego, non farlo. In questo momento, il mio autocontrollo è pari a zero.”

Violet, allora, si scostò gentilmente, gli sorrise con un calore che quasi lo sciolse e, inclinando il capo, mormorò: “Ti amo anche perché pensi sempre a proteggermi… anche a costo di farti del male.”

Lui rise nonostante tutto, pronto a toccare il cielo con un dito, se vi fosse riuscito e, passandosi una mano sul viso, gracchiò: “Credimi, ora sento molto male… moltissimo.”

Lei avvampò a quel chiaro, lampante riferimento ma, prima ancora di dire qualsiasi cosa, i passi concitati di qualcuno bloccarono qualsiasi sua parola.

Sul bordo delle scale, trafelato e pallido, fece la sua comparsa Lucius e, nel vederli, sospirò di sollievo, esclamando: “Elizabeth ha le doglie! Vi sta cercando!”

Violet sbiancò in viso, annuendo in tutta fretta e, dopo un ultimo sguardo ad Andrew – che ora era cinereo – corse via, sollevando appena le gonne per procedere più agevolmente.

Con un ‘grazie’ sussurrato nel passare accanto a Lucius, Violet scomparve giù per le scale e, ai due giovani, non rimase che presentarsi.

Avvicinandosi, Andrew allungò una mano e disse: “Non vi avevo mai visto prima… eppure pensavo di conoscere tutti i cugini di Alexander.”

“Sono stato per lunghi anni in Francia, per studiare le tecniche di costruzione navale, per questo non mi avete mai visto qui. Molto piacere, Andrew. Sono Lucius Bradbury” asserì il giovane, stringendo la mano protesa. “Mi devo scusare per l’increscioso incidente. Non volevo in alcun modo offendere voi o Violet, prima…”

“Mi ha già chiarito tutto e, onestamente, non avevo alcun diritto di comportarmi come invece ho fatto, perciò sono io a dovervi fare delle scuse” asserì per contro Andrew, avviandosi verso le scale assieme al giovane.

“Avete parlato al passato? Le cose si sono sistemate, quindi?” sorrise speranzoso Lucius, sorprendendo un poco Andrew.

“La cosa vi starebbe bene?”

Ridendo sommessamente, Lucius disse: “Violet sarebbe una moglie che tutti potrebbero apprezzare… o meglio, tutti gli uomini dotati di cervello, ma io la vedo come una sorella. Una sorella assai intelligente e paziente, tra l’altro, a cui dedicherò la mia prima goletta… se la cosa non vi offende.”

Sorpreso, Andrew mormorò: “Perché lo fareste?”

“Innanzitutto, perché ha acconsentito a cedermi i suoi progetti, così che io possa svilupparli. Secondariamente, perché le voglio bene, e mi sembra un modo carino per dimostrarglielo. Sempre se la cosa non vi offende” sottolineò di nuovo Lucius, scansandosi quando vide passare un paio di domestici di corsa.

“Le avete concesso una fiducia che noi tutti avremmo dovuto darle anni fa, e una sicurezza che non le avevo mai visto prima. Non solo non mi offende, ma mi rende vostro debitore a vita” replicò Andrew, sorridendogli grato. “Il più, sarà convincere i suoi genitori della bontà dei nostri sentimenti.”

Lucius assentì serioso, mormorando: “Sì, ho notato quanto siano stretti i rapporti fra le vostre due famiglie. Pensate che possano vederla come una sorta di offesa personale?”

“Tutto è possibile… non so davvero come potrebbero prenderla, ma ho rischiato la pazzia, per aver taciuto tanto tempo, e ora non me la sento più di mentire.”

Dandogli una pacca sulla spalla, Lucius gli sorrise e disse: “Per quel che vale, perorerò la vostra causa. Era chiaro quanto Violet non vedesse l’ora di rivedervi.”

Andrew sorrise appena, grato per quell’insperato appoggio ma, quando vide correre per le scale l’ennesimo domestico, mormorò teso: “E ora, che facciamo?”

“Andiamo a tenere compagnia ad Alexander. Temo che sarà messo peggio di vostra sorella” sospirò il giovane, perdendo parte del suo smalto.

Già, non aveva alcun dubbio in merito.
 
***

“Sei sicura di non volere che chiami Alexander?” domandò per l’ennesima volta Violet, tergendo il viso di Lizzie dal sudore.

“E rischiare che uccida il medico? No di sicuro!” gracchiò la giovane, soffiando come una fornace.

La giovane la fissò senza capire e il dottore, sorridendole divertito, le indicò una vecchia cicatrice sull’arco sopraccigliare e asserì: “Alexander si agitò molto, durante la nascita di Rose, così finimmo per avere un lieve… scontro.”

“Andò fuori di testa, siate onesto, Barnard…” brontolò Elizabeth, ringhiando subito dopo quando una contrazione le fece quasi perdere il controllo. “… e vi colpì senza ragione. Per questo, non può stare qui.”

“Poveretto… diventerà matto, lì fuori” asserì comprensiva Letty, sorridendo.

“Ci sono Lucius e Andrew, no? Se la… caverà…” borbottò Lizzie, prima di sorridere e dire: “E’ tornato… e appena in tempo.”

“Te l’aveva detto, no? Voleva esserci.”

“E l’ha fatto…” mormorò lei, tergendosi una lacrima di commozione prima di imprecare vistosamente. “Ditemi che posso spingere o, quant’è vero Iddio, il pugno ve lo darò io, stavolta!”

“Famiglia pericolosa, quella dei Chadwick” ironizzò il medico, controllando la situazione. “Spingete, cara, ma abbiate la forza di farlo quando ve lo dico io.”

“Quello che volete, ma fatemi spingere…” sbottò Lizzie, urlando con forza quando gli venne dato il benestare.

All’esterno, ritti nel corridoio e pallidi come cenci, i tre uomini si bloccarono nel sentire urlare Lizzie e Alexander, afferrando il braccio del cognato, gracchiò: “Dio, non ce la posso fare…”

“Oh, lo farai eccome, visto che metà del guaio là dentro è causa tua” cercò di ironizzare Andrew, pur non sentendosi meglio di Alexander.

Lucius si passò un fazzoletto sulla fronte, sbuffando nervosamente, e asserì: “Mia madre dice spesso che, ciò che può sopportare una donna, un uomo non potrebbe mai, per cui…”

“Lucius, hai visto mia moglie?” brontolò per contro Alexander.

“Certo che sì, cugino. Ci conosciamo da tempo, no?” borbottò il giovane, fissandolo dubbioso. Dove voleva andare a parare?

“E in tutto questo tempo, non hai mai notato quanto lei sia piccola e magra?”

“Ah… beh, sì, certo. Elizabeth ha un corpo spettacolare, con tutto il rispetto parlando, ma …oh, sì, capisco cosa intendi dire” balbettò Lucius, impallidendo leggermente.

“Appunto” sbottò lapidario Alexander. “Quindi, con tutto il rispetto, ma non stiamo parlando di tua madre, o tua sorella, che hanno una corporatura giunonica, ma della mia Lizzie, che…”

Un secondo grido, e Alexander si azzittì, caracollando all’indietro fino a urtare il muro.

“Non la toccherò mai più…”

“Sì, vallo a raccontare a qualcun altro” ironizzò ancora Andrew.

“Tu non puoi parlare, visto che non sei nella mia stessa situazione” brontolò accigliato Alexander.

“Verissimo, ma so cosa vuol dire bramare una donna, e posso assicurarti che tu non smetterai di volere mia sorella… anche dopo questo inferno” dichiarò Andrew, sorridendogli comprensivo.

“Violet come l’ha presa?” gli domandò Alexander, preferendo parlare d’altro. Chissà che non riuscisse a non svenire, cambiando argomento?

Andrew, suo malgrado, arrossì leggermente e Alexander, con un ghigno furbo, dichiarò: “Ah, non ho bisogno di sentire nulla, a questo punto. Questo rossore dice tutto.”

“Aspetta a brindare al mio successo… dobbiamo ancora dirlo ai nostri genitori, e la cosa mi terrorizza più di quanto voglia ammettere con lei” brontolò il giovane Spencer, rabbrividendo quando udì la sorella urlare per la terza volta… e lanciare un’imprecazione degna di tale nome.

Lucius e Andrew fissarono Alexander che, con una semplice scrollata di spalle, replicò: “Ehi, amici, non è colpa mia. E’ tutta farina del suo sacco. L’ho presa in moglie che già conosceva certe parole.”

“Però…” fischiò ammirato Lucius, mentre Andrew scuoteva il capo.

“Se nostro padre la sentisse…”

“Ora come ora, sverrebbe e basta, non gli interesserebbe nulla del suo vocabolario” borbottò Alexander, allontanandosi dal cognato per passeggiare avanti e indietro lungo il corridoio.

“Credo anch’io” ammise Andrew, cominciando a chiedersi come avesse fatto, Alexander, a sopportare il parto di Rose. Lui stava già per alzare bandiera bianca.

Al quarto urlo, tutti raggelarono, perché parve durare un’eternità ma, alla fine, si spense con un pianto furioso quanto forte, che fece tirare un corale respiro di sollievo a tutti.

Un secondo pianto seguì il primo, pochi attimi dopo e Alexander, lasciandosi scivolare contro il muro, si sedette a terra per poi passarsi le mani sugli occhi umidi.

Andrew e Lucius gli batterono le mani sulle spalle, congratulandosi con lui e, in quel mentre, accaldata ma sorridente, Violet mise fuori la testa dalla stanza per dire: “Alexander, vieni… ora hai il permesso di entrare.”

“Lizzie come sta? E i bambini?” esalò lui, balzando in piedi come una molla, lo sguardo stralunato e intimorito.

Violet si limitò ad abbracciarlo per poi baciarlo sulle guance, asserendo: “Stanno tutti bene. Congratulazioni, caro… e ora, vai da tua moglie e dal tuo erede.”

“Erede? C’è un maschio?” gracchiò Alexander, sorridendo sghembo.

“Vai” si limitò a dire Violet, rimanendo fuori dalla stanza.

Quando la porta fu chiusa alle spalle del padrone di casa, Violet scoppiò in un pianto silenzioso e tranquillo e, subito, Andrew fu da lei per abbracciarla.

Lei lo accolse con gioia, addossandosi a lui per attingerne le forze ma, al tempo stesso, allungò una mano per chiamare a sé anche Lucius.

Quella gioia andava condivisa il più possibile e Andrew, nel sorridere al giovane, lo invitò ad avvicinarsi.

Senza dire nulla, allora, Lucius afferrò la mano protesa di Violet, se la appoggiò al petto e, con gentilezza, le massaggiò la schiena, mentre la giovane teneva il capo contro il torace di Andrew.

“Direi che è stata una prova dura anche per voi…” chiosò Lucius, sorridendole.

Lei assentì, mormorando: “E’ stato tremendo vederla soffrire tanto, ma Lizzie ha una tempra d’acciaio e, invece di lagnarsi per il dolore, non faceva che dire assurdità per tranquillizzare tutti. Alla fine, il dottore l’ha pregata di smetterla di dire sciocchezze, perché non riusciva a concentrarsi.”

Andrew rise in maniera un po’ sgangherata, la paura per la sorella non ancora del tutto scemata e, con un’alzata di spalle, ammise: “In effetti, Lizzie non era mai seria neppure quando si ammalava. Cercava sempre di sminuire i propri mali, per non turbare i nostri genitori.”

A quel punto, lui e Violet si guardarono e, all’unisono, esalarono: “Non abbiamo mandato nessun messaggero a York!”

Lucius scoppiò a ridere di fronte al loro sgomento e, con un elegante inchino, si accomiatò da loro, rassicurandoli che avrebbe mandato di suo pugno quell’ambasciata.

Rimasti infine soli, Violet sfiorò il viso di Andrew con una carezza e, dopo aver preso la mano dell’amato, mormorò: “Andiamo a trovare i tuoi nipoti?”

“Pensi che Lizzie mi vorrà, lì dentro?”

“Non vedeva l’ora di riabbracciarti” lo tranquillizzò lei.

Avrebbero pensato in un secondo momento ai loro genitori, ai potenziali problemi che, il loro amore, avrebbe potuto scatenare in famiglia.

Ora, dovevano pensare ai nuovi nati.


 





Note: E con questo capitolo, termino il trittico estivo... i prossimi capitoli verrano postati in agosto.
Penso, se non altro, di avervi lasciato con qualche certezza in più, anche se non è ancora avvenuto il confronto con i genitori di entrambi. Ma per quello ci sarà tempo al mio ritorno. Rinnovo le mie buone vacanze a voi, e a presto!
  
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