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Autore: SalvamiDaiMostri    16/08/2017    4 recensioni
Siamo in molti a non aver accettato l'epilogo della quarta stagione: con questa stagione cerco di aggiustare un paio di cosette del finale, chiaramente in chiave Johnlock. Cominciamo con John sul fondo del pozzo che si sta inesorabilmente riempiendo d'acuqa aspettando l'arrivo dei soccorsi, e vedremo dove andremo a finire!
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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John si precipitò verso la stanza della bambina; ne aprì la porta con delicatezza e la sentì respirare mentre dormiva profondamente nel suo lettino. Sapeva che avrebbe dovuto lasciarla dormire, ma quel giorno ne aveva passate talmente tante che desiderava davvero tanto poterle fare anche solo una carezza. Perciò le si avvicinò in punta di piedi, evitando i vari giochini sparsi per il pavimento della stanza buia, sforzandosi di fare quanto meno rumore possibile e giunse al lettino bianco con le sbarre alte. Lei era lì, splendida come sempre, con le mani distese sopra alla testa, i capelli biondi ad incorniciare il visino paffutello che mostrava un’espressione serena. La copertina verde che la copriva fino a mezzo busto si alzava ed abbassava insieme al suo respiro.
John non potè fare a meno di sorridere: aveva davvero creduto che non l’avrebbe mai più rivista ed in quel momento si sentiva l’uomo più fortunato del mondo. Allungò un braccio e le accarezzò i capelli bioni, così morbidi, e in silenzio le promise che non l’avrebbe mai abbandonata, che l’avrebbe protetta con la sua stessa vita e che avrebbe cercato di non essere più così idiota da finire quasi per affogare in un pozzo.
Dunque la lasciò dormire in pace e uscì dalla stanza, richiudendone l’uscio con estrema attenzione. Nel corridoio incontrò la signora Hudson che stava entrando nella stanza degli ospiti in vestaglia:
“Grazie per aver badato a lei mentre eravamo fuori, signora Hudson.”
“Oh, ma è un piacere per me John: è un piccolo angelo!” rispose radiosa, ma poi il suo viso si incupì leggermente “E poi è il minimo visto che mi ospiti in casa vostra dopo quello che è successo...”
“Al contrario: ospitarla in casa mia è un dovere e un onore per me.” Rispose scherzoso, poi sospirò ed appoggiandole una mano sulla spalla le disse in tono dolce: “Rimetteremo a posto il 221b, Signora Hudson, io e Sherlock. Glie lo prometto.” L’anziana signora gli sorrise “Buonanotte.” Lei ricambió il saluto ed entrò nella stanza che John le aveva preparato prima di partire per Sherrinford.
John sospirò di nuovo: era stata una giornata a dir poco logorante, ed in quel momento sentiva il bisogno di una cosa soltanto. Da un armadio in quella che era stata la stanza di lui e Mary, prese un paio di lenzuola e una coperta e si avviò verso il salotto.
Sherlock sedeva sul divano, con le mani giunte sotto al naso, immerso nei suoi pensieri.  Gli si avvicinó:
“Sicuro che non ti dispiaccia dormire sul divano?” domandò appoggiando le coperte accanto a lui.
“Ad essere sincero, non credo che dormirò affatto, ma in ogni caso starò comodo, non preoccuparti.” Rispose accennando un misero sorriso con l’angolo sinistro della bocca.
John si sentì costretto a fargli la più idiota e scontata delle domande da farsi in un contesto del genere:
“Sherlock, va tutto bene? Vuoi parlare di ció che è successo oggi?”
“Sta notte? Sorella segreta psicopatica, il 221b in fiamme, cane che in realtà era il mio migliore amico asassinato dalla sorella segreta psicopatica, un uomo si è suicidato davanti a me, tre uomini ed una donna sono stati uccisi sempre davanti a me sempre dalla sorella segreta psicopatica, Molly costretta a dirmi che mi ama, tu ad affogare in fonfo ad un pozzo eccetera, tutto sta sera? No, direi di no, John.” Non parlava con il solito tono arrogante, ma sembrava sinceramente incapace di gestire quella situazione, come se la sua fosse una richiesta d’aiuto mista alla supplica di non forzare la mano in un giorno in cui aveva visto più di quanto potesse sopportare. John allora si lasció cadere seduto sul divano accanto a lui:
“No, hai ragione: è troppo.”
“Domani passerò da Molly per spiegarle... e chiederle scusa.”
“Si, dovresti.” John cercó la sua mano e la strinse. Sherlock lo ricambió con un sorriso: “Cerca di dormire. Buonanotte, Sherlock.”
“Buonanotte.”
 
Si erano ormai fatte le tre del mattino e John non aveva chiuso occhio. Era stravolto, ogni fibra del suo corpo gridava per la necessità di un sonno ristoratore, ma quel giorno era stato talmente lungo e drammaticamente intenso che non riusciva a levarsi certi pensieri e certe emozioni dalla testa.
Decise di alzarsi, perchè stare disteso al buio non sarebbe servito a nulla, mentre invece parlare un po’ con Sherlock avrebbe potuto aiutare in qualche modo. Quando vide che la luce del salotto era spenta si intimorì, pensando che forse Sherlock era riuscito ad addormentarsi ed, entrando, lo avrebbe svegliato. Ma tentò comunque: aprì la porta a poco a poco...
“Questo spiega tutto.” Dichiaró improvvisamente d’un fiato Sherlock, al buio, seduto sul divano così come lo aveva lasciato diverse ore prima. John, evidentemente, trasalì del tutto colto alla sprovvista, poi sospirò, chiuse la porta dietro di sè e si avvicinò a Sherlock nell’ombra:
“A cosa ti riferisci?” domandó avvicinandosi al minibar. Prese una bottiglia si Scotch con la mano destra, due bicchieri con la sinistra e si avvicinò al divano.
“Non per me.” Disse Sherlock in merito al bicchiere che John aveva preso per lui.
“Preferisci una tazza di tè?” Sherlock annuì immerso nei suoi pensieri. John allora si allontanò e, pochi minuti dopo, tornò dalla cucina con una tazza di tè fumante. Mentre la porgeva al suo amico, questo continuava a dire:
“Ora tutto acquista un senso.” Farfugliava, soffió sulla sua tazza e susurró ancora: “È tutto chiaro.” E bevve un breve sorso. John lo osservava piuttosto perplesso:
“Sherlock, non mi stai aiutando.” Disse tentando di risvegliarlo da quella trance, versandosi nel mentre il bicchiere di scotch che desiderava.
“Ricordi cosa disse mio fratello quando lo obbligammo a parlarci di Euros per la prima volta?” domandò senza guardarlo
“Disse parecchie cose piuttosto scioccanti.” John bevve un sorso del liquore: “A che punto della conversazione ti riferisci?”
“Quando esclamai che non avevo alcun ricordo di questa sorella segreta, lui mi rispose l’uomo che sei oggi è il ricordo che hai di lei”. Scandì la citazione a suo fratello con un gesto della mano sinistra, libera dalla tazza calda tenuta saldamente dalla destra.
“Si, ricordo.” Rispose dirigendo lo sguardo in alto a destra, rievocando la scena nella sua mente.
“Subito non compresi cosa intendeva-”
“Beh” lo interruppe John “sembró intendere che condividete una buona memoria editetica, una malsana passione per i violini e una forte tendenza alla sociopatia...” sarcastico.
“Ma c’era di più!” bevve un altro breve sorso dell’infuso, poi continuò: “L’uomo che sei OGGI, disse. Come se prima fossi qualcos’altro. Prima di essere come Euros.”
“Dici?” bevve un altro po’ del suo scotch.
“E la risposta è Victor Trevor.” Dichiarò in tono quasi solenne.
“Non capisco.” Rispose assai confuso, ma intrigato.
“Era il mio migliore amico.” John, continuava a guardarlo perplesso. “John, io prima di te non avevo mai avuto nulla di simile ad un amico, o almeno non lo ricordavo. Avevo del tutto rimosso di poter essere in grado di formare alcun genere di legame affettivo con un altro essere umano. Perchè Euros mi aveva brutalmente privato del più forte e sincero che avessi. E questo mi ferì a tal punto da preferire diventare come lei e fingere che Redbeard fosse il cane che non avevo mai avuto.”
“Ok, ti seguo. Ma cos’è che si spiega?” posò il bicchiere quasi vuoto sul tavolino che aveva davanti alle ginocchia.
“John io... Non sono una macchina.” Improvvisamente John trasalí: erano state le ultime parole che gli aveva detto (sarebbe più corretto dire gridato) prima che salisse sul tetto del Saint Barth. Gli aveva gridato che era una macchina, quando lui stava solo cercando di proteggerlo. E poi lui era morto e John aveva sentito il peso di quelle ultime parole gravare sulla sua coscienza per i due anni consecutivi: non lo aveva mai pensato davvero. Il senso di colpa lo invase quindi di nuovo per un istante, ma Sherlock proseguí il suo ragionamento: “Mia sorella lo è, non io! A causa sua e del dolore che mi causò, mi chiusi in me stesso e rifiutai di essere come gli altri... Troncai ogni tipo di legame affettivo e creai una maschera da Euros da indossare per sempre.” John cominció a comprendere dove l’amico voleva arrivare  “Io ero un bambino normale, con un migliore amico con cui giocava ai pirati... Io adesso riesco a ricordare perfettamente quanto lo amassi... e ricordo anche quanto dolore provai nel rendermi conto che mia sorella lo aveva ucciso. Solo allora cominciai di proposito ad essere cinico, freddo e distaccato.” Fece una breve pausa “E lo sarei stato per sempre, se non avessi trovato te.” John avvertì un brivido corrergli lungo la schiena. “Prima di rincontrare Euros, erano anni che non ero più come lei. Perchè, grazie a te, avevo cominciato a tenere ad altre persone, a voler loro bene, a formare dei legami, a coinvolgermi. E credevo che fossi stato tu a cambiarmi, ma il punto è proprio questo! Tu non mi hai cambiato, bensì hai rievocato la persona che sono sempre stato, quello che giocava con Victor Trevor e che pianse la sua morte per lunghi giorni e notti consecutive. Ecco cosa si spiega.”
John restò sbalordito e attonito per un breve istante. Poi appoggiò il mento sul pugno, con il gomito piantato sulla coscia e rifletté per qualche momento su ció che gli era appena stato rivelato. Poi chiese:
“Io ho... rotto l’incantesimo?” serissimo.
“Se è così che vuoi metterla.” Rispose Sherlock facendo spallucce e bevendo un’abbondante sorsata di tè.
“Ho trasformato Pinocchio in un bambino  vero!” esclamó l’altro allora. Sherlock roteó gli occhi e puntualizzó:
“No, la tua metafora è imprecisa: Pinocchio è nato marionetta, mentre io-”
“SONO LA FOTTUTISSIMA FATA TURCHINA!” esclamò alzando le braccia e mettendosi in posa come un supereroe.
“Come vuoi John.” Sorrise dolcemente “Ma, grazie.” John trasalí di nuovo “Mi hai salvato così tante volte e in così tanti modi: questo è solo l’ennesimo.”
John sorrise, e, guardando il suo bicchiere vuoto che aveva ripreso in mano, disse con un filo di voce:
“Sherlock, io non ho fatto nulla di speciale e certamente non di proposito.”
“Questo non toglie che tu sia riuscito a vedere sotto alla maschera a cui tutti avevano creduto per oltre trent’anni e a dimostrarmi che mi importa, e molto, di molti. Di Molly, di Greg, dei miei, della signora Hudson... mi importava di Mary e soprattutto di Rosy e... di te, ovviamente.” John rimase in silenzio, con un accenno di sorriso sull’angolo destro delle labbra, con la tazza stretta tra le mani.
Sherlock, convinto che la conversazione fosse giunta al suo termine, appoggió la tazza quasi vuota al tavolo e si alzó in piedi per dirigersi verso il bagno.
“Per quel che vale-” disse improvviamente John, e Sherlock si bloccò prima di imboccare il corridoio “Tu puoi anche non crederci, ma tu hai fatto sì che io scoprissi aspetti di me dei quali non sapevo nulla. Aspetti migliori. In breve, penso di essere una persona migliore di quella che ero prima di conoscerti.”
Sherlock sorrise, ma decise di non voltarsi e proseguí verso la sua strada.
Quando fu di ritorno nel salotto, John non c’era più.

 


Oooh finalmente! Erano MESI che volevo dire questa cosa. Ecco, per me quest’ultima parte esplicita il senso della serie tv: è l’unico e il più sensato che sia riuscito a trovare. Sherlock non è una macchina, non lo è mai stato: era così perchè sua sorella aveva ucciso il suo migliore amico, ma con John è tornato ad essere l’essere umano che era sempre stato sotto a quella maschera. Cosa ne pensate?? Io vi ringrazio infinitamente di essere arrivati a leggere fino a qui, mi onora. Vi chiedo gentilmente di lasciarmi un commento qui sotto per sapere cosa ne pensate. Io vi abbraccio con tanto affetto e vi rimando al prossimo capitolo! _SalvamiDaiMostri
   
 
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