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Autore: Rorschach D Wolfwood    09/09/2017    3 recensioni
La città dei sogni di qualunque animale, la bellezza, la maschera dietro la quale si cela la verità: un letamaio che non aveva conosciuto nè pietà nè bontà.
Ispirato dal fumetto Blacksad, la storia di una giovane volpe solitaria dal carattere chiuso e senza alcuna speranza in un futuro migliore, un incontro inaspettato, uno spiraglio di luce in una spirale di eventi oscuri.
Genere: Dark, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Judy Hopps, Nick Wilde
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Furry
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12- Ridotto ad uno spettro che vaga senza pace ...
 
 
 
 
 
Fu solo alle undici del mattino che riuscii ad entrare in quella stanza. Lo spettacolo non era certo dei migliori, ma il suo protagonista, in fin dei conti, non era mai stato un bijoux; ma ora più che mai, in quel groviglio di bende, cerotti , fasciature, flebo con sacchetti di sangue, nemmeno una ciambella glassata al cioccolato gli si sarebbe avvicinata per saltargli in bocca. Tanto meno una bottiglia di gin.
Clawhauser sembrava addormentato, ma a quanto pare aveva percepito la mia presenza nella stanza. Non a caso, l'unico occhio disponibile lo ruotò verso di me, con un sorrisetto di complicità. 
"Sei ancora più inguardabile di quanto non fossi prima" commentai.
"Pensa che, con la dieta che mi faranno fare qui, riuscirò finalmente a togliere questa pancia" 
"Ah, quindi non la vuoi più la pancia?" chiesi poggiandovi leggermente una zampa sopra.
"Nah.." rispose lui "In realtà mi piace il grasso. E' più comodo di quanto sembri. Dovresti provare anche tu, sai?"
Abbozzai una risatina, ma i muscoli del mio muso erano troppo stanchi per sorridere appieno. "Sinceramente ho altro a cui pensare, in questo momento"
Clawhauser assunse un'aria cupa nello sguardo, una cupezza che si espanse nell'intera stanza. "Non sei ancora riuscito a trovarla?"
Una pausa. Abbassai le orecchie, scossi la testa. Sospirai, stringendo il pugno destro.
- Due giorni!-
"Sei riuscito almeno a chiudere occhio per un paio d'ore?"
"Non chiudo occhio da quando ti ho visto penzolante nel pugno di quel mostro"
Ed era vero. Dal mio incontro con quell'essere non avevo più dormito. Non ci sarei riuscito neanche volendolo. Un'intera notte passata a setacciare tutti i vicoli, tutte le strade, tutti i luoghi che conoscevo a Tundratown, contro un vento avverso e il tempo che, per sfregio, aveva tutta l'aria di correre più veloce allo scopo di divertirsi, di burlarsi di me.
Indossavo ancora la stessa giacca, non l'avevo cambiata neanche per sbaglio, e ora era completamente bagnata, gelida e gocciolava su tutto il pavimento.
Due giorni! continuava ad echeggiare la sua voce nella mia testa. 
Ne era passato uno, e ancora non avevo un merdoso straccio di indizio su cui basarmi.
Erano la mattina del secondo giorno quando andai a trovare Clawhauser, e sentivo che ogni minuto passato a parlare con lui erano secondi preziosi che se ne andavano. 
"In realtà..." dissi sedendomi "Non so più dove cazzo andare a sbattere, Claw. Ho girato tutta Tundratown, ogni posto che conoscevo, come le mie tasche, fino ad un'ora fa, e probabilmente ho anche un principio di raffreddore o polmonite, chi lo sa. Ma se non sono riuscito a trovarla fino ad ora..."
Due giorni... Ho fallito....
Gli occhi mi pesavano come macigni, gridavano a gran voce chiudici! chiudici!, non mi sentivo più le zampe, la testa pendeva in avanti. Se si fosse presentata l'occasione, sarei caduto a muso in avanti addormentato, e probabilmente non avrei sentito nemmeno la botta contro il pavimento; il sonno avrebbe "attutito la caduta".  
Clawhauser non tentò di distrarmi o tenermi sveglio. Voleva che dormissi per almeno qualche minuto, ma qualcosa, dal profondo, mi impedì di soddisfarlo, e riaprii gli occhi (con tutti gli sforzi del caso). 
Era passato un giorno, eppure mi sembrava di essere sveglio da una vita. Tutto attorno a me ruotava, le voci, i minimi suoni echeggiavano nelle mie orecchie fino a battere sul mio cervello come un tamburo. 
Dio, Judy, che cazzo mi hai combinato....
"Senti, Clawhauser, io... Io penso che riprenderò le ricerche... N-non ho tempo da perdere..."
"Nick, non fare lo sbaglio di fare tutto da solo, per favore" mi pregò "Sai che anche gli altri poliziotti di Zootropolis sono alla sua ricerca. Non puoi fare tutto da solo"
".... Sono abituato a fare tutto da solo da quando ero piccolo, Claw"
"Non siamo in un film... A fare l'eroe solitario, nella realtà, ci si rimette soltanto, Nick..."
Abbandonai la stanza.
 
 
 
 
 
 
 
"Lascia la bottiglia!" 
"Credo tu abbia bevuto abbastanza"
Battei violentemente la zampa sul bancone. "T'ho detto di lasciare la bottiglia!" 
L'ippopotamo mi guardò con una smorfia di disappunto, ma finchè gli davo i soldi ero libero di ordinare e bere quanto mi pareva.
Posò la bottiglia proprio davanti al mio muso con la stessa violenza con la quale io battei la zampa. 
"Ecco. Che ti vada di traverso!"
"Fottiti!"
Afferrai la bottiglia e mi ci attaccai come un beduino che non vedeva l'acqua dopo aver passato settimane nel deserto senza il minimo indispensabile. Me la scolai con noncuranza, avidamente, fregandomene delle gocce che colavano lungo la gola, la quale, nonostante i bicchieri precedenti, non aveva perso la sensazione di secchezza, come se ogni tentativo di idratarla fosse inutile. 
Così com'ero inutile io in quel momento, seduto al bancone di un misero bar ad ubriacarmi.
La testa mi cadde pesantemente sul bancone, la bava colava dalla mia bocca semi aperta, il frastuono che gli altri animali facevano mi rimbombava nelle orecchie, tutto nella mia testa ruotava, ruotava e ruotava in modo insopportabile. Sentii addirittura lo stomaco ribollirmi e tutta la robaccia dentro risalirmi lungo l'esofago. 
Avevo voglia di vomitare. Avevo voglia di ruttare. Avevo voglia di accasciarmi al suolo, spegnere il cervello e non svegliarmi mai più. 
Per un attimo non sentii più nulla.
" E' a questo che ti sei ridotto?"
Nessuna risposta da parte mia.
"Fortuna che non c'è uno specchio a portata di zampa: quella poltiglia che Nathaniel spaccia per birra ha un aspetto decisamente migliore del tuo!"
La testa era pesante, non riuscivo a fare il minimo movimento senza sentire un enorme peso in un unico punto della testa, che di sicuro non era il mio cervello. Premeva in modo insopportabile, ma riuscii a voltarmi dall'altra parte; mio padre era seduto al mio fianco, con la solita smorfia di disgusto stampata sul muso. Già, non era cambiato di una virgola.
Iniziai a ridacchiare, come fossi sull'orlo della fine. "Mi chiedo... Di tante visioni che potevo avere, perchè proprio tu vieni a rompermi le palle?"
"Se tu avessi davvero un paio di palle da rompere non ti rifugeresti in un posto ombroso come questo ad ingurgitare alcolici scadenti!"
"Chiudi il becco, bastardo!". Feci per colpirlo con un pugno, ma mi ritrovai a colpire un puma nerboruto e pieno di tatuaggi. 
"Che cazzo vuoi, volpe?"
"Che cazzo vuoi TU, gatto riempito di scarabocchi!"
SBAM, mi scaraventò a terra come un fantoccio riempito di paglia che si lascia andare ad un vento più forte di lui, e mi ritrovai ad assaggiare l'orribile - e per nulla igienico- sapore delle assi di legno vecchie quanto la stessa Zootropolis, tra le risate ignobili di tutti i presenti.
"Belle palle, Nicholas Wilde!"
Di nuovo quella voce insopportabilmente familiare, e lui era in piedi davanti a me, guardandomi come solo lui sapeva fare. 
"Sai perchè ti sei ridotto così? Perchè ti sei rammollito! Hai perso stupidamente la testa, e per chi? Per un coniglio. Un coniglio!"
Quanto avrei desiderato avere la sufficiente lucidità per strapparmi le orecchie e non sentire più niente.
"E guarda cosa ti ha portato, ti sei lasciato coinvolgere in una storia con la quale tu non avevi niente a che fare. E dimmi un po': ne è valsa la pena?"
Si era chinato verso di me. Ora potevo guardarlo dritto negli occhi, come mai avevo fatto in vita mia, e reggere quello sguardo accusatorio che sembrava non conoscere altre parole se non disprezzo, vergogna e pena. Ma forse, in un certo senso, poteva non avere torto. Insomma, cosa ci facevo io in mezzo a tutto quel casino? Il Cacciapredatori non mi aveva - ancora- infastidito, non avevo nemmeno idea della sua esistenza fino a mezzo anno fa, e tutto ad un tratto avevo visto la mia vita cambiare, scossa da eventi ai quali io non avevo mai voluto partecipare. 
Ma allora perchè? Perchè non avevo ancora abbandonato tutto e non ero tornato alla mia tranquilla e monotona vita di tutti i giorni? Quei giorni sembravano così lontani, ormai... Solo un vago ricordo di una vita passata chissà quanto tempo fa.
Conoscere Judy fu come essere colpito da un uragano, un uragano che aveva spazzato via tutto ciò che caratterizzava la mia vecchia vita. 
E, una volta riacquistata la giusta lucidità, non potei fare altro che essere eternamente grato a quel piccolo e grigio uragano per aver sconvolto la mia esistenza.
"Sai, per la prima volta, in vita mia, devo ringraziarti!"
"Per cosa?" 
"Sai, mi è tornato in mente quando tu, anni fa, abbandonasti me e la mamma per sempre. E ripensandoci ora, quel tuo gesto è stato il mio primo contatto con la vera codardia!"
Mio padre inarcò un sopracciglio e drizzò le orecchie.
"E se tu non avessi agito così quel giorno, se tu non mi avessi dato quella dimostrazione, probabilmente ora non riuscirei a guardarti negli occhi! Lo ammetto, ho avuto un momento di debolezza, ma sai qual'è la differenza tra me e te? Che mentre tu hai ceduto al tuo momento di debolezza, io mi sono appena rialzato!"
La figura di mio padre iniziò a sbiadire. "E al contrario di te, io non mollerò!"
"Bene, e allora, se non ti dispiace, alza i tacchi e sparisci!"
Quelle parole le pronunciò un lupo. Non chiedetemi come ci finii davanti, non me lo ricorderò mai. Posso solo dirvi che, tempo zero, mi afferrò e mi "scortò" fuori dal locale, lanciandomi in una gigantesca pozzanghera sul marciapiede. 
Ma non me la presi. Non imprecai e nè lo minacciai di spaccargli il muso. Semplicemente iniziai a ridere. Ridere di cuore, ridere di una strana gioia, mentre proiettili di acqua bersagliavano il mio corpo.
 
 
 
 
"Co-come sarebbe a dire due giorni? Cosa significa?"
Il bestione si avvicinò lentamente. Ad ogni pugno posato sul suolo innevato, una nuova crepa si formava. Se solo lo avesse voluto sarebbe stato capace di frantumare tutto in meno di due secondi. Ogni cosa in lui, dalla stazza all'abbigliamento che nascondeva le proprie fattezze trasudava una potenza spaventosa racchiusa in un enorme guscio, dal quale tentava di venir fuori, e un'aura più oscura delle più oscure profondità marine. 
Le zampe mi tremavano per la paura, ma cercai di mantenere i nervi saldi e di controllarmi, o mi sarei ritrovato a correre a zampe levate preso da un improvviso impeto, nel disperato, e sicuramente vano, tentativo di sfuggirgli e nascondermi. 
E nel frattempo, non una singola parola usciva dalla sua dannata bocca di gorilla.
"Rispondimi, maledetto!"
"Significa che hai due giorni di tempo per trovare l'agente Hopps. Considerala una specie di sfida"
"Una sfida? UNA SFIDA?" 
Mi sento uno sciocco a dirlo, perchè fu molto più che sciocco quello che feci, ma diciamoci la verità, chi di noi non fa cose sciocche, oltre che inutili, quando sente la rabbia ribollire nelle vene e salire fino a farti scoppiare il cervello?
Corsi verso di lui urlando a squarciagola pronto a prenderlo a pugni, ma egli, per tutta risposta, com'era logico pensare, mi afferrò per la gola e mi sollevò, stringendo fino a farmi diventare il muso di tutti i colori per la mancanza di fiato, finchè non fui più in grado di dimenarmi. 
Solo a quel punto aprì il pugno e mi lasciò cadere sulla neve.
"Non tentare azioni inutili contro di me! Ricordi come finì il nipote del sindaco quando ci provò? Non fare sciocchezze, dato che ci tieni a lei"
Poi fece per andarsene, lasciandomi lì. "Nel caso non dovessi riuscirci... Beh, ti "aiuterò" io!"
 
 
 
La pioggia aveva degnamente sostituito la neve a Tundratown, dall'entrata al vicolo più nascosto della città. Setacciai ogni posto, ogni parte di ogni vicolo o spazio aperto che non avessi già controllato il giorno prima, ma in me la speranza si riduceva sempre di più. Non un singolo indizio che potesse suggerirmi o farmi scoprire, che so, un passaggio segreto o l'ubicazione del nascondiglio di quel mostro. Ma ero certo che si trovasse a Tundratown. 
Tutti gli omicidi erano avvenuti in punti della città non troppo distanti da Tundratown, o comunque zone che permettevano di tornare lì nel minor tempo possibile. E un assassino non si allontana mai troppo dalla propria tana. Ma di dove fosse quella tana non ne avevo la minima idea.
E alle otto di sera, con la pioggia che non accennava minimamente a cessare e col pelo e gli abiti completamente zuppi, ero seduto al centro di un deposito di rottami abbandonato a fissare il cielo, con lampi di luce bianca che illuminavano le nuvole mentre il loro ruggito si disperdeva nell'aria. Avevo fallito, ormai era certo. 
Un'ora dopo mi ritrovavo a vagare per strade che nulla avevano di familiare, ciondolante e dallo sguardo assente, ridotto ad uno spettro che vaga senza pace, in cerca di qualcosa della quale non ha più memoria. Avevo iniziato a tossire pesantemente da un pezzo e la fronte scottava. Lo scenario davanti a me dondolava a destra e a sinistra, senza un senso logico. Se avessi tirato fuori un termometro mi sarebbe scoppiato non appena avesse provato il calore della mia ascella. 
Non riuscii nemmeno a riconoscere in quale parte della città mi trovavo, riconobbi solo una stretta e buia via, due grandi muri di mattoni ai lati e una porta su un paio di scalini e una piccola copertura. La via era piena di cianfrusaglie e robacce varie, impossibile catalogare ogni singolo elemento nelle condizioni in cui versavo, ricordavano assi di legno e tubi abbandonati o qualcosa del genere. Decisi di sedermi su quegli scalini e ripararmi dalla pioggia - per quanto fosse inutile, dato che ero talmente fradicio da sembrare un ammasso di acqua dalla forma di una volpe- e aspettare che spiovesse. 
Non so quando precisamente, ma persi conoscenza. Forse nel momento stesso in cui vidi una gigantesca ombra indistinta avvicinarsi a me.
 
Il fastidioso picchiettio di gocce cadute sulla fronte mi riportò lentamente alla realtà. 
Cristo se era fastidioso! Avevo letto che questa, una volta, era una tortura praticata millenni fa, anche se non avevo ben capito come delle gocce sulla fronte potessero costituire una tortura. 
Aprii gli occhi, lentamente, come se avessi paura di ciò che avrei visto di lì a poco. Inutile negarlo, avevo davvero paura. Avevo paura fin dall'inizio di tutta questa faccenda. Qualcosa, dentro di me, urlava di tenere gli occhi chiusi, di non assistere a ciò che mi sarebbe accaduto. Il mio solo olfatto bastò a farmi intuire che il nauseabondo tanfo che mi circondava e il bagnato melmoso che toccava il mio corpo non appartenevano certo ad una discoteca o un night club. A meno che gli abitanti delle fogne non ne avessero aperto uno all'oscuro di noi della superficie. 
Eppure riuscii a percepire qualcosa di bello in quell'ammasso di miasmi degni del carcere più degradato di tutto il Creato: qualcosa di morbido e di caldo mi accarezzava dolcemente, mi stringeva a se, vidi due luccichii viola splendere come pietre preziose - lo so, sembrerò banale, ma questo erano per me i suoi occhi, due gemme, due pietre preziose- e un suono delicato, come quello di un violino, alternato a qualche piccolo ma tenero singhiozzo. 
Non potevo crederci. Forse era il delirio della febbre, non potevo ritrovarmi davvero tra le sue zampe, sentire le sue carezze e il mio nome sussurrato con amore. Al novanta per cento doveva trattarsi di un delirio. 
Con la mia fortuna, quante probabilità c'erano che quel dieci per cento corrispondesse a realtà?
Eppure... Avrei dato qualunque cosa perchè quel delirio non finisse mai.
" E' la febbre migliore nella quale potessi incappare, Carotina"
Lei abbozzò un sorrisetto tra le lacrime. "Come fai a trovare sempre il tempo per scherzare, Nick?"
" E' l'unico modo che conosco per rendere la realtà meno orribile, Carotina..."
Lei avvolse le zampe attorno al mio muso, mi baciò la fronte e posò una guancia contro di essa. "Sei bollente, Nick..."
"Prenditela con la pioggia, Judy... Non è riuscita a persuadermi dal cercarti ininterrottamente"
"Razza di volpe ottusa!"
Iniziò a baciarmi senza sosta, a piangere, a stringermi, fino a farmi soffocare.
"Vuoi spedirmi all'altro mondo prima del tempo, Carotina?"
"Ma smettila, sciocco" singhiozzando "Come? Come ti è venuto in mente di beccarti una simile febbre, Nick?"
"C'è bisogno di chiedermelo? Perchè altrimenti, nella mia vita, non ci sarebbe più un raggio di luce..."
"Non dire sciocchezze, ti prego... Sii serio per una volta"
"Non avrei fatto certe pazzie se non fossi serio, coniglietta ottusa... Tu sei tutto ciò che io avrei voluto essere: coraggiosa, forte, intraprendente, generosa... Impulsiva.. Tutto ciò che io non sono - impulsività esclusa, ovviamente-."
Strofinai il muso contro il suo ventre, avvolgendole la vita con le mie zampe. Mi sentivo al sicuro, protetto, tranquillo.
"Persino ora, che non ho la minima idea di dove ci troviamo e di cosa sia la roba bagnata sotto le mie zampe, mi basta guardarti per sentirmi tutt'altro che disperato. Con te riesco a sentirmi... Felice.."
 Ci baciammo. Non riuscimmo a resistere, ci lasciammo andare, e per un attimo mandammo al diavolo tutto il resto. 
Solo quando riuscimmo a riprendere il controllo di noi stessi mi venne in mente di chiederle dove ci trovassimo. Lei rispose che non ne aveva idea; era una stanza scarsamente illuminata, i muri consumati e pieni di crepe dai quali si staccavano le mattonelle, qualche catena penzolava dal soffitto tra i condotti, alcuni dei quali spezzati a metà e gocciolanti acqua verdognola. Davanti a noi, tavole di legno e altra roba di metallo poggiata contro la parete. Un'unica porta in tutta la stanza.
"Se solo avessimo le caviglie incatenate saremmo i protagonisti di un vecchio film..."
Con fatica, riuscii a rialzarmi e reggermi in piedi, aiutato da Judy, e la mia attenzione fu catturata da qualcosa che non avevo notato subito: nell'angolo alla nostra sinistra, un blando giaciglio composto da due vecchi materassi e un ammasso di coperte, e poco distante un tavolo con i resti di ciò che sembrava un pasto consumato. Le pareti, invece, era tempestato di ritagli di giornale e vecchie fotografie su Gerart O'Rilla, da quelle ritraenti le sue vittorie a quelle più "quotidiane". 
"Cazzo" commentai  " O'Rilla si sta divertendo a perseguitarmi anche da morto!"
Esaminai attentamente le ultime foto, quelle più vicine al giaciglio: alcune mostravano O'Rilla da piccolo, in compagnia di molti altri cuccioli, altre lo vedevano in compagnia di un altro gorilla, più grosso di lui però.
"Potrebbe essere suo padre?" disse Judy.
"No, è impossibile: O'Rilla era orfano dall'età di tre anni, e qui, ad occhio e croce, ne aveva almeno cinque. Eppure... C'è un dettaglio su di lui che mi sfugge, ma cazzo, non riesco a..." 
D'un tratto un terribile mal di testa mi assalì. Judy posò una zampa sulla mai fronte, sottolineando quanto scottassi, ma io le risposi che non avevamo tempo di pensare a questo, che non era la prima febbre della mia vita. E poi, era solo febbre, nulla di letale. Judy mi guardò storto. Sapeva che stavo deliberatamente ignorando la situazione, ma da una parte sembrò concordare, seppur controvoglia, che non c'era tempo da perdere. 
"Tanto per sapere... Hai provato a contattare qualcuno, Carotina?"
"N-non ho potuto... Quando mi ha portato qui mi ha preso il cinturone e ha distrutto tutto ciò che avevo. Compresa la pistola..."
"Beh, di bene in meglio..."
Iniziai a tastare le mie tasche, pantaloni e giacca. Con un po' di fortuna avrei tirato fuori il mio cellulare e saremmo riusciti a chiamare aiuto. 
Tasche dei pantaloni: niente.
Tasche esterne della giacca: niente.
Tasca interna della giacca: Bingo!
"Tsk... Ci mancava la fregatura: non c'è campo!"
"Nick guarda!" esclamò ad un tratto Judy indicando una delle foto. 
Mi avvicinai e la osservai. 
"Guarda cosa indossa l'altro gorilla in questa foto"
Era la collana di Gerart. La stessa collana per la quale io, Judy e Clawhauser, tre notti prima, rischiammo di essere sorpresi alla centrale di polizia fuori orario. Era la stessa collana.
"C'è qualcosa che non quadra, però" dissi. Nonostante il mal di testa, le idee e i pensieri si fecero piano piano più nitidi, e mi ricordai di una cosa importante: 
"Gerart non ha mai permesso a nessun altro di indossare la propria collana... Tranne a suo..."
 
 
Fratello.
   
 
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