Fanfic su artisti musicali > System of a Down
Segui la storia  |       
Autore: Kim WinterNight    27/07/2017    4 recensioni
Scappare non è sempre simbolo di codardia. Ognuno di noi ha un motivo valido per cui vorrebbe scappare da qualcuno o qualcosa: chi per dimenticare, chi per liberare la mente, chi per accompagnare qualcun altro nella fuga, chi per uscire di casa, chi per volere di un'entità superiore...
Ma tutti, forse, lo facciamo per cercare un po' di libertà e per rendere noi stessi più forti e capaci di ricominciare a lottare.
DAL TESTO:
Una vacanza, ecco cosa mi serviva. Non riuscivo più a stare rinchiuso in casa, forse stavolta avevo esagerato. [...]
Notai una figura rannicchiata in fondo, in posizione fetale e con le braccia strette al corpo. Tremava vistosamente e teneva gli occhi serrati.
«Non vuole uscire di lì... non so più cosa fare» sospirò lei, portandosi una mano sulla fronte. [...]
«Non ti incazzare, amico. Ci tenevo solo a invitarti personalmente al mio matrimonio.»
Digrignai i denti e osservai, senza neanche vederli, gli automobilisti a bordo dei loro veicoli che mi superavano e mi evitavano per miracolo, per poi imprecare contro di me e schiacciare sul clacson con fare contrariato. [...]
«Avresti potuto chiedermelo, magari?» commentai, incrociando le braccia sul petto.
«Avresti rifiutato» si giustificò.
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daron Malakian, John Dolmayan, Nuovo personaggio, Serj Tankian, Shavo Odadjian
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
ReggaeFamily

Hard nut to crack

[Daron]




Eravamo pronti a partire per la città e aspettavamo il taxi. Erano le sei del pomeriggio e l'aria si era inspiegabilmente rinfrescata, così avevo indossato una felpa un po' più pesante e avevo infilato ai piedi un paio di sneakers. Non mi ero preoccupato di cambiarmi i pantaloni della tuta che indossavo dalla notte precedente, non avevo avuto voglia di cercare qualcos'altro in mezzo al caos della mia stanza.

Ero nervoso. John mi aveva riferito un messaggio equivoco da parte di Lakyta e questo mi aveva messo irrimediabilmente di malumore; inoltre Leah ce l'aveva evidentemente con me, perché da quando eravamo scesi nella hall non si era degnata di rivolgermi nessun tipo di attenzione, limitandosi a scherzare con Shavo e John. Avevo detto qualcosa di sbagliato, lo sapevo, e sicuramente avevo capito male ciò che avevo ascoltato seduto dietro il separé di bambù.

Sospirai e feci scattare l'accendino, poi inspirai una lunga boccata di fumo e scrutai la strada in cerca dell'auto che ci avrebbe condotto nella capitale. Forse avrei dovuto parlare con Leah, forse avrei dovuto scusarmi... già, forse.

Non capivo come mi fosse saltato in mente di insinuare che lei aspirasse ad arrivare a Serj usando noi come le pedine di chissà quale gioco; ogni tanto avevo la tendenza a farmi dei film mentali assurdi, ma questo probabilmente dipendeva dalla mia totale sfiducia nel genere umano. Faticavo a fidarmi di me stesso, come potevo credere nel prossimo con tanta facilità?

Afferrai il cellulare e mi decisi a risolvere almeno uno dei miei problemi, o almeno a provarci.

Scrissi qualche parola e inviai il messaggio su WhatsApp al numero di Lakyta.


John mi ha riferito


Mentre aspettavo una sua risposta, notai che nella foto del suo profilo c'era un'immagine di lei e Alwan che mostravano il cartellino di riconoscimento dello Skye Sun Hotel.


Finalmente ti sei fatto vivo! Dobbiamo parlare al più presto ;)


Ora non posso, sto andando in città


Stasera sono libera, possiamo incontrarci quando rientri.


È proprio necessario?


Certo! :D ci vediamo al Buts? Avvisami quando rientri e io mi faccio trovare lì.


Stavo per rispondere quando lei scrisse ancora:


A qualsiasi ora, non ti preoccupare.


Sospirai e riposi il cellulare, accorgendomi che il nostro taxi era arrivato. Mi avvicinai ai ragazzi e mi infilai sul sedile posteriore, ritrovandomi proprio accanto a Leah. La ragazza, infatti, sedeva tra me e Shavo, mentre John si era accomodato sul sedile del passeggero accanto all'autista.

«Dove vi porto?» chiese l'uomo in tono allegro.

«Al Fyah» rispose Leah, poi mi indirizzò un'occhiata di fuoco e si voltò verso Shavo, ignorandomi deliberatamente.

L'avevo combinata grossa, cazzo. Tra me e Leah si era scatenata fin da subito una sorta di diatriba silenziosa, che ogni tanto sfociava in piccoli scontri e battibecchi; tuttavia riuscivamo anche a divertirci insieme e spesso eravamo sulla stessa lunghezza d'onda, ma il fatto di assomigliarci un po' troppo ci portava irrimediabilmente a scontrarci.

Estrassi dalla tasca della felpa un paio di auricolari e li infilai alle orecchie, decidendo che non era certo quello il momento di parlare con la ragazza; collegai le cuffie al cellulare e aprii un'applicazione che mi permetteva di ascoltare tutta la musica che volevo senza essere collegato a una rete internet.

Forse può sembrare da pazzi, ma mi ritrovai a scegliere l'album dei miei Scars On Broadway come colonna sonora di quel viaggio che somigliava tanto al tragitto verso il patibolo; o forse era il mio umore nero a farmelo percepire in quel modo.

Mentre la mia stessa voce graffiava le mie orecchie, presi a osservare distrattamente ciò che si svolgeva intorno a me: Leah rideva con il corpo completamente abbandonato sullo schienale del sedile, mentre Shavo le raccontava qualcosa; il bassista era rivolto verso di lei e teneva una mano sulla coscia della ragazza, mentre puntava i suoi occhi sul viso di lei e sembrava non riuscire a distoglierli.

Tra quei due era successo qualcosa, era palese. A dispetto di quanto avessi erroneamente affermato la notte precedente, ero contento per loro, notavo che formavano una bella coppia, ma soprattutto immaginavo che Shavo avesse bisogno di qualcuno come Leah che gli tenesse testa e lo trascinasse fuori dalle sue insicurezze infondate.

Sul sedili anteriori, con mia grande sorpresa, John stava intrattenendo una conversazione con l'autista; misi per un attimo in pausa Funny e appresi che stavano parlando di musica e, nello specifico, dello strumento tanto amato dal mio amico. Ci avrei scommesso: John riusciva a essere loquace quando si trovava nel suo elemento naturale.

Ripresi ad ascoltare la mia musica e proseguii finché non ci ritrovammo di fronte al Fyah, interrompendomi nel bel mezzo di They Say per scendere dall'auto. Il pub che avevamo frequentato per due notti di fila, alla luce del giorno, sembrava un comune bar frequentato da persone giovani, ma si mostrava molto tranquillo e poco rumoroso, diversamente da come lo avevo conosciuto nei giorni precedenti.

Bryah stazionava accanto all'ingresso e sembrava estremamente luminosa e piena di energie, nonostante avesse trascorso la notte in bianco proprio come tutti noi.

«Ciao ragazzi! Siete pronti per la gita che ho organizzato per voi?» ci accolse la giornalista, sorridendoci e accostandosi a noi. Scompigliò i capelli a Leah e posò spudoratamente gli occhi su lei e Shavo; seguii il suo sguardo e notai le dita intrecciate dei due, così mi ritrovai a sghignazzare e indirizzai a John un sorrisetto malizioso.

Lui mi si avvicinò e mi mollò una gomitata. «Comportati bene. E vedi di scusarti con Leah.»

«Ne abbiamo già parlato. Lo farò» tagliai corto, senza smettere di esaminare il contatto che si era creato tra il bassista e la nostra nuova amica.

«Andiamo?» Bryah prese me e John sottobraccio e ci incitò a camminare. «Come state? Siete stanchi?» domandò.

«Un po'. Tutta colpa di questo rammollito» borbottai scherzosamente, strizzando l'occhio al batterista.

«Sei così stronzo, Malakian...» mi accusò contrariato.

«Ma dai, povero John! Ognuno di noi ha le sue debolezze, altrimenti non saremmo umani.» Bryan mi pizzicò il braccio. «Tu non hai paura di niente?»

Ridacchiai e scossi il capo. «No, perché io non sono umano. Vi trovate di fronte a un'entità superiore, vedete di portare rispetto e chinarvi per baciare i miei profumatissimi e graziosi piedini!» cantilenai, costruendo sul momento un atteggiamento altezzoso.

Bryah mi lasciò andare e mi mollò una forte pacca sulla schiena. «Che imbecille!» esclamò.

«Come osi offendere la mia magnificenza?»

«Sì, è proprio un caso perso» commentò John, scoccando un'occhiata complice alla giornalista.

«Vi pentirete di avermi provocato!» li minacciai, sollevando un pugno e guardandoli con finta aria minacciosa.

«Che paura! John, proteggimi.» Bryah si strinse al braccio del batterista e finse di essere atterrita, ma io notai che questo a John provocò un effetto devastante; doveva essere difficile per lui averla così vicina e non poter fare ciò che avrebbe voluto. Infatti, aveva assunto un'espressione indecifrabile, che però mi suggeriva un certo disagio nel trovarsi in quella situazione apparentemente stupida e banale.

Mi ritrovai a chiedermi pigramente perché i miei amici si fossero interessati a qualcuno, mentre io continuavo a seminare casini su casini e tutte le creature di sesso femminile con cui avevo avuto a che fare finora si erano dimostrate delle sgualdrine e niente più. In ogni caso, dubitavo che Bryah volesse qualcosa da John, visto che mi era parso di capire che non era interessata a lui in quel senso. Ma la vita era una puttana, chi poteva sapere come stavano realmente le cose?

Poco dopo Bryah si avvicinò a Shavo e Leah, così io presi a sghignazzare in direzione del batterista.

«La smetti?» si rivoltò lui.

«Oh andiamo! Sembri un adolescente in preda agli ormoni, che carino!» strepitai.

«E poi mi chiedi perché ti odio?» ribatté con un sospiro.

«Già, proprio non me lo spiego. Ehi, John?» lo chiamai.

«Che vuoi ancora?»

«Attento a Bryah. Non sono sicuro che voglia da te qualcosa in più... mi capisci, vero?» dissi con noncuranza, non sapendo come altro fargli arrivare il concetto. Non ero molto bravo in queste cose.

«Fai anche il saggio adesso? Non mi dire!»

Mi strinsi nelle spalle. «Sono serio. Per una volta che provo a...»

John si bloccò per un istante e mi studiò, portandosi istintivamente una mano al mento. «Grazie, amico. Ma forse è un po' tardi per stare attento...»

«Sei già un caso così grave?» chiesi, aggrottando la fronte.

«Spero di no, ma...»

«Cazzo, ci mancava anche questa!» esclamai. Sbuffando, lo afferrai per un braccio e lo trascinai vicino agli altri. Non volevo più parlare di queste cose, volevo soltanto divertirmi un po', per poi trovare un momento per parlare con Leah.

Dopodiché saremmo tornati in albergo e avrei incontrato Lakyta. Forse avrei risolto tutti i miei problemi in un colpo solo.


Ci fermammo solo dopo una decina di minuti, ma Bryah fischiò contrariata e ci rivolse un'occhiata desolata.

Sollevai lo sguardo e notai che ci trovavamo proprio di fronte al Bob Marley Museum; ne fui certo perché ogni tanto avevo scorto delle foto su internet, ma questo fatto mi fu ancora più chiaro poiché alla sommità del cancello che delimitava la vecchia casa di Marley vi era un ritratto del cantante giamaicano. Notai che ai lati dell'inferriata sorgevano due colonne dipinte in verde, giallo e rosso, in ricordo dei colori della bandiera etiope. All'interno scorsi soltanto il tetto dell'abitazione, nascosto da una fitta vegetazione.

«Ma è chiuso!» esclamò Leah, mentre John si accostava a un cartello affisso sulla cancellata.

«Qui dice che l'ultima visita disponibile comincia alle quattro del pomeriggio. Siamo arrivati un po' tardi, ora sono le diciannove e tredici» commentò il batterista.

«Oh no! Ragazzi, mi dispiace... avrei voluto farvi una bella sorpresa, invece...» borbottò Bryah in tono deluso, spostando lo sguardo alternativamente dal cancello alle nostre facce.

«Tranquilla, torneremo domani» disse Shavo con un sorriso.

«Io durante il giorno non sono mai libera, che razza di orari fanno in questo posto?» protestò la giornalista.

«Non importa. Possiamo tornarci da soli, anche perché io sono molto curioso» affermai in tono allegro.

«Io ci sono già stata ed è bellissimo» spiegò Leah. «Vale la pena di tornarci domani. Grazie lo stesso Bryah, è stato un pensiero molto carino da parte tua!»

«E adesso che facciamo?» ci chiese ancora la giamaicana.

«Andiamo a mangiare?» saltai su.

«Non pensi ad altro tu, eh?» brontolò John.

«Esattamente.»

«Che ne dite di tornare all'HIR?» propose Leah.

«Che sarebbe?» domandai io perplesso.

La ragazza mi ignorò e fu Bryah a spiegarmi che si trattava di un posto in cui si mangiava molto bene in cui lei e i ragazzi avevano pranzato il giorno precedente, poi mi assicurò che ne sarei stato entusiasta.

«Per me l'importante è mangiare» proclamai.

Riprendemmo a camminare e io decisi che non potevo più aspettare: dovevo parlare con Leah, non sopportavo che continuasse a ignorarmi in quel modo.

Mi accostai a lei, che intanto camminava accanto a Bryah e chiacchierava allegramente con lei, e la toccai sulla spalla.

La ragazza si voltò e il sorriso abbandonò subito le sue labbra. «Che vuoi?» mi apostrofò.

Shavo e John camminavano qualche passo indietro e parvero non accorgersi di nulla, poiché discutevano animatamente di qualcosa che non riuscivo ad afferrare.

«Voglio parlarti» chiarii.

«Non abbiamo molto da dirci, Malakian» tagliò corto.

Mi fermai e la costrinsi a fare lo stesso. Bryah, notando che avevamo bisogno di un attimo per discutere, si accostò al resto del gruppo e prese a distrarre i miei amici, parlando a raffica e attirando completamente la loro attenzione.

«Dai Leah, non fare la stronza.»

«Forse mi hai scambiato per te stesso» replicò all'istante.

«Sì, forse, ma voglio solo scusarmi per ciò che ho detto. Ho capito male ciò che tu e Bryah vi stavate dicendo» ammisi con non poca fatica, distogliendo lo sguardo da lei.

Leah riprese a camminare e io la affiancai subito. «Tu spari troppe stronzate senza riflettere» mi accusò.

«Non posso negarlo.»

«E speri sempre che tutti ci passino sopra come se niente fosse. Ma io non mi chiamo né John e né Shavo. Hai portato fuori un'accusa molto grave nei miei confronti» proseguì la ragazza, utilizzando un tono pregno di delusione che mi fece sentire veramente in colpa.

«No, Leah, il fatto è che...»

«Il fatto è che non dovevi dirlo, punto.» Si strinse nelle spalle. «Sono delusa» aggiunse.

«Me ne sono accorto.» Sospirai. «Posso fare qualcosa per recuperare? Insomma, vuoi ignorarmi ed essere incazzata con me per tutta la vacanza?»

Leah rimase in silenzio per un po', poi rispose: «Perché no? Non ho ancora tanto tempo da trascorrere in Giamaica. Tra tre giorni torno a casa».

Detto questo, sollevò gli occhi su di me e per un attimo i nostri sguardi si incrociarono: lessi malinconia nelle sue iridi color cioccolato, ed ero certo che io sarei stato l'unico a non mancarle neanche un po'. Avevo sbagliato tutto con Leah, a partire dall'essermi scopato la sua attuale matrigna fino ad arrivare alle accuse infondate che le avevo rivolto la notte precedente.

«Come vuoi» mi arresi, fermandomi e lasciando che lei continuasse a camminare. Raggiunse il resto del gruppo e continuò a ignorarmi, mentre io mi sentivo un vero pezzo di merda.

Non avevo risolto niente, proprio niente, ma perché sapevo soltanto cacciarmi nei casini? La mia schifosa sfiducia nel genere umano mi metteva sempre nella merda, anche quando non era necessario né motivato.

«Ehi ragazzi! Ho trovato qualcosa da fare dopo cena!» strillò all'improvviso Bryah, accostandosi alla vetrina di un negozio.

Tutti ci radunammo intorno a lei e, dopo aver seguito il suo sguardo, notammo che stava esaminando una locandina affissa al centro della vetrina: questa era piccola e spoglia, decisamente poco visibile agli occhi dei passanti.

«Burton Selecta» lessi perplesso.

«Sì. Qui dice che questo tizio stasera sarà al Network Jamaica con Eek-A-Mouse e Barrington Levy. Li conoscete?» ci spiegò Bryah con un sorriso enorme.

«Forse» commentò Shavo.

«Oh, vi dico già che sono fortissimi! Sapete che Eek-A-Mouse ha collaborato con una band metal?» proseguì la giornalista.

«Non mi dire!» esclamai divertito.

«Sì, con i P.O.D., nell'album Satellite; penserete che sia una follia, ma solo un uomo come lui poteva arrivare a tanto.»

Aggrottai la fronte. «Non mi suona del tutto nuova questa storia...» riflettei.

«Se vi va, dopo andiamo a sentirli» concluse Bryah in tono concitato.

Accettammo di buon grado, tanto non avevamo niente di meglio da fare. Riprendemmo a camminare verso il locale in cui avremmo cenato e mi ritrovai a chiedermi che razza di svitato potesse celarsi dietro il nome di Eek-A-Mouse. Ero piuttosto curioso.

A un tratto scorsi un negozio di strumenti musicali e mi si illuminarono gli occhi.

«Guardate!» strillai, fiondandomi di fronte all'ingresso del locale.

«Stiamo per chiudere» tuonò un uomo grande e grosso che stazionava vicino alla porta.

«Posso dare solo un'occhiata? Faccio in fretta!» lo implorai, sentendomi come un bambino che entra in un negozio di giocattoli.

Nonostante il proprietario stesse brontolando, mi infilai all'interno e cominciai a gironzolare, scrutando con attenzione tutto ciò che si trovava là dentro; fui colpito dalla consapevolezza di trovarmi in un negozio incentrato sulle percussioni e allora strillai: «Dolmayan! Entra!».

Il batterista mi raggiunse e notai che era rimasto incantate come me da quell'angolo di paradiso; cominciò a esaminare tutto ciò che lo circondava, poi si piazzò di fronte a un espositore di strumenti in miniatura e prese a borbottare tra sé come se stesse commentando un'opera d'arte.

«Sei impazzito?» lo canzonai.

«Questa è una meraviglia, oh, il mio mondo! Ho deciso cosa farò domani: passerò tutta la giornata qui dentro, potrei morire!» sentenziò con un tono di voce da pazzo invasato che raramente gli avevo sentito utilizzare.

«Merda» bofonchiai.

«Zitto! Ecco, questo lo regalo a Bryah, hai visto? Non è un amore?» cinguettò ancora John, prendendo delicatamente tra le mani la miniatura di una darbuka.

«A Bryah? E a me non regali niente?» mi lamentai.

«A te questo!» disse soddisfatto, sollevando un mini triangolo. «Sei fastidioso proprio come questo grazioso strumento.»

«Che pezzente...»

Avvistai un altro espositore che presentava i modellini da collezione di altri strumenti vari e mi avvicinai; fui felicissimo di trovare un sacco di piccole chitarre e lo guardai con attenzione. Ne afferrai una che assomigliava molto alla mia Gibson e sorrisi.

Dopo dieci minuti in cui il proprietario del negozio ci rincorse per il locale intimandoci di fare in fretta, uscimmo nuovamente alla luce dell'imbrunire. John aveva comprato praticamente di tutto, mentre io stringevo in mano un sacchetto contenente solo un oggetto.

Mi accostai a Leah e mi piazzai proprio di fronte a lei, in mezzo al marciapiede.

«Cosa stai facendo?» mi chiese con espressione confusa.

Estrassi dal sacchetto un portachiavi a forma di chitarra e glielo sventolai di fronte agli occhi. «Questo è il mio regalo per farmi perdonare. Vengo in pace, oh mia signora! Ti prego di accettare questo umile oggetto da questo testa di cazzo che ti sta di fronte» declamai in tono solenne, ostentando un'espressione molto seria.

Lei sgranò gli occhi, si voltò verso Shavo e i due si scambiarono un'occhiata interrogativa, poi la ragazza tornò a guardarmi.

«Dai» mormorai con un sorriso. «Lo prendi o no? Mi fa male il braccio a furia di tenerlo sospeso di fronte alla tua faccia!» aggiunsi.

Leah cercò in tutti i modi di rimanere seria, ma notai che tratteneva a stento le risate; quando non ce la fece più, scoppiò a ridere e rovesciò la testa all'indietro. Allungò una mano e mi strappò il portachiavi dalle dita, per poi prendere a esaminarlo con attenzione.

«Ma è bellissimo» commentò estasiata.

«La mia chitarra è molto simile a quella» spiegai.

Leah sollevò gli occhi e incrociò i miei. «Sei veramente terribile, Daron Malakian.»

«Me lo dicono in molti» dissi mestamente.

La ragazza mi sorrise e si protese verso di me per lasciarmi un rapido bacio sulla guancia. «Grazie, non avresti potuto farmi un regalo più bello.» Poi si accostò a Shavo e gli mostrò l'oggetto. «Hai visto che bello?» continuava a ripetere.

«Malakian, e io cosa le regalo?» mi apostrofò il bassista con un sorrisetto.

«Regalale il tuo cuore» sghignazzai, per poi scompigliare i capelli di Leah, la quale mi incenerì con lo sguardo e mi mollò una gomitata.

Risi. «Pace?»

«Neanche per sogno. Va' al diavolo» ribatté fingendosi ancora offesa.

«Lo prendo come un sì» conclusi.

A quel punto Bryah ci richiamò e tutti insieme riprendemmo a camminare verso il luogo dove avremmo finalmente cenato.

Stavo morendo di fame, e il fatto di aver chiarito le cose con Leah non fece che accentuare quella mia condizione.

  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > System of a Down / Vai alla pagina dell'autore: Kim WinterNight