3. Remus/Sirius
“Mama, just killed a man, put a gun against his head, pulled my trigger, now he's dead.”
Bohemian Rhapsody – Queen
Bohemian Rhapsody – Queen
Quando il campanello suonò, Sirius si precipitò all’ingresso. Il giovane alla sua porta era più pallido del solito, aveva l’espressione cupa e parecchi tagli sanguinanti.
«Cazzo, Remus… iniziavo a pensare che non saresti più tornato.»
La voce di Sirius tremava, mentre cacciava rapidamente la bacchetta per iniziare gli incantesimi di guarigione. In quei tempi difficili, ne aveva dovuti imparare molti. Il lupo mannaro si scansò da quelle cure, si diresse verso il soggiorno e si lasciò cadere su un divano.
«L’ho fatto. È stato un incidente. Non doveva… non doveva finire così» iniziò, ma fu interrotto dalle lacrime, che improvvise sgorgarono dai suoi occhi.
Sirius si sedette, aspettando che il compagno si riprendesse. Voleva medicargli al più presto le ferite, ma l’altro non sembrava disposto a lasciarglielo fare, così si limitò a passargli un braccio intorno alle spalle. Conforto, di questo aveva evidentemente bisogno.
«Gli ordini erano di catturarlo e basta, come al solito. Ma lo scontro stava andando troppo per le lunghe, Emmeline era svenuta e io sono andato nel pallone… Ti giuro, non riuscivo più a pensare, il mio incantesimo è riuscito fin troppo bene, troppo potente…»
Non serviva terminare il racconto. L’alleato delle forze oscure che lui ed Emmeline erano stati incaricati di scovare era morto. E Remus aveva le mani macchiate di sangue.
«Emme è al San Mungo» gli sembrò giusto specificare. «Ma il suo corpo… l’ho lasciato lì.»
Nelle parole del giovane era evidente il disgusto che provava per se stesso.
«È stato un incidente, Rem… e quello era solo un gran figlio di puttana. Non c’è niente per cui tu debba sentirti in colpa.»
«Niente?! Era comunque un uomo. Un fottuto essere umano. Avevo altre possibilità… se non avessi perso la testa per lo stato di Emmeline, forse…»
Sirius non riusciva a capacitarsi dell’atteggiamento del compagno. Un bastardo in meno al mondo? Tanto meglio. Ma Remus tremava tra le sue braccia, e in quel momento l’unica cosa di cui gli interessava era farlo smettere. Scacciare i brutti pensieri, per quanto possibile. Gli faceva male il cuore vederlo in quello stato, così mise da parte il discorso sulla morale in guerra. Lasciò che il compagno gli bagnasse la camicia di lacrime che sapevano di senso di colpa e innocenza perduta, di scontri armati all’ordine del giorno e scelte sbagliate. Medicò tutte le sue ferite. Gli accarezzò i capelli e gli baciò dolcemente la fronte, le guance, finché non si fu calmato e addormentato, la testa sulle sue gambe. E a quel punto non gli restò che guardarlo, guardarlo come un critico d’arte fa con il suo quadro preferito. Sussurrargli parole che non si sentiva ancora pronto a dirgli faccia a faccia. Sperare in un futuro insieme, un futuro non perfetto, ma felice. Come lo sperano tutti i ragazzi a quell’età, se la guerra non fa da padrona.