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Autore: heliodor    17/08/2017    4 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Il bacio

"Brava la mia maghetta" disse una voce divertita.
Joyce sollevò la testa di scatto.
Una figura vestita di un lungo mantello azzurro scuro era al suo fianco. Il cappuccio sollevato mostrava il viso di un uomo sui cinquant'anni. Capelli radi e grigi incorniciavano un viso rotondo, diviso in due da un naso bitorzoluto. Gli occhi spalancati mostravano tutto il suo divertimento.
"Chi sei?" domandò Joyce.
"Un amico" rispose l'uomo.
Joyce guardò il punto da cui era arrivata.
"Non preoccuparti di Rancey" disse l'uomo. "Non ci troverà. La sua vista speciale non è molto buona."
Eppure l'aveva individuata nonostante fosse nascosta dietro una colonna. Che cosa aveva sbagliato?
L'uomo le tese la mano e l'aiutò a rimettersi in piedi.
Joyce si ripulì i vestiti dal fango e dalle foglie che le si erano appiccicate addosso. "Grazie" disse.
"Non ringraziarmi, Joyce di Valonde" disse l'uomo sorridendo.
Joyce si sentì gelare il cuore. La conosceva? L'aveva vista usare la magia contro natura?
"Ti sbagli, mi chiamo Sibyl."
Robern sorrise. "Sei stata furba a usare quel viso per la trasfigurazione."
"Io non..."
L'uomo dovette notare la sua espressione spaventata, perché si affrettò a dire: "Non temere. Il tuo segreto è al sicuro con me."
Erano state più o meno le parole pronunciate da Fennir prima di morire.
"Come fai a sapere..."
"So molte cose, Joyce. So del compendio di Arran Lacey, tanto per dirne una."
Sa del libro, pensò Joyce. Chi è quest'uomo?
"Mi chiamo Robern" disse anticipando la sua prossima domanda. "Ed è molto tempo che ti tengo d'occhio."
"Molto tempo?" ripeté Joyce incredula.
"Da prima che tu nascessi."
"Io non capisco."
"Capirai. Col tempo."
"Io voglio delle risposte. Ora."
"Non è ancora il momento. Ci sono delle prove che devi superare e delle cose che devono accadere, ma fino a quel momento non devi uscire allo scoperto con i tuoi poteri. È importante che resti nascosta."
"Io non ho poteri."
Robern sorrise. "Ora sì, grazie al libro. Sapevo che saresti riuscita a tradurlo. Ora devi imparare tutto ciò che puoi."
"Perché?"
Robern sorrise. "Te lo dirò a tempo debito. Ora parliamo della tua ricompensa."
Joyce si accigliò. Di cosa stava parlando?
Robern infilò una mano nella tasca del mantello e ne tirò fuori un oggetto metallico. Era una chiave color grigio chiaro. "Un premio per i tuoi progressi." La porse a Joyce.
Lei la prese con diffidenza. "Cos'è?"
"Secondo te?" Robern sorrise.
"È una chiave."
"Esatto."
"Cosa ci devo fare?"
Robern sospirò. "Ogni chiave ha la sua serratura. Ogni serratura ha la sua porta. E ogni porta custodisce un segreto."
Joyce scosse la testa. "Quale porta?"
"Lo scoprirai." Robern sollevò una mano e tracciò un segno nell'aria.
Un cerchio di energia apparve ai piedi di Joyce. Il circolo emanava una luce azzurra che pulsava. Lungo i suoi bordi l'aria era increspata dall'energia che irradiava. Mentre l'osservava si allargò.
Gli occhi di Joyce erano attratti da quella luce pulsante. Non riusciva a distogliere lo sguardo. Si sentì spingere in avanti, verso il centro pulsante della luminosità. Cadde, aspettandosi l'impatto contro il suolo, ma non avvenne.
Cadde per un tempo che le sembrò infinito.
L'acqua esplose attorno a lei. In un attimo le riempì la bocca e il naso. Annaspò nel buio, i polmoni che le bruciavano.
Nuotò alla cieca alla ricerca dell'aria. Sentiva che tra un attimo avrebbe ceduto e sarebbe affogata.
Nuota Joyce, nuota.
Nuota.
Emerse dall'acqua risucchiando quanta più aria poté con i polmoni. Tossì sputando acqua finché non sentì la gola bruciarle.
Tutto intorno a lei era immerso nel buio. Aveva l'impressione di trovarsi in una grotta. In lontananza e sopra di lei sentiva l'eco dello sciabordio dell'acqua.
Dove si trovava?
C'era un leggero chiarore che rischiarava l'ambiente. Le parve di cogliere il riflesso dell'acqua su rocce di colore grigio.
Voltandosi individuò quella che sembrava una pedana di roccia che spuntava dall'acqua. La raggiunse a nuoto e si issò a fatica.
Passò i successivi due minuti a pancia all'aria, respirando e riposandosi per lo sforzo. Non si era mai sentita così stanca.
E così spaventata.
Robern doveva avere usato una versione più potente del suo richiamo, portandola in quel posto.
L'impatto con l'acqua era stato duro, quindi doveva essere apparsa a qualche metro d'altezza.
Che razza di modi erano quelli?
Poteva trasportarla sulla pedana invece di farle fare quel tuffo.
Si mise a sedere con le gambe incrociate.
Gli occhi si stavano abituando al leggero chiarore che illuminava l'ambiente. La luce sembrava provenire dalle rocce stesse.
La stessa pedana aveva delle sottili venature che luccicavano. Guardandole da vicino notò che era ricoperta da una sottile peluria.
Era quella a emanare la luce?
Joyce ne staccò un poco. La peluria divenne grigia e appassì. Aveva la consistenza del muschio.
Si alzò in piedi per guardasi in giro.
L'acqua era una massa buia e compatta punteggiata da minuscole isole luminose.
Erano altre pedane come quella dove aveva trovato rifugio?
Sembravano disposte lungo un percorso che portava in un'unica direzione.
Joyce sospirò. Non aveva voglia di farsi un altro bagno, ma se quello era l'unico modo per scoprire come uscire da lì dentro...
Stava per calarsi di nuovo in acqua quando udì il ruggito.
Joyce si appiattì contro la dura roccia, temendo che da un momento all'altro qualcosa la colpisse. Il ruggito riverberò contro la pareti di roccia allontanandosi e tornando indietro riflesso e distorto.
Attese, ma non accadde niente.
Si calò in acqua con movimenti studiati, nuotando verso la piattaforma successiva. Anche questa era di nuda roccia che sembrava levigata dal tempo e dall'acqua.
Da quanto tempo esisteva quel posto?
Nuotò di piattaforma in piattaforma seguendo la luce come una guida, finché non raggiunse l'ultima. Da quel punto, issandosi sulla piattaforma, vide l'apertura scavata nella roccia.
La parete correva da un lato all'altro sparendo nel buio.
Joyce la raggiunse con poche bracciate e si issò all'asciutto. Da lì iniziava un corridoio scavato nella pietra.
Il ruggito la fece trasalire, ma stavolta tenne duro e attese che passasse.
Quanto tempo era trascorso da quello precedente?
il muschio luminoso cresceva anche lungo le pareti del corridoio, nelle minuscole crepe nella roccia altrimenti compatta. Guardandola da vicino notò i solchi lasciati dall'acqua che aveva modellato quel posto.
Si strinse nelle spalle e proseguì lungo il corridoio, voltandosi ogni tanto per assicurarsi che nessuno la stesse seguendo.
Camminò per mezz'ora, seguendo un leggero pendio in salita che curvava verso destra.
Si era quasi asciugata del tutto quando arrivò al cancello.
Avvicinandosi, Joyce notò che era assicurato alla roccia da pesanti cardini in ferro. La superficie sembrava essere stata dipinta da poco ed era liscia e fredda.
Provo ad aprire il cancello, ma questo non si mosse. Una pesante catena legata con un lucchetto chiudeva l'entrata.
Valutò se usare un dardo magico per distruggere il lucchetto. Non aveva mai provato a usare l'incantesimo per scassinare qualcosa.
Decise di prendersi qualche minuto per riflettere. Poteva tornare indietro e cercare un'altra uscita, ma non aveva voglia di rituffarsi in acqua.
Qualcuno aveva messo lì quel cancello e si era assicurato che restasse chiuso. Forse aprirlo non era la scelta più saggia. Forse la persona che l'aveva chiuso voleva che restasse tale e si sarebbe potuto arrabbiare se lei lo avesse aperto.
Le vennero in mente i romanzi in cui l'eroe trovava il covo dei pirati malvagi costruito in una spelonca abbandonata e doveva lottare contro l'intera ciurma per sopravvivere.
Però non aveva voglia di tornare nell'acqua.
Evocò un dardo magico e lo puntò verso il lucchetto.
Se almeno avessi la chiave, pensò.
Si mise la mano in tasca, trovando la chiave che Robern le aveva dato.
Come aveva detto?
Ogni chiave apre una porta o qualcosa del genere. Possibile che 'quella' chiave aprisse proprio 'quella' porta?
E poi lui aveva parlato di porte e non di lucchetti.
Fece spallucce.
Prese la chiave e la infilò nel lucchetto. Girò producendo uno scatto. Il lucchetto si aprì.
Joyce sciolse la catena tentando di fare meno rumore possibile, aprì il cancello e gettò un occhiata nel buio.
Il corridoio proseguiva simile alla sezione precedente.
Camminò per un altra mezz'ora. Ogni tanto si fermava per ascoltare se dei rumori provenissero da qualche punto davanti a lei.
Non accadde.
Il ruggito si ripeté di nuovo. Stavolta aveva contato il tempo trascorso dall'ultima volta.
Si ripeteva con regolarità?
Sembrava più intenso. Si stava avvicinando alla fonte che produceva quel rumore?
Non avendo altro posto dove andare, proseguì. Il muschio sparì all'improvviso, sostituito da un chiarore tenue che proveniva da un punto davanti a sé.
In lontananza notò che il corridoio si allargava e la luminosità aumentava. Affrettò il passo presa da un'improvvisa urgenza.
Il corridoio sbucava in una sala circolare scavata nella roccia. Nel centro esatto vi era un pozzo, mentre lungo la parete vi era un'apertura.
Si sporse per guardare nel pozzo, ma i suoi occhi incontrarono solo l'oscurità.
Andò alla scala. Era scavata nella roccia, ma era troppo perfetta per essere stata modellata dall'acqua.
Qualcuno l'aveva scolpita gradino per gradino.
Joyce inspirò a fondo e si tese all'ascolto di qualche rumore che provenisse dall'alto.
Voci umane, pensò sentendo i bisbigli che si riverberavano sulle pareti di roccia.
Ascoltò meglio.
Sì, erano proprio voci, ma non aveva idea di cosa dicessero né quanto fossero distanti.
Il ruggito si ripeté, ma stavolta fu come se le strappasse le orecchie. Si voltò. Il rumore assordante saliva dal pozzo. L'aria fuoriusciva dal foro e colpiva le pareti.
Joyce si tappò le orecchie finché non terminò.
Non sarebbe rimasta un attimo di più in quella stanza. Cominciò a salire le scale.
Era ancora mezza assordata quando raggiunse la cima. La luce delle torce rischiarava le pareti creando ombre che si allungavano in tutte le direzioni.
Joyce si appiattì contro il muro di roccia e si tese all'ascolto.
Udì il rumore di passi che si avvicinavano e di voci umane.
"... la prossima volta. Chiederò a mio cugino Elet di farmi trasferire."
"È quello che lavora al comando? Puoi fare avere un permesso anche a me? Voglio rivedere la luce del sole. Non ne posso più di questo posto."
I passi si allontanarono e le voci si confusero di nuovo, tornando incomprensibili.
Per un attimo fu tentata di uscire dal suo nascondiglio e farsi riconoscere. Avrebbe detto ai due uomini che era Joyce di Valonde e si era persa.
Avrebbe inventato una storia credibile su come quella notte, non riuscendo a dormire, si fosse avventurata fuori dal castello e si fosse ritrovata in quel posto senza sapere come ci era arrivata.
Che sciocchezza, pensò. Nessuno le avrebbe creduto. Le avrebbero fatto centinaia di domande alle quali lei non sapeva rispondere.
Doveva trovare un altro modo per uscire di lì.
Prima di lasciare il suo nascondiglio si rese invisibile e si trasfigurò diventando Sibyl.
Il corridoio si allargava diventando più ampio e piastrellato di mattonelle di colore scuro. Le pareti erano ancora di pietra ma sembrava lavorata meglio rispetto alla sezione che si era lasciata alle spalle.
C'erano delle nicchie scavate nella roccia dove erano appoggiate delle lampade a olio a intervalli regolari.
Proseguendo arrivò a una scala che portava verso l'alto.
Davanti a lei udì le voci che si avvicinavano.
Erano i due che parlavano tra di loro?
Non aveva voglia di incontrarli, quindi salì le scale a due a due fino a raggiungere il livello successivo.
Anche qui incontrò un corridoio ampio come quello che si era appena lasciato alle spalle, con le stesse nicchie e le stesse lampade.
Oltre a questo, c'erano delle celle scavate nella roccia. Alcune erano aperte e vuote.
Altre erano chiuse da una grata assicurata con un pesante lucchetto.
Gettando un'occhiata al loro interno notò che c'erano dei giacigli e alcuni di essi erano occupati. Delle figure umane sdraiate dormivano su quei letti improvvisati.
Era una specie di prigione?
Joyce proseguì seguendo il corridoio. Dopo una trentina di passi le celle diventavano tutte vuote, tranne l'ultima, che era chiusa.
Spinta dalla curiosità gettò un'occhiata al suo interno e il suo cuore perse un battito.
Accucciato nell'angolo della cella, il viso illuminato dalla luce tenue di una lampada a olio, c'era Oren.
Che cosa ci faceva lì sotto? Che aveva fatto per essere gettato in quel sotterraneo? Perché non era stata avvertita?
Doveva essere successo tutto dopo che lei aveva lasciato la festa, perché era certa di aver visto Oren fin quasi alla fine, mescolato tra la folla.
L'unico modo che aveva per conoscere le risposte era fare a lui le domande.
Si avvicinò alle sbarre e uscì dall'invisibilità. "Oren" sussurrò.
Il ragazzo sollevò la testa di scatto e sgranò gli occhi per la sorpresa. "Tu?" Esclamò.
"Fai piano." Joyce si guardò attorno temendo che qualcuno arrivasse da un momento all'altro.
Oren si alzò e si avvicinò alle sbarre. "Lo sapevo che saresti venuta. Ne ero certo" disse sorridendole.
"Che ci fai qui dentro?"
"Lo vorrei sapere anche io."
"Ma che cosa hai fatto?"
"Niente."
"Ma ti avranno pur detto qualcosa."
"Senti, sono venuti in camera mia e mi hanno preso. Poi mi hanno portato qui sotto. Anche se ora che ci penso..."
"Cosa?"
Oren scosse la testa. "È tutto così assurdo, ma ho visto una cosa, la sera del ballo. Devo parlarne con la principessa."
Oh, magnifico. Altri problemi in arrivo, pensò Joyce. "Sai almeno dove siamo?"
Oren la fissò sbalordito. "Se non lo sai tu che ci sei entrata..."
"È un po' complicato da spiegare" si giustificò Joyce.
"Lascia perdere, con te è sempre così. Comunque dovremmo essere sotto il castello, credo. È una specie di prigione ed è pieno di guardie."
"Il castello di corallo?"
Oren annuì.
Questo semplificava le cose. "Ti faccio uscire io."
"Come?"
Joyce gli mostrò la chiave. Era un'idea folle, ma se funzionava non avrebbe dovuto usare un dardo magico e richiamare l'attenzione delle guardie.
Infilò la chiave nel lucchetto e la fece girare. Ci fu uno scatto e il lucchetto cedette. Rimosse la catena e aprì la cella.
Oren era sbalordito. "Dove hai trovato la chiave?"
"Me l'ha regalata un amico."
"Sei incredibile."
"Mi ringrazierai dopo." Joyce si guardò attorno per vedere se le guardie si stavano avvicinando.
Poi Oren fece qualcosa di incredibile. Le cinse i fianchi e l'attirò a se, baciandola.

Prossimo Capitolo Domenica 20 Agosto

 
  
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