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Autore: heliodor    23/09/2017    5 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Allenamento

Alla fine Vyncent e Bryce tornarono dalle rispettive missioni. Avvenne tre giorni dopo aver evocato le ombre danzanti.
Joyce seppe che Vyncent era tornato perché fu lui stesso a presentarsi a palazzo per conferire col re.
I due parlarono nello studio per alcune ore. Quando ne uscì, Joyce andò da lui. "Che cosa vi siete detti?"
Vyncent scrollò le spalle. "È meglio che tu non lo sappia."
Altri segreti?
"Riguarda il matrimonio?"
"No" disse Vyncent.
Joyce era delusa e sollevata al tempo stesso.
Poco dopo giunse anche Bryce per parlare col re. Il loro colloquio fu più lungo.
Quando uscì dallo studio si incrociarono per qualche istante.
Bryce sollevò appena la testa e andò via quasi di corsa. Non aveva salutato nemmeno Vyncent, che aveva evitato il suo sguardo.
"Devo tornare al tempio" annunciò lui mentre passeggiavano per i giardini.
"Non ti fermi almeno per il pranzo?"
"Se non torno subito Bardhian verrà a cercarmi. Poverino, l'ho trascurato parecchio in questi giorni."
Hai trascurato me, voleva dirgli Joyce, ma si trattenne. Mostrati più matura e responsabile, si disse. Lui lo apprezzerà. "Bene, allora. Quando conti di tornare per frequentare un po' la tua fidanzata?" gli chiese con tono scherzoso. "Oppure devo diventare una strega e farmi alloggiare al tempio?"
Lui rise. "Ti assicuro che quando tutto questo sarà finito, passeremo tantissimo tempo insieme. Ti stancherai di avermi tra i piedi."
Questo mai, pensò. "Mi annoia stare qui da sola."
"Ascolta, ho un 'idea. Perché non scegli una data per le nozze? Sarebbe anche il momento."
"Pensavo l'avremmo fatto insieme" disse lei delusa.
"Per me va bene qualsiasi data, basta che non sia successiva al solstizio invernale."
"È tra due mesi" esclamò lei.
Vyncent annuì. "È troppo presto?"
Joyce pensava che avrebbero avuto più tempo per frequentarsi e conoscersi meglio, ma poi pensò a Bryce e lei che era al tempio e a tutto il tempo che avevano passato insieme... "È perfetto" disse. "Sceglierò una data e te la farò sapere."
"Bene, non vedo l'ora. E, Joyce..."
"Sì?"
"Se vuoi venire a trovarmi al tempio sei la benvenuta, ricordalo."
Al tempio c'era anche Bryce e non aveva voglia di vederla. "Sei così impegnato, non vorrei disturbarti."
"Non mi disturbi affatto" esclamò lui. "A volte mi annoio."
Tanto hai Bryce per distrarti, pensò Joyce. Che stupida, quella era una cosa crudele anche solo da pensare. Vyncent come al solito si era dimostrato onesto e leale, un perfetto cavaliere, e lei lo ringraziava pensando il peggio di lui.
Che razza di persona era?
Vyncent lasciò il castello poco prima di pranzo, promettendole di passare entro due o tre giorni, Bardhian permettendo.
Joyce ne approfittò per rilassarsi leggendo un libro nei giardini. Mentre passeggiava incontrò Deliza e Oren seduti sotto un gazebo.
Che stavano facendo lì da soli?
Si avvicinò con passo deciso, quasi volesse coglierli sul fatto. Deliza fu la prima ad accorgersi di lei, rovinandole l'entrata a sorpresa.
"Vostra altezza" la salutò lui con un inchino.
"Sei ancora qui?" chiese Joyce brusca. All'improvviso le era passato parte del buon umore che aveva ritrovato dopo aver visto Vyncent. "Quando parti?"
Oren parve sorpreso da quei modi così bruschi e diretti.
Meglio, pensò Joyce. Così impari.
"C'è una nave in partenza per la fine della prossima luna" disse Oren. "Ne stavo appunto parlando con Deliza."
Era tra circa trenta giorni. Nello stesso istante Joyce decise che il suo matrimonio si sarebbe celebrato in quella data. "Che coincidenza. Mi sposerò il giorno dopo. Spero che tu non voglia mancare. Ne rimarrei molto delusa."
"Ma è meraviglioso" disse Deliza. "Voglio essere la prima a complimentarmi con te. E con Vyncent, quando lo vedrò."
Vuoi prenderti anche lui dopo Oren? Si disse Joyce. Ma che vado a pensare? Sta solo cercando di essere gentile con me.
Oren era rimasto in silenzio. "Vuol dire che rimanderò ancora la partenza" disse senza troppo entusiasmo.
Perché aveva detto quella cosa? Lei non era così. Si stava solo complicando la vita comportandosi in quel modo. E la stava complicando agli altri.
Brava, si disse. Se c'era una possibilità di dimostrargli che sei diversa dalla persona che lui crede, ora l'hai buttata al vento. Davvero ben fatto, Joyce. Davvero ben fatto.
Una ragazzina stupida e viziata.
"Scusate, devo andare" disse senza attendere il loro saluto. Si allontanò quasi di corsa, lasciò i giardini e rientrò nel castello.
Ma che le prendeva? Doveva essere del tutto impazzita.
Corse in camera e si chiuse dentro.
Passò il resto della giornata tormentata dal pensiero di quello che aveva fatto. Si era comportata come una stupida, senza pensare alle conseguenze.
Non aveva il diritto di fare del male agli altri, anche se erano stupidi e testoni e ciechi e...
Doveva trovare il modo di distrarsi o sarebbe stata peggio.
Anche se si sentiva stanca e svogliata, si costrinse a indossare i vestiti di Sibyl e uscire dal castello. Si recò alla caverna, dove aveva lasciato il compendio e il libro di Hopott. Alla fine aveva deciso che quello era un posto più sicuro per nascondere quegli oggetti da occhi indiscreti.
Nei giorni precedenti aveva trasportato diversi oggetti alla caverna. Un vecchio manichino da sarto giaceva in un angolo, insieme a pezzi d'armatura presi rovistando tra le vecchie casse del magazzino.
Aveva fatto uno sforzo enorme per portare lì quella roba ma ne era valsa la pena. Ora aveva la sua sala d'allenamento personale.
Mise il manichino al cento del pavimento e lo vestì con l'armatura usando cinghie di cuoio legate alla bell'è meglio.
Soddisfatta del risultato si allontanò di una decina di passi ed evocò un dardo magico.
Lo lanciò verso il manichino, colpendolo al petto. Quando controllò il metallo, notò che lo aveva appena scalfito.
Aveva fatto qualche prova in quei giorni. Il dardo era più debole di una freccia e molto meno forte di un proiettile lanciato con una balestra. Non era in grado di penetrare il metallo come lo era con i vestiti.
Contro una persona ben protetta non avrebbe avuto alcuna speranza.
Vyncent aveva ragione quando diceva che uno stregone doveva allenarsi cercando di colpire i punti deboli di una corazza.
Cosa c'era di più debole dei punti in cui l'armatura aveva una giuntura? Lo spazio però era poco e lei doveva migliorare la mira. Finché si trattava di colpire un bersaglio grosso era facile, ma centrarne uno lago mezzo palmo era una storia diversa.
Per non parlare se era in movimento.
Per quello si era portato dietro dei piattini da colazione. Erano abbandonati in una cassa dei magazzini, dono di chissà quale dignitario straniero in visita a Valonde.
Poco male, ora almeno sarebbero stati di una qualche utilità.
Joyce li usò per allenarsi al tiro al volo. Ne lanciava uno più in alto che poteva e poi cercava di colpirlo prima che toccasse terra.
Più facile a dirsi che a farsi.
Il primo giorno ne distrusse dieci senza riuscire a colpirne uno.
Il secondo giorno ne sfiorò uno.
Il terzo riuscì a distruggerne due, ma il secondo centro fu più un colpo di fortuna. Aveva mirato verso un punto diverso.
Nel frattempo doveva anche rinforzare il fisico. Prese a correre tutte le volte che poteva. All'inizio fu dura e dovette smettere ogni pochi minuti per prendere fiato, ma col tempo stava iniziando ad abituarsi. Anche il suo corpo divenne più agile e si sentiva meglio.
Stanca, ma felice, spesso si abbandonava esausta sul letto senza neanche riuscire a spogliarsi quando tornava a casa.
Almeno quello teneva lontani i brutti pensieri che faceva su Bryce e Vyncent, da soli al tempio del circolo che...
"Vedo che stai facendo progressi" disse una voce alle sue spalle.
Aveva appena finito di allenarsi col manichino e lo stava smontando. Si voltò di scatto, ritrovandosi di fronte una figura maschile.
Era alta e magra e indossava un mantello azzurro con cappuccio.
Sopra la sua testa fluttuava un globo luminoso, gettando una luce cupa sulla sua persona.
Joyce ebbe un tuffo al cuore quando lo riconobbe: era Robern, l'uomo che l'aveva aiutata a Taloras e le aveva donato la chiave misteriosa che apriva tutte le porte.
Anche lì sotto era riuscito a trovarla.
 
"Tu" disse rivolgendosi a Robern. "Come hai fatto a trovarmi?"
"È stato più difficile del solito" disse l'uomo.
Del solito?, pensò Joyce.
"Non immaginavo che venissi qui sotto ad allenarti" disse guardandosi attorno. "Anche se sapevo che prima o poi avresti scelto un luogo ben riparato dove potenziare i tuoi incantesimi. Solo che non mi aspettavo che fosse questo posto."
"Cos'ha di così speciale?"
"Per te niente, ma per me significa molto" rispose Robern.
Joyce moriva dalla voglia di fargli milioni di domande, ma riuscì a formularne solo una: "Perché non mi hai denunciata all'inquisitrice?"
"Diciamo che Lady Gladia e io non siamo in buoni rapporti."
"Tu la conosci?"
"Meglio di quanto tu creda."
"Cosa sai del compendio?"
"Conoscevo chi l'ha scritto" disse Robern. Il suo sguardo divenne triste.
"Tu conosci Arran Lacey? Dove posso trovarlo?"
"Arrivi tardi" disse Robern. "È morto da molti anni."
"E Sibyl?"
"Purtroppo anche lei è morta."
"Tu la conoscevi?"
"Non ho mai avuto l'onore, ma tu le somigli, in un certo senso. E non solo perché ti trasfiguri usando il suo volto." Sorrise, come se quel pensiero lo mettesse di buon umore.
"Che cosa vuoi da me?" Robern non sembrava avere cattive intenzioni e la prima volta l'aveva che si erano incontrati lui l'aveva aiutata, anche se a modo suo. Joyce voleva scoprire quante più cose poteva su di lui.
"Voglio che tu faccia esattamente quello che stai già facendo."
"Parli del compendio?"
Lui annuì. "Ti sei mai chiesta da dove viene? E perché tu l'abbia trovato nella tua stanza? Credi sia stato solo un caso?"
Quelle parole la colpirono come pugni nello stomaco. "Sei stato tu?"
Robern sorrise. "Brava la mia maghetta."
"Perché?"
Robern sospirò. "Perché ti ho rubato il destino, Joyce di Valonde. Ti ho rubato il destino e ho deciso di donartene uno nuovo che tu potessi seguire. E finora non mi hai deluso."
"Tu hai... cosa?"
"Fammi vedere le ombre danzanti" disse Robern all'improvviso.
Joyce era frastornata dalle parole dell'uomo. Le fu quasi grata che le avesse dato qualcosa con la quale tenere la testa occupata.
Evocò l'ombra e poi la divise in due, quindi diede il comando. Le due evocazioni iniziarono a volteggiare sopra le loro teste.
Robern le osservava affascinato. "Sai fare solo questo?"
Joyce era andata avanti. C'erano altre evocazioni simili nel compendio, ma lei per ora ne aveva imparata solo un'altra.
Mormorò la formula magica.
Un uccello dalle piume dai mille colori prese forma al suo fianco. Era una creatura maestosa, simile a un'aquila ma dalle piume che luccicavano come se fossero fatte d'oro e d'argento.
Con un comando simile a quello usato per le ombre danzanti Joyce lo fece librare in volo, ben presto l'aquila e i danzatori volteggiarono l'una attorno agli altri, creando giochi di luci e ombre dove si sfioravano e compenetravano.
Infine Joyce mormorò un'altra formula magica e le evocazioni si dissolsero come una pioggia multicolore.
Robern parve soddisfatto da quello spettacolo. "Meriti un premio" disse. Infilò una mano in tasca e ne trasse una chiave dorata.
Era simile a quella che le aveva donato la prima volta.
Gliela porse.
Joyce la prese con diffidenza. "Che porta apre?"
"Se te lo dicessi, sarebbe troppo facile. Ma posso darti una mano." Tracciò un cerchio nell'aria con un agile movimento del polso.
Davanti a Joyce apparve un circolo luminoso.
Lo aveva già visto nei boschi attorno a Valonde. "Che cosa c'è dall'altra parte?"
"Un pezzo di verità, se sarai abbastanza abile da seguire tutte le tracce."
"Vuoi farmi fare un altro tuffo?"
"Stavolta resterai all'asciutto" disse lui.
"E come farò a tornare indietro?"
"Quando sarai dall'altra parte, troverai la tua strada."
"E se rifiuto?"
"Ti tieni la chiave e torni a casa. Ma niente premio."
Joyce non si fidava di lui, ma se avesse voluto farle del male lo avrebbe già fatto. Se non mentiva, avrebbe potuto ucciderla in mille occasioni diverse. Tuttavia, poteva comunque correre dei rischi mortali fidandosi di lui.
Magari aveva un complicato codice d'onore che gli impediva di ucciderla ma non di mandarla incontro a morte certa.
Magari quel portale l'avrebbe condotta in un cono vulcanico o in una grotta senza via d'uscita.
La luce al centro del cerchio pulsò, come invitandola.
Joyce fece un passo in avanti e poi un'altro ancora.
"E ricordati di Ambalar" disse Robern un attimo prima che sparisse in un lampo di luce.
Per un attimo ebbe la sgradevole sensazione di precipitare. Faticò a reggersi in piedi mentre aveva la sensazione di sprofondare e cadere per interminabili attimi.
Appoggiò entrambe le mani alla scrivania. Era il primo oggetto solido che era apparso e le era sembrato naturale afferrarlo.
In rapida successione apparve il resto. Un'ampia vetrata che mostrava in lontananza una città immersa nel sonno. Una biblioteca con numerosi scaffali pieni di libri. Una sedia finemente decorata con scene di caccia. Un dipinto raffigurante un uomo e una donna coronati il giorno del loro matrimonio. E poi altri dipinti, volti e una lunga spada agganciata a un sostegno che faceva bella mostra di sé.
Tutto sembrò vorticarle attorno per qualche secondo mentre cercava di riprendere il controllo.
Quei visi che la fissavano dal dipinto le erano familiari. Aveva già visto quel quadro e non solo una volta.
Era stato realizzato per celebrare le nozze di re Andew e della regina Marget, i suoi genitori.
E la scrivania alla quale era appoggiata... anche quella le era familiare. Da bambina si nascondeva per fare uno scherzo a suo padre e lui fingeva di non riuscire a trovarla, salvo poi lasciarla sgattaiolare fuori e inseguirla.
Robern non l'aveva mandata chissà dove.
L'aveva riportata al castello, a casa.

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