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Autore: Civaghina    15/07/2017    3 recensioni
Com'era la vita di Leo, prima della terribile scoperta della Bestia?
Com'è cambiata la sua vita quando si è trovato davanti ad una verità così devastante?
La storia di Leo prima di Braccialetti Rossi, ma anche durante e dopo: gioie, dolori, amori, amicizie, passioni, raccontate per lo più in prima persona, sotto forma di diario.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leo, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mercoledì, 20 giugno 2012

Non capita praticamente mai che io mi svegli prima ancora che la sveglia suoni; oggi invece è successo.

Sono in ansia.

Prendo il telefono dal comodino per guardare che ore sono: le 6:56.

È quasi ora di alzarmi: alle 8 devo essere in ospedale per gli esami del sangue e poi devo andare dalla Lisandri.

Mi godo gli ultimi quattro minuti nel letto e scrivo un messaggio a Giulia: "Scusa per ieri sera. Avevo bisogno di stare da solo. Come sta il tuo naso?".

Interrompo il suono sgradevole della sveglia che ha cominciato a suonare, mi prendo ancora due minuti prima di cominciare questa giornata di cui farei volentieri a meno, poi sospiro, mi stiracchio e mi decido ad alzarmi.


"Cos'hai detto ieri a Giulia?" domando ad Asia mentre siamo in auto, diretti in ospedale.

"Le ho detto che sei un cafone, visto come te ne sei andato lasciandola da sola, dopo averle quasi rotto il naso!"

"Intendo prima!" ribatto alzando gli occhi al cielo.

"Non le ho detto niente. Solo che devi fare altri esami."

"Beh, questo non mi sembra niente!"

"Mi sembra il minimo! Me la sono ritrovata davanti alla porta, sinceramente preoccupata per te. Mi ha detto che aveva provato a chiamarti per tutto il pomeriggio ma tu non avevi risposto. Le ho spiegato che avevi avuto una mattina pesante e che stavi dormendo, che probabilmente per quello non le avevi risposto. Mi ha chiesto se poteva vederti e le ho detto che forse era meglio lasciarti riposare. A quel punto si è allarmata e mi ha chiesto se ci fossero novità. Cosa dove fare?! Le ho detto il minimo che potevo dirle, e cioè che devi fare altri esami, dopodiché mi ha promesso che non ti avrebbe svegliato, pregandomi di lasciarla andare da te. Ti vuole bene, davvero."

"Lo so."

"È andata via con le lacrime agli occhi. Non è stato bello per me... si può sapere dove sei andato? Avete litigato?"

"No... avevo bisogno di stare da solo, mi sentivo da schifo e non volevo parlargliene."

"È la tua ragazza Leo, dovresti spiegarle perché ti senti da schifo, è così che si costruiscono le relazioni."

"Non mi va che si preoccupi per me, che mi tratti diversamente..."

"È già preoccupata. Così rischi solo di allontanarla".

Una parte di me sa che Asia ha ragione, ma di sicuro non ho nessuna intenzione di ammetterlo.

Non ho più voglia di risponderle e me ne sto in silenzio a guardare fuori dal finestrino finché non arriviamo nel parcheggio dell'ospedale.


Fino a qualche giorno fa non ero mai entrato in una sala prelievi e adesso mi ritrovo ad entrarci per la seconda volta nel giro di quattro giorni.

Sono un po' meno spaventato, rispetto alla volta scorsa, ma mi basta mettere piede in questa stanza fredda e sterile per venire investito dall'odore di alcol e dai crampi allo stomaco.

Mi siedo sulla poltrona con la voglia di un condannato a morte e porgo il braccio destro a Laura; trattengo il respiro e resto in silenzio mentre mi lega il laccio emostatico e mi disinfetta, ma poi mi lamento quando sento l'ago penetrare: “Ahia! Ester è stata molto più delicata!”.

Lei sembra risentirsene un po': "Davvero?! La prossima volta ti mando Ulisse, così vediamo se è più delicato!".

Ulisse è un infermiere altissimo e muscoloso che di delicato sembra avere proprio ben poco.

"Eddai Lauretta, scherzavo! Ti stavo solo prendendo un po' in giro!”

"Sì, sì...Vediamo se con Ulisse fai meno lo spiritoso!" ribatte mettendomi un cerotto sul braccio.


"Come ti senti oggi, Leo?" mi chiede la Lisandri, quando, dopo aver fatto colazione, raggiungo il suo studio, lasciando fuori Asia che stavolta ha rinunciato ad entrare senza protestare.

"Abbastanza bene, non ho neanche la febbre" rispondo, mentre lei prende appunti.

"La gamba? Ti fa sempre molto male?"

"Sì, quella sì."

"E gli altri sintomi? Brividi, inappetenza, stanchezza?"

"Brividi... no, appetito... non molto a dire il vero, stanchezza... oggi no, ma ieri ero a pezzi, ho dormito per tutto il pomeriggio, fino a sera."

"Va bene" dice mettendo il foglio su cui ha scritto quello che le ho detto dentro la mia cartella clinica. "Allora, se i valori delle analisi che hai fatto stamattina vanno bene devi tornare dopodomani. Ti ho già fissato l'appuntamento in radiologia per le dieci, per la tac e la risonanza magnetica; sono riuscita a farle inserire tutte e due nello stesso giorno, così eviti di tornare una volta in più. Sai di cosa si tratta?"

"Sì, mia madre ne ha fatte non so quante..."

"Quindi sai anche che sono esami non invasivi, e assolutamente non dolorosi, e che non hai nulla da temere."

"A parte il risultato..."

"Del risultato ce ne preoccuperemo dopo, Leo. Adesso mi preoccupo che tu affronti gli esami serenamente."

"Non riesco ad essere sereno, dottoressa!” esclamo sbattendo il pugno sulla scrivania. “Mi sembra di rivivere la storia di mia madre!”

La tua storia non è quella di tua madre” risponde lei mantenendo la sua imperturbabile calma. “Sarà comunque diversa, in ogni caso.”

Anche nel caso che io abbia un tumore?!”

Sì, anche in quel caso. Ogni malattia è a sé e ogni paziente ha una storia diversa.”

E dopo la tac e la risonanza, mi saprete dire con certezza che cos'ho?”

"Non è detto. Nel caso dalle immagini diagnostiche si riesca ad escludere il tumore sì, altrimenti la diagnosi certa ce la darà solo la biopsia."

"E allora perché non mi fate direttamente la biopsia?!"

"Perché è un esame invasivo e prima è preferibile fare esami non invasivi. Per la tac devi venire a digiuno da almeno sei ore, d'accordo?"

"Sì, ok."

"Dato che con gli esami del sangue per il momento abbiamo finito, ti prescrivo un antidolorifico, così nei prossimi giorni potrai goderti un po' le vacanze, come si conviene alla tua età" dice mentre scrive il nome incomprensibile di un farmaco su una ricetta.

Io sospiro: "Non so se sono dell'umore..."

"È un ordine del tuo medico, Leo" dice con tono autoritario mentre mi porge la ricetta.

"E che dovrei fare?!"

"Quello che ti piace. Non so... vai al mare, esci con gli amici, vai a rimorchiare le belle ragazze" sorride lei.

"La mia ragazza non sarebbe d'accordo su quest'ultimo punto!" dico ridacchiando.

"Ah beh, se ne hai già una non hai bisogno di rimorchiare! Allora ti prescrivo del tempo spensierato con lei".

Tempo spensierato con Giulia.

Suona bene.

È sullo spensierato che ho dei dubbi, ma cercherò di farmeli passare.

"Posso tornare agli allenamenti di pallanuoto?"

"Mh... no, quelli no. Rischi di affaticarti troppo. Evita anche corsa, bici o robe del genere. Solo attività leggere."

"E tempo spensierato con la mia ragazza!"

"Esattamente" dice alzandosi in piedi. "Se ci fossero problemi con gli esami verrai contattato, altrimenti presentati direttamente in radiologia venerdì alle dieci. Noi ci rivediamo quando saranno pronti i risultati. Fino ad allora, non ti resta che aspettare e goderti l'estate!"

"Ok..., ci proverò!".

Aspettare.

Lasciare che gli eventi facciano il loro corso.

Aspettare.

Aspettare e godermi l'estate.

Ci proverò.


"Allora, cosa ti ha detto la dottoressa?" mi chiede Asia quando esco dallo studio della Lisandri.

"Che devo godermi l'estate" rispondo sorridendo.

"Dai Leo, seriamente! Ti ha prescritto qualcosa?"

"Seriamente: mi ha prescritto del tempo spensierato fino all'esito dei prossimi esami che devo fare venerdì!"

"Qua c'è scritta un'altra cosa" osserva lei prendendomi di mano la ricetta.

"Quello è l'antidolorifico per godermi l'estate e il tempo spensierato" le spiego ostentando un tono molto serio mentre Asia infila la ricetta in borsa.

"Ah! Va bene, andiamo subito a prenderlo allora, così cominci subito questa terapia della spensieratezza!" dice assecondandomi mentre camminiamo verso l'uscita dell'ospedale.

"Prima possiamo passare alla scuola guida? Voglio iscrivermi al corso per il patentino".

Lei mi guarda con dolcezza e non riesce a trattenere un sorriso: "Va bene, fratellone!".

Prendo in mano il telefono per vedere se Giulia ha risposto al mio messaggio di stamattina.

Niente.

"Sei a casa? Posso passare da te tra un po'?" le scrivo.

La sua risposta mi arriva un quarto d'ora dopo, mentre salgo in auto dopo essere uscito dalla scuola guida: "Io e il mio naso vogliamo stare da soli. Grazie".

"Che c'è?" mi chiede Asia vedendomi sorridere scuotendo la testa.

"Giulia... Mi lasci da lei dopo la farmacia?"

"Sì... pare che il re Leone sia tornato, eh?!"

"Sì, pare proprio di sì!".


Suono al campanello più volte ma Giulia non viene ad aprire. Mi convinco quasi che non sia in casa, ma poi penso che col naso ridotto in quelle condizioni non sarà andata chissà dove.

"Aprimi" le scrivo.

Giulia: "Adesso che so che sei tu, non ci penso proprio!".

"Io sto qua finché non mi apri. Anche finché non tornano i tuoi" le rispondo scrivendo con una mano, mentre con l'altra mi attacco al campanello.

Passa qualche secondo e il cancello si apre. Attraverso il giardino, mentre Zeus mi corre incontro e mi salta addosso, e la trovo ad aspettarmi sotto il portico, davanti alla porta d'ingresso, con le braccia conserte; ha il naso ancora gonfio, ma appare già migliorato rispetto a ieri sera.

"Ti è passata la voglia di stare da solo?" mi chiede con tono polemico mentre mi avvicino a lei.

"Sì."

"Beh, adesso sono io che voglio stare da sola!"

"Non è vero, tu odi stare da sola!" esclamo abbracciandola, mentre lei rimane rigida con le braccia incrociate.

"In ogni caso non voglio stare con te!"

"Ti ricordi...?" le domando con tono dolce guardandomi intorno, sorridendo tra me e me. "Qua sotto ci siamo dati il primo bacio..."

"Certo che sei incredibile tu!" sbotta lei esasperata, slegandosi dal mio abbraccio. "Mi lasci da sola come una cretina a casa tua, te ne vai non so dove e non so perché, mi fai stare in pena per tutta la notte e poi vieni qui come se nulla fosse?!"

"Non come se nulla fosse! Ti ho scritto scusa per ieri sera."

"Beh, non è abbastanza!"

"Scusa!" dico allargando le braccia e lasciandole ricadere. "Adesso te l'ho anche detto, ok?!"

"No! Non è ok! Non è per niente ok! Sono preoccupata per te! Per la tua gamba, per la tua febbre, per il tuo schifo di umore!".

"La febbre al momento non ce l'ho" dico sedendomi sul divanetto per dare sollievo alla gamba. "E nemmeno lo schifo di umore."

"Ho notato! Visto che migliori a stare lontano da me, forse dovresti continuare a starci!"

"Dai..., non è vero che miglioro a stare lontano da te."

"E allora cos'è cambiato da ieri?" mi domanda con tono più pacato. "Hanno scoperto cos'hai e ti hanno rassicurato?"

"No" sospiro. "Non mi hanno rassicurato. Vieni qui" le dico battendo la mano sul divanetto.

"E quindi?!" chiede lei mentre con passo incerto si avvicina, senza ancora accennare a sedersi.

"E quindi ho deciso di non pensare a quello che potrei avere finché non lo so con certezza. Devo fare altri esami..., e poi si vedrà.”

"Che esami devi fare?" mi chiede sedendosi, finalmente, accanto a me.

"Una tac e una risonanza."

"Perché dalla radiografia non hanno capito...?"

"Esatto."

"E perché ieri eri ridotto in quello stato? Era solo per il dolore alla gamba?"

"No, non solo per quello" dico sospirando mentre i suoi occhi mi scrutano.

Per cos'altro allora?”.

Credo non ci sia un modo giusto per dirglielo, così come non c'era per me un modo giusto per saperlo. È così e basta.

Potrebbe essere un tumore” le dico cercando di controllare il tremito nella mia voce.

"Un tumore?"; la sua voce esce così piano che più che sentire quelle parole veramente, gliele leggo sulle labbra.

Io annuisco in silenzio, mordendomi nervosamente il labbro e lei si spinge verso di me, nascondendo il viso contro il mio petto, mentre sento che comincia a piangere. Le accarezzo i capelli, cercando qualcosa da dire, sapendo che in questo momento niente potrà davvero farla sentire meglio; però, ci provo, comunque: "Giulia, non è ancora detto! Non pensiamoci fino a che non ne sapremo di più. È estate, abbiamo sedici anni, dobbiamo essere felici!"

Lei solleva la testa dal mio petto e mi sorride, asciugandosi le lacrime con le mani. “Ok” dice tirando su col naso, sorridendo, anche se la sua voce tradisce tutta l'immensa tristezza che sta provando in questo momento: “Saremo più felici che possiamo”.

Più felici che possiamo.

Più felici che possiamo.

Mi ripeto quelle parole in testa, provando a crederci davvero.



   
 
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