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Autore: Lila May    25/07/2017    5 recensioni
Due squadre, Unicorno e Tripla C.
Mark Kruger e Esther Greenland. Una coppia alquanto strana, tuttavia efficace.
5 maschi e 5 femmine completamente opposti, se non quasi. E quindi guerra totale.
Tantissimi punti di vista diversi.
Molti, troppi problemi.
Poi condite il tutto con un po' di amori, cotte, risate, segreti, gelosie e verità scottanti.
Semplicemente un disastro.
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Storia terminata.
Genere: Comico, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Dylan Keith, Eric/Kazuya, Mark Kruger, Suzette/Rika
Note: OOC | Avvertimenti: Triangolo
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ALWAYS.
 
Dell riposava tra le braccia scure di Michael, come un gatto assopito alla finestra. Si erano presi il posto sul divano tutto per loro, e lui non smetteva di massaggiarle il braccio candido, gli occhi nocciola persi a fissare le immagini alla televisione.
La ragazza si mosse appena, giusto per mettersi più comoda. Sarebbe voluta rimanere in quella posizione per sempre. Sempre.
Ma purtroppo i giorni in quel periodo dell’anno volavano via come il vento, e presto sarebbe arrivato quello della sua partenza. Ma non voleva pensarci. Non ora, ora che si sentiva la protagonista indiscussa della vita di lui.
Il ragazzo la baciò sulla fronte, poi cambiò canale con fare annoiato.
Aspettava Mark, come tutti i presenti in sala.
Faceva fresco quel giorno. Fuori tirava un’aria brumosa, umida, segno che ben presto sarebbe cominciato a piovere, e nessuno aveva osato mettere piede fuori dalla sede, o anche solo toccare un pallone.
Si erano rifugiati tutti in sala, e nonostante ognuno si stesse tenendo occupato in attività differenti, sulle teste aleggiava lo stesso pensiero: Mark? Dov’era Mark?
Sarebbe passato, oppure no?
Tutti erano in attesa di veder arrivare il Capitano.
Ma più i minuti passavano, più la speranza di rivederlo per un’ultima volta scemava, e la sensazione di abbandono prendeva posto nei loro cuori.
Esther era seduta in disparte, con le braccia incrociate al petto e lo sguardo inchiodato al pavimento. Stava malissimo. Non poteva credere che lui non sarebbe venuto per davvero.
Era assurdo. Possibile che nemmeno quel bacio fosse riuscito a smuoverlo? Ripensare al momento la fece avvampare, e in molti se ne accorsero. Era riuscita ad avere le labbra di Mark, e lui non aveva opposto resistenza… strano. Non era innamorato di Suzette?
Avrebbe dato per riuscire a capirlo almeno un po’. A cosa stava pensando ora Kruger? A chi? Dov’era? Stava bene, almeno?
Non aveva osato incitarlo a venire, ne cercato in alcun modo. Quella porta chiusa in faccia era stato un chiaro segnale a non dover nemmeno tentare di convincerlo, che tanto l’avrebbe ignorata.
Poteva solo continuare ad aspettare, come gli altri.
Se lo immaginò su quel letto, circondato dal vuoto, a sfogliare le foto della sua vita con dolore, prima di riporle e scendere in sala, stressato.
Eppure non riusciva a comprendere… non c’era niente di male nell’aggrapparsi ai ricordi, le amicizie e tutto il resto. Perché voleva sforzarsi di dimenticare? Era impossibile.
Impossibile.
Bobby ed Hellen stavano giocando a carte, cercando di ingannare il tempo in qualche modo. Hellen, persa a guardarlo, non si era minimamente accorta di stargli mostrando ingenuamente i numeri. Le era scivolata la mano verso il basso, senza che se ne fosse resa conto.
Il ragazzo sorrise e, cercando di non osservare le carte della ragazza, le raddrizzò la mano, stringendogliela con affetto. Hellen si riscosse al calore di quella presa ferrea, e resistette per non farla finire.
Durò poco, ma fu comunque intenso, e Daisy glielo leggeva in viso che era emozionata. Che carini, così timidi e incerti.
Almeno, lei lo era. Bobby sembrava sapere il fatto suo. La stava solo aspettando, paziente.
Suzette chattava frenetica al cellulare (forse intasava di sms Erik?), e Dylan non smetteva di fissare il movimento delle sue dita, ipnotizzato da quel ritmo tanto fastidioso quanto affascinante.
Non c’era niente da fare, senza Mark.
Ecco la verità.
 
 
 
Mark ricevette un messaggio, e quando guardò il mittente sentì l’impulso di gettare l’apparecchio fuori dalla finestra.
Suzette. Che voleva? Non le era bastato prendersi gioco di lui e dei suoi sentimenti per un mese neanche di relazione?
Nonostante fosse contrariato sentì comunque il bisogno di aprirlo, giusto per sapere per quale motivo osava farsi viva.
E per fortuna che lesse.
 
 
Ciao Mark, sono Suzette.
Volevo scriverti per dirti che qui stanno tutti male, senza te. Manchi, ad Esther in particolare.
Non smetto di guardarla, è preoccupata, vorrebbe che fossi qui con lei… io ho giocato con i tuoi sentimenti, tu non giocare con i suoi, sai per esperienza cosa si prova.

 
Mark aggrottò le sopracciglia nel leggere quell’ultima frase. Giocare con i sentimenti di Esther… si sentì un mostro. Lo aveva già fatto, mettendosi con Suzette. Non aveva intenzione di recarle ancora altro danno, ma se fosse tornato l’addio sarebbe stato doloroso… non era pronto a fronteggiare tutto quel dolore.
Non voleva. Si stava imponendo di rimanere fermo con una certa rigidità, perché se fosse stato per lui, sarebbe già corso alla sede.
 
La vedo, è seduta sulla sedia e ti sta aspettando. Dylan lo stesso. Tutti ti stanno aspettando, Mark. Non fanno altro che guardare l’orologio. Puoi non ascoltarmi, chi sono io per dirti cosa devi fare?
Ma la notizia della tua partenza immediata ha scombussolato tutti, e se te ne vai senza nemmeno salutare non credo che la prenderebbero bene… datti la decenza di presentarti, almeno.
Poi, fai come vuoi.
Io comunque ti ho avvertito.
 
Sue

 
Kruger si sollevò dal letto. Era confuso, non sapeva davvero che fare. Ma alla fine, dopo minuti passati a guardare la porta, l’amicizia vinse. Balzò dal materasso, mandando al diavolo tutto.
Tutto.
Ricordi dolorosi, amicizie soffocate per non soffrire… cazzate, le solite che era abituato a farsi.
Era diventato paranoico, quell’estate lo aveva cambiato, senza dubbio.
O forse no? Forse era sempre stato così… melodrammatico. Non aveva tempo per pensarci.
Laggiù avevano tutti bisogno di vederlo. E lui, lui stava morendo dalla voglia di passare un’ultima giornata in loro compagnia.
Si vestì in fretta e furia, una maglia verde scuro accompagna da jeans color cenere, e prima di andarsene afferrò la felpa della sua divisa, quella bella, con la cerniera, che aveva vissuto su di lui gli anni d’oro del calcio. La indossò, per proteggersi dalla frescura calata all’improvviso sui quartieri di Los Angeles. Poi uscì dalla camera. Sentiva la disperazione di vedere i suoi amici mischiarsi alla paura di perderli per sempre. Ma almeno si sentiva vivo. Come non mai. - Mamma, io esco. - non attese nemmeno risposta. Si chiuse la porta alle spalle e cominciò a correre verso il campo, respirando l’aria fredda e nebbiosa di quel pomeriggio senza sole.
 
 
Esther si era rifugiata in bagno. Si era sciacquata la faccia più volte, con frenesia, cercando di farsi passare la noia e lo smarrimento in cui era piombata da quando aveva saputo del trasloco imminente.
Era frustrata, perché si sentiva abbandonata come un libro negli irraggiungibili scaffali alti di una vecchia biblioteca.
Come poteva Mark gettare all’aria mesi di avventure insieme? Non parlava della loro storia. Parlava in generale, parlava dei giorni spesi con gli amici, spesi con Suzette e con lei.
Brutti o belli, come poteva pensare di eliminarli con tanta facilità? Era umano, e l’umano prova sentimenti.
Non riusciva a capacitarsene. Non era servito a niente essere sua amica, se ora lui pretendeva addirittura di cestinarla con tutta quella nonchalance. Come se non ci fosse stato niente tra loro.
Come se non valesse niente ai suoi occhi, ne come amica ne come persona.
Gli oggetti sigillati negli scatoloni erano diventati persino più importanti di lei… ed era orribile pensarlo, ma quella le sembrava la verità più ovvia. Surclassata dalle cose inanimate. Avrebbe dato tanto per essere uno di quegli ammeniccoli che si teneva imballato nelle scatole.
Su questo si stava lambiccando la sua povera testa, mentre si fissava allo specchio. Non aveva una bella cera, si sentiva in qualche modo tradita dal comportamento di lui.
Ma non poteva stare chiusa in bagno tutto il tempo, giusto?
Uscì, abbattuta.
E quasi senza volerlo si incrociò con Mark.
Mark.
Mark Kruger.
Era proprio lui, lo stesso che ieri aveva baciato. Si guardarono, il nero penetrò nel celeste di lui come una lama affilata.
Non sentiva più le mani dalla gioia. - Mark! - gli si buttò addosso, stringendolo con forza disumana.
Lo stritolò in una presa ferrea, annusando il suo odore da maschio mischiato a quello della pioggia, del vento fresco e dell’estate ormai al termine.
Non poteva crederci… era lì, era arrivato… finalmente…
- Mark… - gli prese il volto. Il biondo si lasciò afferrare. Sembrava quasi perplesso, e ancora ansimava per la corsa disperata che lo aveva coinvolto qualche attimo prima. Era umido e freddo. Fuori aveva cominciato a piovere. - Non puoi pretendere di andartene senza soffrire! Lo sai, questo? - lo guardò. La stava ascoltando, come un bambino. Cercava di darle ragione. - Sarà traumatico all’inizio, e i primi mesi soffrirai. Dovrai abituarti ad una nuova vita, con ritmi diversi… circondarti di persone differenti, più frenetiche, più fredde forse. Non so, i newyorkesi mi danno questa sensazione di distacco, boh. -
Mark le sorrise con dolcezza. Condividevano lo stesso stereotipo, anche lui la pensava come lei, e dentro di sé sentì il ghiaccio sciogliersi, eccitato dal calore della voce acuta e tremolante della ragazza.
- Cambierai anche i tuoi, di ritmi, per stare al passo con gli altri. E non sarà facile, specialmente per te, che hai un carattere del cazz… ehmn… troppo fragile. Ma puoi stare tranquillo che nessuno ti abbandonerà mai o ti dimenticherà come temi… tu vedi non farlo con noi. Tutti qui ti vogliono bene, Mark. -
Mark parve calmarsi, e anche gli ansimi svanirono. Sentiva freddo, ma in qualche modo quel breve discorso lo aveva rianimato. Visto con gli occhi di Esther, il trasloco non sembrava poi così male, e forse anche Marge aveva ragione, a prendere quel brusco cambio di vita con una nota di positività in più. Cosa poteva riserbargli il futuro, a New York? Quante persone avrebbe incontrato?
Si sarebbe abituato al clima freddo? Avrebbe cambiato accento, abitudini… o sarebbe rimasto lo stesso Mark di sempre?
Non ci voleva pensare.
La baciò con impeto, sbattendola contro il muro e afferrandole i polsi.
Esther lo lasciò fare, e affondò le mani tra le ciocche bionde di lui, cominciando a giocherellarci. Quelle adorate, benedettissime ciocche d’oro, seconde solo agli occhi...
gli occhi.
Gli occhi di Mark non li batteva davvero nessuno. Così chiari, così intensi… da affogarci dentro, letteralmente.
Sentiva che sarebbe voluta rimanere lì per sempre, a godere dell’amore e le attenzioni del ragazzo che tanto aveva sognato e che ora aveva, incredibile ma vero. Annusare il suo odore di maschio, saggiare la sua pelle morena con le dita.
Fece cadere le mani sul suo collo, coprendo la zona ancora violacea che qualche giorno prima Suzette aveva tenuto tra i denti.
Era accaduto tutto così in fretta, ma era tutto così bello e frenetico…
Si baciarono e carezzarono per tantissimo tempo, lasciati soli al loro mondo di “ti amo” mai detti e questioni lasciate in sospeso.
Quando si staccarono, Mark giurò che i muri si erano fatti più scuri. Ed Esther si era fatta più calda, più bella, più tutto.
- Mi piaci, Mark… -
Le sorrise, passandole una mano tra i ricci color prugna. Suonava così banale, dopo l’intenso bacio che si erano scambiati… eppure quell’ennesima dichiarazione gli gonfiò il petto di orgoglio.
E lei piaceva a lui, da sempre. Ma non glielo disse.
Aprì la cerniera della felpa, se la tolse e gliela posò sulle spalle. Esther non capiva, e arrossì quando l’odore di Mark le avvolse le narici. Perché se l’era tolta?
- E’ per te - disse lui, facendo qualche passo indietro per permetterle di indossarla.
La mora però gliela riconsegnò indietro. - Non posso accettarla. - voleva, ma non poteva, davvero.
- E perché? -
- Perché è la tua felpa, la felpa della Unicorno… è piena di bei ricordi… portatela, ti riparerà quando avrai freddo, e… -
Mark si rigirò la felpa tra le mani, gli occhi tristi nascosti dalla frangia sbarazzina.
Esther notò che il taglio era irregolare e selvaggio. I capelli gli erano cresciuti tantissimo, dalla prima volta che lo aveva visto.
Mark, era cresciuto tantissimo.
Il ragazzo rimase chino sull’indumento. Un ricordo importante lo aveva, ma di certo non riguardava il suo passato, o il FFI. Quell’indumento sapeva di lei, adesso. Di quel bacio appassionante appena avvenuto, di quello prima ancora e di tutto ciò che avevano passato insieme.
Ecco perché voleva che la tenesse. - Portati un po’ di me, quando tornerai ad Osaka. -
La mora glielo prese dalle mani e lo indossò, come se potesse mettersi addosso la sua essenza, come se potesse far entrare un po’ di Mark nella pelle.
Poi sospirò.
- Vorrei poter oppormi… - mormorò lui, sfregandosi gli occhi. Era stanco, non ne poteva più di quella situazione. E si vedeva.
- Scrivimi. - propose lei, prendendogli le mani. - Sarà come avermi sempre appresso! Potremmo mandarci delle e-mail… in cui potrai raccontarmi tutto quello che vuoi, e viceversa! Non sono mai stata a New York, pretendo una descrizione dettagliata della città, appena arrivi. Sarà davvero a forma di mela? -
- Chissà. -
- Ehi, puppies! Per quanto tempo avete intenzione di stare a bloccare l’ingresso del bagno? Qualcuno qui deve pisciare. Vorrei farvela addosso, così la prossima volta imparate. -
Mark riconobbe la voce scherzosa. Dylan. Appena arrivato alla sede si era fatto dire dove si trovava Esther ed era corsa da lei, lasciando tutti ad occhi sgranati.
Per un momento si era quasi dimenticato di loro, ma non del suo migliore amico. Gli venne incontro e si diedero un sonoro cinque.
Poi Dylan lo attirò a se e lo abbracciò fortissimo. Mark sentì di soffocare in quella morsa, e rincarò con più forza ancora. Chissà se un giorno si sarebbero spaccati la schiena, a forza di premere?
- Esther, spero tu non sia gelosa se faccio un po’ il gay con Mark. -
Rise. Il solito coglione, e dio, quanto gli sarebbe mancato.
- Non ti preoccupare, me lo limono un po’, poi te lo restituisco. -
Esther sollevò le mani e se ne andò, stretta stretta nella felpa di Mark. Sapeva di doverli lasciare soli. Dylan per lui era un vero e proprio fratello, non più l’amico stupido su cui contare nei momenti di bisogno, e meritavano della privacy.
Sapeva che il suo ragazzo sarebbe passato a darle un altro bacio, poi, prima di andarsene per sempre.
- Allora, bro? Il giorno è arrivato. -
- Anche troppo in fretta. -
- Non fare la checca senza pisello. -
Mark lo squadrò divertito. Prima il bacio di Esther, ora il sarcasmo di Dylan… il cuore gli si stava aggiustando, si sentiva stranamente bene. - Qui l’unico senza pisello sei tu. -
- Pensi che lo abbia piccolo? -
- Io di certo ce l’ho più grande del tuo. -
- Me lo farò dire da Esther, quando scoperete. -
Uno spintone fin troppo brusco, risate, poi un altro ancora. Lo avrebbe più trovato un amico del genere? No, Dylan era Dylan. Insostituibile, nei suoi difetti e nei suoi pregi.
Nel suo essere perfetto e al contempo insopportabile, nel suo essere un amico sincero, vero, protettivo e leale. - Grazie per tutti questi anni di amicizia, Dylan. -
- Ora comincia con i suoi sproloqui da uomo serio… god, you’re so booooring. -
- Cerchi di sdrammatizzare? -
Dylan sorrise, e Mark notò in quella piega carnosa una nota di malinconia, tristezza. La consapevolezza che non si sarebbero più visti, almeno per tutti gli anni del liceo; la stessa che aveva lui, ancora dura da accettare…
- Mi mancherai, MarKruga. E sono serio questa volta. -
- Anche tu, Keihlan. -
Si abbracciarono di nuovo, con più delicatezza. E rimasero così a lungo, pregustandosi il momento. - Va a salutare gli altri, sono incazzati con te, e sai che quando si arrabbiano sono capaci di bombardarti l’aereo solamente perché oggi li hai appena cagati di striscio. -
Mark non se lo fece ripetere due volte; scese le scale, e il fermento che lo accolse lo rese felice. Tutti lì, tutti contenti di vederlo. Non si era mai sentito tanto importante in vita sua.
- So, Mark? Che ti credevi, di poter sparire senza prima salutarci? Devi essere un po’ pazzo te, eh. - Le braccia di Michael arrivarono ad avvilupparlo come fa un polpo con la preda, e subito dopo quelle di Bobby, snelle e paterne. - Mi prenderò cura della Unicorno, mentre sarai via, sta sicuro che sbaraglieremo tutti al torneo. Spero tu sappia di essere unico ed insostituibile, Mark. Capitano, anzi. -
- Un giorno mi spiegherai perché non hai voluto me come tuo legittimo successore. - sbottò Dylan, incrociando le braccia al petto.
- Non sei abbastanza responsabile… - rispose Mark, sollevando il mento con fare superiore. - e poi, sei troppo basso. -
- Ammettilo che non mi hai scelto per dare un senso alla vita di Bobby, su. E’ così ovvio. -
Shearer lo freddò con un’occhiata. Pareva arrabbiato, ma si riprese subito, rimanendo al gioco. - Dylan, non credevo che i tuoi complessi di inferiorità fossero tanto gravi da scaricare la frustrazione sugli altri. -
- BOOOOOOOM! Sentilo un po’?! Bobby è in grado di scherzare? Oh my god! - il ragazzo con gli occhiali si gettò sul divano, sbuffando per una stanchezza che in realtà non sentiva. Ora sì che aveva visto tutto; poteva morire felice.
Dopo i ragazzi furono le ragazze a porgere i loro saluti. Daisy, Hellen e Dell si esibirono in un profondo inchino, come le ballerine davanti alla platea, dopo un meraviglioso saggio di danza. - Grazie Capitano! -
- Sei stato il primo a non vederci come delle pazze. -
- Ti sei sempre preso cura di noi, assecondando le nostre scelte. -
- E hai la mamma più bella del mondo. -
Mark prese nota di ciò che Dell aveva appena detto. A sua madre avrebbe fatto piacere sentirsi dire quelle parole, e sapeva persino lui che, dietro il sorriso smagliante e lo sguardo sicuro, soffriva molto il fatto di dover abbandonare Los Angeles. Magari un commento del genere avrebbe potuto risollevarle l’animo, chissà? Ma non gli andava di pensare alla sua famiglia ora. - Glielo riferirò. -
- Mark, hai un orario preciso da rispettare o…? -
- No ragazzi. - si riscosse. Quelle erano le sue ultime ore con gli amici di una vita. Aveva intenzione di godersele. - Facciamo qualcosa? -
- Io un’idea ce l’avrei… -
Tutti puntarono lo sguardo su Dylan. Il suo sorriso tradiva una certa emozione, e gli occhi brillavano fulgidi sotto le spesse lenti blu.
Doveva avere in testa qualcosa di davvero grosso.
 
  
 
- Yuuh uhh! -
Il biondo salì sulla schiena di Keith e puntò un pugno al cielo, urlando con energia, forza. Come a voler spaccare la fitta coltre di nubi che era calata sul campetto, inglobandolo in una cappa bianca e densa.
Tuonava e pioveva allo stesso tempo, forte, la solita tormenta estiva che tutti detestavano, ma loro erano usciti di fuori lo stesso.
In costume.
A fare il bagno sotto il torrente gelido sprigionato dalle nuvole, così liberi e vogliosi di vivere.
Acqua, acqua ovunque. Risate.
Sopra Dylan, Mark sembrava vedere il mondo con più chiarezza. Si sentiva bene, si sentiva volare, e avrebbe voluto rimanere sotto quella pioggia benefica per tutta la vita.
A purificarsi.
Da lassù poteva osservare tutto e tutti, senza paura.
Bobby con la pompa dell’acqua, a bagnare Michael. Dell nascosta dietro lui, libera del cappello che era solita portare, Esther, Daisy ed Hellen che si inseguivano, gridando come pazze nel sentire quanto gelide fossero le gocce di pioggia, nonostante il clima estivo.
Suzette che fissava il cielo con aria trasognata, le mani unite a formare una piccola coppa scura. Forse pensava ad Erik, o forse a lui. Chi lo poteva sapere? Forse neanche lei ne era del tutto a conoscenza. Si guardarono, e da quell’altezza le sorrise. Un sorriso sincero, leale. Quello di un amico. Doveva ringraziare anche lei, del resto. Nonostante tutto il male che gli aveva recato, aveva reso la sua estate ricca di passione, bellezza.
Da ricordare, in poche parole.
Lei ricambiò, e fu come se tutto scemasse, tra loro, estinguendosi sotto la potenza del perdono.  
- Mi spezzi la schiena Kruger! -
La voce di Dylan lo raggiunse appena, senza riuscire ad oltrepassare la barriera che il migliore amico si era creato tutt’intorno.
Era tutto così bello…
Quella pioggia che gli percorreva il corpo, la canzone allo stereo, Young and beautiful
 
Will you still love me when I'm no longer young and beautiful 
Will you still love me when I got nothing but my aching soul 
I know you will, I know you will 
I know that you will 
Will you still love me when I'm no longer beautiful

 
Esther lo guardava da lontano, orgogliosa. Mark teneva gli occhi chiusi, le braccia sollevate e i muscoli tesi, mentre Dylan camminava piano ridacchiando. I capelli gli si erano riversati sul volto, grondanti d’acqua, ed emanava un’energia pazzesca da lassù. Prendeva quella pioggia come se fosse una benedizione di dio, consapevole che sarebbe stato l’ultimo giorno lì a Los Angeles.
Non si stava beando solo dell’amicizia dei compagni, ma anche di tutto ciò che lo circondava.
Cercava di riempirsi di ogni cosa un’ultima volta, prima di andare via.
- Esther! -
Si riscosse dai suoi pensieri, e vide Mark guardarla con amore infinito, tanto da farle venire i brividi lungo la schiena nuda. Sorrideva, e i suoi occhi turchesi parlavano più di mille risate; era contento, soddisfatto di essere lì.
Soddisfatto di poterla guardare con tanto affetto, di essere sulle spalle del suo migliore amico, circondato dagli amici di una vita intera.
E loro? Sì, Mark e lei. Loro due ora che cosa erano diventati?
Stavano insieme? O si erano limitati a rimanere amici?
Non lo sapeva.
Ma di una cosa era certa.
Gli sarebbe mancato da morire.
E lo avrebbe per sempre custodito nel suo cuore, per proteggerlo, e proteggere anche quel loro piccolo, furtivo amore destinato a finire lì.
Proprio su quel campetto, sotto quella pioggia.
“Ti terrò con me per sempre, Mark.”
 
“Always, Esther.”

 
The end.



 

Nda
ee con questo ultimo capitolo vi annuncio che la storia è terminata!
Non sapete quanto sono contenta di poter mettere un punto a questa grande avventura che è stata DM per me.
4 anni a scrivere sul mio caro Mark, prima in modo banale, poi sempre più approfondito. In questi 4 anni non sono maturati solo i personaggi all'interno della long; anche io ho subito i miei cambiamenti, dalla piccola 13enne che ero alla 17enne che sono ora.
Non posso credere che finalmente sia arrivato l'epilogo di tutto.
Mark e Esther sono stati una mia creazione che ai tempi d'oro ha avuto molto successo **; non so se li riporterò in pista, ma spero davvero di poter scrivere altro su di loro.
In ogni caso, anche se non è rimasto quasi nessuno a leggersi questa long - causa rallentamenti, lo so, my fault dunque. - volevo ringraziare tutti coloro che l'hanno recensita, seguita, supportata e anche tutti i lettori silenziosi.
Grazie di cuore a tutti!
Non so che altro dire, sono troppo soddisfatta di me.
E questo capitolo è venuto molto bene, come quello prima. Sono i miei preferiti **
ora vado, ho il pomeriggio impegnato.

MIlle grazie a tutti, davvero.
Bacionissimi

 
Lila May.
   
 
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